sabato 28 marzo 2015

NEWS - Inversione sulla via Emilia. La Clarke di "GOT" su "Hollywood Reporter": "nella 5° stagione i miei capezzoli riposano. Basta nudo, ho rifiutato anche '50 Sfumature'..."

Intervista e foto da "Hollywood Reporter"
Emilia Clarke si ricorda di quel piatto di frutta. Era il 2010 e l’attrice si presentava al provino di “Game of Thrones”, davanti al direttore del casting e ai produttori, ma l’unica cosa che riusciva a vedere era quel piatto di frutta. Pensò: «Wow, deve essere un’audizione seria!». Lei era cresciuta nella campagna del Berkshire e si proponeva per il ruolo di Daenerys Targaryen, regina dei draghi e potenziale erede al trono di spade. Si era preparata studiando i romanzi di George R.R. Martin e ascoltando le canzoni di Tupac Shakur, per imparare a tirare fuori un po’ di ferocia. I produttori l’hanno scelta per quella somiglianza a Giovanna D’Arco, di intensità messianica. Intanto la “HBO” decideva di spendere quanto un Lannister: 8 milioni di dollari per la puntata pilota, 60 milioni di dollari per creare la prima stagione della serie. Investimento che dopo cinque anni si è tradotto nello show più di successo della storia, con oltre 18 milioni di spettatori a episodio. Dice la Clarke: «Mai avrei pensato a un simile risultato. Mi ci sono voluti cinque anni per realizzare quello che è accaduto, e a volte ancora non credo di farne parte». Sarà la Sarah Connor di “Terminator: Genisys” e ha rifiutato la parte da protagonista in “Cinquanta sfumature di grigio”: «Non me ne pento» dice tranquilla. «Mi ero già mostrata nuda e non volevo essere etichettata come una che sa fare solo quello». Passerà lo stesso al grande schermo, dopo essere stata pagata 7 milioni a stagione in “Game Of Thrones. Quello che la rende un’attrice anomala è che sia pressoché irriconoscibile, senza le tuniche e i capelli color platino. E’ bruna e sembra una studentessa universitaria più che una star. Non ci sono nudi nel prossimo “Terminator”, e quelli di “Game Of Thrones” per ora sono finiti: «Ci sono altre donne che si spoglieranno. Per adesso i miei capezzoli sono a riposo». Il 12 aprile parte la quinta stagione, dove non sarà più isolata e incontrerà Tyrion Lannister, a giugno la Clarke già starà sul set della sesta stagione.

venerdì 27 marzo 2015

PICCOLO GRANDE SCHERMO - La "strana coppia"! Lea Michele di "Glee" nel film di William Macy di "Shameless"

News tratta da "Deadline"
Lea Michele and Kate Upton will star in The Layover, the William H. Macy-directed road trip sex comedy scripted by David Hornsby and Lance Krall. Production is imminent with Keith Kjarval of Unified Pictures and Aaron L. Gilbert of Bron Studios producing. Michele and Upton play a pair of lifelong best friends who decide to avoid their problems by taking a vacation only to find that their plane has been rerouted due to a hurricane warning. To make matters worse, the two friends find themselves battling for the same guy during an extended layover in St. Louis. Macy will play a role in the film as well. Hornsby and Krall collaborated on the TV series It’s Always Sunny In Philadelphia, on which Hornsby is writer, executive producer, and co-star.
“The minute I met Lea and Kate, the film began to focus for me,” said Macy, moonlighting from his series Shameless. “They are singular, ambitious funny women in full. This is going to be fun.” Executive producers are Patricia Cox, who worked with Macy on his most recent helming effort Rudderless, and Jason Cloth of Creative Wealth Media Finance. Michele starred in Glee and has reteamed with Ryan Murphy on Scream Queens. Supermodel Upton co-starred with Cameron Diaz and Leslie Mann in Fox’s The Other Woman.

giovedì 26 marzo 2015

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"1992", racconto a mosaico tra manierismo e opera meritoria
"Preceduta da un'intelligente e capillare campagna promozionale (il canale 111 di Sky ha programmato solo opere del 1992, un'ideona!), ecco finalmente «1992», la serie sugli anni di Mani Pulite, un affresco storico in dieci puntate su quel fatidico anno che ha spazzato via i tradizionali partiti politici, nel bene come nel male. Ogni puntata racconta un mese del 1992, partendo proprio dall'arresto di Mario Chiesa nel Pio Albergo Trivulzio (17 febbraio) per concludersi il 15 dicembre, con l'avviso di garanzia a Bettino Craxi. Il poderoso racconto intreccia le storie di sei personaggi principali: Leonardo Notte (Stefano Accorsi), un passato extra-parlamentare e un presente votato al marketing più spietato; il poliziotto Luca Pastore (Domenico Diele) in cerca di giustizia; il suo collega Rocco Venturi (Alessandro Roja); Tea Falco nel ruolo di Bibi Mainaghi, figlia di un ricco industriale coinvolto negli scandali; Miriam Leone, disposta a tutto pur di andare a condurre «Domenica In»; e infine Pietro Bosco (Guido Caprino), testa calda che, per aver salvato un leghista da due albanesi, diventa un eroe per la Lega che lo candida in Parlamento. Sono personaggi inventati con nomi di fantasia, ma nella serie non mancano i riferimenti diretti ed espliciti a personaggi reali coinvolti nel periodo più nero della Repubblica Italiana: i magistrati Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), Gherardo Colombo (Pietro Ragusa), Piercamillo Davigo (Natalino Balasso) e i politici Umberto Bossi (Guido Buttarelli), Roberto Maroni (Peppe Voltarelli) e tanti altri («anche se ispirate a fatti realmente accaduti le storie narrate sono frutto della fantasia degli autori», sottolinea prudente la didascalia iniziale). Le storie personali servono a ripopolare davanti ai nostri occhi quella stagione milanese di sbadata tragicità, quasi un paese delle maschere, dove l'arroganza si mescolava all'incoscienza, dove ai numerosi reati di corruzione si contrapponeva una sorta di repulisti morale della Repubblica, in un clima di redenzione e salvezza: gli arresti, gli interrogatori, la fine dell'impunità di politici e imprenditori, il ruolo «salvifico» e politico del magistrati, i suicidi...
«1992» prende le mosse dalla nascita di quella sorta di laboratorio creato da Marcello Dell'Utri (Fabrizio Contri), che mescola Publitalia e Forza Italia, pubblicità e politica, il Paese e Tangentopoli in un difficile equilibrio fatto di intuizioni e spregiudicatezza. Nel momento in cui un sistema politico sembra crollare c'è già chi capisce con prontezza come il crollo possa portare a un nuovo, radicale cambiamento. Almeno nelle prime puntate, la serie cerca di ricostruire l'epica un po' infantile di Mani Pulite e sposa più la tesi «giustizialista» che quella del «golpe giudiziario». I reati furono commessi, eccome, ma certo la magistratura non si sottrasse a una campagna di moralizzazione che mise in discussione l'intero sistema politico italiano. È un racconto a mosaico: alcune tessere sono molto belle e potenti (il realismo del leghista), altre un po' meno, là dove la secchezza del racconto cede al manierismo. Però, dalla prima inquadratura in avanti, è impossibile staccarsene. La serie, prodotta da Wildside, è scritta da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, con la supervisione di Nicola Lusuardi e la regia di Giuseppe Gagliardi. L'idea del progetto è di Stefano Accorsi, che partecipa allo sviluppo creativo della serie (immaginandosi con un certo coraggio come il Don Draper di Mad Men ). Alla grandiosa sfida produttiva non sempre corrisponde un altrettanto elevato ardimento inventivo: il paradosso è che proprio il ruolo di Accorsi sembra il più manierato di tutti.
Rispetto a «Romanzo criminale» e a «Gomorra», «1992» ha una struttura più disarticolata, come se il montaggio fosse più importante della sceneggiatura, come se il lavoro di moviola servisse a dare al racconto qualcosa che manca alla scrittura. Sky fa opera meritoria, ma non sono queste le serie che dovrebbe produrre il Servizio pubblico? O forse no: l'accesso al bene pubblico radiotelevisivo è ormai alla portata di tutti, la pluralità delle istanze politiche, sociali e culturali è assicurata dalla varietà e molteplicità dei canali, dei media, delle fonti. La vera lezione di «1992» è che non basta chiamarsi Servizio pubblico per esserlo". (Aldo Grasso, 25.03.2015)

mercoledì 25 marzo 2015

NEWS - ShondAttack! La regina di "Scandal", "Grey's" e "HTGAWM" risponde per le Rhimes all'analisi di "Deadline" sul fatto che oltre il 50% dei personaggi nei pilot siano afro-americani ("pur essendo il 13% della popolazione")
Shonda Rhimes took to her Twitter account on Tuesday night (March 24) to blast an article posted by Deadline as it suggested that the surge of ethnic casting on television was “too much of a good thing.
The article quickly was put on blast by Hollywood heavyweights after it stated that 50% of the roles in pilots these days have to be ethnic despite African-Americans only representing 13% of the U.S. population.
The article also suggested that “the pendulum might have swung a bit too far in the opposite direction” after years of there being very few roles for non-Caucasian actors.
Shonda, the creator of such smash hit shows as Grey’s Anatomy, Scandal, and How to Get Away With Murder, previously slammed the New York Times after the paper’s critic called her an “angry black woman.”

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

RIVISTA STUDIO
Ecco perchè "Better Call Saul" è una bomba!
"Produrre uno spin-off di discreto successo a partire da una serie Tv di enorme successo è molto difficile – mi viene in mente Frasier, spin-off di Cheers, e pochi altri, se escludiamo i vari Law & Order et similia. Il rapporto derivativo tra le due opere si fa gerarchico e il confronto impietoso. Non si può guardare uno spin-off senza ricondurlo continuamente all’originale, pratica che diventa ossessiva per i fan della serie che si sentono traditi per principio: sperano da un lato di ritrovare la grandezza precedente e, dall’altro, godono della consapevolezza che non la ritroveranno mai. Guardare uno spin-off rappresenta, per lo spettatore, la riconferma della superiorità della serie madre e questo sguardo, questo accesso allo spin-off, lo deteriora e lo rende incapace, per definizione, di raggiungere le vette già conquistate in precedenza.
Più la serie di riferimento è importante, più lo spin-off tenderà al disastro. Gli esempi sono tanti, da 90210 di Beverly Hills a Joey di Friends passando per The Cleveland Show di Family Guy e per lo storico Baywatch Nights. Tutti funzionano più o meno allo stesso modo: mantengono l’ambientazione, l’estetica e la poetica della serie originale prendendo un personaggio minore e rendendolo protagonista della narrazione. E, spesso e volentieri, vengono malissimo perché, di fatto, non sono altro che un tentativo, il più delle volte maldestro o puramente commerciale, di speculare sul successo delle serie maggiori: #sixseasonsandaspinoff.
Bene. E Better Call Saul, lo spin-off di Breaking Bad, com’è? Be’, Better Call Saul è una bomba, e non perché riesce a ricreare l’atmosfera di BB e restituircela attraverso modulazioni della sua poetica. No, BCS è una bomba proprio perché non è lo spin-off di BB. Vince Gilligan, la cui genialità evidentemente non si limita alla capacità di scrittura e inventiva, ha capito benissimo che la strada derivativa si sarebbe rivelata una dead end e ha pensato di fare qualcosa d’altro. Non un sequel e nemmeno un prequel, ché Walter White sarebbe entrato nell’empire business anche senza Saul. BCS è un’ulteriore stagione di BB in tono minore e la dinamica che si instaura tra le due serie non è gerarchica o derivativa ma di continuità. Vince Gilligan deve aver letto i pensatori francesi Gilles Deleuze e Felix Guattari, o almeno deve aver ragionato come loro, quando se l’è inventata. Ecco perché.
Deleuze e Guattari hanno scritto un libro enorme che si intitola: Kafka. Per una letteratura minore. L’idea è a suo modo semplice, ma di quelle che ti cambiano la testa per sempre, se la leggi per la prima volta a 22 anni e fai una facoltà che ti permette di bere molto vino tutte le sere: una letteratura minore non è la letteratura di una lingua minore ma quella che una minoranza fa in una lingua maggiore. Kafka era un ebreo di Praga, minoranza se ce n’è una, che scriveva in tedesco, lingua maggiore se ce n’è una. L’aggettivo «minore», in questo caso, non ha nulla a che vedere con il suo significato comune e peggiorativo. Una letteratura minore, o una serialità minore, non sono “peggio” dei corrispettivi maggiori; piuttosto sono diverse, il risultato di un’impossibilità. E allora? Allora prendi un personaggio minore, James M. McGill aka Saul Goodman, lo cali in un universo maggiore, l’Albuquerque di Breaking Bad, e vedi che cosa succede. Secondo me, succedono tre cose".
Per scoprirle, vai a questo LINK
Commento di Jacopo Cirillo, 18.03.2015

martedì 24 marzo 2015

GOSSIP -"Dopo 'Mad Men' mi prenderanno ancora sul serio?": la paura di Jon Hamm sul nuovo "GQ" 
Jon Hamm looks so dapper on the cover of GQ‘s April 2015 issue, on newsstands March 24.
Here is what the 44-year-old Mad Men actor had to share with the mag:
On what he will do next: “You button up into one of those suits and it’s like, ‘Okay, there’s a certain way that I feel. I feel confident. I feel put together. I feel great looking.’ The one constant thing I’ve had in my career is now removed. And that’s an eye-opener: Are people still going to take me seriously? Am I just going to do romantic comedies for the rest of my life? What’s next? And I don’t know, you know? I wish I was smug enough to have had a grand plan.”
On being an actor: “Whenever people want to talk about how hard it is to be an actor, I want to go, ‘Um, it’s hard to be a baby-heart surgeon.’ Being an actor is actually pretty easy, if you can memorize lines,”
Jon’s girlfriend Jennifer Westfeldt on his personality: “[He's] a goofball and a science nerd and a voracious reader and a fanatical Cardinals fan and a comedy geek.”
For more from Jon, visit GQ.com!
NEWS - Netflix, Sky o Mediaset? "E' il cliente che decide la domanda", Marco Patuano di Telecom dixit. "Grazie a noi - e alla banda larga - nascerà la tv via cavo in Italia" 

News e intervista tratta da "Affari&Finanza" de "la Repubblica"
Telecom Italia vuole realizzare in prima persona il Piano del governo per portare la banda ultralarga in tutto il Paese. Può farlo da sola accelerando gli investimenti previsti da qui al 2020, ma preferirebbe farlo con Metroweb avendo la maggioranza e senza coinvolgere altri operatori. Le trattative con Franco Bassanini, presidente della Cdp, si sono riaperte: l'ad Marco Patuano spiega ad Affari&Finanza le sue strategie. Dottor Patuano, il governo ha presentato il suo Piano strategico per la diffusione della banda ultralarga nel paese che prevede obbiettivi giudicati da tutti ambiziosi ma sfidanti. Tuttavia non è ancora chiaro chi lo realizzerà. «Il Piano del governo per lo sviluppo della banda ultralarga è fatto bene ma si è sovrapposto alle discussioni intorno al veicolo che dovrà realizzarlo e il tutto ha generato dei messaggi fuorvianti. Per sgombrare il campo dagli equivoci voglio innanzitutto dire che con il piano industriale di Telecom Italia si arriva al 2020 agli stessi obbiettivi fissati dal governo, cioè portare una connessione in fibra all'87% delle unità immobiliari. Di queste il 55% sarà collegato con la tecnologia Fttc (fibra fino agli armadietti in strada) e il 30-35% con Ftth (fibra fino dentro gli appartamenti)». E allora per quale motivo avete avanzato una manifestazione di interesse per entrare nel capitale di Metroweb, la società che ha realizzato la rete in fibra a Milano? «Nelle nostre intenzioni Metroweb fungerebbe da acceleratore, per anticipare di circa un triennio gli 1,4 miliardi di investimenti nella rete Ftth che normalmente Telecom Italia svilupperebbe da sola dal 2018 al 2020. Inoltre attraverso Metroweb si potrebbe realizzare la cosiddetta "equivalence of input", cioè la garanzia che tutte le richieste di allacciamento provenienti dagli operatori verrebbero trattate alla stessa maniera, processate in una società autonoma. Bisogna però capire che si tratta di due cose diverse che vanno trattate su due piani diversi: una cosa è il piano industriale che stiamo realizzando. Altra cosa è l'ipotesi di acquisto di una società che opera nel settore che può avvenire o meno, ma questo non incide sullo sviluppo della nostra rete». Ma anche Vodafone è interessata a Metroweb e ha già firmato una lettera di intenti. Voi escludete una coabitazione all'interno dello stesso veicolo? «Comprendo la mossa di Vodafone ma mi sento di escludere l'ipotesi della coabitazione. Non esiste un solo caso al mondo in cui una soluzione consortile abbia funzionato. Il motivo è presto detto: per realizzare il Piano ci vuole un operatore che svolga senza impedimenti un'attività operativa articolata e complessa. Poi occorre un quadro regolatorio adeguato e soci finanziatori che si facciano garanti del rispetto delle regole». Telecom un azionariato con un'importante presenza italiana. E questo fatto potrebbe rappresentare un problema anche per il futuro della rete di nuova generazione. «Telecom Italia è una public company, già oggi i principali azionisti sono i fondi internazionali. Stiamo dimostrando con i fatti che gli investimenti li stiamo facendo, e in maniera significativa. Per la rete di nuova generazione la soluzione sono regole e governance chiare fin da subito». È un fatto che entro giugno, con la conclusione dell'operazione Telefonica-Gvt, il gruppo francese Vivendi riceverà azioni Telecom Italia pari all'8,3% dei diritti di voto e diventerà il vostro primo socio. Sicuro che non cambi proprio nulla al vostro interno? «Avremo un azionista all'8% che per una public company non è poco, quindi Vivendi sarà un azionista molto importante. Con Vincent Bollorè, presidente e azionista di Vivendi, avevamo avuto discussioni molto interessanti sotto il profilo industriale quando stavamo preparando un'offerta per Gvt. Le sinergie che potranno essere sviluppate dipenderanno da quale sarà la futura strategia industriale di Vivendi, partendo dal fatto che oggi è un gruppo presente nel mercato della Tv con Canal Plus e della musica con Universal». A proposito di Tv, quando partirete con la commercializzazione dell'offerta congiunta con Sky, che porterà la pay tv nelle case via banda larga? «La partenza è prevista per dopo Pasqua». Conferma che state lavorando a un accordo simile anche con Mediaset Premium e con Netflix? «In Italia non esiste la Tv via cavo, dunque sarà la fibra a portarla nelle case della gente. È il cliente che guida la domanda, sarà lui a decidere se vorrà vedere Sky, Mediaset Premium o eventualmente Netflix o altri servizi che cercheremo di aggiungere al nostro bouquet». Dica la verità, c'è qualcuno che spinge per fare una fusione con tutto il gruppo Mediaset? «Nessuno ha mai fatto pressioni per promuovere operazioni non di mercato. E poi la nostra strategia è chiara, siamo trasportatori di contenuti di altri». Altri gruppi come Telefonica hanno invece comprato società televisive, Vodafone ha esaminato l'opzione Liberty e qualcuno dice che stanno parlando con Sky. British Telecom è entrata nel mobile e produce contenuti televisivi. Chi vincerà? «Sono chiaramente strategie differenti, ma il giudizio di merito varia da mercato a mercato. L'integrazione TV Tlc o la partnership possono essere entrambe vincenti a seconda dei mercati». Tra gli operatori tlc sembra sia partito il tanto atteso consolidamento europeo. Chi ha in mano le carte giuste? «Le compagnie telefoniche più piccole dovrebbero accorparsi tra di loro, mentre vedo più difficile un matrimonio tra big del settore. Qualcosa comunque accadrà. Bt ha comprato l'operatore mobile EE che era di proprietà di Orange e Deutsche Telekom. La prima in cambio della propria quota ha preso per la maggior parte cash, i tedeschi invece si sono fatti pagare interamente in azioni. Per motivi diversi entrambi potrebbero voler giocare la partita del consolidamento. Meno probabile lo faccia invece Telefonica, che è presente in Spagna e Sudamerica, è appena entrata in Germania ma ha venduto Irlanda, Repubblica Ceca, Gran Bretagna e Italia». Voi avete sempre l'incognita Brasile, un paese dove pensate di crescere ancora molto e dove sono ancora possibili operazioni straordinarie. La fusione con Oi è ancora d'attualità? «Operazioni di grande rilevanza non possono essere fatte se non nella chiarezza di governance con la controparte. Abbiamo bisogno che le condizioni siano quelle giuste e al momento non sembrano esserci. Abbiamo più volte dimostrato che siamo un gruppo manageriale prudente nelle nostre scelte strategiche». Se non altro grazie al Brasile avete ottenuto chiarezza nel vostro azionariato. Facendo un'offerta per Gvt avete costretto Telefonica a scegliere tra voi e il consolidamento brasiliano. «In effetti quella su Gvt era una situazione "win-win" per noi. Se andava in porto avremmo creato il primo operatore integrato brasiliano, in caso contrario Telefonica avrebbe dovuto scegliere». Sicuro che non vi serve un aumento di capitale? Il debito è ancora alto e in bilancio c'è ancora tanto avviamento. «Dopo un bond convertendo da 1,3 miliardi e altri 2 miliardi di bond convertibile al tasso dell'1,125 la situazione patrimoniale è stata messa in sicurezza. Per quanto riguarda gli avviamenti la situazione economica prospettica sta migliorando e dunque si riduce la possibilità di nuove svalutazioni che derivino dalle condizioni di business. Il gruppo sta lavorando bene: nel 2013 la capitalizzazione di Telecom Italia era di 11,5 miliardi, oggi supera i 20 miliardi».
Dunque anche voi avete ripreso a trattare con Metroweb ma non volete altri soci operativi e almeno il 51% della società fin da subito. Giusto? «Il tavolo di conversazione con i due soci FSI e F2i è aperto, abbiamo chiarito l'intenzione di realizzare un piano industriale ambizioso che dovrà comunque ottenere il preventivo assenso da parte di tutte le authority». E per quanto riguarda il nodo del 51% fin da subito, sul quale si erano in un primo momento interrotte le conversazioni, ritiene possa essere superato? «Non vi è dubbio che l'operatore che partecipa a Metroweb deve avere nelle sue mani il controllo operativo del progetto. Le modalità con cui si può arrivare a questo obbiettivo sono diverse e sono attualmente oggetto di discussione». Nel caso non riusciste a trovare un accordo non vi è il rischio di sovrapposizioni con altri operatori nelle aree più interessanti dal punto di vista economico? «È possibile e qualora sorgesse questo problema spero prevalga il buon senso. A noi non mancano certo le risorse, i due miliardi raccolti settimana scorsa con il bond convertibile possono essere anche utilizzati per accelerare gli investimenti sulla banda ultralarga. Siamo molto flessibili sotto questo punto di vista e l'indebitamento ormai è sotto controllo». Poiché le cifre che girano sono le più disparate, secondo i vostri calcoli quanti soldi servono per realizzare tutta la rete di nuova generazione ipotizzata dal governo? «Se si parla delle aree A e B identificate dal Piano governativo come quelle a maggior ritorno di mercato una modalità efficiente di copertura può essere realizzata con 2,5-3 miliardi di euro; ovviamente questo è possibile grazie alla pianificazione di un mix di copertura Fttc e Ftth secondo le esigenze attese della domanda. Per coprire anche le aree C (a medio bassa densità abitativa) occorreranno degli incentivi mentre per le D (rurali), quelle a fallimento di mercato, all'interno delle quali abita il 15% degli italiani, si può andare solo con un determinante intervento pubblico». L'obbiettivo finale del 35 o addirittura 45% di rete in fibra a 100 Megabit al secondo nel 2020 quindi è raggiungibile? «É raggiungibile anche se la sola domanda di ultra-internet fisso potrebbe non essere del tutto sufficiente a coprire i costi. Ma ciò non ci spaventa perché con il progredire della tecnologia le reti non saranno più definibili nettamente tra fissa e mobile. In futuro la rete a banda larga servirà anche a sviluppare la rete mobile di 5° generazione che utilizzerà antenne più piccole per coprire zone più concentrate con altissima capacità sia mobile che wi-fi. Dunque una diffusione della fibra molto capillare può diventare un vantaggio nel medio periodo». A proposito di torri, le avete scorporate e volete procedere spediti verso la quotazione entro l'estate. Sinergie con le torri televisive? «La quotazione è ormai deciso che venga realizzata entro l'estate. Con la diffusione della rete mobile 4G poseremo altre 4-5 mila antenne che andranno a integrare quelle già esistenti e ad aumentare il valore della società. Non vedo sinergie significative con le torri televisive, anche perché queste generano un campo elettromagnetico molto più elevato rispetto a quelle telefoniche».

lunedì 23 marzo 2015

NEWS - Clamoroso al Cibali! "X-Files" tornerà. E' (quasi) ufficiale

News tratta da "Uproxx"
Back in January, confirmation surfaced from Fox that discussions were underway for a potential revival of The X-Files — similar to the network’s 24: Live Another Day event series. Since then, talks have remained just that — talks. There’s still no active greenlight for the series, but some new reports say that may soon change.
Per sources, the network has settled on a “short-stack” order for the revival and while the exact size of the order is yet-to-be-determined, I’m told it will be less than ten episodes (though It can’t confirm the Daily Mail’s report that it will be six). It should be stressed, however, that talks with sister studio 20th Century Fox Television are still on-going. (Via TV Wise)
In order for the series to go into production, both the Fox network and its partner studio 20th Century Fox Television (different entities under the same umbrella) need to sign off on the project.
If intense negotiations can be finalized soon, then filming of six episodes of the very last look at the X-Files, the sci-fi show that launched [Gillian Anderson] and David Duchnovny 22 years ago, could be under way as early as June. (Via The Daily Mail)
If everything works out, the revival will likely serve as the network’s 2016 summer event show — a tradition than began with 24 and will continue with the upcoming Wayward Pines. With any luck, confirmation will come within the next month or two so that we can all start updating our fan fiction again.

"Il trivial game + divertente dell'anno" (Lucca Comics)

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Lick it or Leave it!

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