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sabato 28 gennaio 2017
giovedì 26 gennaio 2017
LA VITA E' UNA COSA SERIAL - Addio a Mary Tyler Moore, la regina delle comedy. E' stata l'apripista per "Sex and The City", "Desperate Housewives", "Ally McBeal"...
Diciamocelo, senza di lei Carrie Bradshaw di 'Sex and the City' sarebbe nata più tardi. E anche la più spregiudicata Samantha Jones. Le 'Desperate Housewives' sono andate a ripetizione da lei, così come 'Ally McBeal' le deve molto dei suoi tic e manie a puntate. La scomparsa di Mary Tyler Moore, regina delle comedy come solo Lucille Ball, lascia nel contempo un vuoto e molte eredi. Seriali, s'intende. Vincitrice di ben 6 Emmy Awards, oltre che candidata all'Oscar per il film "Gente comune" di Robert Redford, Moore ha lasciato il segno nella tv americana (e non solo) grazie alla sit-come intitolata in suo onore, 'Mary Tyler Moore Show', in onda dal 1970. Sì, perché era lei l'istrionica attrice che dava vita alla rivoluzionaria protagonista proto-femminista senza sapere di esserlo - e per questo insicura quanto sussultante di orgoglio - perennemente single insoddisfatta a Minneapolis. Mary Richards lavorava come assistente produttore al telegiornale di una rete privata frequentata da gente strana (un gelido produttore, un nevrotico redattore, un meteorologo fuori di testa, tra gli altri). Ma era lei, Moore-Richards, a dettare tempi e battute. I riflettori erano tutti suoi, tant'è che l'attrice oltre ad esserne interprete, firmava la sit-com vincitrice di 29 Emmy Awards (di cui 6 a lei) con la sua casa di produzione, la MTM (iniziali del suo nome). Quando la CBS accettò di mandarla in onda dovette firmare un contratto in cui si lasciava piena indipendenza alla Moore (e al marito Grant Tinker, co-intestatario della casa di produzione) sull'ideazione, sceneggiature, scelta del cast (solo attori sconosciuti) e sul budget. Se la bibbia tv Usa 'Entertainment Weekly' ha eletto 'MTMS' quale 'show di prima serata più importante della storia della tv americana' lo si deve al fatto che Mary Richards è diventata un'icona indimenticabile, ancor oggi imitata e inimitabile. Non più giovanissima, si trovava ad affrontare la vita da sola in un mondo che alle donne concedeva ben poco (un tema ricorrente della tv anni '70); il suo atteggiamento era fiducioso, ottimista, gentile, accomodante, disponibile; il suo unico desiderio era non contraddire gli altri, non creare complicazioni, adattarsi; diceva di essere 'una che prima di andare dal parrucchiere si fa lo shampoo'; da un lato era come l'uomo avrebbe voluto la donna dopo il trauma del femminismo, dall'altro accettava l'indipendenza che la società le imponeva e si sforzava di farla diventare parte del proprio carattere. Combattuta come pochi personaggi femminili fino ad allora, Mary viveva sulla propria pelle le contraddizioni del periodo. La sua figura non era propriamente comica. 'Il mio forte non è essere buffa', diceva Mary Richards, 'è reagire in modo buffo alle cose che mi stanno attorno'. Un episodio della serie è stato scelto come il migliore di tutti i tempi in una Top 100 redatta dal popolare 'Tv Guide': nella puntata si deve commemorare la morte di un clown che faceva show per la tv; né il produttore che il redattore colleghi di Richards riescono a trattenersi dal fare battute sarcastiche e macabre sulla sua morte (il clown era travestito da nocciolina ed era stato schiacciato da un elefante), con grande imbarazzo di Mary; durante il funerale, tuttavia, è proprio quest'ultima che si mette istericamente a ridere; il prete la consola dicendo che probabilmente era proprio così che il pagliaccio avrebbe voluto essere ricordato; a questo punto Mary scoppia in un piano irrefrenabile…Addio Mary, convinti che lassù un clown travestito da arachide ti allieterà la dipartita. (Leo Damerini)
Diciamocelo, senza di lei Carrie Bradshaw di 'Sex and the City' sarebbe nata più tardi. E anche la più spregiudicata Samantha Jones. Le 'Desperate Housewives' sono andate a ripetizione da lei, così come 'Ally McBeal' le deve molto dei suoi tic e manie a puntate. La scomparsa di Mary Tyler Moore, regina delle comedy come solo Lucille Ball, lascia nel contempo un vuoto e molte eredi. Seriali, s'intende. Vincitrice di ben 6 Emmy Awards, oltre che candidata all'Oscar per il film "Gente comune" di Robert Redford, Moore ha lasciato il segno nella tv americana (e non solo) grazie alla sit-come intitolata in suo onore, 'Mary Tyler Moore Show', in onda dal 1970. Sì, perché era lei l'istrionica attrice che dava vita alla rivoluzionaria protagonista proto-femminista senza sapere di esserlo - e per questo insicura quanto sussultante di orgoglio - perennemente single insoddisfatta a Minneapolis. Mary Richards lavorava come assistente produttore al telegiornale di una rete privata frequentata da gente strana (un gelido produttore, un nevrotico redattore, un meteorologo fuori di testa, tra gli altri). Ma era lei, Moore-Richards, a dettare tempi e battute. I riflettori erano tutti suoi, tant'è che l'attrice oltre ad esserne interprete, firmava la sit-com vincitrice di 29 Emmy Awards (di cui 6 a lei) con la sua casa di produzione, la MTM (iniziali del suo nome). Quando la CBS accettò di mandarla in onda dovette firmare un contratto in cui si lasciava piena indipendenza alla Moore (e al marito Grant Tinker, co-intestatario della casa di produzione) sull'ideazione, sceneggiature, scelta del cast (solo attori sconosciuti) e sul budget. Se la bibbia tv Usa 'Entertainment Weekly' ha eletto 'MTMS' quale 'show di prima serata più importante della storia della tv americana' lo si deve al fatto che Mary Richards è diventata un'icona indimenticabile, ancor oggi imitata e inimitabile. Non più giovanissima, si trovava ad affrontare la vita da sola in un mondo che alle donne concedeva ben poco (un tema ricorrente della tv anni '70); il suo atteggiamento era fiducioso, ottimista, gentile, accomodante, disponibile; il suo unico desiderio era non contraddire gli altri, non creare complicazioni, adattarsi; diceva di essere 'una che prima di andare dal parrucchiere si fa lo shampoo'; da un lato era come l'uomo avrebbe voluto la donna dopo il trauma del femminismo, dall'altro accettava l'indipendenza che la società le imponeva e si sforzava di farla diventare parte del proprio carattere. Combattuta come pochi personaggi femminili fino ad allora, Mary viveva sulla propria pelle le contraddizioni del periodo. La sua figura non era propriamente comica. 'Il mio forte non è essere buffa', diceva Mary Richards, 'è reagire in modo buffo alle cose che mi stanno attorno'. Un episodio della serie è stato scelto come il migliore di tutti i tempi in una Top 100 redatta dal popolare 'Tv Guide': nella puntata si deve commemorare la morte di un clown che faceva show per la tv; né il produttore che il redattore colleghi di Richards riescono a trattenersi dal fare battute sarcastiche e macabre sulla sua morte (il clown era travestito da nocciolina ed era stato schiacciato da un elefante), con grande imbarazzo di Mary; durante il funerale, tuttavia, è proprio quest'ultima che si mette istericamente a ridere; il prete la consola dicendo che probabilmente era proprio così che il pagliaccio avrebbe voluto essere ricordato; a questo punto Mary scoppia in un piano irrefrenabile…Addio Mary, convinti che lassù un clown travestito da arachide ti allieterà la dipartita. (Leo Damerini)
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mercoledì 25 gennaio 2017
NEWS - Breaking Good! Aaron Paul sarà di nuovo Jesse Pinkman nella 3° stagione di "Better Call Saul"!
News tratta da TvLine
Say it with us now, Breaking Bad fans: Yeah, bitch! Based on a clip from Tuesday’s Ellen, it seems like there’s a good chance Jesse Pinkman will show his face in the third season of Bad‘s prequel, Better Call Saul. “God, I hope so,” Bad star Aaron Paul responds when host Ellen DeGeneres asks him whether the feckless drug dealer will ever show up on the spinoff. “Maybe I already shot it. We just — or they just — wrapped the [latest] season.” Because Saul mostly takes place before the events of Breaking Bad, Pinkman — who was recently out of high school in the original series — might be too young to show up anywhere except for the series’ flashforwards, where Saul is known as “Gene” and is working at a Cinnabon. And if that’s true, then we’ll get an update on what happened after Jesse chose not to kill his mentor/tormentor Walter White and then escaped the meth lab where he was being held against his will. If Jesse surfaces on the series, he’ll join several other Bad characters who’ve made Saul appearances, including Tuco (Raymond Cruz), Hector (Mark Margolis), Krazy-8 (Max Arciniega) and the recently announced Gus (Giancarlo Esposito), who’ll grace the upcoming third season.
News tratta da TvLine
Say it with us now, Breaking Bad fans: Yeah, bitch! Based on a clip from Tuesday’s Ellen, it seems like there’s a good chance Jesse Pinkman will show his face in the third season of Bad‘s prequel, Better Call Saul. “God, I hope so,” Bad star Aaron Paul responds when host Ellen DeGeneres asks him whether the feckless drug dealer will ever show up on the spinoff. “Maybe I already shot it. We just — or they just — wrapped the [latest] season.” Because Saul mostly takes place before the events of Breaking Bad, Pinkman — who was recently out of high school in the original series — might be too young to show up anywhere except for the series’ flashforwards, where Saul is known as “Gene” and is working at a Cinnabon. And if that’s true, then we’ll get an update on what happened after Jesse chose not to kill his mentor/tormentor Walter White and then escaped the meth lab where he was being held against his will. If Jesse surfaces on the series, he’ll join several other Bad characters who’ve made Saul appearances, including Tuco (Raymond Cruz), Hector (Mark Margolis), Krazy-8 (Max Arciniega) and the recently announced Gus (Giancarlo Esposito), who’ll grace the upcoming third season.
martedì 24 gennaio 2017
lunedì 23 gennaio 2017
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Atlanta", tra denuncia e umorismo tagliente
"Atlanta non è solo la citta delle pesche, di Via col Vento («After all, tomorrow is another day»), delle Olimpiadi del 1996 ma è anche, a quanto pare, il cuore pulsante della scena hip hop americana. Così almeno racconta «Atlanta» la serie creata da Donald Glover, che ne è anche protagonista (Fox, canale 112 di Sky, giovedì, ore 23). In 10 episodi da 25 minuti, seguiamo le vicende di un rapper indipendente (Alfred, in arte Paper Boi) che vende droga per campare e finanziarsi, e di suo cugino Earn (Glover) che vorrebbe fargli da manager, senza troppo successo. Tra l'altro, i suoi genitori non lo vogliono più vedere e anche con la compagna non se la passa tanto bene. C'è un terzo personaggio, Darius, braccio destro del rapper ma costantemente «fumato» e inaffidabile. A far emergere la speranza dai sobborghi della città in cui vengono ambientate le storie dei giovani ragazzi è proprio l'hip hop, visto come l'unica via di fuga per le maggiori comunità afroamericane del Paese. Lo scenario in cui si muovono i protagonisti sono le cosiddette trap house, case semi-abbandonate o occupate abusivamente adibite alla produzione o smercio di droghe in un intricato labirinto di piccoli vicoli, ideali per le attività illegali. La serie è interessante perché mescola generi diversi. In apparenza sembra quasi un'opera di denuncia (miseria, degrado, razzismo, brutalità delle forze dell'ordine...), ma i dialoghi sono così surreali e pieni di humour da contraddire ogni intento di denuncia. Gli americani chiamano questa commistione «dramedy», la fusione tra drama e comedy, un registro molto difficile da praticare. E un umorismo tagliente quello di Donald Glover, sotteso in ogni inquadratura come uno strumento di interpretazione insostituibile, con il quale ci si può destreggiare anche fra le miserie della vita. Dopotutto, ad Atlanta, domani è sempre un altro giorno". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
"Atlanta", tra denuncia e umorismo tagliente
"Atlanta non è solo la citta delle pesche, di Via col Vento («After all, tomorrow is another day»), delle Olimpiadi del 1996 ma è anche, a quanto pare, il cuore pulsante della scena hip hop americana. Così almeno racconta «Atlanta» la serie creata da Donald Glover, che ne è anche protagonista (Fox, canale 112 di Sky, giovedì, ore 23). In 10 episodi da 25 minuti, seguiamo le vicende di un rapper indipendente (Alfred, in arte Paper Boi) che vende droga per campare e finanziarsi, e di suo cugino Earn (Glover) che vorrebbe fargli da manager, senza troppo successo. Tra l'altro, i suoi genitori non lo vogliono più vedere e anche con la compagna non se la passa tanto bene. C'è un terzo personaggio, Darius, braccio destro del rapper ma costantemente «fumato» e inaffidabile. A far emergere la speranza dai sobborghi della città in cui vengono ambientate le storie dei giovani ragazzi è proprio l'hip hop, visto come l'unica via di fuga per le maggiori comunità afroamericane del Paese. Lo scenario in cui si muovono i protagonisti sono le cosiddette trap house, case semi-abbandonate o occupate abusivamente adibite alla produzione o smercio di droghe in un intricato labirinto di piccoli vicoli, ideali per le attività illegali. La serie è interessante perché mescola generi diversi. In apparenza sembra quasi un'opera di denuncia (miseria, degrado, razzismo, brutalità delle forze dell'ordine...), ma i dialoghi sono così surreali e pieni di humour da contraddire ogni intento di denuncia. Gli americani chiamano questa commistione «dramedy», la fusione tra drama e comedy, un registro molto difficile da praticare. E un umorismo tagliente quello di Donald Glover, sotteso in ogni inquadratura come uno strumento di interpretazione insostituibile, con il quale ci si può destreggiare anche fra le miserie della vita. Dopotutto, ad Atlanta, domani è sempre un altro giorno". (Aldo Grasso)
domenica 22 gennaio 2017
GOSSIP - Lena Dunham in procinto dell'addio a "Girls": "non rifarei una serie con 4 donne bianche!"
Lena Dunham takes the cover of Nylon magazine’s February 2017 issue.
Here’s what the 30-year-old Girls actress had to share with the mag:
On what she’d change about Girls: “I wouldn’t do another show that starred four white girls…When I wrote the pilot I was 23…I was not trying to write the experience of somebody I didn’t know, and not trying to stick a black girl in without understanding the nuance of what her experience of hipster Brooklyn was.”
On Donald Trump: “It’s going to be interesting promoting this show right after Trump is inaugurated. The final season definitely tackles some topics that are complicated and wouldn’t be beloved by the incoming administration. Hopefully it’ll bring up important conversations, and not just become the worst Twitter abuse storm in history—or it will.”
On public criticism: “I used to think the worst thing in the world could be for someone to have a thought about you that you didn’t have yourself. Now I’m like, ‘Have at it, guys!’”
For more from Lena, visit Nylon.com.
Lena Dunham takes the cover of Nylon magazine’s February 2017 issue.
Here’s what the 30-year-old Girls actress had to share with the mag:
On what she’d change about Girls: “I wouldn’t do another show that starred four white girls…When I wrote the pilot I was 23…I was not trying to write the experience of somebody I didn’t know, and not trying to stick a black girl in without understanding the nuance of what her experience of hipster Brooklyn was.”
On Donald Trump: “It’s going to be interesting promoting this show right after Trump is inaugurated. The final season definitely tackles some topics that are complicated and wouldn’t be beloved by the incoming administration. Hopefully it’ll bring up important conversations, and not just become the worst Twitter abuse storm in history—or it will.”
On public criticism: “I used to think the worst thing in the world could be for someone to have a thought about you that you didn’t have yourself. Now I’m like, ‘Have at it, guys!’”
For more from Lena, visit Nylon.com.
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