sabato 30 giugno 2018

GOSSIP - Boe di salvataggio! L'interprete di Jessica in "Tredici" conquista la cover di "Cosmopolitan" spagnolo

venerdì 29 giugno 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

IL FOGLIO
Aiuto, siamo tutti sceneggiatori di serie tv (per la gioia degli showrunner). Il fanatismo seriale tra spoiler, teorie fantasiose spesso azzeccate, commenti accademici, recap e "Rickrolling"
"La domanda "Chi ha ucciso Laura Palmer?" riuscì a intrattenere gli spettatori per 17 episodi e sette mesi (cominciavano gli anni 90). La domanda "Chi ha sparato a J. R.?" li aveva in precedenza intrattenuti per 5 episodi e otto mesi (cominciavano gli anni 80). Gli spettatori italiani vivevano in un mondo tutto loro: negli Stati Uniti avevano già sparato a J. R. e noi mai avevamo visto il cattivo con il cappello texano e il ranch di Dallas. Esercizio pratico: calcoli il candidato quante ere televisive sono trascorse, facendo il confronto con la cagnara scoppiata quando all'inizio degli anni 10 si seppe - con largo anticipo - che Matthew di "Downton Abbey" moriva in un incidente proprio la notte di Natale (l'attore Dan Stevens preferiva Broadway e mollò la serie). Il prossimo traguardo (leggi: il prossimo traguardo finora conosciuto) è un fake di Jonathan Nolan e Lisa Joy, showrunner di "Westworld": la serie che quanto a complicanze e ribaltamenti fa sembrare "Lost" un racconto lineare. Una fake news creata ad arte, perché tale finora era il loro regno (prima di attaccare i lamenti per le ricadute nel reale, fate mente locale sul fatto che nel 1938 Orson Welles finse alla radio che i marziani erano sbarcati sulla terra e molti credettero alla notizia). Jonathan Nolan e Lisa Joy non hanno mai davvero pensato di riunire in un video di mezz'ora tutti i colpi di scena di "Westworld" seconda stagione. Allo scopo di placare i fanatici che dopo ogni puntata cercano di immaginare "come andrà a finire", mettendo la parola fine a una pratica che sui social mischia spoiler e fantasiose teorie. Anche sulla mania dei "recap" - minuziosi riassunti per chi ha perso la puntata, che in realtà servono a chi la puntata non l'ha affatto persa, ma come i maniaci (o i bambini) non si stanca di ascoltare sempre la stessa storia - ci sarebbe qualcosa da dire. Credevamo che l'ossessione per il commento fosse un'attività per noiosi accademici. Scopriamo che nell'èra della velocità e della distrazione ha insospettabili adepti. Motiva il fake (oltre a un giochetto che si chiama "Rickrolling" e consiste nel promettere video imperdibili, reindirizzando su un video musicale di Rick Astley datato 1987) la disperazione degli sceneggiatori. "Voi a scrivere siete tanti, e io a leggere sono solo" lamentava Massimo Troisi. "Noi a inventare trame siamo pochi, e voi a smontarle e anticiparle siete migliaia e migliaia" è il lamento degli showrunner, nell'era della sovrabbondanza televisiva. Matt Zoller Seitz sul New York Magazine - un fantastico numero tutto sulla tv- ricorda che la prima stagione di "Westworld" fu cambiata in corsa, i fan avevano azzeccato troppi dettagli guastando la sorpresa. Quando i fan scoprirono a metà stagione che in "Mr Robot" c'era un tocco di "Fight Club" (tanto per non fare altri spoiler) lo showrunner Sam Esmail lasciò la storia tale e quale. Una soluzione al "siamo-tuttisceneggiatori" ci sarebbe: mettere a fuoco meglio i personaggi e non puntare tutto sui colpi di scena". (Mariarosa Mancuso)

mercoledì 27 giugno 2018

PICCOLO GRANDE SCHERMO - Da oggi nelle sale la coppia Charlie Hunnam+Rami Malek nel remake di "Papillon" (l'eredità di Steve McQueen si divide in due...)

martedì 26 giugno 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
La secondo stagione di "Tredici" è meno compatta ma più angosciante
"E' passato un anno da quando Netflix ha rilasciato la prima stagione di «13» («13 reasons why»), il controverso teen drama basato sul romanzo di Jay Asher che affronta con un linguaggio crudo e coinvolgente temi forti come il bullismo, la depressione, la violenza sessuale nel mondo degli adolescenti. Il racconto si era chiuso con il disvelamento di diversi misteri sollevati dalle 13 cassette registrate da Anna Baker, ma molto restava da capire e Netflix ha giustamente deciso di investire in una seconda stagione, rilasciata il i8 maggio (nel frattempo la serie è diventata un fenomeno globale). Sono passati cinque mesi dalla tragica morte di Anna e la serie riprende dalle aule del liceo Liberty High, un microcosmo molto autoreferenziale che è il cuore di tutto il racconto, con i suoi rituali, le sue spietate relazioni di potere, la sua crudele «piramide» sociale di vincenti e perdenti. Non a caso i genitori della ragazza hanno deciso di intentare una causa contro il liceo come istituzione, accusato di non aver fatto abbastanza per prevenire il suicidio. In termini di struttura, la seconda stagione appare a tratti meno compatta della prima, in cui la voce fuori campo di Anna serviva da collante narrativo (farla tornare come fantasma sembra una scelta confusa). E centrata sul processo al liceo e ogni episodio racconta la testimonianza di uno dei personaggi chiave: alcuni con responsabilità effettive nei confronti di Anna, altri solo «colpevoli» di averla ferita involontariamente mentre essi stessi lottavano contro le proprie debolezze. Forse ancor più che nella prima stagione, «13» mette in scena in questi nuovi episodi un mondo angosciante, in cui si fatica a trovare redenzione e un barlume di speranza dal tormento interiore, come suggerisce lo sconvolgente colpo di scena finale. È una serie importante per capire la generazione fragile e potente dei Millennial, non solo negli Usa". (Aldo Grasso)

lunedì 25 giugno 2018

NEWS - Achtung, companeros! Siete pronti alla rivoluzione tv e a buttare i televisori che non prevedono il 5G? Entro 4 anni il digitale terrestre si deve dimezzare ma i network - Rai, Mediaset e La7 in primis - si ribellano: te credo, l'operazione costa 700 milioni! Toccherà decidere a Luigi Di Maio...

Articolo tratto da "Affari&Finanza"
I broadcaster storici da una parte, quelli che controllano le frequenze tv: Rai e Mediaset su tutti, ma anche La7 di Urbano Cairo, la Prima Tv di Tarak Ben Ammar. Il governo e l'Agcom dall'altra. In mezzo, come spettatori interessati, i broadcaster senza rete, cioè quelli che affittano la diffusione del loro segnale dai titolari delle frequenze e dalle tower company Sky, Discovery, Viacom. Il campo di gioco è il fatto che entro 4 anni le tv dovranno sgomberare la banda 700 mhz. Significa, al netto dei tecnicismi, che tutto il sistema del digitale terrestre italiano, che oggi viaggia su 30 frequenze, dovrà restringersi in metà spazio: 15 frequenze. Aiutato però da uno step tecnologico che dimezza la quantità di banda richiesta. Ma le cose non vanno così lisce. E' per questo che dieci giorni fa da Mediaset e da Cairo sono partiti due ricorsi davanti al Tar per bloccare l'intera partita. E altri ricorsi sono in arrivo, a partire da quello di Ben Ammar. E un avvertimento al governo: serve un accordo. E questa è la prima grana che il neoministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio si troverà a dover risolvere avendo mantenuto le deleghe sul settore delle Comunicazioni. E ora si capisce anche bene perché. Perché da lui dipenderà una decisione che avrà un impatto sui bilanci di Mediaset e di Rai. Anzi, più esattamente, di EiTower e di Ray Way. La posta in gioco? E doppia. Per le tv è l'utilizzo di un'operazione da 700 milioni circa, ossia i costi per l'abbandono della banda 700 mhz da lasciare agli operatori mobili per il 5G. Per il governo la possibilità di incassare i 2,5 miliardi di euro dell'asta per le frequenze della banda ultralarga mobile e che sono un punto non indifferente della Legge di Stabilità approvata alla fine dello scorso anno dal governo Gentiloni. L'incrocio micidiale che si è creato è che il governo ha la necessità assoluta di convincere le telco che parteciperanno all'asta di settembre-ottobre che non ci saranno problemi (e che quindi possono serenamente aprire i portafogli). Ma i problemi ci sono
Ci sono due ostacoli, uno imprevisto e uno no. Il primo: bisogna passare dall'attuale sistema denominato Dvbtl, o TI, al nuovo, il Dvbt2, o T2 e non sarebbe vero che il nuovo richieda esattamente la metà dello spazio del vecchio, coem si è finora sostenuto. Ma più spazio di quello non ce ne è. Insomma, il 12 occupa più banda del previsto. Secondo nodo. Un canale digitale non occupa oggi 20 megabit di banda ma circa 24: e questo lo si sa da sempre, lo sanno anche al Mise e all'Agcom. Perché è scritto nero su bianco sui contratti di trasporto del segnale che EiTowers ha con i suoi clienti, in primis Mediaset, e Rai Way con il suo unico cliente, ossia Rai. E lo sa Prima Tv, che trasporta canali di Mediaset, Sky e Discovery. Nel nuovo assetto dell'etere, visto che lo spazio si dimezza, e che invece le frequenze non si possono suddividere, si è pensato bene di cambiare i termini giuridici delle concessioni: non si concedono più frequenze ma capacità di trasmissione. Chi ha una sola frequenza, come Cairo, Prima Tv, Wmd3, l'Europa7 di Francesco Di Stefano o la ReteCapri di Costantino Federico, si troverà in mano qualcosa di meno concreto. E resta un problema: c'è un operatore di rete per ogni frequenza; domani? Una frequenza è gestita da un apparato che può suddividere il segnale in più porzioni. Ma chi gestirà il segnale della mezza frequenza di Cairo o di Ben Ammar? In pratica è come una fibra ottica: la si può suddividere in mille modi, ma la fibra, il singolo capello di fibra ottica, resta sempre uno e uno solo, e pub avere un solo proprietario. Insomma le cose non sono chiare, ma se la partita ingegneristica è da mal di testa, quando si passa a parlare di soldi tutto diventa più chiaro. il passaggio al T2 può mettere a rischio il conto economico delle tower company. Ei Tower, Rai Way, Persidera e Cellnex (ma quest'ultima in minima parte perché ha pochissime torri tv). Lo può fare in due modi. ll primo: se si dimezzano le frequenze si dimezzano gli apparati su cui vengono trasportati i singoli segnali tv (un ingegnere forse inorridirebbe per l'approssimazione, ma al fondo le cose stanno così). Ma poiché alla fine quello che il cliente paga alla tower company non è il trasporto un tanto al chilo ma il servizio di consegna del prodotto finito, ossia il canale tv, la cosa può trovare una compensazione (basta cambiare congruamente le componenti del prezzo). Ma c'è sempre il rischio di incertezza che questo passaggio comporta. Soprattutto se lo spazio per tutti i canali non fosse garantito come sembrava invece promesso. Una soluzione c'è. Il problema è solo trovare i soldi per realizzarla. E' infatti vero che la coperta delle frequenze è sempre più corta, anzi si dimezza, ma è anche vero che in questo momento ce ne sono molte inutilizzate. Per favorire la liberazione della banda 700 e il contemporaneo passaggio alle nuove tecnologie, il governo Gentiloni aveva messo in Legge di Stabilità ulteriori stanziamenti per la rottamazione di frequenze usate da tv locali: un incentivo economico alla restituzione delle frequenze locali. La stessa Legge di Stabilità fissa il budget complessivo per l'intera operazione T2 in circa 700 milioni in quattro anni. A spanne: oltre 200 milioni per le emittenti nazionali per i costi di trasformazione e aggiornamento degli impianti; oltre 300 milioni per gli incentivi alla rottamazione delle frequenze; 100 milioni sono stanziati per agevolare l'acquisto di decoder da parte di utenti i cui televisori di vecchia generazione non siano in grado di ricevere i nuovi canali in T2 (come invece accade per tutti gli apparecchi in vendita da inizio anno); infine circa 60 milioni a disposizione del Mise per costi di organizzazione della transizione tecnologica. In apparenza i soldi dunque ci sono ma pare - perché di certezze ufficiali in questo momento ce ne sono poche - che dentro i 300 milioni per la rottamazione delle frequenze locali sarebbero nascosta una pillola avvelenata: la Rai. Il piano del "vecchio" governo prevede infatti che Rai dovrebbe scendere dagli attuali 5 mux (oggi uno per ogni frequenza, con una capacità di trasportare fino a 7 canali "normali" 0 3-4 in alta definizione) a 2 mux e mezzo. Ma su uno di questi dovrebbe andare la sola Rai3 regionale e portare in tutto il resto delle capacità trasmissiva, emittenti locali. Buon progetto, sulla carta, che garantisce alle locali un operatore di rete pubblico come Rai Way, alla stessa Rai Way, che ha l'handicap di avere in pratica un unico cliente, ossia il suo azionista, una nuova area di business. Peccato però che questa capacità trasmissiva sia stata allocata nella banda Vhf. E non tutte le case in Italia hanno un'antenna in grado di ricevere questi canali. Che sono quelli usati dall'Europa 7 di Francesco Di Stefano. Per rendere visibili a tutti gli italianitutti i canali e per il "refarming" dei canali Rai si stima - sempre in via non ufficiale - che Viale Mazzini dovrebbe spendere giusto attorno ai 300 milioni. E qui i conti iniziano evidentemente a non tornare. Quello che i broadcaster chiedono al governo è dunque una quota maggiore di fondi, a valere sull'incasso dell'asta 5G per un riassetto definitivo dello spettro radio. E potrebbe essere un'occasione per mettere la parola fine al caos dell'etere italiano. Perché non solo molte emittenti locali continuano a mantenere la titolarità di frequenze solo in attesa di una loro definitiva valorizzazione economica (basta guardare la quantità di programmi ripetuti che si susseguono pigiando sul telecomando dopo il tasto 50) ma ci sono anche emittenti nazionali forse pronte a restituire le frequenze. A partire daRete Capri e Europa 7. Ma perfino Wind3 potrebbe essere pronta a restituire la frequenza che dai tempi dell'H3g di Vincenzo Novari non usa più per trasmettere un suo canale. A questo punto, facendo scendere le frequenze riservate alle locali dalle attuali 5 (garantite per legge in misura di un terzo del totale) a 3, forse anche a solo 2, e con almeno un paio di nazionali in meno, ci sarebbe molto più spazio. Per fare cosa? Rai, per esempio, potrebbe fare a meno di investire sulla banda Vhf. Mediaset non ha per ora problemi di spazio visto che è riuscita ad ospitare una decina di nuovi canali Sky, frutto dell'accordo del mese scorso, nel suo bouquet pay di Premium senza particolari sofferenze. Ma per i conti e le prospettive di Rai Way e Ei Tower avere più capacità trasmissiva da gestire significa avere più ricavi. Senza contare che sia Rai che Mediaset dovranno iniziare a pensare presto a portare il 4k, la nuova generazione dell'altra definzione sui canali terrestri. E allora servirà sì più spazio. Lo switch off Infine il passaggio di tecnologia. Oggi non è prevista una data per uno switch off, come per il passaggio dal digitale all'analogico. Ma nella situazione attuale tutti i broadcaster lo ritengono necessario. Con più frequenze per tutti, invece, si potrebbe procedere in modo più graduale. La soluzione ? Che il ministero si decida ad abrogare la riserva di un terzo di frequenze per le locali. E scriva in modo più chiaro il percorso di passaggio dal T1 al T2. Pare sia d'accordo anche Agcorn che questa settimana pubblicherà il primo atto formale del nuovo piano frequenze: formale perché si limiterà a dire che la banda 700 va liberata entro il 2022, come vuole l'Ue. Ma rimandando al governo la palla delle decisioni sostanziali. A quel punto sarà Di Maio a guidare il gioco. Ha tempo fino a inizio autunno. Ed è probabile che questo tempo se lo prenderà tutto.

"Il trivial game + divertente dell'anno" (Lucca Comics)

"Il trivial game + divertente dell'anno" (Lucca Comics)
Il GIOCO DEI TELEFILM di Leopoldo Damerini e Fabrizio Margaria, nei migliori negozi di giocattoli: un viaggio lungo 750 domande divise per epoche e difficoltà. Sfida i tuoi amici/parenti/partner/amanti e diventa Telefilm Master. Disegni originali by Silver. Regolamento di Luca Borsa. E' un gioco Ghenos Games. http://www.facebook.com/GiocoDeiTelefilm. https://twitter.com/GiocoTelefilm

Lick it or Leave it!

Lick it or Leave it!