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giovedì 23 gennaio 2020

NEWS - Netflix, frena la crescita in Usa per la concorrenza ma centra gli obiettivi nel resto del mondo: fatturato +31%, 167 milioni di abbonati totali. Più produzioni originali nel 2020 per contrastare Disney&Co.

Articolo tratto da "Italia Oggi"
Netflix archivia l'ultimo trimestre dell'anno con quasi 8,8 milioni di nuovi abbonati nel mondo, superando ancora una volta le attese del mercato, proprio quelle stime che invece prevedevano fino a pochi giorni fa un calo nelle sottoscrizioni. In realtà, la piattaforma di video streaming on demand non ha raggiunto gli obiettivi degli analisti nel mercato domestico americano (423 mila utenti contro gli attesi 600 mila) ma li ha più che centrati negli altri paesi (8,3 milioni contro 7 min). In tutto, il pubblico del colosso guidato dall'a.d. Reed Hastings tocca adesso quota 167 milioni, di cui più di 60 min negli Usa. Quindi, al momento, gli affari procedono e lo confermano anche i risultati degli ultimi tre mesi ma Netflix inizia a sentire la pressione della concorrenza e per l'inizio di quest'anno non solo rimane più cauta nelle previsioni ma, soprattutto, ha deciso di spingere ulteriormente sui contenuti originali, diversificandoli di più per genere, formato e anche device su cui seguirli.
A conferma, il fatturato è cresciuto del 31% sui 5,5 miliardi di dollari (5 mld di euro) rispetto allo stesso periodo del 2018, il margine operativo a 459 milioni di dollari (414 min di euro) dai precedenti 216 min e l'utile netto fino alla soglia dei 587 milioni (529,4 min di euro) da 134 min. Però, per il primo trimestre del 2020, la piattaforma video si aspetta di coinvolgere in primis un numero più ristretto di spettatori: 7 milioni. Anche sul fronte dei ricavi, di conseguenza, si attende che la crescita sia intorno al 26,8%, dato tra i più bassi dei periodi precedenti. Al momento, comunque, hanno precisato dalla società californiana, continuano a crescere i ricavi per singolo utente (+12% al netto delle variabili valutarie) e si potrà ancora aumentare la spesa in produzioni originali, dai 19 miliardi di dollari (17 mld di euro) nel 2019 verso i 35 miliardi (31,6 mld di euro) entro il 2025, sempre facendo ricorso al mercato, ha chiarito Hasting, e sempre senza inserire inserzioni pubblicitarie in palinsesto. Semmai, siccome il mercato domestico Usa non esaurisce il business aziendale, la piattaforma punta su paesi emergenti come Malaysia e Indonesia, attraverso offerte esclusivamente mobile come già successo in India. I risultati positivi, a giudizio di Netflix, ci sono stati sia dal punto di vista dei nuovi abbonati sia da quello della loro fidelizzazione. Invece, in Europa come negli Stati Uniti, dove la concorrenza è maggiore, si arricchisce il catalogo con nuove produzioni (come Messiah, Killer Inside), seconde stagioni di titoli di successo (da Sex Education a Narcos ed Elite) e persino diversificando tra serie con pochi episodi, documentari e film molti lunghi.
Ce la farà Netflix ad arginare i colpi di Disney+ (costo: 6,99 curo al mese), Hbo Max (in arrivo a maggio) e Peacock di Nbc (peraltro gratis, seppur on air inizialmente solo negli Usa)? Hasting continua a ripetere che non teme la concorrenza ma è verosimile che il suo prezzo medio (10 euro al mese) e il suo recente aumento incideranno nella decisione di acquisto di una famiglia che, magari, è abituata ad abbonarsi a più di una piattaforma. Senza trascurare il paventato divieto di condividere gli abbonamenti tra utenti o famiglie diverse.

giovedì 21 febbraio 2019

NEWS - Sinti chi parla! Torna "Suburra" e lo vedono anche in Vietnam!

News tratta da "Italia Oggi"
Netflix scommette sull'Italia: per la presentazione della seconda stagione di Suburra, prima produzione italiana della società fondata da Reed Hastings e Marc Randolph e operante nella distribuzione via Internet di film, serie televisive e altri contenuti d'intrattenimento, nella capitale è arrivata Kelly Luegenbiehl, vice president of international original series for Europe and Africa del colosso mondiale dell'intrattenimento via streaming: «Per Netflix Suburra è una serie molto speciale. Per noi è stato un vero dono poter lavorare con persone di altissimo livello come quelle coinvolte in questa serie. E' stata una bella sorpresa la reazione del pubblico internazionale a questa serie, inizialmente concepita per il pubblico romano o italiano al massimo. Invece Suburra ha grandi fan negli Usa, in Germania e addirittura in Vietnam».

martedì 4 dicembre 2018

NEWS - Strategia Netflix: il prezzo degli abbonamenti varia da Paese a Paese: in Asia a poco più di 3 euro, in Francia a quasi 17

News tratta da "Italia Oggi"
Netflix gioca coi prezzi dei suoi abbonamenti pur di trovare nuovi utenti. Ma per gli adolescenti si concentra maggiormente sui contenuti: quindi via a produzioni ad hoc chiamate «romcom», dall'inglese commedie romantiche. In particolare, la piattaforma streaming guidata da Reed Hastings sta sperimentando nel Sudest asiatico una tariffa a 4 dollari (3,5 euro circa), più bassa rispetto alle tradizionali offerte a 7,99, 10,99 e 13,99 euro (così come in Italia). Però offerta che accetti catalogo di titoli che ti ritrovi e, per 3,5 euro, la visione di film e serie tv è consentita solo via mobile (smartphone e tablet). A spingere Netflix verso la sperimentazione ci sono i prezzi dei concorrenti in Asia, molto più contenuti dei suoi. Così succede in tutta l'Asia e in India. Ecco perché la sperimentazione a 3,5 euro, attualmente prevista solo in Malesia e altri piccoli mercati locali (niente Europa, niente Italia), può essere considerata una prima mossa per raggiungere l'obiettivo che davvero sta a cuore a Hastings: l'India con i suoi 100 milioni di clienti potenziali, secondo le stime della stessa piattaforma Usa. Peraltro la formula «testare e imparare» dal mercato è stata applicata da Netflix, in senso contrario, anche in Francia. Oltralpe è stata avviata una formula di abbonamento più cara di quanto proposto finora (a 16,99 euro), per posizionarsi in una fascia premium. Insomma, a seconda del potere d'acquisto dei consumatori, si aggiusta il prezzo ma il fil rouge della strategia è e resta quello di coinvolgere nuovi utenti. Del resto, per sostenere le spese delle produzioni originali (in tutto 12 miliardi di dollari, pari a 10,5 miliardi di euro) e mitigare le proiezioni su una marginalità in contrazione a fine anno, non rimane altro se non sfondare l'attuale soglia dei 137 milioni di abbonati nel mondo. La strategia di Hastings non punta comunque sul solo prezzo offerto ma anche sulle produzioni locali. In Asia, per esempio, sono stati annunciati 17 nuovi titoli realizzati in loco e, per la sola India, dopo la prima serie locale Giochi Sacri, sono in lavorazione quattro cortometraggi di Storie sensuali, il titolo horror Ghoul (genere poco diffuso in India) e un titolo tratto dal romanzo I figli della mezzanotte di Salman Rushdie, scrittore britannico nato a Bombay (vedere ItaliaOggi del 21/7/2018). Le produzioni originali verranno declinate diversamente non solo per area geografica ma anche per target di pubblico. Quello messo ora nel mirino da Hastings sono gli adolescenti tra i 15 e i 25 anni. L'amo saranno commedie romantiche come The kissing booth, storia scritta da un 15enne a cui ha puntato anche Sony. Le cosiddette romcom hanno, infine, il pregevole vantaggio per un produttore di richiedere basse spese di realizzazione.

lunedì 29 ottobre 2018

NEWS - Ma Netflix è come l'Italia! Lancia un bond di 2 miliardi per continuare a crescere (ma se non succede, son cazzi...)
Articolo tratto da "Libero"
Netflix si prepara al lancio di un altro "senior unsecured bond", vale a dire un titolo obbligazionario ad alto rischio e quindi ad alto rendimento. I tassi elevati sono necessari quando ci si rivolge al mercato con un "junk bond", un'obbligazione "spazzatura". Questa volta lancia un bond da 2 miliardi per raccogliere nuove risorse da investire principalmente per produrre nuovi contenuti ma anche, precisa la società per «acquisire nuovi contenuti, per spese in conto capitale, per investimenti e potenziali acquisizioni strategiche». È la sesta volta in meno di quattro anni che Netlix utilizza bond per raccogliere almeno un miliardo. Operazioni che hanno gonfiato il debito a lungo termine della compagnia: nella trimestrale chiusa a settembre ha raggiunto gli 8,34 miliardi di dollari, in aumento del 71% anno su anno. Netflix sta riservando enormi investimenti (8 miliardi nel 2018) alla produzione e all'acquisizione di nuovi film e serie tv. Durante la pubblicazione dell'ultima trimestrale, la compagnia ha rassicurato gli azionisti sostenendo che le risorse sono fondamentali per continuare a crescere, sia in termini di profitti che di utenti. Per il ceo Reed Hastings, la qualità e al quantità dei contenuti (capace di soddisfare utenti dai gusti diversi) sono l'unico modo per reggere alla concorrenza delle case produttrici (come Warner e Disney) e delle società tecnologiche (come Amazon e Apple) impegnate nello streaming. Netfiix ha chiuso il terzo trimestre con 7 milioni di nuovi utenti un utile di 402,8 milioni di dollari (oltre le previsioni degli analisti) e ricavi a 4 miliardi (in crescita del 34% anno su anno). Il peso degli investimenti in contenuti, oltre che sul debito di lungo periodo, si vedrà sui margini del prossimo trimestre. Alcune spese sono state rimandate, tenendo il margine operativo del terzo periodo al 12%. Ma nell'ultimo quarto dell'anno dovrebbe calare, secondo le previsioni di Netflix, al 4,9%.

lunedì 22 ottobre 2018

NEWS - Netflix, +7 milioni di nuovi iscritti nell'ultimo trimestre (ben oltre le previsioni), +15% in Borsa e sempre più "generalista" e "da avere". Di contro: share frammentato e investimenti altissimi (3 miliardi nel 2018)

Articolo tratto da "Il Foglio"
Nelle ultime settimane c'è stata molta attesa intorno ai risultati trimestrali di Netflix, pubblicati martedì notte: tutti pensavano che avrebbe fatto un tonfo e che sarebbe cominciato un momento di crisi per l'azienda di streaming di Reed Hastings, visto che le ultime trimestrali erano andate così cosi e il numero di nuovi abbonati si andava assottigliando sempre di più. Al contrario, Netflix ha battuto le previsioni degli analisti, aggiungendo 6,96 milioni di nuovi iscritti nel terzo trimestre dell'anno, molti di più dei 5 milioni previsti. Di questi, 1,09 milioni di nuovi iscritti arriva dal maturo mercato americano, che tutti pensavano fosse ormai saturo. I mercati sono stati cosi deliziati dalla sorpresa che il titolo di Netflix è salito del 15 per cento, trascinando al rialzo buona parte della Borsa americana. Netflix ha ormai raggiunto uno stadio avanzato della sua strategia di produzione di contenuti, nella quale ha speso miliardi di dollari (è prevista una spesa di tre miliardi per il 2018 e una altrettanto grande per l'anno successivo, poi dovrebbe calare). L'azienda ha fatto il passaggio definitivo da "servizio di streaming che distribuisce in gran parte contenuti altrui" a "casa di produzione vincitrice di premi internazionali con annesso un servizio di streaming", e un dato in particolare contenuto nella lettera agli azionisti sembra confermare il successo della strategia: nel totale delle ore che gli spettatori trascorrono a guardare contenuti video su Netflix, anche i titoli di maggior successo ammontano soltanto a una "percentuale molto inferiore al dieci per cento". "La nostra crescita non è attribuibile in nessun trimestre a un contenuto specifico", si legge nella lettera, e questo significa: anche i successi più fenomenali, le serie di cui tutti parlano, quelle incensate dalla critica e dal pubblico, quelle che sembra che tutti abbiano visto, da "House of Cards" a "Stranger Things", in realtà fanno un 4-5 per cento dello "share" totale di Netflix.
Questa è una notizia notevole per l'azienda, perché significa che Netflix è diventato un operatore generalista. Il suo successo non dipende da pochi titoli di eccezionale qualità - come può essere per Hbo, che ha già il problema di trovare un sostituto a "Game of Thrones" - ma dalla marea di contenuti, spesso frivoli, che Netflix riversa in massa sulla sua piattaforma e che la rendono ancora più generalista di un mezzo come la televisione: mentre in tv è normale che un programma faccia il 10-15 per cento di share, su Netflix lo share è eccezionalmente frammentato, perché tutti guardano tutto, lo spettatore trangugia i contenuti più disparati, e non abbandona la piattaforma quando è finita la stagione della sua serie preferita. Questo non significa che le serie di alta qualità non servano più, anzi. Il giornalista Derek Thompson, nel suo libro recente "Hit Makers", spiega che gli operatori come Netflix dipendono grandemente da quei titoli che definiscono il servizio come un "qualcosa da avere" anche se magari al momento in programmazione non c'è niente che ci interessi. Tutti sanno che Netflix produce serie e film di qualità, e si abbonano (o mantengono il loro abbonamento) perché si fidano del fatto che Netflix continuerà a sfornare una serie di cui tutti parleranno e che sarà da vedere. In attesa della suddetta serie, però, divorano i documentari sul cibo, i cartoni animati, i film scadenti, le vecchie sitcom, i reality, trasformandosi nel pubblico più variegato della storia. Il fatto che Netflix non abbia un prodotto di punta testimonia la sua forza davanti agli spettatori, ed è un monito per gli operatori tradizionali: più che concentrarsi sui prodotti della fascia più alta e orchestrare boicottaggi molto pubblici durante i grandi festival del cinema, dovrebbero preoccuparsi per il fatto che Netflix va fortissimo dappertutto, anche nei settori più popolari, dai reality ai cartoni animati.

mercoledì 22 agosto 2018

NEWS - Achtung, compagni! Netflix inserisce la pubblicità tra una puntata e l'altra delle serie tv!
News tratta da "Italia Oggi"
Gli spot arrivano su Netflix, o meglio i promo. Il gigante dello streaming online ha infatti iniziato a testare un nuovo modo di promuovere i propri programmi sugli stessi abbonati: mostrando brevi filmati che pubblicizzano altri contenuti. I promo sono inseriti da Netflix fra una puntata e quella successiva della serie che si sta guardando. La piattaforma, infatti, è stata la prima a introdurre la visione di una puntata dopo l'altra: una comodità per l'utente e un modo con cui Netflix riesce a trattenere sulla propria piattaforma gli spettatori più a lungo. Ebbene fra una puntata e un'altra c'è un conto alla rovescia di pochi minuti inserito per dare la possibilità eventualmente agli utenti di fermare la riproduzione, ed è proprio durante questo countdown che sono inseriti i promo. Ovviamente, come tutto quello che fa la società di Reed Hastings, i consigli sono targetizzati, ovvero basati sull'analisi dei dati dell'utente e sulla proiezione delle sue preferenze. Anche questo un modo con cui Netflix può coinvolgere maggiormente i propri abbonati portandoli a seguire una serie dopo l'altra. «Stiamo testando se le raccomandazioni tra gli episodi aiutino i membri a scoprire più velocemente storie che apprezzeranno», ha dichiarato con una nota Netflix al sito Cord Cutters, chiarendo che gli spettatori saranno in grado di saltare gli annunci Hastings ha però escluso diverse volte di voler inserire pubblicità da società esterne sul suo servizio, definendo la mancanza di spot un «elemento chiave di differenziazione». Ma quando si tratta di spendere soldi per promuovere i propri show, il ceo preferirebbe che l'algoritmo facesse il proprio lavoro. «Il nostro sogno del Santo Graal è che il servizio sia stato così bravo a promuovere i nuovi contenuti che non avremmo dovuto spendere esternamente» in pubblicità, ha detto Hastings durante la presentazione dell'ultima trimestrale. Per contro Netflix utilizza il product placement nei contenuti che produce, che costa tra i 50 mila e i 500 mila dollari a episodio (tra i 44 e i 450 mila euro). Netflix fa centinaia di test all'anno per aiutare le persone a trovare contenuti: «Un paio di anni fa», ha spiegato ancora l'azienda, «abbiamo introdotto le anteprime video all'esperienza tv, perché abbiamo visto che riduceva significativamente il tempo impiegato dai membri navigando e aiutandoli a trovare ancora più velocemente qualcosa che gli sarebbe piaciuto guardare. Da allora, abbiamo sperimentato ancora di più con video basati su consigli personalizzati per show e film sul servizio o in arrivo, e continuiamo a imparare dai nostri membri». Nel 2018 Netflix ha messo sul piatto 8 miliardi di dollari (6,8 miliardi di euro) per la produzione di contenuti originali (e ormai il trend di questa voce vede un aumento di un miliardo di dollari all'anno da un po' di anni), e nei primi sei mesi dell'anno ha investito oltre un miliardo di dollari (850 milioni di euro) in promozione e marketing. Peraltro, come mostrato dai dati dell'ultimo trimestre, la crescita degli abbonati è al di sotto delle aspettative: 5,2 milioni di nuove sottoscrizioni, rispetto ai 6,2 milioni attesi. In particolare, è il mercato Usa a essersi fermato, con 670 mila nuovi abbonati rispetto agli 1,2 min attesi, mentre nei mercati internazionali sono arrivati 4,47 milioni di nuovi abbonati a Netflix rispetto ai 5 min previsti.

venerdì 17 agosto 2018

NEWS - Netflix, abbiamo un problema sulle terze stagioni! Dopo il cast di "Stranger Things", anche quello di "Tredici" chiede l'aumento per la stagione 3. E sulla crescita d'ascolti tra la prima e la seconda non ci sono prove...

News tratta da "Deadline"
It’s come down to the wire for Netflix’s hugely popular drama series 13 Reasons Why, which is scheduled to do the first table read for the upcoming third season tomorrow but its eight core cast members are still renegotiating their contractsWe hear that negotiations are still ongoing but as of Wednesday night, there were no deals and the sides were still apart on money. However, we hear the gap has been bridged significantly today, and sources close to the situation sounded optimistic that agreements would be reached in time for Season 3’s start of production, scheduled for Monday. We hear Dylan Minnette, who has emerged as the sole lead following the departure of original star Katherine Langford, is seeking a Season 3 salary in the $200,000 per episode range, while Brandon Flynn, Alisha Boe, Justin Prentice, Christian Navarro, Miles Heizer, Devin Druid and Ross Butler are looking for about $150,000 an episode. That is way above the group’s start salaries, said to be in the $20,000 – $60,000 an episode range, with Minnette believed to have started higher, around or north of $80,000. It is customary for the cast of successful shows to seek raises after Season 2. The impetus for the salary demands by the 13 Reasons Why actors likely were the huge raises that the cast of another hit Netflix series, Stranger Things, recently gotheading into Season 3. They are believed to be paid as much as $350,000 an episode for the adult leads and $250,000 an episode for the child actors this season. There is a difference in the size of the orders. Stranger Things will produce eight episodes while 13 Reasons Whys order is for 13 episodes, which may explain some of the per-episode salary discrepancies between the two shows as the per-season compensation is relatively on par. We hear Paramount TV, which produces the series with Anonymous Content, and Netflix have been trying to close the new deals for the 13 Reasons Why actors today with new offers closer to the ask (we hear for the seven, it’s about $135,000 an episode in Season 3, rising to $150,000 in Season 4; for Minnette we hear the remaining gap is about $20,000). We will update if/when agreements are reached. All actors are still under contracts, so we hear expectation is that they would show up for work though the studio would like to wrap the renegotiations before that. 13 Reasons Why was a breakout hit for Netflix. While it has faced controversy over its graphic depictions of suicide and sexual violence, it is among Netflix’s most watched series. We hear that Netflix has said during the negotiations that ratings have slipped from Season 1 to Season 2 but since the streaming service does not release viewership data, that is hard to substantiateIn recent weeks, following 13 Reasons Why‘s Season 3 renewal, Netflix executives have been effusive in their praise of the show’s performance. “13 Reasons Why has been enormously popular and successful. It’s engaging content,” CEO Reed Hastings recently said  during the company’s annual shareholder meeting. “It is controversial. But nobody has to watch it.” At TCA several days ago, Netflix VP content Cindy Halland also called 13 Reasons Why “one of our most popular shows.”

venerdì 25 maggio 2018

NEWS - Netflix si mangia la Mela! La piattaforma di Reed Hastings è il media più quotato in Borsa (superata Disney)
News tratta da "Il Sole 24 ore"
I nuovi media battono quell tradizionali. E'successo ieria Wall Street dove Netflix la piattaforma di video in streaming ha superato il colosso di Walt Disney in termini di capitalizzazione di mercato. Il passaggio è simbolico per la società della Silicon Valley che vanta il core business nella Tv digitale valorizzata dagli investitori più del famoso brand di Hollywood. I titoli Netflix sono saliti dallo 0,659.6 a 346,82 dollari per un valore di 15146 miliardi di dollari mentre Disney ha perso l'142% a 151,1 miliardi di dollari, appesantita dall'attesa guerra di offerte con Comcast per gli asset di Fox. Sempre ieri Netfiix ha superato anche Comcast per valore di mercato e al momento guadagna il 70% dall'inizio dell'anno sostenuta dall'aumento delle sottoscrizioni che stanno andando meglio delle attese. Al mercato sono piaciuti anche i recenti accordi di coproduzione firmati con l'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama e dalla top star Tv americana Ryan Murphy.

venerdì 20 aprile 2018

NEWS - Netflix, l'ultimo trimestre è da record! Ricavi aumentati del 40% nonostante il flusso di cassa negativo e gli investimenti futuri di 8 miliardi di dollari in produzioni originali

Articolo tratto da "Italia Oggi"
Al momento il modello Netflix non solo regge ma pigia anche sull'acceleratore: il primo trimestre si chiude con risultati complessivamente oltre le previsioni del mercato. I ricavi aumentano del 40% sui 3,7 miliardi di dollari (pari a 3 miliardi di euro), spinti dalla crescita degli utenti e dal ritocco all'insù dei prezzi degli abbonamenti a fine 2017. In tutto il servizio streaming di tv on demand guidato da Reed Hastings ha attirato 7,4 milioni di nuovi utenti (+43% anno su anno), mentre 6,35 milioni erano quelli attesi. Precisamente dei 7,42 milioni 1,96 milioni arrivano dal mercato domestico degli Stati Uniti, i restanti 5,46 milioni da tutti gli altri mercati. Le precedenti proiezioni si fermavano sugli 1,45 milioni negli Usa, sui 4,9 milioni all'estero. Quindi la crescita oltre le previsioni è stata confermata su entrambi i fronti, nonostante i rialzi delle tariffe che portano il business a stelle e strisce a valere 1,82 miliardi di dollari (1,5 miliardi di euro) con un prezzo medio intorno agli 11 dollari (8,9 euro) e il giro d'affari nel resto del mondo (Italia compresa) a quota 1,78 miliardi (1,4 miliardi di euro) un'offerta sui 7,3 euro (nella Penisola a partire da 8 euro). Scendendo infine lungo il conto economico al 31 marzo scorso, Netflix è riuscita a migliorare il risultato operativo che è salito sui 446,6 milioni di dollari (361,5 milioni di euro) dai precedenti 257 milioni (208 milioni di euro). L'utile netto supera le attese (282 mln di dollari) e oltrepassa la soglia dei 290 milioni di dollari (quasi 235 milioni di euro), rispetto ai 178,2 milioni al 31 marzo 2017 (oltre 144 milioni di euro). Di contro, il free cash flow (flusso di cassa) è negativo per 286,5 milioni di euro (231,9 milioni di euro), era negativo per 2 miliardi di dollari (1,6 miliardi di euro) già a fine 2017 e si stima sarà pari a -3/-4 miliardi nel 2019 (-2,4/-3,2 miliardi di euro). Infatti i debiti a lungo termine hanno superato i 6,5 miliardi di dollari, pari a meno di 3,4 miliardi di dollari un anno prima (rispettivamente 5,3 e 2,7 con miliardi di euro). Eppure gli analisti non sembrano preoccupati dal fatto che il servizio streaming non riesca a finanziarsi con la vendita dei propri film e serie tv. Anzi, come ammesso dalla stessa Netflix, le attese sono per un flusso di cassa che rimarrà negativo ancora «per molti anni». In parallelo, ha ancora ampi margini di crescita sul fronte dei sottoscrittori (fino a 300 milioni globali prima che il mercato sia saturo dagli attuali 125 mln, stando ad alcuni studi di mercato). E anche sul fronte dei prezzi ci sono margini di rialzo. A conferma, ieri, il titolo è salito fino al +7,9% dopo la pubblicazione dei risultati nel primo trimestre. Hastings sa bene, però, che per aumentare i prezzi e non perdere pubblico occorre investire sul valore percepito dai sottoscrittori. Ecco perché ha deciso di spendere oltre 8 miliardi di dollari (6,5 miliardi di euro) in produzioni originali, di cui una quota crescente per i nonanglofoni e in particolare per gli ispanici. Altrettanto sta ingaggiando i principali sceneggiatori, tra cui Shonda Rhimes (Grey's Anatomy) e Ryan Murphy (Nip/Tuck e American Crime Story). Importanti saranno poi gli investimenti in tecnologia per migliorare la visione dei film. Per quanto riguarda i nuovi utenti, infine, Netflix non li andrà a prendere da sola o solo grazie a partnership con nuovi alleati come Sky, ma persino attraverso alleanze con i suoi ex competitor diretti come Comcast (con T Mobile e Altice le intese sono già state formalizzate). Così facendo possono essere al rialzo pure le previsioni per il secondo trimestre 2018: fatturato da 4 miliardi di dollari, 6,2 milioni di nuovi utenti (1,2 mln Usa + 5 mln mondiali) e un utile da 358 milioni di dollari. Un'ultima battuta Hastings la riserva agli organizzatori del Festival di Cannes, che hanno varato nuove regole per cui i fim non possono uscire prima online e poi nei cinema. Semplice la risposta di Netflix: «ci dispiace, promuoveremo le nostre produzioni in altri festival».

lunedì 5 marzo 2018

NEWS - Clamoroso al Cibali! La rivoluzione, oltre che alle urne, esplode in tv: tra un paio di anni Netflix visibile su Sky! E intanto oggi Mediaset perde 4 punti in Borsa dopo le elezioni e l'accordo con Vivendi appare lontanissimo (Amazon: adesso o scegli con chi allearti o fai la fine del PD...)

Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
Per gli appassionati di serie tv, decidere a quale piattaforma abbonarsi è complesso. Chi ama le trame condite da intrighi criminali deve scegliere tra Narcos o Gomorra. Chi preferisce il fantasy o le narrazioni futuristiche sa che non potrà avere sia Black Mirror sia Game of Thrones. La frammentazione dei contenuti on demand è un problema che si risolve solo iscrivendosi (perlomeno) a quelle che in Italia sono più note e offrono un ampio catalogo: Netflix e Sky. Senza contare la crescente realtà di Amazon Prime Video. O le altre che si preparano a scendere in campo, come Disney, che ha annunciato l'arrivo di una sua piattaforma. Sopravvivere in un mondo sempre più affollato come quello dello streaming, proponendo contenuti migliori, o servizi più funzionali, non è facile. Lo sanno bene i due più agguerriti giocatori del panorama europeo, che hanno finito per stipulare un'alleanza. Ed ecco quindi l'accordo di due giorni fa: il nuovo box Sky Q, lanciato a novembre, ospiterà anche Netflix. Una partnership che diventerà realtà in tutta Europa nel giro di due anni e permetterà (finalmente) di avere una sola iscrizione per (la maggior parte di) serie tv, film e documentari. «E una soluzione di continuità — spiega al Corriere Maria Ferreras, vicepresidente dell'area Business Development per Europa, Medio Oriente e Africa di Netflix —. Chi ha entrambi gli abbonamenti, potrà scegliere di unirli e pagare un unico conto». Aggiunge che si tratta della «prima volta che decidiamo di unire il nostro catalogo a quello di una emittente televisiva e l'accordo si estende anche al servizio streaming di Sky, NowTv». Una vittoria per entrambi? Sicuramente lo è per Netflix, che sta investendo molto — guadagnando ancora poco — nella crescita della sua utenza nel mondo, pari oggi a u7 milioni di persone. Non rivela il numero di iscritti in Italia, ma l'osservatorio Ey a ottobre ne aveva stimati circa 800mila. Mentre Sky nel nostro Paese a fine novembre aveva quasi 5 milioni di abbonati. Un ben più folto gruppo di potenziali utenti che, con questo accordo, Netflix riuscirà in parte a intercettare. Per la partenza non c'è ancora una data precisa: i primi Paesi saranno Regno Unito e Irlanda, «entro la fine di quest'anno — aggiunge Ferreras — poi amplieremo ad altri, inclusa l'Italia. E un mercato molto importante per noi». Anche sul lato delle produzioni: «Stiamo lavorando alla terza serie originale italiana: Baby, dopo Suburra e First team: Juventus». Titoli che compariranno, a breve, anche sul box di ultima generazione di Sky. Una piattaforma che integra la trasmissione via satellite a quella via internet e porta sullo stesso piano i canali tradizionali e l'on demand, lo schermo del televisore e quello dei dispositivi mobili. Per Sky l'abbattimento di frontiere tra la tv e lo smartphone è l'occasione di rilancio di un servizio ancora troppo ancorato alla fruizione tradizionale. Per la società fondata da Reed Hastings, l'approdo (anche) sui piccoli schermi che ancora regnano nella case della maggior parte degli europei, soprattutto degli italiani, è un punto di (ri)partenza in un altro senso. Nata come servizio di streaming online, si è proposta come alternativa nuova e giovane. Poi l'ambizione di farsi un nome anche come casa di produzione: «Nella tecnologia — spiega la manager spagnola — stanno le nostre fondamenta, ma oggi la creazione di contenuti originali è diventato un altro nostro marchio di garanzia». Ed estendere il servizio anche su altre piattaforme, con altri mezzi, non può che giovare.

venerdì 19 gennaio 2018

NEWS - Ci sono 3 motivi per cui Netflix è risultata la rete / piattaforma più amata in Italia (e non solo) nel 2017. Leggi Link.

lunedì 15 gennaio 2018

NEWS - Tv, nel 2018 boom di coalizioni di network: chi non si allea è perduto. Tra Disney e Apple l'incognita Mediaset+Vivendi, tutti a insidiare o a corteggiare Netflix e Amazon. Leggi QUI

lunedì 10 aprile 2017

NEWS - Clamoroso al Cibali! Sta per scoppiare la bolla Netflix! Crisi finanziaria, comunicativa e creativa: spende 6 miliardi di dollari e incassa poco (pochissimo?), ci sono più contenuti che ricavi. Creazione di un mito culturale che si inizia a mettere in discussione: può sopravvivere al nuovo mondo che ha creato?

News tratta da "Il Foglio"
La prima regola per rivoluzionare il mercato è creare il mito. Per una disruption servono un garage o un ufficio in California (tipo a Scotts Valley), un'idea a cui il mondo ancora non crede (lo streaming on demand), un'amicizia tra partner carismatici e innovatori (quella tra Reed Hastings e Marc Randolph) e degli antagonisti pia forti contro cui rivaleggiare (da Amazon a Disney). E soprattutto qualcuno che racconti questa storia in comunicati stampa, interviste, articoli che servono a rafforzare la leggenda e mai a metterla in discussione (i giornalisti andranno benissimo). La nostra sospensione di incredulità, unita alla smania di progresso e alla tendenza a sentirci uomini contemporanei con tutto ciò che ci viene propinato come rivoluzione tecnologica, e quindi giusta, ci condurrà dove siamo oggi Un breve recap. La storia di Netflix inizia nel 1997 nella Silicon Valley: l'idea iniziale è di inviare dvd per posta (un po' quel che dovrebbero fare gli autori di certe serie e film di nicchia che ci piacciono tanto ma che non guarda nessun altro). Nel 2007 il business si amplia puntando sullo streaming e sull'economia dell'accesso: si comprano molti contenuti dalle major che approfittano del nuovo canale di distribuzione per smerciare prodotti che non riescono pia a vendere in tempi di crisi del noleggio audiovisivo e del declino nelle sale cinematografiche; le major vendono i diritti per lo streaming a prezzi vantaggiosi, senza bene rendersi conto del loro valore. Anche perché in quel momento Netflix non aveva ancora inventato il binge watching, internet era pia lento, la rivoluzione della visione domestica era agli inizi. Passano gli anni e il mercato cresce, cambia, si rinnova. Accanto a Netflix appaiono Hulu, Amazon, YouTube che inizia a vendere attraverso Google Play, i broadcaster attivano servizi on demand. E i diritti sui contenuti vanno ricontrattati, il prezzo sale. Tanto che lo scorso giugno il Magazine del New York Times ha pubblicato un lungo sorti della piattaforma: "Netflix può sopravvivere nel nuovo mondo che ha creato?". Di solito queste domande cadono nel silenzio, subito messe a tacere da una retorica commerciale che vuole Netflix come il numero uno, il futuro televisivo, il posto migliore in cui lavorare, i salvatori della nostra già scarsa vita sociale che ci hanno dato una buona scusa per non uscire pia di casa. E così via. Dopo essersi presa il merito di aver seppellito Blockbuster, Netflix ha sfidato anche le tv via cavo, annunciandone prematuramente la morte. La televisione però non è morta, anche se noi amiamo ripetercelo. Il noi sta per Noi-che-viviamo-nellafilter-bubble mediatico culturale fighetta, noi che a "Un medico in famiglia" preferiamo gli stand up comedy di Louis C.K. o aspettiamo la nuova stagione di "House of Cards", lo show con cui Netflix ha scelto di essere HBO nel 2013 e ha preso il sentiero della prestige television, puntando su prodotti culturalmente accettabili. Noi che, l'avrete capito, tralasciamo sempre gli show di massa come "NCIS" o le sit com con le risate pre-registrate preferendo serie di nicchia ma con penetrazione culturale negli show giusti, cioè quelli che guardiamo noi: i late, i video virali su You-Tube, le parodie intelligenti.

Mai prima d'ora ci siamo ritrovati con un'offerta d'intrattenimento così abbondante, in termini giornalistici e industriali circola la definizione di peak tv, che tradotto fa: c'è più offerta che pubblico. Il che è un bene per noi ma è un costo esorbitante per Hollywood e la Silicon Valley. In un video diffuso da Bloomberg lo scorso ottobre dal titolo evocativo "Binge Watch now before Netflix Bubble Burst", si annunciavano 500 sceneggiature per il 2017 tra broadcast, via cavo e servizi streaming; circa il doppio rispetto al 2010. La prima domanda è: chi mai li guarderà tutti? Ma il problema dello spettatore vacante è secondario (tanti freelance, tanti studenti, tanti creativi pronti a scriverne su Facebook esattamente come si instagrammavano con l'Apple o bevendo il caffè di Starbucks, o come si fotografano i libri che leggono: i prodotti culturali sono identitari) rispetto al chiedersi se è sostenibile. Sei delle principali aziende dell'intrattenimento spendono complessivamente 26 miliardi di dollari per produrre o comprare tv show e film. Chi spende di più è Netflix che "può essere il maggior beneficiario o la principale vittima della peak tv". Netflix è passata dai 3 miliardi e 4 spesi per produrre o comprare contenuti nel 2014 ai 6 miliardi spesi per il 2017. La scommessa di Netflix è che la televisione on demand sostituirà del tutto quella lineare. Tuttavia, in assenza di dati chiari che per loro policy non vengono forniti, viene naturale chiedersi se questa enorme spesa possa essere sostenibile su lungo periodo. L'azienda è quotata in borsa e a Wall Street è considerata una piattaforma tecnologica e non di contenuti, in modo da essere valutata più di Sony. Alcuni analisti sconsigliano gli investitori di comprare azioni Netflix perché il mercato sta raggiungendo la saturazione, gli abbonamenti crescono lentamente, la competizione aumenta e i costi anche. In Netflix pensano che la cosa peggiore sia dire che hai mostrato il prodotto a un gruppo d'ascolto e lo hanno apprezzato. Amano ripetere che i dati d'ascolto non valgono nulla, sono un retaggio del passato, roba buona solo per network mantenuti dagli inserzionisti pubblicitari. Il Chief Content Officer di Netflix, Ted Sarandos, avverte: "Per chi come noi punta sull'aumento delle sottoscrizioni, non sulla pubblicità, la performance di uno show non ha alcuna rilevanza". Così facendo ha protetto il prodotto dalla risposta alla prima domanda ("C'è qualcuno che effettivamente guarda quello che state producendo?") ma non dalla seconda ("I soldi basteranno?"). Gli analisti più scettici fanno notare che la fortuna iniziale di Netflix è stata pagare a basso prezzo i diritti tv e rimanere sul mercato per i primi anni in totale solitudine. Ma oggi non è più così. Molti iniziano a pensarla come David Zaslav di Discovery Communication: "I servizi delle piattaforme di streaming on demand esistono solo perché noi produciamo contenuti. Stiamo sostenendo un modello economico che non ha senso". Secondo Luca Barra, ricercatore dell'Università di Bologna e autore di "Palinsesto. Storia e tecnica della programmazione televisiva" (Laterza), il problema c'è: "In Italia Netflix è soprattutto una bolla comunicativa-culturale. Spende molti soldi e con successo per comprare, produrre e, tassello fondamentale, promuovere contenuti, ma poi per ragioni di diritti disponibili e di reali investimenti offre un catalogo discretamente limitato (se paragonato ai competitor come Now Tv o Infinity, forti degli accordi fatti da Sky e Mediaset) a un pubblico, almeno al momento, pregiato ma dalle dimensioni ridotte (e comunque ancora ben lontano dai 7 milioni di abbonati annunciati come obiettivo durante il lancio italiano...)". La bolla sta per scoppiare? "Netflix è muscolare perché deve dimostrare che la disruption funziona davvero, ma ci perde un mucchio di soldi e spreca quintali di prodotto. Tutti sembrano concordi nel ripetere che il palinsesto è morto e il futuro è non lineare. Ma lo si ripete da decenni. Al contrario, il modello tradizionale di broadcasting risponde a bisogni che l'on demand non può soddisfare: comunità, sincronizzazione sociale, i generi diversi da film e serie tv, il vedere qualcosa tanto per vedere qualcosa come fa chiunque dopo una giornata di lavoro. L'on demand è per natura complementare, supplementare". Netflix è la nuova HBO, ma Amazon è la nuova Netflix? "Amazon è diversa da Netflix, ha gli studios e la tecnologia. Il suo core business è farti avere ciò che desideri nei tempi pia veloci possibili, e almeno per ora offre ai suoi abbonati Prime, allo stesso prezzo, in pia, anche le serie e i film. E' un player da tenere d'occhio", dice Barra.
Oggi Netflix produce serie tv data-driven (cioè è vero che ama ripetere che i dati non servono a nulla, ma a loro servono eccome: traccia il comportamento degli utenti e usa le metriche per sapere cosa suggerirti nella logica della personalizzazione dell'interfaccia o per decidere cosa produrre minimizzando i flop) che rimestano nell'immaginario pop nostalgico anni Ottanta come "Stranger Things" (la serie pia stephenkinghiana di sempre), e anni Duemila come "Gilmore Girls", che sono l'esito di un'analisi dei dati degli iscritti (se mi accorgo che c'è un pubblico consistente per "Una mamma per amica" investo per produrre una nuova stagione) ma, sostiene Barra, "è anche l'evidenza della persistenza nell'immaginario condiviso di una centralità della televisione generalista, che negli anni ha forgiato quel tipo di gusto, visioni, esperienze e riferimenti culturali". Ci permettiamo di toccare marginalmente anche un altro punto secondario, che in un'analisi del mercato industriale e degli scenari futuri non dovrebbe contare poi molto, ma in fondo ci sta a cuore: le serie prodotte da Netflix che inseguono la prestige television non sono così entusiasmanti quanto lo è la promozione commerciale che le accompagna. «In assenza di dati, generare hype è l'unica cosa che conta», ci conferma Barra. Quando Ted Sarandos afferma che in giro ci sono molte serie mediocri ammette che anche nel proprio catalogo ci sono, ma subito aggiunge "non è intenzionale!". Forse parlare dell'aspetto creativo è fuori moda, ma serie come "OA", "Love" o "Tredici" avranno pure un motivo d'essere dovuto ad analisi metriche sofisticate, ma sono ben lontane dal rappresentare una rivoluzione culturale estetica. Oltre alla bolla comunicativa e alla bolla finanziaria ci tocca pure la bolla creativa. E' dal 1993 che si ripete che le serie tv sono come i romanzi per nobilitarne l'aspetto culturale in quanto forma d'intrattenimento legittima. Un problema pia per la spendibilità sociale di noi che ne scriviamo che per l'industria. L'intrattenimento culturale si adatta all'epoca in cui si vive. Il timore di Hastings è infatti che i film e la televisione diventino come l'opera o i romanzi, perché ci sono così tante forme d'intrattenimento che un giorno guarderemo le serie tv come relitti storici. "Ma quel giorno potrebbe essere fra cent'anni". A quel punto, se le cose andranno male, i disruptor della Silicon Valley potranno sempre venire in Italia e chiedere finanziamenti alla Cultura. Anche in quel caso i dati sugli spettatori saranno secondari e Netflix potrà preservare il suo riserbo e tacere sulla diffusione dei dati. Ma con la scusa della qualità.

lunedì 6 marzo 2017

NEWS - "Netflix sempre di più!". Il guru Reed Hastings dixit e aggiunge: "binge-watching a manetta con i nuovi contenuti in arrivo. Le serie a cadenza settimanale non sono il nostro focus, colpa degli accordi con le emittenti. Mediaset, Vivendi o Sky? Non ci preoccupano, loro sono sulla tv, noi su Internet..." (come a dire, Infinity e Sky Go ci fanno una pippa!)

Intervista tratta dal "Corriere della Sera"
Reed Hastings, classe 1960, è un signore che prima noleggiava dvd. Adesso produce e distribuisce serie tv e film online. E ha appena vinto un Oscar. È quello che ce l'ha fatta, con Netflix, nella delicata transizione dal mercato delle copie fisiche a quello delle copie digitali: 93 milioni di persone (lo) pagano una decina di euro al mese per vedere contenuti in un contesto, Internet, che li aveva abituati al tutto gratis (e pirata). Se del futuro dell'economia digitale non c'è certezza, quantomeno lui non sembra doversi inventare il presente. Ne è consapevole. Ci risponde asciutto e sornione accoccolato sul divano della scenografica dimora allestita per accogliere la stampa accorsa a Barcellona per il Mobile World Congress. La statuetta assegnata al corto «White Helmets» è solo un primo passo? Siete pronti ad aggredire l'industria della produzione cinematografica? «Non se la mette in senso negativo. Andiamo a dare un contributo, a portare più soldi, nuove pellicole e nuovi show». Chi potrebbe aggredire voi, invece, è Facebook: sembra intenzionato a puntare sulla creazione di contenuti video originali. Diventerà un rivale? «Non credo sia probabile a breve termine. E per ora Facebook o YouTube sono attivi nella raccolta pubblicitaria destinata ai video. Noi non ospitiamo spot e non abbiamo intenzione di farlo in futuro, vogliamo continuare a offrire un'esperienza simile a quella del cinema: l'immersione totale nei contenuti senza alcuna interruzione». Noi spettatori, però, abbiamo un numero limitato di ore da dedicare alle varie piattaforme. App come anche Snapchat, che si distingue per il tempo trascorso dagli utenti a sfogliare i video, non possono non essere considerate concorrenti diretti. «Certo, qualsiasi cosa sia coinvolgente e divertente è un nostro rivale. La televisione tradizionale rimane però in cima alla lista: ha ancora un sacco di spettatori». Siete diventati famosi per aver introdotto le scorpacciate di tutte le puntate di una serle in una volta sola. Adesso avete iniziato a proporre anche programmazioni settimanali. Il «binge watching» non è più sostenibile? «Fa riferimento alla possibilità che le persone si abbonino per periodi limitati e solo per vedere le loro serie preferite? Quest'anno abbiamo prodotto migliaia di ore di contenuti originali e nuovi. A breve ne avremo così tanti che chiunque vorrà essere sempre abbonato. Le poche trasmissioni a cadenza settimanale si devono ad accordi con le emittenti: non è il nostro focus e non abbiamo intenzione di incrementarle». Fattore chiave per assicurarsi la fedeltà degli spettatori è e sarà sempre di più la selezione. Avete iniziato a ospitare corsi per rimanere in forma. «Sì, è un esperimento per capire cosa può piacere alle persone». Possiamo aspettarci video in diretta? Lo sport? «No. Lo sport è molto ben coperto dalla tv tradizionale. Rimaniamo su film e serie tv, anche perché i diritti dei match costano moltissimo». Tornando all'Italia, conferma l'obiettivo di raggiungere un terzo delle case nei prossimi 5 anni? «Confermo. Stiamo facendo ottimi progressi e siamo soddisfatti della collaborazione con la Rai per Suburra». Non teme le mosse di Mediaset-Vivendi o Sky? «Vedremo cosa accadrà (si riferisce alla stretta di mano italo-francese, ndr), di sicuro c'è che loro sono una costola delle tv mentre noi siamo focalizzati su Internet. Non mi preoccupo, non ci tocca un eventuale fusione». La sua serie preferita? The Crown: c'è la storia, c'è Churchill. E sorprendente».

lunedì 13 febbraio 2017

NEWS - Taca la Banda! Gli utenti della banda (ultra)larga aumentano per vedere le serie tv, anche se l'Italia rimane la Cenerentola d'Europa. Sorpresa: Chili cresce più di Netflix. Mediaset in stand-by, Amazon pronta a scendere in campo. Tra TimVision e Vodafone, attacca la banda anche Fastweb

News tratta da "Affari&Finanza"
Tutti in sala: Io spettacolo sta per cominciare, anzi i titoli di testa sono già sullo schermo. La tv on demand ha finalmente messo in moto la banda larga e soprattutto quella ultralarga, che significa fibra ottica. Gli utenti crescono, la domanda preme anche in Italia, risolvendo l'annoso dilemma se si debba prima costruire le nuove reti ultraveloci o aspettare il crescere dell'offerta. In numeri: oggi in Italia ci sono 1,7 milioni di utenti di video on demand. Sono utenti che guardano meno tv tradizionale, quella dei palinsesti e dei tasti del telecomando e che invece sempre più di frequente cercano quello che vogliono vedere su cataloghi online. 
Crescono non perché ci sia più 4K in giro o più smartphone o tavolette, ma perché ora sempre più film, serie tv, grandi eventi e sport arrivano con ottima qualità sui televisori di casa: siano smart tv, ossia tv a cui, oltre il cavo d'antenna si connette anche il cavo verso il modem a banda larga domestico (o un wi-fi) oppure grazie ai set-top-box, (più facile chiamarli decoder) che abilitano anche i vecchi apparecchi attraverso la porta Hdmi: da Timvision a Vodafone Tv, da Now.tv di Sky a Infintiy e, tra qualche mese, anche al nuovo decoder di Fastweb che sta ultimando i suoi trial tecnici per adattare alla rete italiana il decoder usato in Svizzera dalla sua controllante Swisscom. Un milione e 700 mila utenti che cresceranno rapidamente. "A fine 2019 ne stimiamo quasi 4,2 milioni", spiega Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting, che all'esplosione del Vod, il video on demand, in Europa e in Italia ha dedicato un rapporto uscito appena un paio di mesi fa. "L'Italia sta iniziando a recuperare il gap che la ha finora seperata da resto del mercato europeo: la nostra analisi infatti - continua Preta - stima che mentre l'Europa continuerà a crescere nei prossimi tre anni a tassi tra il 20% di quest'anno il 14% del 2019, i ricavi del settore in Italia aumenteranno del 72% quest'anno e di quasi il 55% tra tre anni". Che il mercato ci creda si vede nei fatti. All'estero, ovviamente, prima di tutto, con le ultime operazioni. Atet che acquisisce prima Direct Tv (la maggiore pay tv satellitare Usa) e poi Time Warner (anche se l'operazione deve ottenere anche ora il via libera dell'Antitrust Usa), a cui risponde Verizon con l'acquisizione di Yahoo. Ma anche in Italia, dove le cose si anno muovendo rapidamente. Telecom ha rilanciato Timvision, Vodafone lancia Vodafone Tv e Fastweb, come anticipato più sopra, sta rientrando nel settore da cui era uscito alcuni anni fa con lo spinoff di Chili Tv
Quanto a Vodafone, si sa della sua offerta, del valore di circa 10 euro al mese. I contenuti sono in via di definizione con potenziali alleati come Sky, Discovery, Viacom. Di certo ci sono già tra le opzioni Netflix e Chili, con pagamento a parte, ma con un'offerta iniziale che comprende sei mesi di Netflilx e 6 film di Chili. Per ora è in vendita in una trentina di negozi Vodafone ma si arriverà presto a regime. D'altra parte l'offerta del gruppo guidato da Aldo Bisio è legata a filo doppio allo sviluppo della rete ottica di Open Fiber, la joint venture Enel e Cdp con cui Vodafone ha un accordo operativo. Timvision, l'offerta di tv in streaming di Telecom Italia, è sugli scudi: presentando i conti del gruppo per il 2016, la scorsa settimana, l'ad Flavio Cattaneo ha detto chiaramente che è dai servizi a valore aggiunto sulla fibra, e in particolare dalla tv, che il gruppo si aspetta di tomare a veder crescere ricavi e margini. E si sta muovendo di conseguenza: accelera sulle nuove reti, con 120 mila nuove case passate ogni settimana, ha societarizzato Timvision, prima una divisione della capogruppo, ha firmato un accordo con Rai per venti film prodotti da RaiCinema in esclusiva. Una cosa, quest'ultima, che ha fatto anche storcere qualche naso a Viale Mazzini dove è stata da poco rinnovata l'offerta di RaiPlay, la catch-up tv, gratuita ma con pubblicità dove si può rivedere online e on demand la programmazione degli ultimi sette giorni, oltre le dirette streaming di tutti i dieci canali Rai. 
Se il fronte delle telco è in fermento, anche dall'altra parte, quella dell'offerta, ci sono movimenti. Broadcaster, major e produttori di contenuti hanno intuito che il momento è positivo e spingono sull'acceleratore. Con il risultato che il mercato, colpito da questo aumento di offerta, reagisce e cresce ed oggi gli utenti italiani possono scegliere in un panorama di una ventina di offerte diverse, tra abbonamenti e pay-per-view, tra cataloghi specializzati e anche motori di ricerca. I quasi 2 milioni di utenti italiani erano un miraggio solo dodici mesi fa. C'è che è un mercato in cui i protagonisti non si sbottonano e cifre ufficiali non ci sono. Si possono solo citare quelle che addetti ai lavori e operatori ammettono a mezza bocca. Secondo queste indiscrezioni il primo operatore sarebbe oggi Timvision, con circa 400 mila utenti, compresa però una quota di utenti registrati ma che non hanno ancora attivato il servizio. Cifre ad alta oscillazione quelle relative a Netflix che secondo alcune stime potrebbe avvicinarsi ai 400 mila utenti (compresi quelli nel periodo gratuito) e secondo altre valutazioni arriverebbe a malapena a 300 mila. Risultato non disprezzabile ma comunque sotto le attese (si parlava di un milione entro il primo anno, e Netflix è partita nell'ottobre 2015). A rallentare la corsa del gruppo di Reed Hastings sarebbero ancora una ridotta offerta di contenuti in italiano e la scarsa abitudine del pubblico nostrano ai film sottotitolati. Senza contare che i titoli di punta prodotti dal gruppo, a parure da House of Cards, in Italia sono stati acquistati dai concorrenti, Sky in testa. 
Chili vanta in Italia 650 mila utenti registrati, il 90% dei quali ha anche registrato un metodo di pagamento, e cresce di 20 mila nuove registrazioni al mese. Ma Chili ha un modello di business diverso dagli altri: niente abbonamento ma si paga volta per volta quello che si vede. Chili non ha un suo decoder ma si affida, come Netflix, d'altronde, alla presenza sui set-top-box degli altri, da Tim-vision a
Vodafone, alla presenza della sua icona nelle tv connesse di Samsung e Lg e alla possibilità di connettere il proprio smartphone o la propria tavoletta al televisore tramite le "chiavette" Hdmi come Chromecast di Google o Amazon Fire. Anche per Sky non si hanno numeri precisi. Sui 100 mila dovrebbero essere gli utenti che vedono l'intero bouquet della pay tv guidata da Andrea Zappia tramite la fibra ottica e con l'apposito decoder sviluppato da Sky con Telecom Italia per replicare tutte le funzionalità del ricevitore satellitare. Più del doppio, forse sui 250 mila, invece, gli utenti di Now.tv, la versione low cost" di Sky che viaggia esclusivamente via web. Situazione in stallo in casa Mediaset, viste le note vicende societarie: su Premium Online non ci sono numeri. E su Infinity, in pratica la Netflix del Biscione, film e serie tv, lanciata proprio anche per non lasciare strada libera a Netflix, si parla di una forbice compresa tra i 100 mila e i 200 mila utenti. E ancora indietro è Amazon Prime Video, che dal 14 dicembre scorso, giorno del lancio ufficiale, in Italia ma assieme ad altri 200 mercati, è praticamente appannaggio gratuito di tutti gli utenti di Amazon Prime. Amazon non rilascia numeri su quanti siano gli utenti in Italia e tanto meno su quante siano le eventuali attivazioni del servizio. L'utilizzo è comunque ridotto dalla esiguità del catalogo, per ora, con pochi film doppiati. Forse le cose miglioreranno in primavera, quando dovrebbe arrivare anche in Italia "Crisis in 6 Scenes" la serie tv firmata da Woody Allen. E poi c'è il resto: dalla Play Station Video di Sony, ad iTunes di Apple e Google Play, che non prevedendo pagamenti fissi ma acquisti a catalogo e sfuggono ancora di più ad ogni rilevazione, fino a portali come Mubi, Vimeo o l'italiana MyMovies che propongono selezioni mensili o settimanali di contenuti: una specie di ritorno a una forma di palinsesto.

venerdì 20 gennaio 2017

NEWS - Netflix, la resa dei conti: 93,8 milioni di abbonati nel mondo, utili pari a 186 milioni di dollari ma business in perdita fuori dagli Usa (maxi-investimento di 6 miliardi di dollari nel 2017)

Articolo tratto da "Italia Oggi"
Ciascuno dei 3.500 dipendenti di Netflix vale ricavi per quasi 2,4 milioni di euro all'anno. E anche in questa correlazione, che conferma il basso utilizzo di capitale umano (a Sky Italia, per esempio, ciascun dipendente vale 750 mila euro di ricavi all'anno), sta uno dei punti di forza dell'azienda americana di streaming online a pagamento che ha nel mondo, e non in una sola nazione, il suo mercato. Ha chiuso il 2016 con ricavi complessivi pari a 8,830 miliardi di dollari (8,324 mld di euro), 30,2% sul 2015, un risultato operativo di 379 milioni di dollari (24,2%) e utili pari a 186 milioni di dollari (175,3 min di euro). Complessivamente Netflix ha 93,8 milioni di abbonati nel mondo, di cui 49,4 milioni negli Usa (10,5% sul 2015) e 44,3 milioni negli altri paesi (47,6% sul 2015). A livello di ricavi, circa 5,1 miliardi di dollari (4,8 mld di euro) arrivano dagli abbonati Usa (il business è parecchio profittevole, con un primo margine positivo per 1,8 miliardi di dollari), circa 3,2 miliardi di dollari (3 miliardi di euro) dagli abbonati fuori dagli Stati Uniti (business ancora in perdita, con un primo margine di contribuzione negativo per 308 milioni di dollari), e 542 milioni di dollari dal noleggio e vendita di dvd (il business da cui Netflix è nata), anch'esso ancora molto profittevole (279 min di dollari di primo margine).

Nel 2017 il gruppo si prepara a un investimento monstre da 6 miliardi di dollari (5,65 mld di euro) nella produzione di nuovi contenuti, dopo i 4,7 mld di euro investiti nel 2016. E nel portfolio di Netflix ci sono serie come The Crown, Stranger Things, Luke Cage, Black Mirror, Gilmore girls, The OA, Trollhunters, oltre ai classici Orange is the new black, Narcos o House of cards, le cui riprese della quinta stagione inizieranno nel secondo trimestre 2017.
Quanto a investimenti in contenuti locali, il gruppo di streaming tv a pagamento ha appena siglato un accordo a lungo termine con la casa di produzione Red Chillies entertainment dell'attore indiano Shah Rukh Khan, considerato la più grande star mondiale del cinema e i cui film e produzioni, da qui in poi, saranno esclusive Netflix. Mai come ora la società fondata e presieduta da Reed Hastings è fiduciosa che, a dieci anni di distanza dal debutto nella tv in streaming a pagamento, sia proprio il consumo di video sul web il business del futuro in grado di soppiantare la classica tv lineare: «Amazon Prime Video di recente si è sviluppata molto, ricalcando sostanzialmente la nostra presenza nei mercati mondiali», spiegano da Netflix, «mentre il consumo di video è sempre maggiore, in termini di minuti, su YouTube e inizia a decollare pure su Facebook. La stessa Apple, in base ad alcune indiscrezioni, dovrebbe aggiungere i video ai suoi servizi musicali, mentre le tv satellitari, un po' in tutto il mondo, si stanno specializzando pure nel business della distribuzione multi-channel di video su Internet. Ci sono poi operatori nuovi come Molotov tv in Francia o Hulu che stanno realizzando una loro interfaccia nativa digitale per pacchetti legati invece ai network tv classici. I quali, peraltro, iniziano a privilegiare il web alla tv lineare per il debutto di serie o programmi. Per esempio la Cbs sta producendo la serie Star Trek esclusivamente per la sua piattaforma di video on demand in abbonamento, mentre la Bbc ha già annunciato alcune nuove stagioni di serie tv che saranno disponibili prima in streaming on demand e solo successivamente sulla tv lineare. Hbo, probabilmente, farà la stessa cosa»

mercoledì 2 novembre 2016

NEWS - Netflix, numeri ok nel 4° trimestre (+ 3.57 milioni di utenti fuori dagli Usa) ma si parla sempre di una vendita della società
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Sarà stato merito di Pablo Escobar o delle inquietanti avventure degli adolescenti di «Stranger Things», fatto sta che Netflix è riuscita a sorprendere (positivamente) non solo il pubblico, ma anche i mercati e soprattutto gli azionisti. I risultati del quarto trimestre hanno decisamente battuto le attese degli analisti, forti anche del notevole incremento di utenti: 3,57 milioni in più (fuori dagli Stati Uniti) contro le attese che parlavano invece di 2,3 milioni. Ora la creatura di Reed Hastings può contare su una platea virtuale di 83,3 milioni di utenti paganti e 91,9 milioni di iscritti. I numeri in incremento difficilmente immaginabile lo scorso trimestre quando gli azionisti avevano comunicato i loro malumori al fondatore di Netflix accusandolo di investire troppo (800 milioni in tecnologia e sviluppo e 5 miliardi per le nuove produzioni per poco meno di 2 miliardi di fatturato) e pensare poco al dividendo. Hastings ha avuto ragione e si è preso la sua piccola vendetta in occasione della presentazione dei conti: «è ormai evidente — ha detto Hastings — che io debba scusarmi ancora una volta per la volatilità del titolo», salito del 20% dopo aver perso fino al 13% nei mesi precedenti, fatto per cui Hastings si era scusato una prima volta durante la precedente assemblea degli azionisti. Al Wall Street Journal martedì scorso l'analista di MoffettNathanson Michael Nathanson aveva dichiarato, a proposito dei numeri di Netflix:
«È un anno strano questo. In un certo senso siamo stati incapaci di prevedere cosa potesse offrire un mercato nuovo». Una lezione che Netflix ha imparato bene dato che il mercato domestico degli Stati Uniti è cresciuto meno dello scorso anno quando aveva raggiunto 1880.000 nuovi abbonati. La società ha comunque superato le attese negli Usa, aggiungendo 370 mila nuovi utenti invece che 300 mila, complice anche la concorrenza di Amazon che sta rosicchiando percentuali di mercato sempre più importanti grazie a serie autoprodotte come Mozart in the Jungle. Parlando di cifre, invece, nel terzo trimestre il fatturato di Netflix ha superato, per la prima volta, i 2 miliardi di dollari ( 36% anno su anno), aiutato, per l'appunto, dagli ultimi titoli sfornati: Stranger Things e la seconda stagione di Narcos. Hastings, però, consiglia cautela, forte sia dell'altalena del titolo, sia della considerazione che, nonostante i (quasi) 100 milioni di abbonati nel mondo, «Facebook e YouTube hanno un miliardo di utenti attivi al giorno». Come a dire, «non ci fermeremo certo qui». Da un lato la crescita continuerà grazie alle produzioni originali, parallelamente proseguirà anche l'espansione su nuovi mercati. A settembre Netflix è stato lanciato in Polonia e Turchia: il servizio di streaming ha iniziato ad accettare il pagamento in valuta locale e ha aggiunto un'interfaccia utente, sottotitoli e doppiaggio in lingua locale, oltre ad alcuni contenuti locali. Discorso diverso, invece, per la Cina, un mercato che lo stesso Hastings si è augurato di riuscire a conquistare. Il sistema, dato il complesso contesto normativo per i servizi di contenuti digitali stranieri, potrebbe essere lo stesso utilizzo (anche se per ragioni differenti) in Italia. Ossia, dare ai fornitori di servizi online già esistenti in Cina i contenuti in licenza, invece di lanciare il proprio servizio nel Paese nel breve periodo. Non ci si aspettano grandi numeri per il momento da questa operazione, ma l'obiettivo è «lanciare in modo diretto il nostro servizio al popolo cinese». Le criticità del sistema Netflix, però, non mancano, nonostante la crescita, al punto che da inizio mese si parla di una possibile vendita della stessa società. Nel mirino c'è innanzi tutto la sostenibilità del business che deve fare i conti con una concorrenza notevole. Senza scordare che gli ultimi grandi numeri sono il risultato di due serie azzeccate: ne basterebbe solo una mal fatta per affossare conti e titolo. Tra i nomi degli eventuali acquisitori sono stati fatti quelli di Apple e di Disney, senza però farsi turbare dai recenti e fallimentari tentativi di Twitter che ha una storia (e un bilancio) decisamente differente. La società di Cupertino, forte dei propri numeri, punterebbe a un rilancio di iTunes, piattaforma Ott (Over The Top) che al momento subisce la concorrenza di Netflix. Per Disney si tratterebbe invece di consolidare una partnership già avviata con la produzione e la distribuzione di serie legate ai personaggi Marvel. Altro nome possibile è quello di Amazon, che andrebbe in questo modo ad arricchire la sua offerta E il mercato italiano? Cifre ufficiali non sono mai state fornite. Alcune stime parlano di circa 200 mila abbonati mai confermati dal gruppo californiano. Numeri comunque più bassi delle attese, ma realizzati in pochi mesi e che devono confrontarsi con gli utenti di realtà ben più radicate con offerte più complete. Non bisogna dimenticare che quando Neflix è arrivata in Italia a ottobre aveva già concesso i diritti di «House of Cards» e «Orange is The New Black», serie cult in onda su Sky e Premium. La partita è ancora aperta.

venerdì 14 ottobre 2016

NEWS - Allarme Netflix! Disney, Apple e Amazon alla porta per acquisire la società (la politica di essere distributore-produttore di serie tv non regge...)

Articolo tratto da "Il Foglio"
In queste settimane nei consigli d’amministrazione della Silicon Valley uno dei temi più dibattuti è quello delle Merger & Acquisition. Non si è ancora spento il chiacchiericcio sul possibile acquirente dell’affannata Twitter – anche se i potenziali stanno tutti facendo un passo indietro – ed ecco che arriva sul tavolo un altro bocconcino prelibato, ovvero Netflix. Al contrario di Twitter, la società che opera nel campo del SVOD (Subscription Video On Demand) sta andando apparentemente bene: 80 milioni di utenti totali nel 2016 con una previsione di crescita a 100 milioni entro il 2018 nei 190 paesi in cui è presente. Inoltre la produzione di film e serie tv (da “House of Cards” fino alle ultime “Stranger Things” e “Narcos”) stanno riscuotendo successo di critica e pubblico. Il vero problema però è che il modello di business che Netflix ha deciso di intraprendere rischia di non essere sostenibile se supportato solo con le proprie risorse. Da qualche mese è piuttosto chiaro che la strada intrapresa dal fondatore e amministratore delegato Reed Hastings è quella di essere sia un distributore sia un produttore globale di contenuti online, tuttavia gli introiti che arrivano dalla crescita (rallentata) degli abbonamenti e dalle licenze d’uso degli altri network non sono sufficienti. C’è quindi bisogno di una società madre sufficientemente capitalizzata che possa sostenere economicamente lo sviluppo del business. Sul podio degli acquirenti ci sono Disney, Apple e Amazon e ognuna di queste società ha i mezzi, ma soprattutto degli ottimi motivi, per poter acquistare la public company di Los Gatos, California. Disney, innanzitutto. La multinazionale dell’intrattenimento è già in un certo senso partner di Netflix, avendole affidato la produzione e distribuzione di serie “Originals” di molti personaggi Marvel (marchio acquisito da Disney nel 2009) come “Daredevil” e l’ultimissimo “Luke Cage”. Inoltre nel cosiddetto Regno di Disney che contiene network (tra cui la sportiva ESPN) contenuti di ogni tipo (da Pixar al franchise Star Wars), parchi a tema e merchandising, un over-the-top come Netflix ci starebbe benissimo. Apple è alla disperata ricerca di un Ottche funzioni come “Netflix Killer” visto che la sua piattaforma iTunes per video è ormai poco efficiente. Cosa di meglio se non acquisire la stessa Netflix e replicare ciò che ha fatto sulla musica, ovvero acquistare Beats per 3 miliardi di dollari e rinominarla Apple Music? A differenza di Disney però, Netflix rappresenterebbe uno strumento di marketing per incrementare le vendite dei suoi device, quindi è evidente che il prezzo cui è disposta a pagare rischia di essere inferiore rispetto alle altre pretendenti. Infine c’è Amazon che a oggi risulta essere uno dei principali concorrenti di Netflix, anch’esso distributore e produttore di contenuti di intrattenimento tra cui “Transparent” “Mozart in the Jungle” e l’ultimo “Crisis in Six Scenes” di Woody Allen. E’ evidente che l’acquisto di Netflix renderebbe l’offerta di Jeff Bezos ancora più ricca e fortemente integrata (ma forse con qualche problemino con l’Antitrust). Insomma, gli interessi e le strategie sull’acquisto di Netflix sono molti: la società con la N rossa non potrà a lungo vivere solo con le proprie risorse, quindi prima o poi sarà costretta a vendersi al miglior offerente. Tutto sta capire a chi e soprattutto quando. Le recenti grosse acquisizioni societarie ci hanno spiegato che nelle fusioni & acquisizioni il time-to-market è fondamentale e le dichiarazioni d’intenti valgono ben poco – il caso Vivendi-Mediaset Premium è ancora davanti ai nostri occhi.

lunedì 5 settembre 2016

NEWS - Fermi tutti! Il vero nemico di Netflix è...la D'Urso! La creatura di Reed Hastings ha il fiato corto, come le altre pay tv, per colpa della tv generalista (100 canali solo in Italia!). Nuove strategie per sopravvivere: telefonia o morte...

Articolo tratto da "Corriere Economia"
Non è bastato a Vincent Bolloré quel 14,35% per convincere gli altri azionisti di Vivendi che l'affaire Mediaset Premium fosse una buona idea. Tra accuse, lettere, e tribunali la querelle tra le due società ha tenuto banco per tutta l'estate e le conseguenze, soprattutto per il gruppo francese, ancora non sono chiare. Una questione pert) è emersa con forza: in questo Paese non cë posto per due pay tv. Del resto ad accendere la miccia nell'anomalo mondo televisivo italiano ci aveva già pensato Reed Hastings quando a ottobre era arrivato in Italia con la sua creatura. Netflix, mitologica entità «on demand» che prometteva di scardinare il sistema gerarchico dei media, ma che, dati alla mano sta facendo fatica. Per lo meno sul mercato italiano. Non bisogna dimenticare, tra l'altro, che nelle intenzioni di Bolloré c'era l'ambizioso progetto di investire in contenuti per costruire un gruppo media Sud europeo, con partner chiave delle telecomunicazioni per creare una piattaforma di contenuti video on demand simile a Netflix. Dati ufficiali per quanto riguarda gli utenti Netlix nel nostro Paese non ci sono: voci di mercato parlano di 250/300 mila unità, anche se, proprio per il business di Netflix, è difficile arrivare a una cifra univoca. Dipende, banalmente, da cosa propone di mese in mese il portfolio a livello di film e (soprattutto) di serie.

Con questi numeri è difficile che i «big» si sentano minacciati. In Italia come in Francia, dove Netflix è arrivato nel 2014, un anno prima rispetto a noi, e dove non riesce a spostarsi dai 750 mila utenti. Oltralpe il gruppo di Hastings è in perdita, al punto che ha deciso di chiudere i propri uffici e spostare le attività in toto ad Amsterdam. E in Francia non sta brillando nemmeno Canal Plus, la pay tv di Vivendi. Dopo un semestre finanziariamente difficile, con un risultato operativo negativo per oltre 100 milioni, il gruppo ha annunciato un taglio dei costi, da 300 milioni da qui al 2018 per le attività francesi del gruppo. Non solo. Lo scorso giugno l'antitrust francese ha bloccato l'accordo con la qatariota BeIn Sports, un brutto colpo per Vincent Bolloré, che aveva puntato molto su un accordo con la società del Qatar per far tomare a crescere i conti di Canal Plus. Senza dimenticare che a luglio Vivendi ha annunciato la chiusura di Watchever, il servizio di streaming attivo in Germania e controllato dal gruppo francese. Una decisione motivata senza dubbio dai numeri bassi della piattaforma svod, ma che stupisce proprio per la volontà di Bolloré di creare il super polo europeo «anti Netflix». Per quanto sia stato poco fair, il «corsaro» Bolloré (definizione del premier francese Hollande, «senza ira e senza malizia», avrebbe detto Tacito) ha capito che l'unica soluzione per la tv, in Francia come in Italia, è quella di concentrare il business, diversificando i canali, per quanto
paradossale possa sembrare. Ecco perché ora starebbe puntando, dopo l'alleanza con Orange siglata a fine luglio, su una collaborazione con Free, l'operatore tic del gruppo Iliad di Xavier Niel (che dovrebbe arrivare anche in Italia in caso di fusione Wind-3) per puntare su una strategia di moltiplicazione dei canali di distribuzione che sembra scelta dal management della pay-tv francese per salvare le proprie sorti. Anche in Italia gli operatori di telefonia, che per il momento non si sono mai messi in gioco, avranno un ruolo importante e da non sottovalutare nel cambiamento del mercato pay. La Spagna ha vissuto il caso di Telefonica, l'operatore spagnolo che aveva fondato Via Digital, poi diventata Canal dopo la fusione nel 2003 con Canal Satélite Digital. Vittorio Colao, numero uno di Vodafone nel 2014 ha acquisito, per 7,2 miliardi, Ono, operatore via cavo spagnolo, scegliendo di puntare sull'integrazione dei servizi mobili con l'offerta a banda larga fissa e pay tv del provider iberico. Per il momento il vero nemico della pay made in Italy è la tv generalista. Data per morta in realtà è quella che appare più in salute. A fronte dei 55 canali gratis nel Regno Unito, dei 35 in Spagna e dei 28 in Francia (per la Germania il conteggio è più complesso con canali satellitari in chiaro a livello nazionale e regionale), l'Italia conta circa un centinaio di canali. Pay contro free.
Secondo Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente e amministratore delegato di Mediaset, «la tv generalista è quella del futuro». Come dargli torto? Dal suo punto di vista, visti i numeri tra audience e incassi, è così: il Biscione difende tranquillamente il proprio dominio sul telecomando, forte di una programmazione vicina al «nazionalpopolare» che attira più pubblicità dei concorrenti. Lo stesso vale per Sky Italia che ha visto negli ultimi mesi una crescita sensibile di audience e incassi pubblicitari anche grazie alla tv in chiaro posizionata sul tasto 8, acquisita a fine luglio del 2015. Del resto il gruppo guidato da Zappia ha deciso da tempo di puntare sui contenuti, sia pay sia in chiaro, unico vero ago della bilancia che decide le sorti dei media, con 40 milioni di euro investiti in nuove produzioni (contro i 5 miliardi previsti da Netflix). Ma dalla sua Sky non sconta i 690 milioni spesi, invece, da Mediaset Premium per i diritti della Champions Leauge. Diritti che non hanno mai fatto lievitare il numero degli abbonati.

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