SONDAGGIO - QUAL E' LA MIGLIOR RETE/PIATTAFORMA DI SERIE TV DEL 2017? - GIRONE 2
— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 20 novembre 2017
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sabato 25 novembre 2017
venerdì 24 novembre 2017
GOSSIP - E' un Black Friday? No, rosso sangue! L'ex "Nikita" Maggie Q testimonial contro le pellicce per la PETA
Maggie Q is starring in a new campaign for PETA in order to urge holiday shoppers to avoid buying fur products during the busy shopping season. The 38-year-old actress, who stars on the ABC series Designated Survivor, is pictured holding a bloodied and skinned “rabbit” for the anti-fur ad.“Here’s the Rest of Your Fur Trim,” the ad proclaims. “Eyewitness exposés of fur farms in China, the world’s largest exporter of fur, have revealed that animals are confined to barren wire cages—exposed to all weather extremes—and that many go insane from the constant confinement and frantically pace and circle [in] their cages,” Maggie said in a statement. “I want people to make the connection that the choice to wear fur is directly contributing to mass suffering.” Maggie joins a list of celebs, including Taraji P. Henson, Olivia Munn, who have starred in ads for PETA.
Maggie Q is starring in a new campaign for PETA in order to urge holiday shoppers to avoid buying fur products during the busy shopping season. The 38-year-old actress, who stars on the ABC series Designated Survivor, is pictured holding a bloodied and skinned “rabbit” for the anti-fur ad.“Here’s the Rest of Your Fur Trim,” the ad proclaims. “Eyewitness exposés of fur farms in China, the world’s largest exporter of fur, have revealed that animals are confined to barren wire cages—exposed to all weather extremes—and that many go insane from the constant confinement and frantically pace and circle [in] their cages,” Maggie said in a statement. “I want people to make the connection that the choice to wear fur is directly contributing to mass suffering.” Maggie joins a list of celebs, including Taraji P. Henson, Olivia Munn, who have starred in ads for PETA.
giovedì 23 novembre 2017
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Riverdale", bentornato teen-drama!
"Ben tornato teen drama! La serialità americana aveva costruito intorno al mondo dei teenager un vero e proprio genere narrativo: «Beverly Hills», «Dawson's creek», «The O.C.», «Buffy»... Il teen drama si configurava come un prodotto esplicitamente indirizzato a un pubblico giovanile (i millennials), con al centro della rappresentazione proprio quell'audience. Basato su alcuni personaggi della Archie Comics, arriva anche da noi «Riverdale», una serie che negli Stati Uniti sta avendo molto successo (Premiun Stories). L'inizio è una citazione di «Twin Peaks», con tanto di benvenuto stradale: «Welcome to Riverdale. The Town With Pep». Rispetto alla versione a fumetti, infatti, «Riverdale» ha un approccio più dark, proprio per mescolare diversi generi, dal crime al gossip. Nell'apparentemente tranquilla cittadina dell'America profonda, dopo una triste estate in cui Jason Blossom è rimasto ucciso in un incidente in barca, è tempo per i ragazzi di tornare a scuola. Il tormentato Archie (KJ Apa), deve scegliere tra la passione per la musica e i desideri del padre, che lo vuole nella sua impresa di costruzioni. ll ragazzo nasconde un segreto: il giorno della scomparsa di Jason, ha sentito un colpo d'arma da fuoco. Non ha detto niente a nessuno per non rendere pubblica la sua relazione con l'insegnante di musica, che era con lui... L'high school è lo scenario classico dei teen drama, il luogo dove s'intrecciano i primi amori, si sperimentano le difficoltà di rapporto con gli adulti, si scatenano le competizioni. Pep è un termine che si sua molto nei licei americani perché è associato allo school spirit, all'essere orgogliosi della propria scuola, della propria città che ha «una marcia in più) . «Riverdale» è prodotta da Cbs Television Studios e Warner Bros e realizzata da The CW. Le riprese sono state realizzate a Vancouver, nella Columbia Britannica". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
"Riverdale", bentornato teen-drama!
"Ben tornato teen drama! La serialità americana aveva costruito intorno al mondo dei teenager un vero e proprio genere narrativo: «Beverly Hills», «Dawson's creek», «The O.C.», «Buffy»... Il teen drama si configurava come un prodotto esplicitamente indirizzato a un pubblico giovanile (i millennials), con al centro della rappresentazione proprio quell'audience. Basato su alcuni personaggi della Archie Comics, arriva anche da noi «Riverdale», una serie che negli Stati Uniti sta avendo molto successo (Premiun Stories). L'inizio è una citazione di «Twin Peaks», con tanto di benvenuto stradale: «Welcome to Riverdale. The Town With Pep». Rispetto alla versione a fumetti, infatti, «Riverdale» ha un approccio più dark, proprio per mescolare diversi generi, dal crime al gossip. Nell'apparentemente tranquilla cittadina dell'America profonda, dopo una triste estate in cui Jason Blossom è rimasto ucciso in un incidente in barca, è tempo per i ragazzi di tornare a scuola. Il tormentato Archie (KJ Apa), deve scegliere tra la passione per la musica e i desideri del padre, che lo vuole nella sua impresa di costruzioni. ll ragazzo nasconde un segreto: il giorno della scomparsa di Jason, ha sentito un colpo d'arma da fuoco. Non ha detto niente a nessuno per non rendere pubblica la sua relazione con l'insegnante di musica, che era con lui... L'high school è lo scenario classico dei teen drama, il luogo dove s'intrecciano i primi amori, si sperimentano le difficoltà di rapporto con gli adulti, si scatenano le competizioni. Pep è un termine che si sua molto nei licei americani perché è associato allo school spirit, all'essere orgogliosi della propria scuola, della propria città che ha «una marcia in più) . «Riverdale» è prodotta da Cbs Television Studios e Warner Bros e realizzata da The CW. Le riprese sono state realizzate a Vancouver, nella Columbia Britannica". (Aldo Grasso)
mercoledì 22 novembre 2017
NEWS - Achtung, compagni! Ci sono più serie tv che doppiatori: grido di allarme delle voci che danno parola ai beniamini seriali ("tempi troppo stretti, si abbassa la qualità"). Diventeremo come il resto d'Europa che impara l'inglese, anche, dalle serie tv in originale (o coi sottotitoli)?
Articolo tratto da "Avvenire"
"Sono i protagonisti del successo degli altri, la loro presenza è essenziale perché noi possiamo vedere, e soprattutto capire, le serie tv e i film prodotti all'estero ma da qualche tempo a questa parte il loro lavoro sta attraversando un momento difficile. Per questo ora hanno deciso di far sentire la loro voce e mai frase è stata più adatta visto che stiamo parlando dei doppiatori. Giovedì prossimo all'Auditorium Parco della Musica di Roma, si terrà il Gran Premio del Doppiaggio, la manifestazione che, da nove anni, riconosce le migliori voci del cinema e delle serie tv, gli adattatori dei dialoghi, i direttori del doppiaggio e i tecnici in sala. A condurre la serata saranno Pino Insegno e Monica Marangoni, la giuria sarà presieduta da Paolo Genovese. A precedere l'evento, nei giorni scorsi, sono state diverse iniziative tra cui il convegno intitolato "Il doppiaggio, un'eccellenza italiana" che si è svolto martedì scorso all'Università Luiss e nel quale sono stati snocciolati i dati che dimostrano non solo l'importanza del doppiaggio italiano ma anche i suoi importanti risvolti economici. Alcune cifre: sono 570.000 i minuti doppiati ogni anno, 2.100 i professionisti coinvolti, 90 i milioni di fatturato, 60 i milioni di utenti in Italia e 20 in tutto il mondo. Nonostante la mole di lavoro e il fatturato che, in controtendenza con le condizioni generali del mondo del lavoro, aumenta, come dicevamo i problemi non mancano. Anzi, nascono proprio da questo e dalla mancanza di regole che stabiliscano i requisiti minimi al di sotto dei quali non si deve mai scendere per mantenere lo standard italiano che ne fa una delle eccellenze del mondo. A scompaginare le carte è stato l'arrivo di piattaforme come Netflix o Amazon che, avendo continuo bisogno di contenuti, hanno cominciato ad imporre tempi a volte troppo veloci. Lo spiega Rodolfo Bianchi, doppiatore che ha prestato e presta la voce ad attori del calibro di Al Pacino, Jeremy Irons, Jeff Bridges, Mickey Rourke e, persino, a Dio nel film d'animazione L'arca di Noè: «Le urgenze, insieme alla necessità di abbassare i costi, provocano un aumento continuo di produttività nei turni di doppiaggio. Il problema è che più si va di fretta e meno si può tenere conto della qualità recitativa e della qualità linguistica. Ci stiamo specializzando nella velocità ma tempi più umani ci farebbero riconquistare un po' della qualità che stiamo perdendo». Non dimentichiamo, infatti, che i doppiatori sono attori e, dunque, non si limitano a leggere la traduzione in italiano dei dialoghi dei protagonisti ma le recitano e le interpretano: «Quando il doppiatore arriva in studio non ha visto il film che deve doppiare — aggiunge Bianchi —. Lo vede lì, gli viene spiegato il personaggio perché, insieme alla voce, possa restituire anche le atmosfere e le emozioni. Se andiamo di fretta, rischiamo di avere sempre la stessa voce senza sfumature». Antonio Visca, direttore di Sky Atlantic, canale tematico interamente dedicato alle serie e ai film per la tv, ammette: «Quando ho iniziato questo lavoro potevo decidere autonomamente se mandare in onda una serie o aspettare l'anno successivo per avere il doppio delle puntate. Ora purtroppo trasmettere, e dunque doppiare, in tempo reale rispetto agli Stati Uniti le serie americane è l'unico modo per dare allo spettatore il servizio migliore ed evitare che si diffondano mezzi non legali per vedere le puntate. Mi rendo conto che la fretta crea difficoltà ma la nostra fretta è data dalla voglia di soddisfare le esigenze dei telespettatori». La fretta, riprende Bianchi, «impedisce anche un ricambio generazionale. Io sono entrato per la prima volta in sala di doppiaggio da bambino, mi portarono Rina Morelli e Paolo Stoppa. Allora i giovani potevano assistere, guardare i doppiatori che spiegavano loro il lavoro. Così si formavano le nuove leve. Oggi invece, per andare veloci, non ci si può permettere di perdere tempo e si finisce per affidarsi a chi già conosce il mestiere e non ha bisogno di spiegazioni. In questo modo, pert), non si ha mai il tempo di sperimentare nuove voci».
Articolo tratto da "Avvenire"
"Sono i protagonisti del successo degli altri, la loro presenza è essenziale perché noi possiamo vedere, e soprattutto capire, le serie tv e i film prodotti all'estero ma da qualche tempo a questa parte il loro lavoro sta attraversando un momento difficile. Per questo ora hanno deciso di far sentire la loro voce e mai frase è stata più adatta visto che stiamo parlando dei doppiatori. Giovedì prossimo all'Auditorium Parco della Musica di Roma, si terrà il Gran Premio del Doppiaggio, la manifestazione che, da nove anni, riconosce le migliori voci del cinema e delle serie tv, gli adattatori dei dialoghi, i direttori del doppiaggio e i tecnici in sala. A condurre la serata saranno Pino Insegno e Monica Marangoni, la giuria sarà presieduta da Paolo Genovese. A precedere l'evento, nei giorni scorsi, sono state diverse iniziative tra cui il convegno intitolato "Il doppiaggio, un'eccellenza italiana" che si è svolto martedì scorso all'Università Luiss e nel quale sono stati snocciolati i dati che dimostrano non solo l'importanza del doppiaggio italiano ma anche i suoi importanti risvolti economici. Alcune cifre: sono 570.000 i minuti doppiati ogni anno, 2.100 i professionisti coinvolti, 90 i milioni di fatturato, 60 i milioni di utenti in Italia e 20 in tutto il mondo. Nonostante la mole di lavoro e il fatturato che, in controtendenza con le condizioni generali del mondo del lavoro, aumenta, come dicevamo i problemi non mancano. Anzi, nascono proprio da questo e dalla mancanza di regole che stabiliscano i requisiti minimi al di sotto dei quali non si deve mai scendere per mantenere lo standard italiano che ne fa una delle eccellenze del mondo. A scompaginare le carte è stato l'arrivo di piattaforme come Netflix o Amazon che, avendo continuo bisogno di contenuti, hanno cominciato ad imporre tempi a volte troppo veloci. Lo spiega Rodolfo Bianchi, doppiatore che ha prestato e presta la voce ad attori del calibro di Al Pacino, Jeremy Irons, Jeff Bridges, Mickey Rourke e, persino, a Dio nel film d'animazione L'arca di Noè: «Le urgenze, insieme alla necessità di abbassare i costi, provocano un aumento continuo di produttività nei turni di doppiaggio. Il problema è che più si va di fretta e meno si può tenere conto della qualità recitativa e della qualità linguistica. Ci stiamo specializzando nella velocità ma tempi più umani ci farebbero riconquistare un po' della qualità che stiamo perdendo». Non dimentichiamo, infatti, che i doppiatori sono attori e, dunque, non si limitano a leggere la traduzione in italiano dei dialoghi dei protagonisti ma le recitano e le interpretano: «Quando il doppiatore arriva in studio non ha visto il film che deve doppiare — aggiunge Bianchi —. Lo vede lì, gli viene spiegato il personaggio perché, insieme alla voce, possa restituire anche le atmosfere e le emozioni. Se andiamo di fretta, rischiamo di avere sempre la stessa voce senza sfumature». Antonio Visca, direttore di Sky Atlantic, canale tematico interamente dedicato alle serie e ai film per la tv, ammette: «Quando ho iniziato questo lavoro potevo decidere autonomamente se mandare in onda una serie o aspettare l'anno successivo per avere il doppio delle puntate. Ora purtroppo trasmettere, e dunque doppiare, in tempo reale rispetto agli Stati Uniti le serie americane è l'unico modo per dare allo spettatore il servizio migliore ed evitare che si diffondano mezzi non legali per vedere le puntate. Mi rendo conto che la fretta crea difficoltà ma la nostra fretta è data dalla voglia di soddisfare le esigenze dei telespettatori». La fretta, riprende Bianchi, «impedisce anche un ricambio generazionale. Io sono entrato per la prima volta in sala di doppiaggio da bambino, mi portarono Rina Morelli e Paolo Stoppa. Allora i giovani potevano assistere, guardare i doppiatori che spiegavano loro il lavoro. Così si formavano le nuove leve. Oggi invece, per andare veloci, non ci si può permettere di perdere tempo e si finisce per affidarsi a chi già conosce il mestiere e non ha bisogno di spiegazioni. In questo modo, pert), non si ha mai il tempo di sperimentare nuove voci».
martedì 21 novembre 2017
GOSSIP - Bocca di rosa Emilia Clarke! "La gente scopa per piacere", ammette candida e fiorita la protagonista di "GOT" dalle pagine di "Harper's Bazaar" (mica "Playboy" o "Le Ore"...)
Emilia Clarke is surrounded by flowers on the cover of Harper’s Bazaar magazine’s December/January issue. Here’s what the 31-year-old actress had to share with the mag:
On nudity in Game of Thrones: “I’m starting to get really annoyed about this stuff now because people say, ‘Oh, yeah, all the porn sites went down when Game of Thrones came back on… There are so many shows centered around this very true fact that people reproduce. People f**k for pleasure—it’s a part of life.”
On not having the ‘right look’ as an actress: “It pushed me into another casting type; forced me to be an actor. Instead of playing Juliet and doing the light, airy stuff, I would be the granny who cracks wise, or a down-and-out hooker who has seen better days.”
On worrying about how others perceived her at the start of her career: “I think in the early days I second-guessed everyone. I mean, I do that in life anyway, but especially with fame and become successful, and strangers knowing you more than your circle of friends, I would worry about what people thought of me. Then you get to a point where you’re like, ‘You know what? I’m okay.”
FYI: Emilia is wearing a Dolce & Gabbana dress on the cover.
For more from Emilia, visit HarpersBazaar.com.
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
E "Gomorra" diventa un'imperdibile resa dei conti delle insicurezze
"A volte anche il Male soffre di una sorta di disperazione, di tristezza diurna, ancora più vile e abietta perché incapace di misurarsi con la potenza delle tenebre. Don Pietro Savastano è morto e attorno al suo cadavere si consuma la cerimonia della spartizione delle spoglie. Il figlio putativo Ciro (Marco D'Amore) è costretto a fuggire, trascinandosi dietro il fantasma della figlia assassinata, il figlio vero, Genny (Salvatore Esposito) è più Caino di Caino, ma dovrà vedersela con il suocero, tornato dal carcere. Dopo anni di guerre, le piazze di spaccio sono ora presidiate dalle forze dell'ordine e non rendono più come un tempo: i boss di Secondigliano devono cercare nuovi sbocchi. Non è più la droga il mercato principale, ma quello disumano dei posti di lavoro o quello degli appalti. La terza stagione di «Gomorra» è un formidabile affresco di cupezza, di orfanità, di resa dei conti (Sky Atlantic, venerdì, 21.15). Se nelle prime due stagioni, la malavita era in fase espansiva (l'odio sognante: si uccideva per allargare il mercato), qui la morte è figlia di trappole, di doppi giochi, di ricatti. I personaggi sono rischiarati dalla luce del crepuscolo e, paradossalmente, diventano più riflessivi, più insicuri: «Se ho imparato una cosa — dice Genny — è che della famiglia non mi posso più fidare». Il pregio maggiore di «Gomorra 3», la serie diretta da Claudio Cupellini e Francesca Comencini, scritta da Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli, Ludovica Rampoldi, è il sapersi offrire come autopsia di una criminalità organizzata ripiegata su se stessa. Per questo la scrittura (la fotografia è di altissima qualità) si esalta nel raccontare il disastro incombente, ma più ancora nel pedinare i protagonisti che corrono verso il disastro. Bisogna essere molto bravi a descrivere la lebbra della società. Intanto le donne, Scianel (Cristina Donadio) e Patrizia (Cristiana Dell'Anna), diventano spietatezza fatale... (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
E "Gomorra" diventa un'imperdibile resa dei conti delle insicurezze
"A volte anche il Male soffre di una sorta di disperazione, di tristezza diurna, ancora più vile e abietta perché incapace di misurarsi con la potenza delle tenebre. Don Pietro Savastano è morto e attorno al suo cadavere si consuma la cerimonia della spartizione delle spoglie. Il figlio putativo Ciro (Marco D'Amore) è costretto a fuggire, trascinandosi dietro il fantasma della figlia assassinata, il figlio vero, Genny (Salvatore Esposito) è più Caino di Caino, ma dovrà vedersela con il suocero, tornato dal carcere. Dopo anni di guerre, le piazze di spaccio sono ora presidiate dalle forze dell'ordine e non rendono più come un tempo: i boss di Secondigliano devono cercare nuovi sbocchi. Non è più la droga il mercato principale, ma quello disumano dei posti di lavoro o quello degli appalti. La terza stagione di «Gomorra» è un formidabile affresco di cupezza, di orfanità, di resa dei conti (Sky Atlantic, venerdì, 21.15). Se nelle prime due stagioni, la malavita era in fase espansiva (l'odio sognante: si uccideva per allargare il mercato), qui la morte è figlia di trappole, di doppi giochi, di ricatti. I personaggi sono rischiarati dalla luce del crepuscolo e, paradossalmente, diventano più riflessivi, più insicuri: «Se ho imparato una cosa — dice Genny — è che della famiglia non mi posso più fidare». Il pregio maggiore di «Gomorra 3», la serie diretta da Claudio Cupellini e Francesca Comencini, scritta da Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli, Ludovica Rampoldi, è il sapersi offrire come autopsia di una criminalità organizzata ripiegata su se stessa. Per questo la scrittura (la fotografia è di altissima qualità) si esalta nel raccontare il disastro incombente, ma più ancora nel pedinare i protagonisti che corrono verso il disastro. Bisogna essere molto bravi a descrivere la lebbra della società. Intanto le donne, Scianel (Cristina Donadio) e Patrizia (Cristiana Dell'Anna), diventano spietatezza fatale... (Aldo Grasso)
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Sky
lunedì 20 novembre 2017
News: Jeffrey Tambor Leaves #Transparent Following Sexual Harassment Claims. https://t.co/zH0YDyMSX3 via @vulture
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