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venerdì 1 settembre 2017
mercoledì 30 agosto 2017
NEWS - Achtung, compagne! E se il dietrofront del reboot di "Xena" fosse dipeso dalla trama lesbo troppo centrale?
Articolo tratto da "Il Foglio"
"E' ufficiale: Xena, principessa guerriera non diventerà un reboot. Niente revival, prequel, sequel. "Non c'è ragione di far rivivere Xena se non per raccontare una relazione che negli anni Novanta poteva trasparire solo in modo implicito", aveva detto qualche mese fa l'autore Javier Grillo Marxuach (Lost, The 100), spiegando le "incompatibilità artistiche" che lo avevano spinto ad abbandonare il progetto e riferendosi alla relazione lesbica di Xena e la sua amica Olimpia. La Nbc Entertainement aveva provato a tenere unita la produzione, ma invano: mercoledì la presidente Jennifer Salke ha reso nota la defezione, senza escludere che in futuro le cose possano cambiare. Il soggetto pervenuto era, secondo Salke, "insufficiente". Espunto l'amore tra Xena e Olimpia, quindi, gli autori arrivati dopo Marxuach non hanno saputo dar sangue alle nuove avventure della principessa guerriera che, negli anni Novanta (precisamente, dal 1995 al 2001, 137 episodi replicati e idolatrati per oltre un decennio), ha appassionato il mondo, infervorato i classicisti, anticipato l'anti canone della principessa che salva anziché farsi salvare e non lo fa da crocerossina, ma da guerriera. Xena l'amazzone, l'arciera, l'amica/nemica degli dèi, la prima favola per bambine ribelli, quando le bambine ribelli non erano un target, né la clientela di un brand e (almeno in Italia) guardavano Xena su Italia 1 e Canale 5, dopo Candy Candy. Xena, the warriorprincess nacque come spin off della serie Hercules (biblico, no?) e, in pochissimo tempo, non solo la pensionò, ma ne fece antiquariato: è di citazioni di Xena che sono piene le sceneggiature dei telefilm coevi più di successo, è lei a sedere nell'Olimpo delle icone di quegli anni, fu lei a tramandare la mitologia greca (anche se con parecchie imprecisioni) ai millennial ed è lei che è arrivata fino a noi, intatta e indocile. Qualche mese fa, mentre il successo del film Wonder Woman, al cinema, entusiasmava per la sua intonazione perfetta di femminile a femminismo, in molti ricordavano che la prima, vera, insostituibile amazzone, eroina femminile, femminista, femmina era Xena e che i tempi per scongelarla fossero ormai maturi. La Wonder Woman che abbiamo visto al cinema portava i segni del femminismo rabbonito per farsi universale, #genderfree e pol. corr., assieme a quelli di una scrittura dei supereroi che, negli ultimi anni, degli stessi ha voluto sottolineare limiti, debolezze, umanità. Xena, invece, era implacabile. Non si sarebbe mai sognata di andare in battaglia urlando "Credo nell'amore", di mostrarsi vulnerabile, di rivelarsi accomodante, sorridente, addomesticabile. I fan che, negli ultimi due anni, hanno chiesto che l'attrice protagonista rimanesse Lucy Lawless, ambientalista e attivista per i diritti Igbt, avevano sete di questo e non di un Harmony omosessuale con sfondo fantasy mitologico. La Nbc non ha censurato l'esplicitazione del rapporto lesbico tra Xena e Olimpia, quanto l'idea, che era di Marxuach, di farne la trama e il senso del reboot e forzando Xena nei panni di un'amante. Nel telefilm originale, gli autori scelsero di velare i gusti sessuali di Xena non solo perché erano gli anni Novanta e non si riteneva ancora che l'emancipazione passasse per la rappresentazione (anzi, un briciolo di lucidità consentiva di intravvedere, in quel processo, il pericolo di omologazione), ma pure perché l'ambiguità arricchiva il personaggio e consentiva l'impermeabilità del suo destino alle questioni di cuore, avendo Xena un compito preciso: salvare il mondo. Furono i fan a decidere che Xena era lesbica, a pronunciare la parola definitiva di quella che, in linguaggio tecnico, si chiama "fan fiction" (la storia scritta/riscritta dai fan). A quei fan, Marxuach voleva offrire un pacchetto, una Xena incatenata a un target: gli è stato impedito. Quando si dice un lieto fine".
Articolo tratto da "Il Foglio"
"E' ufficiale: Xena, principessa guerriera non diventerà un reboot. Niente revival, prequel, sequel. "Non c'è ragione di far rivivere Xena se non per raccontare una relazione che negli anni Novanta poteva trasparire solo in modo implicito", aveva detto qualche mese fa l'autore Javier Grillo Marxuach (Lost, The 100), spiegando le "incompatibilità artistiche" che lo avevano spinto ad abbandonare il progetto e riferendosi alla relazione lesbica di Xena e la sua amica Olimpia. La Nbc Entertainement aveva provato a tenere unita la produzione, ma invano: mercoledì la presidente Jennifer Salke ha reso nota la defezione, senza escludere che in futuro le cose possano cambiare. Il soggetto pervenuto era, secondo Salke, "insufficiente". Espunto l'amore tra Xena e Olimpia, quindi, gli autori arrivati dopo Marxuach non hanno saputo dar sangue alle nuove avventure della principessa guerriera che, negli anni Novanta (precisamente, dal 1995 al 2001, 137 episodi replicati e idolatrati per oltre un decennio), ha appassionato il mondo, infervorato i classicisti, anticipato l'anti canone della principessa che salva anziché farsi salvare e non lo fa da crocerossina, ma da guerriera. Xena l'amazzone, l'arciera, l'amica/nemica degli dèi, la prima favola per bambine ribelli, quando le bambine ribelli non erano un target, né la clientela di un brand e (almeno in Italia) guardavano Xena su Italia 1 e Canale 5, dopo Candy Candy. Xena, the warriorprincess nacque come spin off della serie Hercules (biblico, no?) e, in pochissimo tempo, non solo la pensionò, ma ne fece antiquariato: è di citazioni di Xena che sono piene le sceneggiature dei telefilm coevi più di successo, è lei a sedere nell'Olimpo delle icone di quegli anni, fu lei a tramandare la mitologia greca (anche se con parecchie imprecisioni) ai millennial ed è lei che è arrivata fino a noi, intatta e indocile. Qualche mese fa, mentre il successo del film Wonder Woman, al cinema, entusiasmava per la sua intonazione perfetta di femminile a femminismo, in molti ricordavano che la prima, vera, insostituibile amazzone, eroina femminile, femminista, femmina era Xena e che i tempi per scongelarla fossero ormai maturi. La Wonder Woman che abbiamo visto al cinema portava i segni del femminismo rabbonito per farsi universale, #genderfree e pol. corr., assieme a quelli di una scrittura dei supereroi che, negli ultimi anni, degli stessi ha voluto sottolineare limiti, debolezze, umanità. Xena, invece, era implacabile. Non si sarebbe mai sognata di andare in battaglia urlando "Credo nell'amore", di mostrarsi vulnerabile, di rivelarsi accomodante, sorridente, addomesticabile. I fan che, negli ultimi due anni, hanno chiesto che l'attrice protagonista rimanesse Lucy Lawless, ambientalista e attivista per i diritti Igbt, avevano sete di questo e non di un Harmony omosessuale con sfondo fantasy mitologico. La Nbc non ha censurato l'esplicitazione del rapporto lesbico tra Xena e Olimpia, quanto l'idea, che era di Marxuach, di farne la trama e il senso del reboot e forzando Xena nei panni di un'amante. Nel telefilm originale, gli autori scelsero di velare i gusti sessuali di Xena non solo perché erano gli anni Novanta e non si riteneva ancora che l'emancipazione passasse per la rappresentazione (anzi, un briciolo di lucidità consentiva di intravvedere, in quel processo, il pericolo di omologazione), ma pure perché l'ambiguità arricchiva il personaggio e consentiva l'impermeabilità del suo destino alle questioni di cuore, avendo Xena un compito preciso: salvare il mondo. Furono i fan a decidere che Xena era lesbica, a pronunciare la parola definitiva di quella che, in linguaggio tecnico, si chiama "fan fiction" (la storia scritta/riscritta dai fan). A quei fan, Marxuach voleva offrire un pacchetto, una Xena incatenata a un target: gli è stato impedito. Quando si dice un lieto fine".
martedì 29 agosto 2017
lunedì 28 agosto 2017
NEWS - Tutti contro Netflix! Oltre a Apple e Amazon, all'attacco anche Facebook, Google e Snapchat. Con un rischio: "troppe serie tv disorientano"...
Articolo tratto da "Il Fatto Quotidiano"
"Chiederselo con le parole del Wall Street Journal: Netflix potrà sopravvivere al nuovo mondo che ha creato? La risposta: dipende da come uscirà dalla guerra dello streaming che rischia di polverizzare il mercato e cambiarne i connotati. Apple, la società che fabbrica gli iPhone, ha annunciato di essere pronta a investire un miliardo di dollari per produrre contenuti televisivi da vendere sulla sua piattaforma di streaming: serie televisive "di alto livello", almeno una decina, con costi tra i 2 milioni di dollari (comedy) e i 5 milioni (drama) a puntata. L'azienda di Cupertino entra nel mercato dell'intrattenimento e sfida, seppur con un budget minore (ne12013, anno della sua fondazione, Netflix aveva investito almeno il doppio), i big dello streaming tv. Amazon inclusa.
L'annuncio arriva dopo una lunga serie di colpetti assestati all'azienda di Hastings e Sarandos per provare a toglierle l'egemonia: a inizio agosto, la Disney ha annunciato che dal 2019 si staccherà da Netflix. Una rottura che dovrebbe riguardare solo il mercato americano e che non dovrebbe modificare gli accordi extra Usa né la collaborazione con la Marvel Tv, divisione della Walt Disney Company specializzata nelle serie ispirate ai fumetti. L'accordo con la Disney risale al 2012. Ora, la società di Topolino vuole mettersi in proprio e distribuire da sola i contenuti dopo l'acquisizione dell'azienda specializzata in tecnologia di streaming, BAMTech. Per correre ai ripari, Netflix ha acquisito la casa di fumetti Millaworld. Sempre agosto, sempre annunci. Stavolta tocca a Facebook. Il social network di Mark Zuckerberg, che conta su una platea di quasi due miliardi di utenti (leggi 'potenziali spettatori'), conferma le voci diffuse da qualche settimana: il lancio di Watch, una piattaforma per gli show che dovrebbe attrarre produttori di contenuti ed editori. Anche qui episodi, anche in questo caso la possibilità pergli utenti di personalizzare la propria scelta e i programmi cuciti sui loro gusti grazie ai big data. Non è chiaro se si tratterà di un servizio a pagamento, ma di sicuro risponde all'obiettivo del social network di diventare Internet', di trattenere gli utenti sulle proprie pagine. E poi, YouTubeTv, il servizio di Google con 40 canali in abbonamento (partito in c inque c ittà americane), gl i investimenti di Amazon, il debutto di Snapchat nella produzione di una serie tv e in pillole di informazione. Insomma, c'è un cambiamento: gli investimenti non sono più sulla tecnologia video - che pur, a parità di offerta, diventerà una discriminante - ma sulla produzione. "Le piattaforme di video in streaming erano destinate a mettere la scelta nelle mani dello spettatore - scrive Marc C Scott, docente di nuovi media per la Victoria University australiana -. Gli spettatori avrebbero potuto guardare il contenuto che volevano, quando volevano. Ma la crescente frammentazione del mercato on demand rischia di confonderli più di prima". A fine 2016, si annunciavano 500 sceneggiature per il 2017, il doppio rispetto al 2010. E si spendono oltre 26 miliardi per produrre i contenuti. L'analisi di Scott conferma le previsioni degli esperti: l'offerta diventerà eccessiva. Troppe serie tv, troppi servizi, spesa enorme.
Il concetto è questo: gli abbonamenti sono accessibili (in media tra i 10 e i 15 euro al mese) ma per accedere ai contenuti originali prodotti dalle diverse aziende bisognerà sottoscriverne più di uno. "Potremmo arrivare - si chiede Scott a un punto in cui i servizi di sottoscrizione in bundle o aggregati diventeranno una scelta più fattibile?". Intanto, Netflix prova a non perdere la partita. Si parla di un debito di 20 miliardi di dollari ma, ha spiegato l'azienda a La Stampa, si dividerebbe in debito effettivo e in obbligazionisui contenuti. "Il vero debito - spiegano a Gian Maria Tammaro - è di circa 4,8 miliardi di dollari. Le obbligazioni, a circa 15 miliardi". E servono per le licenze. "Più produciamo, più persone si abbonano", dicono. Solo che ora iniziano a farlo anche gli altri".
Articolo tratto da "Il Fatto Quotidiano"
"Chiederselo con le parole del Wall Street Journal: Netflix potrà sopravvivere al nuovo mondo che ha creato? La risposta: dipende da come uscirà dalla guerra dello streaming che rischia di polverizzare il mercato e cambiarne i connotati. Apple, la società che fabbrica gli iPhone, ha annunciato di essere pronta a investire un miliardo di dollari per produrre contenuti televisivi da vendere sulla sua piattaforma di streaming: serie televisive "di alto livello", almeno una decina, con costi tra i 2 milioni di dollari (comedy) e i 5 milioni (drama) a puntata. L'azienda di Cupertino entra nel mercato dell'intrattenimento e sfida, seppur con un budget minore (ne12013, anno della sua fondazione, Netflix aveva investito almeno il doppio), i big dello streaming tv. Amazon inclusa.
L'annuncio arriva dopo una lunga serie di colpetti assestati all'azienda di Hastings e Sarandos per provare a toglierle l'egemonia: a inizio agosto, la Disney ha annunciato che dal 2019 si staccherà da Netflix. Una rottura che dovrebbe riguardare solo il mercato americano e che non dovrebbe modificare gli accordi extra Usa né la collaborazione con la Marvel Tv, divisione della Walt Disney Company specializzata nelle serie ispirate ai fumetti. L'accordo con la Disney risale al 2012. Ora, la società di Topolino vuole mettersi in proprio e distribuire da sola i contenuti dopo l'acquisizione dell'azienda specializzata in tecnologia di streaming, BAMTech. Per correre ai ripari, Netflix ha acquisito la casa di fumetti Millaworld. Sempre agosto, sempre annunci. Stavolta tocca a Facebook. Il social network di Mark Zuckerberg, che conta su una platea di quasi due miliardi di utenti (leggi 'potenziali spettatori'), conferma le voci diffuse da qualche settimana: il lancio di Watch, una piattaforma per gli show che dovrebbe attrarre produttori di contenuti ed editori. Anche qui episodi, anche in questo caso la possibilità pergli utenti di personalizzare la propria scelta e i programmi cuciti sui loro gusti grazie ai big data. Non è chiaro se si tratterà di un servizio a pagamento, ma di sicuro risponde all'obiettivo del social network di diventare Internet', di trattenere gli utenti sulle proprie pagine. E poi, YouTubeTv, il servizio di Google con 40 canali in abbonamento (partito in c inque c ittà americane), gl i investimenti di Amazon, il debutto di Snapchat nella produzione di una serie tv e in pillole di informazione. Insomma, c'è un cambiamento: gli investimenti non sono più sulla tecnologia video - che pur, a parità di offerta, diventerà una discriminante - ma sulla produzione. "Le piattaforme di video in streaming erano destinate a mettere la scelta nelle mani dello spettatore - scrive Marc C Scott, docente di nuovi media per la Victoria University australiana -. Gli spettatori avrebbero potuto guardare il contenuto che volevano, quando volevano. Ma la crescente frammentazione del mercato on demand rischia di confonderli più di prima". A fine 2016, si annunciavano 500 sceneggiature per il 2017, il doppio rispetto al 2010. E si spendono oltre 26 miliardi per produrre i contenuti. L'analisi di Scott conferma le previsioni degli esperti: l'offerta diventerà eccessiva. Troppe serie tv, troppi servizi, spesa enorme.
Il concetto è questo: gli abbonamenti sono accessibili (in media tra i 10 e i 15 euro al mese) ma per accedere ai contenuti originali prodotti dalle diverse aziende bisognerà sottoscriverne più di uno. "Potremmo arrivare - si chiede Scott a un punto in cui i servizi di sottoscrizione in bundle o aggregati diventeranno una scelta più fattibile?". Intanto, Netflix prova a non perdere la partita. Si parla di un debito di 20 miliardi di dollari ma, ha spiegato l'azienda a La Stampa, si dividerebbe in debito effettivo e in obbligazionisui contenuti. "Il vero debito - spiegano a Gian Maria Tammaro - è di circa 4,8 miliardi di dollari. Le obbligazioni, a circa 15 miliardi". E servono per le licenze. "Più produciamo, più persone si abbonano", dicono. Solo che ora iniziano a farlo anche gli altri".
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