NEWS - Lucy LiuuuuuuuH! La nostra attrice dagli occhi a mandorla preferita rivela: "essere asiatica è stato un impedimento..."
Lucy Liu rocks a dramatic look for the fall cover story for the London based Schon! magazine.
Here’s what the 45-year-old Elementary actress had to share with the mag:
On starting out as an Asian actress in Hollywood:
“It was not easy at all. It was a long journey…I did a bunch of regional
theatre and odd jobs, just trying to get my foot in the door. For me,
it’s the issue about being Asian in the business. It’s a much more
narrow line to cross.”
On getting cast in Ally McBeal: “[It] really
launched me. It’s all about visibility when you’re on a show that
popular. It created a very nice résumé that I could play off.”
On television vs. movies: “There’s an immediacy to
television which I really love. You do it and you film it and it
actually airs. The dynamic of movies now has changed because of the
landscape of television and how accessible it is.”
For more from Lucy, visit SchonMagazine.com.
sabato 4 ottobre 2014
venerdì 3 ottobre 2014
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media nazionali e stranieri
RIVISTA STUDIO
E se le serie tv fossero un tantino sopravvalutate?
"Non parlare mai di sesso, politica e religione.
Non parlare mai di sesso, politica, religione e serie tv.
È il nuovo galateo, e non vale solo con gli sconosciuti.
L’altra sera a cena da amici ho osato dire che True Detective (comincia da noi su Sky Atlantic questo venerdì, dopo dieci mesi di torrent e streaming selvaggi) è un thriller un po’ convenzionale: il padrone di casa non voleva servirmi il dolce. Un passo indietro. Mi dicono da anni: tu sei tipo da cinema, non da serie Tv. Sarà. Ma True Detective è un film o un telefilm? E Top of the Lake? The Honourable Woman? Pure la serialità lunga: House of Cards non è un film? E Orange Is the New Black? E [piazzate un titolo qualsiasi, andrà bene in ogni caso]. Insomma, c’è differenza, oggi, tra cinema e televisione?
Parlerò da profano, da autarchico, da spettatore che – tra una nuova serie forse figa o forse no (ci vogliono almeno tre-quattro puntate per capirlo) e l’ennesima boiata cinematografica (per così dire) con Cameron Diaz – sceglierà ancora di buttare un occhio alla seconda, in streaming nella finestra accanto al suo documento Word. Non sempre, non più.
«Adesso però non cominciare a parlar male di Hbo o Netflix, non è proprio il caso», mi dice un’amica invitata come me a quella cena in cui non volevano servirmi il dolce. Non era (non è) mia intenzione, anche se nessuno mi credeva. È che oggi dire che la vecchia Hbo, quella che s’è inventata tutto, quella dei Soprano e di Sex and the City, mi sembra lontana; dire che l’autoconvincimento collettivo generato dal benedetto hype è il dato a cui gran parte del pubblico si ferma prima ancora della fruizione del prodotto stesso; dire che in giro si vedono troppe cose spacciate per stratosfericissime e in realtà pretestuose (The Leftovers: il pacco di Justin Theroux con la serie attorno); ecco, oggi dire tutto questo è diventato decisamente impopolare.
Come in quello sketch del Saturday Night Live con Andrew Garfield che lascia intendere “Beyoncé non mi fa impazzire” e gli ufficiali della Beygency, Nuova Inquisizione col compito di epurare i non adepti al culto collettivo della popstar, vanno a prelevarlo direttamente a casa.
«I toni drammatici che stanno accompagnando la pre-produzione della seconda stagione di True Detective hanno raggiunto livelli impensabili pure per gli standard di Hbo», ha scritto qualche giorno fa Variety all’annuncio dei nuovi protagonisti (Colin Farrell e Vince Vaughn, per i tre che ancora non lo sanno). La parte femminile principale è stata per settimane la più contesa a Hollywood (sempre per quei tre che ancora non lo sanno: l’ha spuntata Rachel McAdams). Per quanto mi riguarda, per True Detective 2 avrebbero potuto pure scritturare Martufello e Er Patata (che comunque, buttali via): in quella frase c’era comunque tutto.
Il benchmark ineguagliabile – e infatti ineguagliato – diventato da anni egemonia culturale. Hbo ha dettato la linea, gli altri seguono più o meno pedissequamente. Quel che conta è essere nel flusso inarrestabile dell’hype, appunto.
C’è una data a cui in molti fanno risalire la definitiva supremazia della televisione sul cinema. Era il maggio del 2012 quando James Wolcott di Vanity Fair scrisse (queste le parole con cui lo riprende oggi): «La Tv – inizialmente derisa come una scatola idiota – […] è creativamente maturata e si è fatta le ossa, mettendo il cinema al tappeto della cultura popolare. [Il cinema vede] i franchise dei blockbuster estivi farsi avanti in legioni da Comic-Con, mentre i più piccoli, coraggiosi e depressi titoli indie […] tengono accese le candele nelle sparute parrocchie della cinefilia. [Le serie Tv], amplificate da Twitter e Facebook, hanno trasfigurato gli spettatori e trasformato i critici in evangelici. Per profondità e dinamiche psicologiche dei personaggi, svolte narrative ingegnose, sequenze che lasciano a bocca aperta, […] la Tv ha superato i film, lasciandoli a giocare coi loro robottoni». Quest’anno, Wolcott è tornato sul luogo del delitto, chiedendosi: «Potrei forse essermi sbagliato?». La sua posizione cambia, pur restando gattopardescamente identica: «[La Tv corre] il rischio di diventare troppo consapevole delle sue possibilità di produrre “arte”. […] Se i principali show-runner si arrendono a illusioni di grandeur ancora più radicali, il mezzo potrebbe iniziare a pietrificarsi per eccessiva pretenziosità: […] è la sindrome di Terrence Malick».
Chissà se a lui glielo avranno servito, il dolce. Poi, lo so, io sono da anni il primo a contraddire se stesso. All’ultima Mostra del Cinema (ripeto: del Cinema) di Venezia s’è visto Olive Kitteridge (a novembre su Hbo, sul nostro Sky Atlantic a gennaio 2015), miniserie in quattro puntate tratta dal capolavoro di Elizabeth Strout, diretta dalla Lisa Cholodenko di I ragazzi stanno bene, protagonisti i favolosi Frances McDormand, Richard Jenkins e Bill Murray. Era meglio del 90% di cinema (così come siamo abituati a definirlo) visto al Lido in dieci giorni. Era Cinema a tutti gli effetti, difatti, ma presentato fuori concorso, perché di Televisione si trattava e la cosa deve aver mandato in tilt i selezionatori – italiani: l’anno scorso al Festival di Cannes c’era in concorso il bellissimo Behind the Candelabra, Tv-movie sulla vita di Liberace diretto da Steven Soderbergh e prodotto e trasmesso da Hbo; del resto già undici anni fa, sempre a Cannes, persino La meglio gioventù, che non era esattamente roba Hbo, vinse la sezione Un certain regard. I precedenti ci sono, basta saper cogliere la contemporaneità, bella o brutta che sia. Un passo avanti.
La speranza, da spettatore italiano che vede gli sceneggiatori del momento (risate del pubblico) firmare serie anacronistiche come Un’altra vita con Vanessa Incontrada e Loretta Goggi, in onda in queste settimane su RaiUno, è che la nostra Sky attuale faccia da noi quello che Hbo ha fatto negli Stati Uniti negli anni ’90. Forse ce la facciamo, a cambiare due-cose-due del linguaggio cinematografico.
Oggi da noi soltanto in televisione si ricomincia a scommettere sul cinema di genere di alta qualità (Gomorra – La serie) e su film drammatici che cercano di sganciarsi dalle solite due camere e tinello (In Treatment di Saverio Costanzo, per quanto sia un format già esistente e il suo regista Saverio Costanzo resti ancora uno dei pochi più bravi a esprimersi nel classico formato cinema). Tra poco si vedrà il grande romanzo popolare su Tangentopoli 1992, diretto da Giuseppe Gagliardi, l’anno prossimo arriverà The Young Pope di Paolo Sorrentino, che sulla carta pare decisamente più interessante dei fenicotteri sulla terrazza di Jep Gambardella. Proviamoci. Io ci credo, l’ho detto. E non solo perché sogno cene future in cui nessuno vorrà negarmi il tiramisù". (Mattia Carzaniga)
RIVISTA STUDIO
E se le serie tv fossero un tantino sopravvalutate?
"Non parlare mai di sesso, politica e religione.
Non parlare mai di sesso, politica, religione e serie tv.
È il nuovo galateo, e non vale solo con gli sconosciuti.
L’altra sera a cena da amici ho osato dire che True Detective (comincia da noi su Sky Atlantic questo venerdì, dopo dieci mesi di torrent e streaming selvaggi) è un thriller un po’ convenzionale: il padrone di casa non voleva servirmi il dolce. Un passo indietro. Mi dicono da anni: tu sei tipo da cinema, non da serie Tv. Sarà. Ma True Detective è un film o un telefilm? E Top of the Lake? The Honourable Woman? Pure la serialità lunga: House of Cards non è un film? E Orange Is the New Black? E [piazzate un titolo qualsiasi, andrà bene in ogni caso]. Insomma, c’è differenza, oggi, tra cinema e televisione?
Parlerò da profano, da autarchico, da spettatore che – tra una nuova serie forse figa o forse no (ci vogliono almeno tre-quattro puntate per capirlo) e l’ennesima boiata cinematografica (per così dire) con Cameron Diaz – sceglierà ancora di buttare un occhio alla seconda, in streaming nella finestra accanto al suo documento Word. Non sempre, non più.
«Adesso però non cominciare a parlar male di Hbo o Netflix, non è proprio il caso», mi dice un’amica invitata come me a quella cena in cui non volevano servirmi il dolce. Non era (non è) mia intenzione, anche se nessuno mi credeva. È che oggi dire che la vecchia Hbo, quella che s’è inventata tutto, quella dei Soprano e di Sex and the City, mi sembra lontana; dire che l’autoconvincimento collettivo generato dal benedetto hype è il dato a cui gran parte del pubblico si ferma prima ancora della fruizione del prodotto stesso; dire che in giro si vedono troppe cose spacciate per stratosfericissime e in realtà pretestuose (The Leftovers: il pacco di Justin Theroux con la serie attorno); ecco, oggi dire tutto questo è diventato decisamente impopolare.
Come in quello sketch del Saturday Night Live con Andrew Garfield che lascia intendere “Beyoncé non mi fa impazzire” e gli ufficiali della Beygency, Nuova Inquisizione col compito di epurare i non adepti al culto collettivo della popstar, vanno a prelevarlo direttamente a casa.
«I toni drammatici che stanno accompagnando la pre-produzione della seconda stagione di True Detective hanno raggiunto livelli impensabili pure per gli standard di Hbo», ha scritto qualche giorno fa Variety all’annuncio dei nuovi protagonisti (Colin Farrell e Vince Vaughn, per i tre che ancora non lo sanno). La parte femminile principale è stata per settimane la più contesa a Hollywood (sempre per quei tre che ancora non lo sanno: l’ha spuntata Rachel McAdams). Per quanto mi riguarda, per True Detective 2 avrebbero potuto pure scritturare Martufello e Er Patata (che comunque, buttali via): in quella frase c’era comunque tutto.
Il benchmark ineguagliabile – e infatti ineguagliato – diventato da anni egemonia culturale. Hbo ha dettato la linea, gli altri seguono più o meno pedissequamente. Quel che conta è essere nel flusso inarrestabile dell’hype, appunto.
C’è una data a cui in molti fanno risalire la definitiva supremazia della televisione sul cinema. Era il maggio del 2012 quando James Wolcott di Vanity Fair scrisse (queste le parole con cui lo riprende oggi): «La Tv – inizialmente derisa come una scatola idiota – […] è creativamente maturata e si è fatta le ossa, mettendo il cinema al tappeto della cultura popolare. [Il cinema vede] i franchise dei blockbuster estivi farsi avanti in legioni da Comic-Con, mentre i più piccoli, coraggiosi e depressi titoli indie […] tengono accese le candele nelle sparute parrocchie della cinefilia. [Le serie Tv], amplificate da Twitter e Facebook, hanno trasfigurato gli spettatori e trasformato i critici in evangelici. Per profondità e dinamiche psicologiche dei personaggi, svolte narrative ingegnose, sequenze che lasciano a bocca aperta, […] la Tv ha superato i film, lasciandoli a giocare coi loro robottoni». Quest’anno, Wolcott è tornato sul luogo del delitto, chiedendosi: «Potrei forse essermi sbagliato?». La sua posizione cambia, pur restando gattopardescamente identica: «[La Tv corre] il rischio di diventare troppo consapevole delle sue possibilità di produrre “arte”. […] Se i principali show-runner si arrendono a illusioni di grandeur ancora più radicali, il mezzo potrebbe iniziare a pietrificarsi per eccessiva pretenziosità: […] è la sindrome di Terrence Malick».
Chissà se a lui glielo avranno servito, il dolce. Poi, lo so, io sono da anni il primo a contraddire se stesso. All’ultima Mostra del Cinema (ripeto: del Cinema) di Venezia s’è visto Olive Kitteridge (a novembre su Hbo, sul nostro Sky Atlantic a gennaio 2015), miniserie in quattro puntate tratta dal capolavoro di Elizabeth Strout, diretta dalla Lisa Cholodenko di I ragazzi stanno bene, protagonisti i favolosi Frances McDormand, Richard Jenkins e Bill Murray. Era meglio del 90% di cinema (così come siamo abituati a definirlo) visto al Lido in dieci giorni. Era Cinema a tutti gli effetti, difatti, ma presentato fuori concorso, perché di Televisione si trattava e la cosa deve aver mandato in tilt i selezionatori – italiani: l’anno scorso al Festival di Cannes c’era in concorso il bellissimo Behind the Candelabra, Tv-movie sulla vita di Liberace diretto da Steven Soderbergh e prodotto e trasmesso da Hbo; del resto già undici anni fa, sempre a Cannes, persino La meglio gioventù, che non era esattamente roba Hbo, vinse la sezione Un certain regard. I precedenti ci sono, basta saper cogliere la contemporaneità, bella o brutta che sia. Un passo avanti.
La speranza, da spettatore italiano che vede gli sceneggiatori del momento (risate del pubblico) firmare serie anacronistiche come Un’altra vita con Vanessa Incontrada e Loretta Goggi, in onda in queste settimane su RaiUno, è che la nostra Sky attuale faccia da noi quello che Hbo ha fatto negli Stati Uniti negli anni ’90. Forse ce la facciamo, a cambiare due-cose-due del linguaggio cinematografico.
Oggi da noi soltanto in televisione si ricomincia a scommettere sul cinema di genere di alta qualità (Gomorra – La serie) e su film drammatici che cercano di sganciarsi dalle solite due camere e tinello (In Treatment di Saverio Costanzo, per quanto sia un format già esistente e il suo regista Saverio Costanzo resti ancora uno dei pochi più bravi a esprimersi nel classico formato cinema). Tra poco si vedrà il grande romanzo popolare su Tangentopoli 1992, diretto da Giuseppe Gagliardi, l’anno prossimo arriverà The Young Pope di Paolo Sorrentino, che sulla carta pare decisamente più interessante dei fenicotteri sulla terrazza di Jep Gambardella. Proviamoci. Io ci credo, l’ho detto. E non solo perché sogno cene future in cui nessuno vorrà negarmi il tiramisù". (Mattia Carzaniga)
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giovedì 2 ottobre 2014
NEWS - "Il 3D? Troppo di nicchia. Il futuro è dell'8k e dei film/telefilm in originale rallentati...". Il vicedirettore del Centro Ricerche Rai dixit
(ANSA) - TORINO - La transizione all'HD, le prospettive del 3D, della tecnologia 4K e del futuro 8K, il possibile sviluppo delle trasmissioni e degli apparati in modo compatibile con le risorse frequenziali disponibili. E poi novita' in arrivo nel breve termine, come film in lingua originale rallentati per facilitare la comprensione, e una super interattivita' grazie agli smartphone usati al posto del telecomando. Se ne e' parlato al convegno "Sorprendenti tecnologie televisive all'orizzonte 2020", che esperti italiani e stranieri hanno tenuto nell'ambito del Prix Italia a Torino. "In futuro serviranno sempre meno frequenze per la trasmissione con i nuovi sistemi di compressione, ma il problema e' la migrazione - ha spiegato Gino Alberico, vicedirettore del Centro Ricerche della Rai -. Non potendo fare un altro switch off, come avvenuto per il digitale, ci deve essere un lungo periodo in cui vengono mantenuti i canali trasmessi oggi, trasmettendone qualcuno in HD. Se il legislatore avesse previsto il passaggio all'Hevc, sistema che consente un notevole risparmio frequenziale, avrebbe facilitato questa transizione". Alberico ha quindi ricordato che il Centro Ricerche Rai lavora anche per lo sviluppo dell'HD. "Attualmente Rai1 viene trasmessa anche in HD su satellite e digitale terrestre, mentre Rai2 e Rai3 sono trasmesse in HD quasi solamente sul satellite -ha spiegato -. Per incrementare le trasmissioni in alta definizione e' necessario attendere l'aggiornamento di tutta la filiera della messa in onda, cosa che si sta realizzando. E' chiaro che l'aumento dei canali in HD si scontra con le risorse frequenziali disponibili e con la necessita' di trasmettere in standard definition fino a quando i televisori nelle case degli italiani non saranno tutti in grado di ricevere in HD". Quanto al 3D, secondo Alberico "si tratta di una tecnologia che non ha avuto lo sviluppo che qualcuno auspicava ed e' rimasta un po' di nicchia. L'industria manifatturiera ha avuto un crollo nelle vendite dopo il passaggio al digitale terrestre e si e' tentato con il 3D e 4K di riportare in auge le vendite, ma acquistare questi televisori in assenza di trasmissioni con quelle caratteristiche si e' rivelato inutile. Riguardo al 4K si sono fatte solo sperimentazioni e ora in Giappone gia' si lavora all'8K in vista del 2020, ma non per uso domestico". Piu' vicino e' invece l'arrivo, ad esempio sui canali Rai Replay, di film e programmi (telefilm) in lingua originale leggermente rallentati per facilitare la comprensione. Cosi' come appare alle porte un salto di qualita' nell'interattivita' con l'utente. "Ci scontriamo con i limiti del telecomando e una navigazione piuttosto farraginosa - ha sottolineato Alberico -. Con gli smartphone al posto del vecchio telecomando, potremo garantire tutto un altro tipo di navigazione e applicazioni molto piu' ricche. Si potra' sviluppare il concetto di doppio schermo e la condivisione dei contenuti in maniera molto piu' accessibile rispetto a oggi. Questo e' un obiettivo abbastanza vicino nel tempo".
(ANSA) - TORINO - La transizione all'HD, le prospettive del 3D, della tecnologia 4K e del futuro 8K, il possibile sviluppo delle trasmissioni e degli apparati in modo compatibile con le risorse frequenziali disponibili. E poi novita' in arrivo nel breve termine, come film in lingua originale rallentati per facilitare la comprensione, e una super interattivita' grazie agli smartphone usati al posto del telecomando. Se ne e' parlato al convegno "Sorprendenti tecnologie televisive all'orizzonte 2020", che esperti italiani e stranieri hanno tenuto nell'ambito del Prix Italia a Torino. "In futuro serviranno sempre meno frequenze per la trasmissione con i nuovi sistemi di compressione, ma il problema e' la migrazione - ha spiegato Gino Alberico, vicedirettore del Centro Ricerche della Rai -. Non potendo fare un altro switch off, come avvenuto per il digitale, ci deve essere un lungo periodo in cui vengono mantenuti i canali trasmessi oggi, trasmettendone qualcuno in HD. Se il legislatore avesse previsto il passaggio all'Hevc, sistema che consente un notevole risparmio frequenziale, avrebbe facilitato questa transizione". Alberico ha quindi ricordato che il Centro Ricerche Rai lavora anche per lo sviluppo dell'HD. "Attualmente Rai1 viene trasmessa anche in HD su satellite e digitale terrestre, mentre Rai2 e Rai3 sono trasmesse in HD quasi solamente sul satellite -ha spiegato -. Per incrementare le trasmissioni in alta definizione e' necessario attendere l'aggiornamento di tutta la filiera della messa in onda, cosa che si sta realizzando. E' chiaro che l'aumento dei canali in HD si scontra con le risorse frequenziali disponibili e con la necessita' di trasmettere in standard definition fino a quando i televisori nelle case degli italiani non saranno tutti in grado di ricevere in HD". Quanto al 3D, secondo Alberico "si tratta di una tecnologia che non ha avuto lo sviluppo che qualcuno auspicava ed e' rimasta un po' di nicchia. L'industria manifatturiera ha avuto un crollo nelle vendite dopo il passaggio al digitale terrestre e si e' tentato con il 3D e 4K di riportare in auge le vendite, ma acquistare questi televisori in assenza di trasmissioni con quelle caratteristiche si e' rivelato inutile. Riguardo al 4K si sono fatte solo sperimentazioni e ora in Giappone gia' si lavora all'8K in vista del 2020, ma non per uso domestico". Piu' vicino e' invece l'arrivo, ad esempio sui canali Rai Replay, di film e programmi (telefilm) in lingua originale leggermente rallentati per facilitare la comprensione. Cosi' come appare alle porte un salto di qualita' nell'interattivita' con l'utente. "Ci scontriamo con i limiti del telecomando e una navigazione piuttosto farraginosa - ha sottolineato Alberico -. Con gli smartphone al posto del vecchio telecomando, potremo garantire tutto un altro tipo di navigazione e applicazioni molto piu' ricche. Si potra' sviluppare il concetto di doppio schermo e la condivisione dei contenuti in maniera molto piu' accessibile rispetto a oggi. Questo e' un obiettivo abbastanza vicino nel tempo".
mercoledì 1 ottobre 2014
PICCOLO GRANDE SCHERMO - Clamoroso all'Enterprise! Capitan Kirk-William Shatner potrebbe salire a bordo, con Spock-Nimoy, nel prossimo film di "Star Trek" (sì, però la dieta la inizia adesso, o la navicella fatica a decollare...)
News tratta da "Entertainment Weekly"
The original Captain Kirk has confirmed that he might be making a return to the franchise in the upcoming Star Trek film set to be directed by Roberto Orci. Appearing at Wizard World Nashville Comic Con Saturday, William Shatner explained that he got a call from J.J. Abrams regarding the project. “He said, ‘I’m calling, Bill, because the director of Star Trek, the next movie, has had an idea where you might be involved. So I’m calling to find out whether you’d be interested,'” Shatner recalled Abrams saying. “I said, well, you know, if it’s meaningful.”
Shatner explained that the notoriously secretive Abrams told him to keep mum, but word got out on the Internet. “So the news is out that they have an idea that they want Leonard and myself—they might want Leonard Nimoy and myself,” Shatner.
Badass Digest reported last week that “the script for Star Trek 3 includes a scene that reteams Shatner and Nimoy onscreen as Kirk and Spock for the first time in canon since 1991’s Star Trek VI: The Undiscovered Country.” Following that report, however, Shatner pleaded ignorance.
News tratta da "Entertainment Weekly"
The original Captain Kirk has confirmed that he might be making a return to the franchise in the upcoming Star Trek film set to be directed by Roberto Orci. Appearing at Wizard World Nashville Comic Con Saturday, William Shatner explained that he got a call from J.J. Abrams regarding the project. “He said, ‘I’m calling, Bill, because the director of Star Trek, the next movie, has had an idea where you might be involved. So I’m calling to find out whether you’d be interested,'” Shatner recalled Abrams saying. “I said, well, you know, if it’s meaningful.”
Shatner explained that the notoriously secretive Abrams told him to keep mum, but word got out on the Internet. “So the news is out that they have an idea that they want Leonard and myself—they might want Leonard Nimoy and myself,” Shatner.
Badass Digest reported last week that “the script for Star Trek 3 includes a scene that reteams Shatner and Nimoy onscreen as Kirk and Spock for the first time in canon since 1991’s Star Trek VI: The Undiscovered Country.” Following that report, however, Shatner pleaded ignorance.
GOSSIP - Cento di queste due! Le veline del futuro: un paio di motivi per vedere "The 100", stasera al via su Premium Action
Eliza Taylor e Marie Avgeropoulos, rispettivamente Clarke Griffin e Octavia Blake nel nuovo ed imminente “The 100” (su Premium Action da stasera, 1 ottobre, ogni mercoledì), si candidano ad essere le veline del
futuro seriale. La prima, bionda
australiana, si è fatta le ossa nella serie-istituzione di madre patria
“Neighbours” e suo padre è un noto attore comico nella terra dei canguri. Se le
andasse male la carriera d’attrice (“The 100” rappresenta il suo debutto Usa da
protagonista), può sempre tentare la strada musicale (suona la chitarra e
compone canzoni tra un ciak e l’altro). La
seconda, bruna canadese, è cresciuta fin da piccola con la madre da un
camping all’altro imparando l’arte della sopravvivenza nella natura e
sviluppando una passaione smodata per le Harley Davidson e la batteria.
Quest’ultima passione la potrebbe legare alla collega Taylor: se le vie della
tv fossero finite, quelle musicali di coppia si potrebbero spalancare per le
veline delle hit parade!
martedì 30 settembre 2014
NEWS - Sei personaggi in cerca di zombie! Lo spin-off di "The Walking Dead" accende i riflettori su un sestetto da...fine del mondo. Prequel o contemporary, un personaggio si chiama Andrea...
News tratta da Tv Line
As The Walking Dead shuffles toward its Season 5 premiere, AMC is readying some fresh meat feed the zombies. Details have just been revealed on the Walking Dead spinoff, which AMC says will explore “what is going on in the zombie apocalypse in other parts of the world.” Hit the jump to get the dirt.
Here’s TVLine‘s rundown of the new Walking Dead spinoff characters.
SEAN CABRERA | A Latino male in his early 40s, Sean is a good man trying to do right by everyone in his life.
CODY CABRERA | Sean’s whip-smart and rebellious teenage son. Known as the angriest kid in town.
NANCY TOMPKINS | A thirtysomething single mom to two kids, Nancy looks like the girl next door, but there’s an edge to her.
NICK TOMPKINS | Nancy’s screwed up teenage son. He’s too old to stay home, too scared to flee.
ASHLEY TOMPKINS | Nancy’s mostly level-headed teenage daughter. Her ambition is in direct proportion to her older brother’s failures. She loves her mom but it’s time to get out of Dodge.
ANDREA CHAPMAN | A somewhat wilted flower child, fortysomething Andrea — yep, another Andrea! — has retreated to the outskirts of the city to recover after a horrible marriage.
As previously reported, rumor has it that the new series will be a prequel of sorts set in the early days of the zombie pandemic, when the living still outnumbered the dead. For its part, AMC has stated only that the show would follow “an entirely new story and cast of characters” not tethered to Robert Kirkman‘s original comic book series.
Kirkman and Dave Erickson are writing the new show, with the latter serving as showrunner. For now, AMC has only ordered a pilot. The episode will shoot this fall and things will proceed from there. Assuming all goes well, we can probably look forward to meeting Sean, Cody, Nancy, and the rest of the gang next year.
In the meantime, The Walking Dead returns to AMC October 12.
News tratta da Tv Line
As The Walking Dead shuffles toward its Season 5 premiere, AMC is readying some fresh meat feed the zombies. Details have just been revealed on the Walking Dead spinoff, which AMC says will explore “what is going on in the zombie apocalypse in other parts of the world.” Hit the jump to get the dirt.
Here’s TVLine‘s rundown of the new Walking Dead spinoff characters.
SEAN CABRERA | A Latino male in his early 40s, Sean is a good man trying to do right by everyone in his life.
CODY CABRERA | Sean’s whip-smart and rebellious teenage son. Known as the angriest kid in town.
NANCY TOMPKINS | A thirtysomething single mom to two kids, Nancy looks like the girl next door, but there’s an edge to her.
NICK TOMPKINS | Nancy’s screwed up teenage son. He’s too old to stay home, too scared to flee.
ASHLEY TOMPKINS | Nancy’s mostly level-headed teenage daughter. Her ambition is in direct proportion to her older brother’s failures. She loves her mom but it’s time to get out of Dodge.
ANDREA CHAPMAN | A somewhat wilted flower child, fortysomething Andrea — yep, another Andrea! — has retreated to the outskirts of the city to recover after a horrible marriage.
As previously reported, rumor has it that the new series will be a prequel of sorts set in the early days of the zombie pandemic, when the living still outnumbered the dead. For its part, AMC has stated only that the show would follow “an entirely new story and cast of characters” not tethered to Robert Kirkman‘s original comic book series.
Kirkman and Dave Erickson are writing the new show, with the latter serving as showrunner. For now, AMC has only ordered a pilot. The episode will shoot this fall and things will proceed from there. Assuming all goes well, we can probably look forward to meeting Sean, Cody, Nancy, and the rest of the gang next year.
In the meantime, The Walking Dead returns to AMC October 12.
NEWS - Altro che fuga dai talk-show, è fuga dalla tv (tradizionale)! Il "binge-watching" sta seppellendo i palinsesti a colpi di "mò mi vedo quello che voglio, quando e quanto voglio io"! Il caso Netflix docet (e forse fa un pò paura...)
Articolo di Lorenzo Soria per "La Stampa"
La seconda stagione di House of Cards ha avuto il suo debutto italiano martedì. E per i fan della serie è stato un episodio scioccante, che li ha lasciati col desiderio di arrivare al più presto a martedì prossimo e poi a quello dopo ancora, di sapere in quali perfide trame ci trasporterà Kevin Spacey nella sua interpretazione del cinico e perfido Frank Underwood, diventato ora vice presidente. Negli Usa, la seconda stagione della serie è andata in onda invece alla mezzanotte del 14 febbraio, giorno di San Valentino. Una strana scelta di palinsesto per celebrare la festa degli innamorati. Ma oltre che il potere, Underwood ama a suo modo anche la moglie Claire, manipolatrice quanto lui e interpretata da Robin Wright. E poi Netflix, che ha prodotto la serie ed è uno dei protagonisti più interessanti della nuova televisione con 50 milioni di abbonati in oltre 50 paesi, quella notte non ha messo a disposizione solo il primo episodio. Ha reso possibile scaricare via streaming tutti e 13 gli episodi della seconda stagione e gran parte dei fan lo show se lo è visto così, divorandolo tutto in una volta. «Binge-watching», chiamano la nuova tendenza. O «Binge-viewing», una scorpacciata di tv da cui c’è chi ne esce ipnotizzato, chi stravolto e chi totalmente assuefatto e chiedendo di più. Adattamento americano di una popolare serie della Bbc degli Anni ’90 ispirata all’omonimo best seller di un ex consigliere di Margaret Thatcher, Michael Dobbs, House of Cards ha tra i suoi produttori David Fincher, il regista di Seven e di The Social Network, che ha anche diretto alcuni episodi. Ed ha al suo centro Spacey, due Oscar (I soliti sospetti, American Beauty), che interpreta con gusto la parte del machiavellico personaggio di Underwood.
«Netflix non ha inventato il binge-watching, il tutto è iniziato con i cofanetti di Dvd - precisa l’attore -. Ma siamo la prima serie che ha usato questo tipo di distribuzione. E Netflix è stato molto coraggioso nel fare questa scelta, che significa prestare attenzione a ciò che chiede il pubblico. La gente non vuole sintonizzarsi ogni martedì a una certa ora prestabilita, ma guardare gli show più amati come dove e quando gli fa comodo. Vuole avere controllo».
Come con House of Cards, Netflix ha seguito lo stesso modello di distribuzione dei suoi altri show: ci sono state scorpacciate di Orange Is the New Black, di Hemlock Grove e lo stesso accadrà quando saranno pronte le nuove serie tv originali nate da un accordo con la Marvel: Daredevil, Jessica Jones, Iron Fist e Luke Cage.
Ma con cofanetti di Dvd, scaricando via streaming o col video on demand così ormai fanno tutti. Tra gli show più popolari per chi si dà alle scorpacciate tv, ci sono Breaking Bad, Scandal, Game of Thrones, Downton Abbey. Ma c’è anche chi preferisce andare indietro nel tempo e qui spiccano I Soprano, Sex and the City, Six Feet Under, Veronica Mars e Friends. Ma perché show televisivi e non film? C’e chi fa anche le scorpacciate di cinema, ma a meno che non si tratti di saghe come Il padrino o Il Signore degli anelli, in due ore un film è finito. La televisione offre invece un universo nel quale ci si può immergere totalmente, con personaggi che restano lì, fedeli, ora dopo ora e dopo altre ore ancora. Un fenomeno che ha implicazioni anche sanitarie, con chi si occupa di salute pubblica che lancia l’allarme che rischiamo di diventare ancora più sedentari. Ma il «Binge-watching» continua inarrestabile, con studi che indicano che sta colpendo anche quelli che normalmente non seguono la televisione o non ne hanno il tempo.
Come Barack Obama, che fa un mestiere che la notte di San Valentino gli ha impedito di passare un’intera nottata davanti a un laptop a godersi con Michelle la nuova stagione di House of Cards. E che via Twitter ha implorato di non rivelargli la trama. «Non rovinatemelo», ha scritto.
Articolo di Lorenzo Soria per "La Stampa"
La seconda stagione di House of Cards ha avuto il suo debutto italiano martedì. E per i fan della serie è stato un episodio scioccante, che li ha lasciati col desiderio di arrivare al più presto a martedì prossimo e poi a quello dopo ancora, di sapere in quali perfide trame ci trasporterà Kevin Spacey nella sua interpretazione del cinico e perfido Frank Underwood, diventato ora vice presidente. Negli Usa, la seconda stagione della serie è andata in onda invece alla mezzanotte del 14 febbraio, giorno di San Valentino. Una strana scelta di palinsesto per celebrare la festa degli innamorati. Ma oltre che il potere, Underwood ama a suo modo anche la moglie Claire, manipolatrice quanto lui e interpretata da Robin Wright. E poi Netflix, che ha prodotto la serie ed è uno dei protagonisti più interessanti della nuova televisione con 50 milioni di abbonati in oltre 50 paesi, quella notte non ha messo a disposizione solo il primo episodio. Ha reso possibile scaricare via streaming tutti e 13 gli episodi della seconda stagione e gran parte dei fan lo show se lo è visto così, divorandolo tutto in una volta. «Binge-watching», chiamano la nuova tendenza. O «Binge-viewing», una scorpacciata di tv da cui c’è chi ne esce ipnotizzato, chi stravolto e chi totalmente assuefatto e chiedendo di più. Adattamento americano di una popolare serie della Bbc degli Anni ’90 ispirata all’omonimo best seller di un ex consigliere di Margaret Thatcher, Michael Dobbs, House of Cards ha tra i suoi produttori David Fincher, il regista di Seven e di The Social Network, che ha anche diretto alcuni episodi. Ed ha al suo centro Spacey, due Oscar (I soliti sospetti, American Beauty), che interpreta con gusto la parte del machiavellico personaggio di Underwood.
«Netflix non ha inventato il binge-watching, il tutto è iniziato con i cofanetti di Dvd - precisa l’attore -. Ma siamo la prima serie che ha usato questo tipo di distribuzione. E Netflix è stato molto coraggioso nel fare questa scelta, che significa prestare attenzione a ciò che chiede il pubblico. La gente non vuole sintonizzarsi ogni martedì a una certa ora prestabilita, ma guardare gli show più amati come dove e quando gli fa comodo. Vuole avere controllo».
Come con House of Cards, Netflix ha seguito lo stesso modello di distribuzione dei suoi altri show: ci sono state scorpacciate di Orange Is the New Black, di Hemlock Grove e lo stesso accadrà quando saranno pronte le nuove serie tv originali nate da un accordo con la Marvel: Daredevil, Jessica Jones, Iron Fist e Luke Cage.
Ma con cofanetti di Dvd, scaricando via streaming o col video on demand così ormai fanno tutti. Tra gli show più popolari per chi si dà alle scorpacciate tv, ci sono Breaking Bad, Scandal, Game of Thrones, Downton Abbey. Ma c’è anche chi preferisce andare indietro nel tempo e qui spiccano I Soprano, Sex and the City, Six Feet Under, Veronica Mars e Friends. Ma perché show televisivi e non film? C’e chi fa anche le scorpacciate di cinema, ma a meno che non si tratti di saghe come Il padrino o Il Signore degli anelli, in due ore un film è finito. La televisione offre invece un universo nel quale ci si può immergere totalmente, con personaggi che restano lì, fedeli, ora dopo ora e dopo altre ore ancora. Un fenomeno che ha implicazioni anche sanitarie, con chi si occupa di salute pubblica che lancia l’allarme che rischiamo di diventare ancora più sedentari. Ma il «Binge-watching» continua inarrestabile, con studi che indicano che sta colpendo anche quelli che normalmente non seguono la televisione o non ne hanno il tempo.
Come Barack Obama, che fa un mestiere che la notte di San Valentino gli ha impedito di passare un’intera nottata davanti a un laptop a godersi con Michelle la nuova stagione di House of Cards. E che via Twitter ha implorato di non rivelargli la trama. «Non rovinatemelo», ha scritto.
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lunedì 29 settembre 2014
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Orange Is The New Black", il carcere delle donne tra dramma e scienza
"«Orange is The New Black», la serie targata Netflix e firmata da Jenji
Kohan, racconta la storia vera di Piper Chapman, una ragazza wasp della
buona borghesia costretta a scontare 15 mesi nel carcere femminile di
Litchfield per aver aiutato la sua ex amante a trasportare in territorio
americano una valigia zeppa di narco-dollari (Premium Mya, martedì, ore
21). Difficile ormai far quadrare i conti (in tutti i sensi) con le
serie americane: la nicchia dei fan le ha già scaricate, in
contemporanea con l'uscita negli Usa, e ne ha già discusso in rete;
resta la nicchia degli spettatori della pay cui però va sottratta la
nicchia dei precorritori. «Orange is The New Black» è una storia al
femminile, molto ben recitata, dove le scene crude, che non mancano,
vengono stemperate dall'ironia quasi involontaria della protagonista
(Taylor Schilling). Piper è finita nei guai perché, almeno in apparenza,
si fa dominare dagli altri e dalle sue convinzioni cool: guardaroba
JCrew, inevitabile esperienza lesbica dopo il college, fidanzamento con
ragazzo ebreo, ideologia da km zero, dipendenza dall'iPhone (la battuta
più bella della prima puntata è questa: «Quando sarò uscita da qui
saranno già passate tre generazioni di iPhone»), mobilità in Fiat 500
(forse è la prima volta che la 500 entra in una serie), passione per
«Mad Men». Le prigioniere si muovono sul doppio registro del dramma e
della commedia, in un avvincente gioco di attrazioni, respingimenti,
sotterfugi e arte della sopravvivenza. E l'aspetto più sorprendente
della serie è proprio questa coralità, questo aver messo insieme un cast
di grande livello.In molte prigioni degli Usa i detenuti indossano
uniforme color arancione per essere meglio identificati in caso di fuga". (Aldo Grasso, 25.09.2014)
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