NEWS - Una conferma e una new entry nel cast di "Stranger Things" 3!
Una conferma e una new entry nel cast della terza stagione di “Stranger Things 3”, la serie TV originale Netflix creata dai Duffer Brothers: Priah Ferguson torna nel ruolo di Erica Sinclair e Maya Thurman-Hawke debutta nel ruolo di Robin. Erica, la sorellina ostinata di Lucas torna nella terza stagione, solo che questa volta sarà accompagnata da un folto gruppo di amici. Stanca di stare in disparte, Erica si imbarca in un’avvincente missione per salvare Hawkins da una nuova ed inaspettata minaccia che incombe pericolosa. Robin è una ragazza alternativa, astuta e spiritosa allo stesso tempo. Annoiata dalla sua routine quotidiana, vuole aggiungere un po’ di emozione alla sua vita… ne arriva addirittura fin troppa nel momento in cui scopre un oscuro segreto a Hawkins.
Priah Ferguson è un’attrice statunitense nata ad Atlanta, in Georgia. Inizia la sua carriera all’età di quattro anni. Dopo aver recitato in piccoli progetti teatrali, viene notata dalla talent agency di Atlanta “People Store”. La vera svolta arriva grazie al ruolo nello show “Atlanta”, creato da Donald Glover. Da quel momento, Priah appare nello show PBS “Mercy Street”, oltre che nella produzione VH1 “Daytime Divas” con Tichina Arnold. In “Stranger Things 2” ruba la scena interpretando Erica Sinclair, la sorellina sfacciata di Lucas, diventando nota al grande pubblico. Oltre al successo nelle produzioni televisive, Priah ha recitato, come protagonista e non, in cortometraggi e web series premiate dalla critica. Decide di diventare attrice dopo aver visto i film “Crooklyn” e “Daddy’s Little Girls”. Priah è un membro importante della sua comunità, è infatti la giovane portavoce dell’organizzazione non profit United Way di Atlanta.
Maya Thurman-Hawke ha partecipato nel ruolo della protagonista Jo March nella miniserie “Piccole Donne”, adattamento dell’omonimo romanzo classico di Louisa May Alcott. La serie è stata trasmessa in Gran Bretagna nel dicembre 2017 e approderà sulla PBS negli Stati Uniti nel maggio 2018. In “Piccole Donne”, Maya recita accanto a Angela Lansbury, Emily Watson e Michael Gambon. L’attrice ha da poco concluso le riprese del film indipendente “Ladyworld”, diretto da Amanda Kramer, e ha ottenuto il ruolo di Myna Joseph nel film “Charlotte XVI”, in uscita prossimamente.
“Stranger Things” è la serie TV originale Netflix creata dai Duffer Brothers. La produzione esecutiva è curata dai Duffer Brothers, Shawn Levy, Dan Cohen di 21 Laps, e Iain Paterson.
sabato 3 marzo 2018
venerdì 2 marzo 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA STAMPA
Occhio a "Collateral" in arrivo su Netflix, l'esordio seriale "British" di Carey Mulligan in perfetto equilibrio
"La prima cosa che colpisce di Collateral miniserie british scritta dal veterano del teatro David Hare, è la fotografia. Nitida, piuttosto scura, con pochissimi scorci di luce. Mette in risalto le figure dei protagonisti e avvolge il racconto in un'atmosfera cupa, tra il nero e il grigio. Poi c'è la scrittura: dinamica, fresca, con chiarissimi riferimenti a una tradizione precisa. E la televisione inglese, questa. La protagonista, Kit, è interpretata da Carey Mulligan. La storia vive attraverso di lei, le sue espressioni, il suo modo di confrontarsi con gli altri attori. E una recitazione minima, a volte limitata al viso. Di Kit sappiamo che è un'ex-atleta, che ora è in polizia, che è una detective, e che è incinta. Non le vediamo quasi mai la pancia. Sempre coperta. Capiamo che aspetta un bambino dall'atteggiamento di quelli che le stanno attorno. La storia, un fitto groviglio di intrecci tra spie, militari, scafisti e piccola criminalità urbana, prova a riflettere su quella che è la realtà del Regno Unito (e volendo, del resto del mondo). Dura quattro giorni, uno per ciascuno episodio. Si parte dall'omicidio di un immigrato iracheno e si arriva a un quadro più ampio, generale, dove sono coinvolte anche la politica e la chiesa. A guidare la detective Mulligan è la mano di un bravo scrittore Dal 9 marzo Collateral sarà in streaming su Netflix. Tra le altre cose, si fa notare anche la regia di S. J. Clarkson, un'altra veterana del piccolo schermo. La camera indugia il necessario. Mai troppo o troppo poco. Mette a fuoco mani, frammenti; spazia da una parte all'altra, senza mai farsi eccessiva o insistente. E tutto molto ristretto, quasi teatrale, nonostante ci siano più location e ambientazioni. E un racconto fatto di persone. Di donne, soprattutto: donne sole, donne che combattono; donne che vengono discriminate perché indossano un velo. E poi ci sono i diversi, gli altri, l'altro grande popolo silenzioso che abita il Regno Unito. Con i suoi quattro episodi Collateral è l'ennesimo esempio della grandissima attenzione che gli inglesi - in questo caso la Bbc - hanno per la messa in scena. Meno fluida, forse, di quella americana. Più vicina alla tradizione nord-europea, con i suoi colori e le sue regole precise. Dove chi ha il comando, alla fine, non è il regista. Ma lo scrittore. Inteso come sceneggiatore, non come showrunner. La scrittura rappresenta l'ossatura di tutto. E i vari reparti, regia, attori, fotografia, fanno riferimento ad essa. In Collateral, insomma, c'è il giusto equilibrio tra storia e personaggi, che di questi tempi è una cosa piuttosto rara da trovare". (Gianmaria Tammaro)
LA STAMPA
Occhio a "Collateral" in arrivo su Netflix, l'esordio seriale "British" di Carey Mulligan in perfetto equilibrio
"La prima cosa che colpisce di Collateral miniserie british scritta dal veterano del teatro David Hare, è la fotografia. Nitida, piuttosto scura, con pochissimi scorci di luce. Mette in risalto le figure dei protagonisti e avvolge il racconto in un'atmosfera cupa, tra il nero e il grigio. Poi c'è la scrittura: dinamica, fresca, con chiarissimi riferimenti a una tradizione precisa. E la televisione inglese, questa. La protagonista, Kit, è interpretata da Carey Mulligan. La storia vive attraverso di lei, le sue espressioni, il suo modo di confrontarsi con gli altri attori. E una recitazione minima, a volte limitata al viso. Di Kit sappiamo che è un'ex-atleta, che ora è in polizia, che è una detective, e che è incinta. Non le vediamo quasi mai la pancia. Sempre coperta. Capiamo che aspetta un bambino dall'atteggiamento di quelli che le stanno attorno. La storia, un fitto groviglio di intrecci tra spie, militari, scafisti e piccola criminalità urbana, prova a riflettere su quella che è la realtà del Regno Unito (e volendo, del resto del mondo). Dura quattro giorni, uno per ciascuno episodio. Si parte dall'omicidio di un immigrato iracheno e si arriva a un quadro più ampio, generale, dove sono coinvolte anche la politica e la chiesa. A guidare la detective Mulligan è la mano di un bravo scrittore Dal 9 marzo Collateral sarà in streaming su Netflix. Tra le altre cose, si fa notare anche la regia di S. J. Clarkson, un'altra veterana del piccolo schermo. La camera indugia il necessario. Mai troppo o troppo poco. Mette a fuoco mani, frammenti; spazia da una parte all'altra, senza mai farsi eccessiva o insistente. E tutto molto ristretto, quasi teatrale, nonostante ci siano più location e ambientazioni. E un racconto fatto di persone. Di donne, soprattutto: donne sole, donne che combattono; donne che vengono discriminate perché indossano un velo. E poi ci sono i diversi, gli altri, l'altro grande popolo silenzioso che abita il Regno Unito. Con i suoi quattro episodi Collateral è l'ennesimo esempio della grandissima attenzione che gli inglesi - in questo caso la Bbc - hanno per la messa in scena. Meno fluida, forse, di quella americana. Più vicina alla tradizione nord-europea, con i suoi colori e le sue regole precise. Dove chi ha il comando, alla fine, non è il regista. Ma lo scrittore. Inteso come sceneggiatore, non come showrunner. La scrittura rappresenta l'ossatura di tutto. E i vari reparti, regia, attori, fotografia, fanno riferimento ad essa. In Collateral, insomma, c'è il giusto equilibrio tra storia e personaggi, che di questi tempi è una cosa piuttosto rara da trovare". (Gianmaria Tammaro)
mercoledì 28 febbraio 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
Dopo l'apripista Telefilm Festival, le serie tv sdoganate anche dai festival di cinema
"Capita che gli scrittori si divertano a fare i dispetti. Gogol scrisse la seconda parte delle "Anime morte" e in un febbrile delirio religioso la bruciò (la terza, prevista dallo schema dantesco, non la scrisse mai). Capita che i dispetti li facciano gli editori. Joan Lindsay, la scrittrice degli antipodi a cui dobbiamo "Picnic a Hanging Rock" aveva previsto una soluzione del mistero. Quando l'editore eliminò dal romanzo l'ultimo capitolo, diede ordine di pubblicarlo dopo la sua morte. Ebbe il cattivo gusto di andarsene nel 1984, quando ormai Peter Weir aveva girato il film, fissando la storia al punto in cui era. Tre studentesse scompaiono durante il picnic, a San Valentino del 1900, e di loro nessuno saprà più nulla. Di più: un finto articolo di giornale citato alla fine del libro sembrava suggerire una storia vera (serviva e serve per vendere qualche copia in più). "Picnic at Hanging Rock" - ora una miniserie in sei puntate prodotta dalla tv australiana - era nella sezione Berlinale Series, lo spazio festivaliero che dal 2015 propone serie televisive. Berlino sembra aver fatto pace con la tv e con le piattaforme streaming che ancora turbano il sonno dei rivali. Il festival di Cannes, per esempio, accetta serie d'autore come "Top of the Lake-il mistero del lago" di Jane Campion o "Twin Peaks 3" di David Lynch. Ma dal prossimo anno rifiuterà film come "The Meyrowitz Stories" di Noah Baumbach, perché non sono distribuiti al cinema ma solo su Netflix. Perlopiù si tratta di produzioni europee - criterio meno punitivo per le serie che per il cinema, dal nord arrivano ottimi prodotti. Con qualche eccezione territoriale. Nel programma di quest'anno c'è la miniserie israeliana "Sleeping Bears" di Keren Margalit: un terapeuta muore in un incidente, gli appunti finiscono nelle mani di una paziente (promette, come permetteva "BeTipul" che noi conosciamo nel suo remake americano "In Treatment"). Dagli Stati Uniti arriva "The Looming Tower" (Amazon Prime Video, in Italia dal 9 marzo): "looming" sta per "incombente", quel che stava per capitare era l'11 settembre. Siamo alla fine degli anni 90, Osama Bin Laden e al Qaeda si fanno più minacciosi, Fbi e Cia combinano pasticci e spianano la strada agli attentatori. Questa, almeno, la tesi sostenuta nel libro che ha ispirato la miniserie con Jeff Daniels e Tahar Rahimi, guest star Alec Baldwin. Lo ha scritto Laurence Wright, che in precedenza si era dedicato a Scientology ("La prigione della fede", Adelphi). Frequenta gente fuori di testa oggi e frequentala domani, un pochino lo hanno contagiato. Siccome la Berlinale è un festival con un mercato che funziona (anche se gli operatori erano piuttosto tiepidi, e i giornalisti pure, dopo un Sundance 2018 scarso di affari) alle serie presentate in anteprima si affiancano dal 19 al 21 febbraio i "Drama Series Days". Nella prima edizione, anno 2015, fu mostrata agli addetti ai lavori la bella e costosa serie "Babylon Berlin" (2,4 milioni di euro a episodio). Era diretta da Tom Tykwer, quest'anno presidente della giuria che assegna l'Orso d'oro. Volevano un giudizio spassionato, non un finanziamento come gli otto progetti di serie scelti quest'anno per i pitch: una specie di speed date che fa incontrare showrunner e produttori (le idee davvero azzeccate si dicono in due minuti, se serve di più qualcosa non va). Sono stati scelti tra 120 richiedenti, per applicare alla televisione - o alle piattaforme streaming - le coproduzioni internazionali già collaudate per il cinema". (Mariarosa Mancuso)
Dopo l'apripista Telefilm Festival, le serie tv sdoganate anche dai festival di cinema
"Capita che gli scrittori si divertano a fare i dispetti. Gogol scrisse la seconda parte delle "Anime morte" e in un febbrile delirio religioso la bruciò (la terza, prevista dallo schema dantesco, non la scrisse mai). Capita che i dispetti li facciano gli editori. Joan Lindsay, la scrittrice degli antipodi a cui dobbiamo "Picnic a Hanging Rock" aveva previsto una soluzione del mistero. Quando l'editore eliminò dal romanzo l'ultimo capitolo, diede ordine di pubblicarlo dopo la sua morte. Ebbe il cattivo gusto di andarsene nel 1984, quando ormai Peter Weir aveva girato il film, fissando la storia al punto in cui era. Tre studentesse scompaiono durante il picnic, a San Valentino del 1900, e di loro nessuno saprà più nulla. Di più: un finto articolo di giornale citato alla fine del libro sembrava suggerire una storia vera (serviva e serve per vendere qualche copia in più). "Picnic at Hanging Rock" - ora una miniserie in sei puntate prodotta dalla tv australiana - era nella sezione Berlinale Series, lo spazio festivaliero che dal 2015 propone serie televisive. Berlino sembra aver fatto pace con la tv e con le piattaforme streaming che ancora turbano il sonno dei rivali. Il festival di Cannes, per esempio, accetta serie d'autore come "Top of the Lake-il mistero del lago" di Jane Campion o "Twin Peaks 3" di David Lynch. Ma dal prossimo anno rifiuterà film come "The Meyrowitz Stories" di Noah Baumbach, perché non sono distribuiti al cinema ma solo su Netflix. Perlopiù si tratta di produzioni europee - criterio meno punitivo per le serie che per il cinema, dal nord arrivano ottimi prodotti. Con qualche eccezione territoriale. Nel programma di quest'anno c'è la miniserie israeliana "Sleeping Bears" di Keren Margalit: un terapeuta muore in un incidente, gli appunti finiscono nelle mani di una paziente (promette, come permetteva "BeTipul" che noi conosciamo nel suo remake americano "In Treatment"). Dagli Stati Uniti arriva "The Looming Tower" (Amazon Prime Video, in Italia dal 9 marzo): "looming" sta per "incombente", quel che stava per capitare era l'11 settembre. Siamo alla fine degli anni 90, Osama Bin Laden e al Qaeda si fanno più minacciosi, Fbi e Cia combinano pasticci e spianano la strada agli attentatori. Questa, almeno, la tesi sostenuta nel libro che ha ispirato la miniserie con Jeff Daniels e Tahar Rahimi, guest star Alec Baldwin. Lo ha scritto Laurence Wright, che in precedenza si era dedicato a Scientology ("La prigione della fede", Adelphi). Frequenta gente fuori di testa oggi e frequentala domani, un pochino lo hanno contagiato. Siccome la Berlinale è un festival con un mercato che funziona (anche se gli operatori erano piuttosto tiepidi, e i giornalisti pure, dopo un Sundance 2018 scarso di affari) alle serie presentate in anteprima si affiancano dal 19 al 21 febbraio i "Drama Series Days". Nella prima edizione, anno 2015, fu mostrata agli addetti ai lavori la bella e costosa serie "Babylon Berlin" (2,4 milioni di euro a episodio). Era diretta da Tom Tykwer, quest'anno presidente della giuria che assegna l'Orso d'oro. Volevano un giudizio spassionato, non un finanziamento come gli otto progetti di serie scelti quest'anno per i pitch: una specie di speed date che fa incontrare showrunner e produttori (le idee davvero azzeccate si dicono in due minuti, se serve di più qualcosa non va). Sono stati scelti tra 120 richiedenti, per applicare alla televisione - o alle piattaforme streaming - le coproduzioni internazionali già collaudate per il cinema". (Mariarosa Mancuso)
Chiamate il 911!
— Leo Damerini (@LeoDamerini) 27 febbraio 2018
Ryan Murphy ha il morbo di #shondaland e da #AHSCult a #TheAssassinationofGianniVersace non ne azzecca più (91)uno.
martedì 27 febbraio 2018
GOSSIP - Ultima ora! Arrestata la Locklear! L'attrice di "Melrose Place" e "TJ Hooker" in manette per aver menato un poliziotto...
News tratta da LaStampa.it
News tratta da LaStampa.it
Heather Locklear è finita in manette per violenze domestiche. Lo scrive Tmz sottolineando che l’attrice è stata arrestata per aver picchiato il fidanzato e poi i poliziotti intervenuti dopo una chiamata al numero di emergenza. Secondo quanto hanno riferito le autorità, è stato il fratello della bionda di `Melrose Place´, 56 anni, a chiamare la polizia dopo aver visto litigare la donna e il fidanzato. Quando gli agenti sono arrivati nella sua abitazione a Los Angeles, nel tentativo di fermarla sono stati presi a loro volta a calci e pugni. Dopo essere stata arrestata, la Locklear è stata portata in ospedale per una visita, visto l’abuso di droghe in passato.
NEWS - Niente Ball(e) americane! Da stasera "Here and Now" su una famiglia Usa progressista piena di...Oscar
Su Sky Atlantic HD torna la grande serialità targata HBO. Da oggi 27 febbraio arriva, in prima visione esclusiva dalle 21.15, "Here and Now - Una famiglia americana", una nuova, ambiziosa produzione del canale via cavo americano firmata da Alan Ball, Premio Oscar per lo script di American Beauty e creatore e showrunner di serie tv di culto come Six Feet Under (9 Emmy Awards), True Blood e Banshee. A guidare il cast, i premi Oscar Tim Robbins (per Mystic River) e Holly Hunter (per Lezioni di piano). I dieci episodi della prima stagione ruotano attorno a una famiglia di Portland (Oregon), i Bayer-Boatwrights, famiglia all’apparenza esemplare, multietnica e progressista. Greg (Tim Robbins), rispettato professore di filosofia e scrittore, la sua maniacale moglie Audrey (Holly Hunter), una consulente che si occupa di risolvere i conflitti nel liceo locale, e i quattro figli della coppia: i tre adottivi, provenienti dal Vietnam, dalla Liberia e dalla Colombia, e la loro unica figlia biologica, la diciassettenne Kristen (Sosie Bacon). Mentre Audrey sta organizzando la festa di compleanno per i sessant’anni del marito, le crepe cominciano ad affiorare. I Bayer-Boatwrights si troveranno infatti ad affrontare una serie di cambiamenti importanti e sfide emotive quando uno dei ragazzi, Ramon (Daniel Zovatto), inizierà a notare delle cose che sono invisibili allo sguardo degli altri. Si tratta di malattia mentale o di qualcos’altro? Prodotta da Alan Ball, Peter Macdissi e David Knoller, attraverso il punto di vista privilegiato di una famiglia così atipica, la serie indaga il sistema culturale americano anche attraverso il ritratto di un’altra famiglia, musulmana e contemporanea, quella di Farid Shokrani (Peter Macdissi, Six Feet Under, Banshee), lo psichiatra che prenderà in cura Ramon e che ha un’improbabile e inspiegabile connessione con il ragazzo. Le due famiglie al centro degli episodi riflettono il potenziale multiculturale dell’America odierna. Nell’affrontare i problemi personali, politici, culturali, spirituali e psicologici che si abbattono sui membri delle famiglie protagoniste, in maniera provocatoria e a tratti tristemente comica la serie prova a dare una risposta alla domanda: cosa vuol dire essere un “altro” negli Stati Uniti di oggi? Nel cast anche Jerrika Hinton (Grey’s Anatomy), Raymond Lee (Mozart in the Jungle) e Joe Williamson (Looking).
Su Sky Atlantic HD torna la grande serialità targata HBO. Da oggi 27 febbraio arriva, in prima visione esclusiva dalle 21.15, "Here and Now - Una famiglia americana", una nuova, ambiziosa produzione del canale via cavo americano firmata da Alan Ball, Premio Oscar per lo script di American Beauty e creatore e showrunner di serie tv di culto come Six Feet Under (9 Emmy Awards), True Blood e Banshee. A guidare il cast, i premi Oscar Tim Robbins (per Mystic River) e Holly Hunter (per Lezioni di piano). I dieci episodi della prima stagione ruotano attorno a una famiglia di Portland (Oregon), i Bayer-Boatwrights, famiglia all’apparenza esemplare, multietnica e progressista. Greg (Tim Robbins), rispettato professore di filosofia e scrittore, la sua maniacale moglie Audrey (Holly Hunter), una consulente che si occupa di risolvere i conflitti nel liceo locale, e i quattro figli della coppia: i tre adottivi, provenienti dal Vietnam, dalla Liberia e dalla Colombia, e la loro unica figlia biologica, la diciassettenne Kristen (Sosie Bacon). Mentre Audrey sta organizzando la festa di compleanno per i sessant’anni del marito, le crepe cominciano ad affiorare. I Bayer-Boatwrights si troveranno infatti ad affrontare una serie di cambiamenti importanti e sfide emotive quando uno dei ragazzi, Ramon (Daniel Zovatto), inizierà a notare delle cose che sono invisibili allo sguardo degli altri. Si tratta di malattia mentale o di qualcos’altro? Prodotta da Alan Ball, Peter Macdissi e David Knoller, attraverso il punto di vista privilegiato di una famiglia così atipica, la serie indaga il sistema culturale americano anche attraverso il ritratto di un’altra famiglia, musulmana e contemporanea, quella di Farid Shokrani (Peter Macdissi, Six Feet Under, Banshee), lo psichiatra che prenderà in cura Ramon e che ha un’improbabile e inspiegabile connessione con il ragazzo. Le due famiglie al centro degli episodi riflettono il potenziale multiculturale dell’America odierna. Nell’affrontare i problemi personali, politici, culturali, spirituali e psicologici che si abbattono sui membri delle famiglie protagoniste, in maniera provocatoria e a tratti tristemente comica la serie prova a dare una risposta alla domanda: cosa vuol dire essere un “altro” negli Stati Uniti di oggi? Nel cast anche Jerrika Hinton (Grey’s Anatomy), Raymond Lee (Mozart in the Jungle) e Joe Williamson (Looking).
lunedì 26 febbraio 2018
NEWS - Tutto cambia, in tv come nella vita, tranne l'Auditel. Dopo 30 anni poco si è evoluto nella rivelazione dittatoriale degli ascolti: tra buchi, bachi e misteri mai risolti, non è ancora attiva la classificazione di chi guarda i programmi dal pc, smartphone o tablet
Articolo di Vincenzo Vita su "il manifesto"
Articolo di Vincenzo Vita su "il manifesto"
Auditel, trent'anni dopo. E stata presentata nei giorni passati la nuova strategia del vecchio istituto di rilevazione dei dati dell'ascolto televisivo. L'autoriforma è considerevole, come si evince dall'interessante relazione tenuta alla camera dei deputati dal presidente Andrea Imperiali. All'inizio, infatti, erano seguite le reti del duopolio» Rai-Mediaset, con qualche attenzione residuale al cosiddetto terzo polo, che allora aveva le sembianze di Telemontecarlo. Il resto del mondo era di fatto classificato nelle "altre". Ora sono circa 440 le emittenti rilevate sul digitale terrestre e 209 i soggetti free e pay distribuiti sul satellite. Ed è in corso d'opera l'apertura alla SmartTv, al Pc, a smartphone e tablet: i device digitali. Non solo. Il dato di immediato rilievo è costituito a partire dal 30 luglio dall'introduzione di un «SuperPanel» di 16.100 famiglie, il triplo delle attuali 5.700. Tuttavia, a monte rimane attualissima (anzi) la riflessione critica di Ien Ang nel suo cristallino volume «Cercasi audience disperatamente» (1991), laddove si mette in causa il punto di vista istituzionale (inteso come quello dei soggetti implicati commercialmente), che ha colonizzato le pratiche reali e la loro percezione. «L'audience è considerata nulla più che un'entità data per scontata, formata da un insieme di persone sconosciute, ma non per questo non conoscibili...».
Per quanto apparentemente perfezionati, i dati non ci raccontano la verità: non solo quanto, bensì come come si ascolta, pure tenendo acceso il video senza seguirlo davvero. Già nell'ottobre del 2015 scoppiò lo scandalo dei «bachi» nella mailing del campione, tali da vanificare ogni segretezza. Per non dire dei casi clamorosi del monoscopio seguito come il programma malgrado l'interruzione tecnica, o della curiosa omologazione in basso di taluni programmi (vedi l'opera o la lirica) scarsamente appetibili sotto il profilo pubblicitario. E utile rileggere l' istruttiva intervista che fece ad una famiglia-meter nel dicembre del 2011 Alessandra Comazzi, giustamente celebrata dal suo giornale -La Stampa- dopo ventotto anni di critica televisiva. E si, perché in fondo il calcolo degli ascoltatori risponde all'esigenza dell'accumulazione primaria dei media: vendere il pubblico alla pubblicità. E, malgrado lo spirito innovatore, l'Auditel non pare cambiare granché rispetto alle origini.
Inoltre, va ben compresa la nuova età cross-mediale. Le attitudini del e nel consumo non riguardano solo la variazione della fruizione. Un programma, magari di nicchia (Cattelan?), raggiunge anche quattro milioni di visualizzazioni sui social e fa opinione a differenza di un programma di palinsesto forte per il traino inerziale della rete generalista. Proprio l'era numerica richiede approcci complessi per capire sul serio i numeri. E veniamo alla questione delicata. Per quanto perfezionata, la società raccoglie i dati in esclusiva. Sarebbe stato assai meglio, in ottemperanza allo spirito della legge 249 del 1997, che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni mettesse a gara la ricerca, attribuendo la commessa ad almeno due soggetti in concorrenza. Neppure convince la logica sbandierata del Joint Industry Committee, vale a dire il modello di gestione attribuito ai diretti interessati: emittenti e associazioni della pubblicità o del settore. Insomma, i beneficiari della suddivisione dell'advertising siedono nella stanza dei bottoni. E il «Gattopardo» vince sempre: cambiare un po' per non cambiare.
Per quanto apparentemente perfezionati, i dati non ci raccontano la verità: non solo quanto, bensì come come si ascolta, pure tenendo acceso il video senza seguirlo davvero. Già nell'ottobre del 2015 scoppiò lo scandalo dei «bachi» nella mailing del campione, tali da vanificare ogni segretezza. Per non dire dei casi clamorosi del monoscopio seguito come il programma malgrado l'interruzione tecnica, o della curiosa omologazione in basso di taluni programmi (vedi l'opera o la lirica) scarsamente appetibili sotto il profilo pubblicitario. E utile rileggere l' istruttiva intervista che fece ad una famiglia-meter nel dicembre del 2011 Alessandra Comazzi, giustamente celebrata dal suo giornale -La Stampa- dopo ventotto anni di critica televisiva. E si, perché in fondo il calcolo degli ascoltatori risponde all'esigenza dell'accumulazione primaria dei media: vendere il pubblico alla pubblicità. E, malgrado lo spirito innovatore, l'Auditel non pare cambiare granché rispetto alle origini.
Inoltre, va ben compresa la nuova età cross-mediale. Le attitudini del e nel consumo non riguardano solo la variazione della fruizione. Un programma, magari di nicchia (Cattelan?), raggiunge anche quattro milioni di visualizzazioni sui social e fa opinione a differenza di un programma di palinsesto forte per il traino inerziale della rete generalista. Proprio l'era numerica richiede approcci complessi per capire sul serio i numeri. E veniamo alla questione delicata. Per quanto perfezionata, la società raccoglie i dati in esclusiva. Sarebbe stato assai meglio, in ottemperanza allo spirito della legge 249 del 1997, che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni mettesse a gara la ricerca, attribuendo la commessa ad almeno due soggetti in concorrenza. Neppure convince la logica sbandierata del Joint Industry Committee, vale a dire il modello di gestione attribuito ai diretti interessati: emittenti e associazioni della pubblicità o del settore. Insomma, i beneficiari della suddivisione dell'advertising siedono nella stanza dei bottoni. E il «Gattopardo» vince sempre: cambiare un po' per non cambiare.
domenica 25 febbraio 2018
GOSSIP - James Bay s'innamora della farfallina di Natalia Dyer di "Stranger Things" nell'ultimo video!
James Bay just dropped the music video for his song “Wild Love” starring Stranger Things actress Natalia Dyer! This is the first time that James has ever enlisted a female co-star in one of his videos. “It was such a pleasure to work with Natalia on the ‘Wild Love’ set,” James said about working with the actress. “She’s a lovely person, a huge talent and it was great hanging with her while making this video. I’m a massive Stranger Things fan so I tried everything in my power not to fan boy too hard.”
James Bay just dropped the music video for his song “Wild Love” starring Stranger Things actress Natalia Dyer! This is the first time that James has ever enlisted a female co-star in one of his videos. “It was such a pleasure to work with Natalia on the ‘Wild Love’ set,” James said about working with the actress. “She’s a lovely person, a huge talent and it was great hanging with her while making this video. I’m a massive Stranger Things fan so I tried everything in my power not to fan boy too hard.”
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