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giovedì 16 maggio 2019

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

LA STAMPA
Da "Lost a "Game Of Thrones", quei finali a rischio delusione delle serie tv
"Otto stagioni. Cento milioni di budget a stagione. Quattordici uccisioni in media a puntata. Settantadue episodi fino a oggi. L'ultimo, il numero 73, andrà in onda in Usa il 19 maggio e il 20 in Italia: scritto e diretto da David Benioff e Dan Weiss durerà 80 minuti e metterà la parola fine a Game of Thrones, una delle serie più amate, seguite e discusse della storia della televisione. Ipotesi su come finiranno le avventure degli abitanti di Westeros tante. Certezze poche, anzi una: l'ultimo episodio lascerà alcuni fan insoddisfatti, frustrati, arrabbiati. Quanti non si sa, ma a giudicare dalle reazioni al penultimo episodio, quello andato in onda lunedì sera, tanti, anche se non scendiamo in particolari per evitare spoiler a chi la deve ancora vedere. E ora si teme per il gran finale: otto anni dietro a una storia per poi rimanere delusi. Eppure è inevitabile, un po' perché si tratta di elaborazione del lutto e a nessuno piace separarsi da personaggi che per quanto fittizi ci hanno fatto provare emozioni. Un po' perché accontentare tutti non è possibile, ci sarà sempre qualcuno che si lamenta. Non è la prima volta che succede. A guardare indietro sono pochi i casi in cui alla parola fine tutti gridano al capolavoro. Più spesso ci sono critiche, incredibilità, accuse agli sceneggiatori di non essere stati capaci di trovare una alternativa narrativa migliore. I fan de I Soprano ancora non si danno pace per quello schermo nero ritenuto universalmente come uno dei fmali più controversi mai trasmessi. All'epoca, le accuse a Davide Chase furono di essere stato criptico, di aver lasciato troppo spazio all'interpretazione, di fatto fuggendo alla sua responsabilità, tanto che aventi anni da quell'episodio, ancora si discute se Tony Soprano sia mono oppure no (lo è, ha confermato Chase due mesi fa). Critiche simili furono mosse per Lost. Quando, nel 2000, andò in onda l'ultima puntata in molti si sentirono presi in giro per la mancanza di risposte alle troppe domande lasciate aperte. Più recentemente è toccato a Dexter, a The Americans, persino a una sitcom leggera come E alla fine arriva mamma: quasi un decennio per farci incontrare la donna dei sogni del protagonista e dieci minuti per farla morire di una misteriosa malattia? Ma come si permettono? Se c'è una cosa che accomuna gli spettatori delusi è la sensazione di essere stati traditi, che quel rapporto di fiducia tra chi segue da casa e investe tempo e emozioni e chi quelle emozioni dovrebbe gestirle al meglio si è rotto. Lo sa bene George RR Martin, autore dei libri da cui è tratto Trono di Spade. Fan di Lost, persino lui dichiarò di essersi sentito ingannato da quell'ultimo, deludente episodio". (Simona Siri)

giovedì 24 gennaio 2019

PICCOLO GRANDE SCHERMO - Di padre in figlio: Michael Gandolfini eredita dal padre James lo scettro de "I Soprano" nel film prequel al cinema

News tratta dal "Corriere della Sera"
La somiglianza è impressionante. Stesso ovale del viso, stesso sorriso e, più di tutto, stessi occhi, con quel taglio che può sembrare così simpatico ma, un istante dopo, anche così poco rassicurante. Michael Gandolfini interpreterà il ruolo che per molti ha reso un'icona suo padre James. E' stato scelto lui per riportare in vita Tony Soprano. Succederà nel film The Many Saints of Newark, che in realtà de I Soprano è un prequel. «E un vero onore portare avanti il lavoro di mio padre indossando i panni di un giovane Tony Soprano. Sono entusiasta dell'opportunità di lavorare con David Chase e con i talenti incredibili che ha coinvolto», ha commentato il giovane Gandolfini. Aveva 13 anni Michael quando ha dovuto affrontare un momento terribile come la morte di suo papà. Era stato proprio lui a trovarne il corpo senza vita, nella stanza del lussuoso albergo di Roma dove, i119 giugno del 2013, l'attore è stato stroncato da un attacco di cuore, a 51 anni. Doveva essere una bella vacanza per loro. Si è trasformata in un momento capace di cambiare per sempre il corso delle cose, anche per il giovane Michael. Solamente due anni dopo, giovanissimo, sceglieva di iniziare, a sua volta, la carriera di attore. Il primo ruolo nel 2015, in Flower, un corto da lui anche scritto, ambientato in un futuro post apocalittico. Poi una parte nella serie Hbo The Deuce: La via del porno (2017) e nel recente Ocean's 8 (2018). Ma sicuramente questo ruolo è quello in grado di permettergli un salto nella sua carriera e forse anche, in qualche modo, di fargli chiudere il suo personale cerchio con il destino. Non è facile seguire le orme dei padri e lo è ancora meno se queste ombre si sono avventurate in modo credibile — in tv — lungo le strade della malavita. Tony Soprano è diventato nell'immaginario pop uno dei più credibili boss della mafia italoamericana: le sue connessioni con la malavita newyorkese ma anche con le radici mafiose italiane, i suoi attacchi di panico, i suoi rapporti difficili con la madre e con la moglie erano diventati di culto per milioni di fan che avevano seguito la serie dal 1999 al 2007. Ora toccherà a Michael spiegare a tutti perché Tony Soprano è diventato Tony Soprano, raccogliendo un'eredità che forse mai come in questo caso è giusto definire tale.

mercoledì 2 gennaio 2019

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

IL FOGLIO
L'importanza di chiamarsi "Soprano"
"Era 20 anni fa, nulla è rimasto uguale. Tony Soprano con l'accappatoio bianco, a bordo piscina con gli anatroccoli, appare sulla Hbo il 10 gennaio 1999. Per un bel po' sarà l'argomento di conversazione: è vero che quella Golden Age, non la prima nella storia della tv americana, aveva già avuto qualche anticipo, ma "I Soprano" fecero il botto. Gli spettatori italiani aspettarono un paio d'anni, fino al 2001, per scarsa convinzione da parte dei responsabili del palinsesto: cinque episodi su Canale 5, poi su Italia 1, in orari notturni. Adesso che le serie sono più numerose delle giornate a disposizione per guardarle - con grave danno per la chiacchiera, non c'è più un "Lost" su cui accapigliarsi "I Soprano" restano in cima alla lista per scrittura, recitazione, invenzioni drammaturgiche. Vorremmo avere il tempo per riguardare le sei stagioni da cima a fondo - invece siamo travolti dalle nuove uscite. Nella lista delle migliori serie del 2018 compilata per il New Yorker da Emily Nussbaum c'è la categoria "serie che avrei voluto vedere perché ne dicono un gran bene, ma non ho avuto il tempo". Qualcuno ha fatto i conti: servono 60 ore per vedere "The Wire", altra serie imperdibile. Serve lo stesso tempo per leggere "Guerra e pace", più "Don Chisciotte", più "Moby Dick", più "Delitto e castigo". "I Soprano" contano : episodi di un'ora, interrotti il 10 giugno 2007 con una dissolvenza: ci sta qualcosa ancora per completare la bibliotechina dei classici. Era la tv di vent'anni fa. Gli attori erano scelti dai responsabili del casting, e poi sarebbero diventati star (il passaggio inverso non era neanche concepibile). I registi non provenivano dal cinema, ma da altre serie televisive (ora fanno la fila per passare dal cinema a misura di blockbuster, con tempi decisionali lunghi, alla televisione che decide in fretta, o alle piattaforme streaming affamate di prodotto e attente alle nicchie). James Gandolfini era un attore non di primissimo piano, uno sceneggiatore come Matthew Weiner aveva già nel cassetto i pubblicitari di "Mad Men" ma nessuno li voleva. Siccome si parlava di mafia, le associazioni che difendono il buon nome degli italoamericani protestarono. Nessuno ha pronunciato una sola parola contro la Napoli ricostruita per "L'amica geniale" di Saverio Costanzo: è l'Italia che piace, miserabile e pittoresca, vociante e sguaiata. I fanatici aspettano "The Soprano Sessions", tutto quel che avreste voluto sapere su "I Soprano" e non avete mai osato chiedere. Lo hanno scritto, per celebrare il ventennale, Matt Zoller Seitz e Alan Sepinwall (suo il saggio "The Revolution Was Relevised", da Rizzoli con il titolo "Telerivoluzione"). Finalmente avremo certezze su chi pronunciò la frase "il cunnilingus e la psicoanalisi ci hanno portato alla rovina". Sintomo inequivocabile, per la famiglia mafiosa, che il meglio era passato, l'avevano goduto i padri e i nonni. Nelle situazioni complicate, Tony Soprano si chiede: "Cosa avrebbe fatto Don Vito Corleone al posto mio?". Mai si era visto un mafioso con il Prozac nel taschino ("lavoro nel settore rifiuti" dice Tony Soprano alla dottoressa Melfi, mentre vediamo il cadavere di un nemico smaltito in discarica). Dicono a Hollywood che la buona idea per un film deve poter essere sintetizzata in poche parole. Vale anche per le serie, e David Chase ha avuto quella giusta: mettere insieme l'omertà del "negare sempre" con la regola di Freud che impone di dire tutto, ma proprio tutto, quel che passa per la testa". (Mariarosa Mancuso)

mercoledì 17 ottobre 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

IL FOGLIO
Che noia i Romanoff! 
Una volta le serie erano belle perché meno lente di certi film...
"Ma che fate, vi accanite? Non basta che Damien Chazelle nasconda nel ripostiglio le scarpe bicolori da tip tap per dedicarsi a Neil Armstrong con "First Man", la storia del primo astronauta che mise piede sulla luna (ci sono andati, sicuro, anche se i manifesti del film, alla Mostra di Venezia, lanciavano "l'impresa impossibile", schiacciando l'occhio ai negazionisti). Ora fa i dispetti anche Matthew Weiner, dedicando una serie ai Romanoff (su Amazon, gli episodi 1 e 2 dal 12 ottobre, gli altri sei di venerdì in venerdì: nulla è più nuovo, ormai, della cara vecchia somministrazione settimanale). I Romanoff - e le fantasie sulla piccola Anastasia la figlia dello Zar, sopravvissuta alla fucilazione bolscevica - stanno abbastanza in fondo perfino nella lista delle cose che NON ci interessano, e invece sembrano vantare schiere di appassionati. Ci fanno sbadigliare più delle virtù del silenzio, più dell'oro perduto di Benito Mussolini (chi lo sa? magari Antonio Scurati conosce il ripostiglio segreto, lo svelerà nell'ultima riga dell'ultimo volume della trilogia "M. Il figlio del secolo"), più del linguaggio dei delfini, più dei libri che sulla fascetta promettono "un'intensa scrittura femminile". Però Matthew Weiner è Matthew Weiner. Ha scritto per "I Soprano", ha avuto la sua storia di mezzo insuccesso "Mad Men" non la voleva nessuno, finì alla AMC che non aveva mai prodotto una serie. E' stato accusato di comportamenti inappropriati, per aver detto a una donna che lavorava con lui "dovresti farti vedere nuda" (i garantisti attendevano l'entrata in campo di Cristiano Ronaldo, per disquisire di sottigliezze giuridiche). Ha rivelato la magia del Carrousel che proiettava le diapositive, la difficoltà di pubblicizzare i fagioli, la destrezza dei ragazzini capaci di preparare un Tom Collins con la ciliegina. Una bella apertura di credito l'aveva, nonostante i Romanoff - colpa della maledetta convinzione che gli showrunner bravi rendono interessante qualsiasi cosa. E nonostante la notizia che aveva girato gli episodi in paesi diversi: quando i discendenti dello Zar di tutte le Russie si disperdono hanno il mondo intero a disposizione. Oltre ad Anastasia, potrebbe essere sopravvissuto il fratello Alessio, che scatena meno fantasie (un guantino dello zar fa la sua apparizione nel romanzo di Rosa Matteucci "Tutta mio padre"). Quindi abbiamo guardato le prime due puntate, sperando che si ripetesse il miracolo di "Mad Men". Durata un'ora e mezza. Così da far dire - è una mania - "l'ho pensato come un film, va visto come un film". Idea bizzarra: le serie erano belle perché erano meno noiose di certi film. Se adesso fate le serie noiose, a episodi lunghi come un film, forse ci ripensiamo. Se poi la lentezza finisce per diventare un merito, e come tale viene celebrata, va a finire che torniamo la sera a leggere i romanzi dell'Ottocento, loro sì che sapevano come si fa. "The Violet Hour", ambientato a Parigi, racconta una ricca aristocratica di nome Anastasia. La mattina sventola il croissant davanti alla musulmana con il velo che si prende cura di lei: "Lo vedi? Questo lo abbiamo inventato dopo avervi sconfitto a Vienna". In "The Royal We", racconta un doppio adulterio. Il marito in città - con la scusa di far parte di una giuria popolare". La moglie in crociera, dove son tutti discendenti dei Romanoff. Unica zampata: la famiglia dello Zar Nicola messa in scena dai nani, con il nano Rasputin che insegue Anastasia. Per colonna sonora, la "Danza delle spade" di Khachaturian". (Mariarosa Mancuso)

lunedì 24 settembre 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

IL FOGLIO
La signora Maisel regina degli Emmy Awards
"'La fantastica signora Maisel" dimostra che se una serie funziona, i premi arrivano. Basta con i lamenti, signore e signorine. Quando una serie funziona i premi arrivano, anche se l'ha scritta e diretta una femmina, e ha una femmina per protagonista. "La fantastica signora Maisel" ha vinto un Emmy come miglior serie comica. Più altri quattro: uno all'attrice protagonista Rachel Brosnahan, splendida in rosso con spalla scesa; due alla sceneggiatrice - nonché regista del primo episodio - Amy Sherman-Palladino (minigonna, tacchi alti, giacca da frac e cappello da strega), uno all'attrice non protagonista Alex Borstein (abito non classificato). Sì, commentiamo il guardaroba, oltre al cervello: avranno impiegato ore a prepararsi, il cinema è glamour e pure la tv. Nessuno agli Emmy 2018 è riuscito a fare meglio, neanche "Game ofThrones" che ha vinto nella categoria "migliore serie drammatica". Siccome gli attori hanno girato quest'estate l'ottava e ultima stagione, sul palco era tutta una lacrimuccia: "Siamo una famiglia, ci siamo voluti tanto bene". Tutto il contrario della serie, che quanto a trame, tradimenti e sanguinarie battaglie non è seconda a nessuno. Presentata come "fantasy", genere che sta in fondo alle nostre preferenze, somigliava di più ai drammi di William Shakespeare. Ma quella tensione non può durare a lungo - "se durasse un atto in più, comincerebbero a morire gli spettatori delle prime file", disse un critico spiritoso a proposito di "Tito Andronico". Confessiamo che da un po' abbiamo perso interesse per la saga (ormai bisogna vederla prendendo appunti, pietà). Rachel Brosnahan, che nella serie è la "fantastica signora Maisel", ha avuto parole meno zuccherose: "Va bene trovare la propria voce, ma va meglio andare a votare: registratevi e portate un'amica ai seggi". Mrs Maisel invece va al Gaslight Café - ci andrà a cantare anche Bob Dylan, e fa da sfondo al film dei fratelli Coen "A proposito di Davis"-dopo che il marito le ha detto "Ti lascio per la segretaria" (una che, scopriamo, ha difficoltà nell'uso del temperamatite). Racconta la seratina, esibisce le tette, si ritrova in galera per oltraggio al pudore (l'anno è il 1958, per andare al Greenwich lei si toglie i vestiti eleganti e i tacchi da "unica casalinga non disperata dell'Upper East Side", indossa pantaloni a sigaretta e ballerine). La mattina dopo incontra Lenny Bruce, anche lui rilasciato su cauzione. "Mrs Maisel" è targato Amazon (produttore che bisognerebbe boicottare, ahimè, perché ha bloccato l'ultimo film di Woody Allen): se abbonati a Amazon Prime potete vederla anche stasera, garantito che vale. Gli altri premi se li sono spartiti Hbo - che da una ventina d'anni domina la serata degli Emmy, aveva cominciato con "I Soprano" - e la new entry Netflix, che ha cominciato a produrre serie nel 2013, con "House of Cards" (prima, non era neanche immaginabile la pratica del binge watching, tutte le puntate una dopo l'altra). 23 statuette alla Hbo, e 23 statuette a Netflix (intanto dobbiamo mettere a verbale che, nel paese dei non vaccinati e delle coccole ai pensionati, Andrea Occhipinti si è dimesso da presidente dei distributori Anica: la scelta di far uscire "Sulla mia pelle" in sala e in streaming lo stesso giorno non ha riscosso molti consensi). Tra i nuovi partecipanti al Grande Gioco (ormai ci si vergogna a dire "televisione") Hulu aveva già vinto l'anno scorso con "II racconto dell'ancella": secondo i maestri di cerimonie, "sta alle donne bianche come `Radici' stava agli uomini neri". Per le miniserie, ha vinto "The Assassination of Gianni Versace", seconda stagione della serie antologica "American Crime Story". Trascurata in Italia, se non per rimproverare allo showrunner Ryan Murphy la mancanza di rispetto verso lo stilista". (Mariarosa Mancuso)

lunedì 19 febbraio 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

IL FOGLIO
Quando è meglio chiudere una serie tv. Ovvero quando l'avanguardia è diventata maniera
"Spegnimento programmato. "Modern Family" chiuderà con la decima stagione - la nona per gli spettatori italiani parte su Fox il prossimo 16 marzo. Lo hanno annunciato gli showrunner Steve Levitan e Christopher Lloyd. Meglio fermarsi lasciando un po' di voglia agli spettatori, sostengono. Sicuramente hanno ancora ben presente il dispendioso rinnovo di contratto alla fine della stagione numero otto. Con un occhio all'audience a un altro ai cinque Emmy vinti come migliore commedia, gli attori (e i loro agenti) ne approfittarono per far schizzare in alto i loro compensi. Non è solo questione di soldi. La serie che nel 2009 portò sullo schermo le famiglie moderne ("ricostituite" dice qualcuno, facendo venire in mente i pannelli di legno truciolare, altri preferiscono "arcobaleno", così capiamo subito che capiterà un "genitore 1" e un "genitore 2" ) comincia ad avere qualche problema. Situazione di partenza: il capofamiglia Jay molla la moglie coetanea (un po' fuori di testa già da prima, poi peggiora) per la più giovane colombiana con un figlio. In stile mockumentary - i personaggi spesso guardano i macchina e si rivolgono allo spettatore - "Modern Family" racconta il nuovo matrimonio, i figli adulti del primo (Claire e Mitchell, ex coppia di pattinaggio artistico), i loro figli. Militarmente parlando, l'attacco arriva da due fronti. Dieci anni sono tanti, quel che una volta era avanguardia dopo un po' diventa maniera. Il successo di una serie come "Transparent" - prima che Jeffrey Tambor fosse accusato di molestie, l'epidemia dei nostri tempi - ha costretto gli sceneggiatori al pedaggio di un bambino transgender. Si presenta come amico/a di Lily, la ragazzina vietnamita adottata da Mitchell e Cameron, coppia gay che duetta in stile "Vizietto". Pochino, rispetto al padre di tre figli che all'età della pensione annuncia "adesso siete adulti, far) la donna con la gonna". Non basta il ragazzino incerto sul genere per riportare la serie al gusto del giorno: le battute da sit-com son vicine alla data di scadenza, per esempio rispetto alle lacrime che molti spettatori amano versare sulle complicanze di "This Is Us". "I ragazzini di Modern Family" crescono, nella nona stagione un paio vanno al college. Con innesti - parliamo di sceneggiatura - di teen drama e di "The Big Bang Theory" (su Infinity dal 24 gennaio c'è l'undicesima, e pure gli arretrati). Altra serie in scadenza. Potrebbe finire alla dodicesima stagione, scrive Vulture "arriva il momento in cui neanche per decine di milioni di dollari vorresti dire ancora una volta "Bazinga". Abbiamo un'altra teoria: la serie dei nerdissimi ha perso smalto quando sono arrivate le fidanzate e le proposte di matrimonio. Neanche la serie prequel "Young Sheldon" (sempre Infinity) ha funzionato come consolazione. Sul fronte "modernità" la serie è rimasta indietro, anche come linguaggio. Su un altro fronte si trova spiazzata perché troppo avanti. "Modern Family" è un prodotto Fox in onda su Abc; ora che la Fox è entrata nel gruppo Disney, la famiglia pare lontana dai modelli fin qui messi in circolazione dalla ditta del papà di Topolino, dove lo scoiattolino sta con la scoiattolina (e per il resto si va di zio in nipote). L'unico modo per uscirne a testa alta è appunto lo spegnimento programmato. La famiglia Pritchett (e addentellati) non sono "I Simpson", eternamente (ora un po' stancamente) fissi nei loro caratteri. Non sono neppure "I Soprano", che dieci anni fa si sono spenti davvero, lasciandoci orfani di una scrittura da romanzo che vorremmo tanto ritrovare da qualche parte". (Mariarosa Mancuso)

mercoledì 6 settembre 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

IL FOGLIO
"The Bold Type", tra "Desperate Housewives" e "Sex and the City" nell'era social
"Problema: come sottoporre a stalking l'ex fidanzato che non sta su Facebook né su altri social media? Segue inchiesta, affidata a una giornalista di Scarlet appena promossa (ha appunto un ex fidanzato non reperibile online, gli articoli vengono meglio con un po' di vita vissuta). La testata è di fantasia, la direttrice no: fuori dalla tv si chiama Joanna Coles, ex direttrice di Cosmopolitan ora nel board di Snapchat. Figura anche tra i produttori della serie "The Bold Type" (sulla tv via cavo Freeform, dieci episodi dall'11 luglio scorso). L'ha scritta Sarah Watson — di "Parenthood", in Italia andò sulle reti Mediaset — con un occhio di riguardo verso la signora. E anche verso Snapchat, viene subito chiarito che non serve solo a mandare scatti smutandati. Inutile aspettarsi "Il Diavolo veste Prada". In "The Bold Type", il magazine è diretto con polso fermo e cortesia, le isterie non hanno cittadinanza, i capricci neppure, le ragazze di talento sono promosse prima di chiederlo, tutti i maschi sono neri. Le prime venti idee — snocciolate il primo giorno del nuovo incarico — sono respinte. Ma tutte le altre sono accettate senza fatica, e tutti gli articoli molto complimentati. "Come sottoporre a stalking l'ex fidanzato che non sta sui social media" vale appunto come una delle idee premiate (il magazine in precedenza si è dichiarato femminista ma discreto, qualsiasi cosa significhi: qui serve per rassicurare un'artista lesbica e mussulmana a non ritirare l'intervista rilasciata). "Alla sua età non stare su Facebook è sospetto", recita la diagnosi, fatta con lo stesso tono con cui le amiche usavano mettere in guardia dai corteggiatori non ragazzini "che mai si erano sposati". Facciamo come le donne facevano nei decenni passati, suggerisce un genietto alla riunione di redazione. Parte il pedinamento, in macchina con l'autista del giornale patinato. Per fare, si faceva benissimo anche senza i social media. Lo certifica l'ultimo film di Francesca Comencini "Amori che non sanno stare al mondo", visto qualche giorno fa al Locarno Festival senza che nessuno avesse da obiettare al personaggio di Lucia Mascino. Una pazza del tipo già satireggiato da Franca Valeri nello sketch "non mi telefona, non mi rivolge la parola, quindi è perdutamente innamorato di me" (anche nella variante: "E' sparito, non riesce a dimenticarmi"). All'inizio sembra un cinismo raro nel cinema italiano, ma non dura: la buona è lei, il personaggio di lui si sono dimenticati di scriverlo. "The Bold Type" sta per "ragazze toste" (nel gergo tipografico sono i caratteri in grassetto). La giornalista Jane, la responsabile dei social media Kit, la perfetta assistente Sutton. Elegantissime e allegre mentre nel board siedono antipatici signori che si scandalizzano alla parola "punami" (sta per "pussy", lo dicono le ragazze asiatiche, era già la parola prediletta da Sacha Baron Cohen con la tuta gialla del suo doppio Ali G.). Già si sprecano i paragoni con "Sex and The City". Si capisce che la serie va venduta al meglio, ma siamo lontanissimi. Siamo invece nel pieno della "peak tv". Il dramma della televisione che dai "Soprano" in poi ha trascinato critici e pubblico. Si moltiplicano le piattaforme che richiedono prodotti sempre nuovi. Sciaguratamente il talento non cresce in proporzione — anche il passaggio dal cinema alla tv ha esaurito la sua forza propulsiva. "The Bold Type" audacemente imita la voce fuori campo delle "Desperate Housewives", ma resta prigioniero delle sue carinerie". (Mariarosa Mancuso)

martedì 30 maggio 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
Il nuovo "Twin Peaks" ai confini dell'esercizio di stile
"Passato qualche giorno dal lancio mondiale dei nuovi episodi, circondati da un'attesa febbrile, possiamo fare qualche riflessione a mente più lucida sul ritorno di «Twin Peaks» (Sky Atlantic, venerdì, 21.10). Dalla sua prima apparizione nel figgo, la serie è diventata un culto tv: alcuni spettatori ne hanno letto il senso più profondo e autoriale, altri si sono fermati a una lettura più superficiale, elevando a icona le sue manie e i suoi tic ricorrenti (il registratore, la torta di ciliegie e il caffè, il ceppo, ...). Indubbiamente, la serie è stata fondamentale per riconoscere che anche la vituperata tv poteva avere un valore culturale, se persino un autore come Lynch non disdegnava di farci i conti. A distanza di oltre 25 anni, l'effetto è allo stesso tempo affascinante (soprattutto per i nostalgici) e straniante. Nel mezzo ci sono stati capolavori come «I Soprano» e «Breaking Bad» ad abituare il pubblico alla complessità. La serie originale partiva facilitata da una domanda dritta e chiara. Domandandosi «Chi ha ucciso Laura Palmer », s'iniziava a seguire la serie aspettandosi un classico thriller e si finiva avvinti in un reticolo di misteri insondabili, in una riflessione onirica sul doppio, fitta di riferimenti paranormali. Oggi, invece, è come se Lynch non sentisse più il bisogno di venire a patti con le convenzioni del linguaggio tv, e non sempre questo è un bene. Emily L. Stephens ha scritto su The A.V. Club che i nuovi episodi sono «espressione senza filtri della poetica di Iynch, liberi dalle costrizioni di genere e di struttura della soap opera, del poliziesco e del thriller, che diedero forma al primo Twin Peaks». Difficile dopo soli due episodi farsi un'idea precisa di dove andrà a parare il racconto: il fascino della serialità sta proprio in questo lento rimandare e dilazionare il senso. Se il primo episodio «avvince» nella sua stranezza, il secondo apre a una deriva grottesca che in certi punti fa cadere la serie nel puro esercizio di stile". (Aldo Grasso)

mercoledì 9 novembre 2016

 NEWS - The Winner is... Altro che Trump, il vero vincitore è Tony Soprano! La sua serie eletta la "migliore di tutti i tempi" in un numero antologico di "Rolling Stone"
Rolling Stone is out, with the magazine’s list ofThe 100 Greatest TV Shows of All Time on the cover. (No. 1? Hardly a spoiler alert needed – it’s HBO’s The Sopranos). 
It’s not an easy task, even though Rolling Stone helpfully supplied a long list of potential candidates, sorted by decade, to help jog the memory.The final results, which included input from the magazine’s staff, have been intelligently corralled and summarized by Rob Sheffield, Rolling Stone’s TV critic and in-house pop culture guru. The list contains a few surprises and, naturally, some choices that could be eternally quibbled over. The whole list is worth a read. After “The Sopranos,” the rest of their Top 10 goes like this: (2) “The Wire”; (3) “Breaking Bad”; (4) “Mad Men”; (5) “Seinfeld”; (6) “The Simpsons"; (7) “The Twilight Zone”; (8) “Saturday Night Live”; (9) “All in the Family”; and (10) “The Daily Show”.

giovedì 11 agosto 2016

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

IL FOGLIO
Ecco perchè "Mad Men" è stato un successo
I professori universitari di tutto il mondo e di qualsiasi materia si somigliano: già l'accensione di un  microfono è superiore alla destrezza tecnologica della categoria. Quindi servono istruzioni precise. L'intervento non deve superare i venti minuti, supporti filmati compresi. Siccome i computer portatili hanno difficoltà a connettersi con gli impianti fissi, si raccomanda una chiavetta usb. Meglio se ce n'è una seconda di backup, per ogni sciagurata evenienza. Si ricorda inoltre ai convenuti non americani che gli apparecchi leggono solo dvd con il marchio "Zona 1". Sembra un paragrafo rubato al romanzo di David Lodge "Il professore va al congresso" (dove un accademico in crisi da pagina bianca resta bloccato per giorni su una frase che inizia con "Therefore...", "E dunque..."; verrà salvato da un'epidemia di morbo del legionario che modifica il programma). Sono le istruzioni date ai professori che intendevano partecipare al convegno "Mad Men -The Conference", organizzato lo scorso maggio dalla Middle Tennessee State University (di cui finora ignoravamo l'esistenza) in collaborazione con la University of Salford a Manchester (mai sentita neanche questa, esiste come università dagli anni 50 del Novecento, non possono pretendere). Il luogo preciso era Murfreesboro, poco distante da Nashville in direzione sud, e Nashville era consigliata come gita a fine lavori, con pullman prenotabile alla modica cifra di 20 dollari. In attesa che arrivino gli atti del convegno - i più meritevoli avranno l'onore del supporto cartaceo, l'online viene celebrato a parole ma poi un libro è un libro, anche per i nativi digitali - abbiamo recuperato su The Hollywood Reporter un articolo sulla storia orale di "Mad Men". Uscì quando la serie diede l'addio agli spettatori, con un finale meno originale del congedo immaginato da David Chase per "I Soprano" (una dissolvenza in nero, molti spettatori pensarono che si era guastato il televisore). Ma abbastanza bizzarro da suscitare ipotesi e interpretazioni: è Don Draper che ha trovato la pace con gli hippie in California, oppure i figli dei fiori gli hanno suggerito lo spot più ruffiano nella storia della Coca Cola? Matthew Weiner racconta di aver scritto il primo copione di "Mad Men" in sei giorni: c'erano gli anni 60, l'agenzia di pubblicità, dosi di sigarette e di cocktail Martini da inquietare i dirigenti di ogni rete televisiva. Non c'era ancora l'identità rubata - a un soldato morto nella guerra di Corea - da Don Draper, che in realtà si chiama Dick Whitman. Fu aggiunta quando già la Amc aveva stanziato tre milioni di dollari per il pilot ("Chi diavolo sono questi della Amc?" chiedevano i possibili co-produttori interpellati: era una rete che mandava perlopiù vecchi film americani, la sigla sta per American Movie Classic). A conferma che in materia di capolavori l'ispirazione è sopravvalutata - valgono più la fatica e la casualità - quel pezzo di trama veniva da un'altra sceneggiatura ripescata da un cassetto nello studio di Weiner. Gli aneddoti da set ricordano quel che si raccontava di Luchino Visconti: anche i cassetti dovevano esser riempiti con roba anni Sessanta, e guai se l'insalatiera non era quella giusta. Incredibile ma vero: January Jones (Betty) fece il provino per la parte di Peggy. Ancora più incredibile fu la battaglia per avere Jon Hamm. Spiega Matthew Weiner, (che è bassetto e calvo): "Eravamo nei 2006, gli attori di bell'aspetto finivano in fondo a tutte le liste delle agenzie di casting, in cima stavano i tipi come Seth Rogen e come me". (Mariarosa Mancuso, 20.07.2016)

mercoledì 18 maggio 2016

NEWS - Niente sesso, siamo inglesi telefilmaddicted! Per il 12% dei britannici le serie tv sono meglio di una scopata

News tratta dal "Daily Mail"
Il nostro tempo libero è sempre più affastellato di schermi, social network e serie tv, da farci dimenticare molto, troppo spesso l’esistenza di libri da leggere o parchi in cui rilassarsi. Secondo una ricerca portata avanti da Sky in Regno Unito, siamo così assuefatti dalle serie tv che uno su cinque di noi resta sveglio tutta la notte a guardare l’ultima stagione “imperdibile” di una tra le mille serie che seguiamo. L'indagine ha rilevato che le serie TV hanno sostituito praticamente ogni altra attività da tempo libero. La loro durata e la dipendenza che provocano, azzerano il desiderio per qualsiasi altra cosa. E inoltre, si possono usare diversi dispositivi per guardarle ovunque, dal cesso a letto, a lavoro. Pesante, vero? Il 6 per cento degli intervistati confessa di non aver resisto a terminare una puntata al lavoro. Il 27 per cento sta seguendo 3 o più serie contemporaneamente. Il 64 per cento delle persone ha scelto un programma per vedere serie sui tablet o sul computer, l’82 per cento se si tratta di minori di 24 anni. Infine, il 20 per cento ammette di sentirsi escluso se sente gli altri parlare di una serie che non ha ancora visto.
Tra le serie che creano più dipendenza in Inghilterra:

1. Game of Thrones - 33 per cento
2. X-Files - 29 per cento
3. The Walking Dead - 27 per cento
4. Friends - 23 per cento
5. Making a Murderer- il 20 per cento
6. Breaking Bad- 16 per cento
7. 24 -16 per cento
8. Soprano - 14 per cento
9. Father Ted - il 14 per cento
10. Prison Break - il 13 per cento

Il 12 per cento ha ammesso di preferire l’ultima puntata che si è perso a fare sesso, mentre il 3 per cento è così assuefatto che non smette nemmeno sul water, il 5 per cento nella vasca da bagno, e il 7 per cento in vacanza.

venerdì 19 febbraio 2016

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
In "Vinyl" tutti i clichè della New York anni '70
""Vinyl", la serie targata HBO in 10 episodi, che porta la firma di Martin Scorsese, di Mick Jagger e di Terence Winter («I Soprano» e « Boardwalk Empire»), sembra fatta apposta per alimentare il mito di una New York tutta sesso, droga e rock'n'roll (Sky Atlantic, lunedì, ore 21.10 e a rotazione). Siamo nel 1973. Protagonista della serie è Richie Finestra (Bobby Cannavale), un produttore discografico a capo della American Century Records che, con l'ascesa del punk da una parte e dei successi pop dall'altra, cerca di rilanciare la propria etichetta discografica attraverso i Nasty Bits, una punk band emergente. Ricostruendo le vicende del protagonista, la serie descrive l'industria musicale dell'epoca (le grandi casi discografiche come la PolyGram stanno assorbendo le più piccole), all'alba di nascenti sottoculture musicali. II fermento di quegli anni (i riferimenti ai personaggi della scena artistica della Grande Mela, dai Led Zeppelin ad Andy Warhol, sono costanti) è riproposto in chiave di plateale anticonformismo, come se la scrittura della serie, riproponendo molti stilemi manieristici di «Boardwalk Empire», fosse vocata al maledettismo del rock. Come ha scritto giustamente Stefano Pistolini su IL, «si può prendere per buona la tesi di Scorsese, ma il suo cinismo per tanti versi è innervosente, la sua perfidia ha il gusto rancido della malevolenza di un uomo abile e sofisticato, ma inguaribilmente vecchio. Dalla sua rappresentazione della NY gonfia di droghe, sesso, perversioni e banconote, non trasudano sensazioni elettrizzanti, la sintonia con la modernità, il desiderio di descrivere un momento terribile e meraviglioso, ma soltanto i suoi squallori». Dal lungo pilot, «Vinyl» sembra quasi vendetta che Mick Jagger si prende nei confronti dell'America, quasi a decretare una superiorità della musica inglese, dopo che già allora aveva messo a repentaglio la buona creanza sonora con «Satisfaction»". (Aldo Grasso, 18.02.2016)

venerdì 13 novembre 2015

NEWS - Pokerissimo Atlantico! Sky firma accordo quinquennale con HBO per avere i suoi titoli in 1° tv

Articolo tratto da "Il Sole 24 ore"
Sky siederà per almeno altri cinque anni sul Trono di spade. Sarà annunciato oggi il nuovo accordo quinquennale tra Sky e Home Box Office (Hbo), la pay tv via cavo del gruppo Tim e Warner, che raggiunge 127 milioni di sottoscrittori nel mondo. La pay tv europea controllata dalla britannica BskyB avrà i diritti esclusivi per le prime visioni di Hbo in Italia, Germania e Austria sino al 2020, allineando la durata di tali diritti a quella esistente in Gran Bretagna e Irlanda. È il primo accordo pan-europeo sui contenuti che arriva dopo il riassetto dell’estate 2014, a seguito di un’operazione da nove miliardi di euro che ha portato tutte le attività europee del gruppo Murdoch sotto la britannica BskyB, dando vita a soggetto paneuropeo forte di ventuno milioni di abbonati. L’obiettivo è la conquista delle poco meno di 66 milioni di case nei mercati dove è attivo - su 97 milioni totali - che non accedono alla pay tv. Ora si tratta anche di competere con l’offerta in streaming on line di Netflix, arrivata da ottobre anche in Italia. Netflix è il vero competitor di Hbo negli Stati Uniti e diversi altri mercati mondiali. Hbo ha circa il doppio degli abbonati rispetto ai 60 milioni (di cui 40 negli Stati Uniti) raggiunti da Netflix nell’aprile di quest’anno. Hbo ha profitti per 1,8 miliardi di dollari nel 2014, sette volte maggiori dei 266 milioni di Netflix, anche per i costi sostenuti da quest’ultimo per l’espansione internazionale, ma la crescita di Netflix corre più veloce: 13 milioni di nuovi abbonati nel 2014 contro i cinque di Hbo, che alla sua offerta via cavo ha aggiunto Hbo Now. un servizio on line in streaming sul modello Netflix e Amazon, a 14,99 dollari al mese contro i 9,99 di Netflix. Ora Netflix è in Italia e non a caso, la rinnovata partnership tra Sky e Hbo mette a disposizione degli utenti europei della pay tv un maggior numero di contenuti usufruibili on demand. Il canale Sky Atlantic sarà la “casa” dei prodotti firmati Hbo, che saranno trasmessi, quan do po ssi bile , an che in contemporanea con gli Stati Uniti. Oltre alle prime visioni, vi saranno più titoli della library di Hbo disponibi li su Sky: tutti gli episodi di True Detective, ad esempio, saranno disponibili durante la programmazione dell’ultima serie, anche su Sky Go, il servizio in mobilità della pay tv italiana del gruppo Murdoch. Tornerà così su Sky Atlantic una serie ormai di culto come Il Trono di Spade, I Soprano, Boardwalk Empire, The Newsroom, Girls, The Leftovers-Svaniti nel nulla e True Detective. Nel 2016 uscirà la prima coproduzione realizzata tra Sky e Hbo insieme alla francese Canal +, The Young Pope, con la regia di Paolo Sorrentino. Tra i prodotti HBO più attesi del 2016 vi è WestWorld, thriller fantascientifico ispirato all’omonimo film del 1993 di Michael Crichton.

venerdì 7 agosto 2015

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
La forza vitale di Tony Soprano, boss depresso da rivedere 
Sky Atlantic sta riproponendo un classico della serialità: «I Soprano» di David Chase. Nonostante siano passati 14 anni dalla prima messa in onda italiana (16 da quella americana), i personaggi conservano una forza vitale quasi inscalfibile, a dimostrazione che anche la serialità televisiva sa raccontare la realtà più del cinema e della letteratura (e comunque ha perso ogni complesso di inferiorità nei loro confronti, facendo sfoggio di invidiabili modalità narrative) e il protagonista, un mafioso di terza generazione, si è magicamente identificato nel suo interprete, James Gandolfini. Ai personaggi famosi della letteratura possiamo dare tanti volti, a Tony Soprano no. L'epopea di Ibny Soprano è anche il più grande affresco su una delle grandi malattie della modernità, la depressione. Un boss mafioso, l'ultimo erede delle famiglie che spadroneggiano nel New Jersey, diventa un caso clinico, un fragile depresso che ogni settimana deve incontrare una psicoterapeuta. L'impero del male si sta sfaldando, i padri storici rincoglioniscono in qualche casa di riposo, la polizia ha in mano elementi per incastrare la «famiglia», altre bande si fanno avanti... È complesso il mondo di Tony: una moglie comificata, vampate di rimorsi, amici traditori, figli ribelli, figliocci con scarse capacità malavitose, madri possessive, soldi sporchi, omicidi e furti, regolamenti di conti, doppie e triple morali, sensi di colpa, riavvicinamenti e rotture. Gandolfini è stato bravissimo a caricarsi sulle spalle questo universo in decomposizione e restituircelo con ironia e consapevolezza. Il fenomeno «Soprano» è stato un evento mediatico che ha marcato quasi un decennio di storia della tv. Amato, anche criticato (in America è stato citato in giudizio perché avrebbe offeso l'immagine degli italo-americani) ha fatto discutere per il suo impatto sociale, fornendo a molti studiosi prezioso materiale d'indagine. Merita di essere rivisto". (Aldo Grasso

martedì 26 maggio 2015

NEWS - "Power" vs. "Empire". Una volta i rapper si sfidavano per gang, oggi per serie tv. Al via stasera (AXN) il telefilm firmato da 50 Cent

(ANSA) - LOS ANGELES - Dopo il successo ottenuto negli Stati Uniti, arriva anche in Italia "Power", la nuova serie televisiva prodotta dal rapper 50 Cent. Con uno stile che ricalca le orme dei Sopranos e di Breaking Bad, la fiction ha conquistato il pubblico americano e verra' trasmessa da stasera in Italia sul canale AXN. Si tratta di una serie dalle ambientazioni dark e poliziesche, basata sul mondo del crimine di New York, ma anche sulla vita notturna della citta' che non dorme mai, dove i destini dei protagonisti si incrociano, tra una sparatoria, una scena di sesso spinta, un'indagine poliziesca e un locale notturno molto glamour attorno cui si sviluppa tutta la vicenda. Il protagonista principale e' James "Ghost" St. Patrick, interpretato da Omari Hardwick: re della droga che vive nel desiderio di condurre una vita normale e che dopo avere acquistato uno dei night club piu' esclusivi di New York, si trova davanti all'opportunita' di trasformare il suo sogno in realta'. "Vorrebbe uscirne, vorrebbe diventare un uomo d'affari normale - ha detto Hardwick - ma allo stesso tempo crede di non poterlo fare e di essere relegato al ruolo che si e' ritagliato con la forza. Le cose poi si complicheranno quando nella sua vita fara' irruzione una vecchia fiamma, Angela Valdez (l'attrice Lela Loren), che oltre a presentare una minaccia per la sua vita familiare, lo sara' anche per i suoi affari: lei e' una procuratrice distrettuale incaricata di smantellare il traffico di droga di cui lui e' a capo". Girato interamente a New York, lo show e' stato fortemente voluto da 50 Cent, cui la sceneggiatrice Courtney Kemp Agboh si e' ispirata: "Curtis '50 Cent' Jackson, nato e cresciuto nel
Queens a New York, come tanti altri giovani di quel quartiere era uno spacciatore di droga. Ora e' diventato uno dei piu' grandi rapper e uno dei migliori produttori televisivi e cinematografici". "E' una storia di rinascita, di cambiamento, di forza interiore - prosegue Agboh -. Se uno ha abbastanza coraggio e perseveranza, puo' essere padrone del proprio destino e come 50 Cent ha dimostrato, si puo' partire dal niente e costruirsi una vita normale, legale. Ed e' quello che sogna il nostro protagonista, che pero' si trova ad affrontare molte situazioni che rischiano di allontanarlo dal suo obiettivo". La serie, all'esordio in Italia, ma arrivata gia' alla seconda edizione negli Stati Uniti, e' stata accolta con favore dal pubblico e dai critici, che l'hanno paragonata a due successi come "Breaking Bad" e "I Sopranos". "E' vero - ha detto 50 Cent - ci sono delle assonanze con 'I Sopranos', sia per il tipo di lavoro che svolge The Ghost, sia per le vicende personali che lo riguardano e le atmosfere che lo circondano. La famiglia, la moglie, i vizi e i pregi: un uomo di famiglia, ma anche un  terribile criminale. E poi c'e' New York che accomuna le due serie. E come per 'I Sopranos' e' stata la scelta di cercare gli attori giusti per il ruolo, e non i nomi che ci avrebbero dato una spinta pubblicitaria. James Gandolfini era uno sconosciuto in pratica. E cosi' quasi lo era Omari. Abbiamo scelto la qualita' rispetto alla fama". Come nei Sopranos, anche la famiglia e' molto importante e cosi' diventa chiave il ruolo della moglie del protagonista, Tasha St. Patrick. Sexy, provocante, spregiudicata, consapevole, interpretata da Naturi Naughton. "E' l'occasione che stavo aspettando. Un ruolo cosi' capita una volta nella vita. Non e' la solita moglie, passiva e ignara. E' consapevole, e' parte della vita del marito e ne e' complice. Non apprezza sicuramente il ritorno della vecchia fiamma nella sua vita e reagira' in modo decisamente provocatorio. Non si capisce se e' brava o cattiva ed e' una delle cose uniche di questa serie e di questi personaggi camaleontici".

lunedì 11 maggio 2015

ESCLUSIVA - Donal Logue intervistato da "Telefilm Cult" per la ripresa di "Gotham" su Premium Action stasera: "Io, da 'Sons of Anarchy' a Batman, duro per forza..."
In occasione della trasmissione degli episodi inediti di "Gotham", dal 11 maggio su Premium Action (ogni lunedì in prima serata), Telefilm Cult ha intervistato in esclusiva Donal Logue, interprete del detective Harvey Bullock. 

How does it feel to be part of the DC Universe?
For me, it’s massive. To get a thumbprint on a world that’s very important to a lot of people is huge. Prior to Gotham, my only experience of Harvey Bullock was in Batman: The Animated Series. My kids would watch that show as we drove up to our house in Oregon, so I was familiar with that version of the character – but I wanted to make it my own. It’s exciting to take your place on the shelf among all the other people who have had a play in this world. It’s really exciting.

What’s the atmosphere like on the set of Gotham?
It’s fantastic. Right now, we’re in the middle of production, so we’re finding the rhythms and strides of the show. Every episode has been a blast. So far, I feel like it’s a really, really strong series.

Has the show been strong since the very first episode?
It’s interesting because if you watch the pilot for a series – for example, The Sopranos – it takes a while to find a rhythm for a show. I think we found a rhythm pretty quickly. To be honest, we always thought the pilot was strong.

Most people know about Batman and Gotham City, but how difficult is it to describe the show without giving away any spoilers?
I’ve never been on a show before where you didn’t have to pitch the idea to the audience. When you work on something like [Donal’s previous television show] Terriers, where the title isn’t really implicit of what the show is about, you have to generate all of that information and you pitch it in interviews. You don’t have to pitch Gotham. It’s in the nomenclature.

What attracted you to the show?
For me, I was always drawn by it – but not because I’m necessarily into fantasy and the super hero aspect of the show; I’ve always liked it because it has a Raymond Chandler and James Ellroy quality to it. I always like the noir-ish part of American society, the American urban underbelly. It feels like Gotham can be used as a descriptive term for the seedier side of any big metropolitan centre. That’s what drew me to the show, and that’s what we’re playing up with the show. It feels a bit like the movie Chinatown. It feels like my character is Jake Gittes in that movie. Jim Gordon comes along and he’s really idealistic, but he’s partnered with Harvey Bullock, a guy who’s been through it all. Maybe he’s got one bit of goodness left in him, though. It takes a guy like Jim Gordon to bring that back out in Harvey Bullock.

You’ve played a lot of tough characters on a variety of shows including Vikings and Sons Of Anarchy. Are you looking forward to being the tough guy again in Gotham?
Yes, I am. Lee Toric in Sons Of Anarchy was probably a little tougher than Harvey Bullock in Gotham – but it’s great. It’s interesting because a television critic explained that our new show is really violent and not for young fans. I replied, “Violent? Compared to what? Vikings and Sons Of Anarchy? Come on!” To be honest, my kids watched The Lord Of The Rings when they were two years old and they loved it.
How would you describe Harvey Bullock?
Harvey is an old school detective who’s been around the block a lot. He’s a legend. I think he’s well liked among the police department because he’ll defend the blue line. I wouldn’t say that he’s unethical; I just say that he’s the willow and not the oak. He’s pragmatic. Just like with police work in general, sometimes you have to cut a scumbag a break to be a confidential informant to get bigger bad people. He’s actually crossed that line a bit. He actually has relationships with people in the criminal underworld, but he’s trying to survive – and maybe he’s trying to get to his pension. When a guy like Jim Gordon shows up and starts saying, “No, there’s a right and there’s a wrong.” Harvey thinks, ‘Good luck!’ However, Jim Gordon wakes something up inside of Harvey Bullock. I think it maybe makes Harvey want to be the cop that he once was.

Will the show delve into the back-story of Harvey Bullock?
Absolutely. In fact, I just found out some little tidbits about his back-story. We’re getting to that pretty soon in the show, which is exciting.

How much did you know about the back-story of Harvey when you signed up for the role?
I had a good long talk with [Gotham creator] Bruno Heller about the character when we first met. Bruno is brilliant. I can’t articulate the show the way that he can, but he made it so plain and clear to me. Sometimes you don’t have to try that hard to work out a character. When you have to work really hard to try and figure out a character, it’s not always necessarily the best thing. Harvey Bullock was a much easier cloak to put on than Donovan in Copper or King Horik in Vikings. It felt pretty easy and it felt like it made sense.

Vikings, Copper and Gotham are three very specific and different time periods. Are you suffering from whiplash from all these different characters and ideas?

No. As an actor, you get used to change. When you’re doing summer repertoire theatre and you have a Joe Orton comedy in rep but you’re also rehearsing a Sam Sheppard play during the day, you have to get used to it. It was much more intense when I was doing Copper and Sons Of Anarchy at the same time, which is where I was literally travelling between two cities for work. I’d spend one day on Copper, and the next day on Sons Of Anarchy. That was tough. During the shooting of the Gotham pilot, I was doing two massive episodes of Law & Order. That was a challenge, too. However, I think that if you need something done, give it to a busy man. You’re more on point when it’s challenging. I seem to thrive in that environment more than one where there isn’t much pressure at all.

What’s the strength of doing a prequel series as opposed to diving right into the middle of the mythology of Batman?
I’ll mention the work of Don DeLillo to answer this question. Don DeLillo’s fiction was always strongest when he took an event where we know what happened, but he invents possible scenarios that lead up to the event. Take the Kennedy assassination as an example. We all know what happened there. We know the events of that day, but Don DeLillo’s novel brings up new ideas. You already have tent pole moments to hang from, which is what we have on the show. We know that at some point Batman is Batman. The Penguin doesn’t fight the moniker of The Penguin. He learns to embrace it and become it. We know we’re going to get to that point in the show, but how do you build any suspense when you know the outcomes? You create moments where the audience thinks, ‘If only for that, we wouldn’t have had all of this. What if?’ If Hitler had been accepted to art school in Vienna, what if? That’s part of the fun of it.

What do you think of Oswald Cobblepot [aka The Penguin] in Gotham?
We have to start strong, and the critical piece of the puzzle was who was going to play Oswald Cobblepot. That’s the actor Robin Lord Taylor, who I’ve known for a long time, since he was very young. He’s perfect. If he wasn’t fantastic, I think maybe the whole show wouldn’t work, but we got the right man for the job. He’s amazing. It seems like we’re very Oswald Cobblepot heavy right now, which is a good thing.

There’s been a recent explosion of DC adaptations on television in 2014. Do you think that’s helpful to Gotham?
Absolutely. I think high tide floats all boats. I think comics in general have always been the most natural fit for television because they are constantly evolving storylines. They are literally storyboarded the way a Director Of Photography would storyboard them; they are all drawn out with bits of dialogue attached to them. It’s harder to adapt novels because there’s so much internal dialogue, but comics are really cinematic. I think there’s room for everybody.

venerdì 24 aprile 2015

NEWS - Nessuno guardi Khaleesi! HBO ordina a un bar di Brooklyn di non trasmettere "Game of Thrones" e di far festa in costume

News tratta da "Uproxx"
HBO is apparently cracking down on non-subscribers watching Game of Thrones, in light of the massive leak of the first four episodes of Season 5. The network has sent a cease and desist to Videologya popular Brooklyn bar and movie theater that also has a video rental service — which has been throwing Thrones screening parties for the past two seasons. The event has become so popular that fans even show up dressed in character. Videology’s co-owner spoke to Village Voice about the decision:
“They said that it’s not allowed to be shown in a public setting,” says the bar’s co-owner, James Leet. It’s the first time the bar has been asked not to screen a particular show.
“It’s hard for us not to show it, because our fans love it,” Leet says. “And there are probably a dozen bars within a three-block radius of us that will be showing it. For them to single us out and tell us that we can’t show it is very disappointing.”
“We’re sorry that our fans will not be able to see it in the future here,” he says. “We know they really enjoyed it, and we’re sorry we can’t do that for them anymore.”
Yahoo! points out that this isn’t the first time HBO has done something like this; they sent out cease and desist orders back in 2002 when bars and restaurants were showing The Sopranos for fans. But nowadays, with the cult status of popular series and many people eschewing paying for cable service, viewing parties are becoming much more of a popular thing. In Philadelphia, there’s even a network in place to connect people with bars playing their favorite shows. What will HBO do, seek out every single corner dive that lets patrons watch Game of Thrones on Sunday nights? Seems like it might be more prudent to crack down on all of the *ahem* adults using their parent’s HBO Go streaming services.

lunedì 30 marzo 2015

NEWS -  Fuoco, cammina con Drea! La De Matteo dei "Soprano" e "SOA" si ritrova la casa in cenere


News tratta da "US Weekly"
Sopranos and Sons of Anarchy star Drea De Matteo was one of the many who lost an apartment in the NYC East Village explosion on Thursday, Mar. 26. The actress posted photos of her building up in flames from across the street at the time of the scary scene.
"NYC's finest trying to put out the flames to mine n many others apartments. Speechless…," the 43-year-old captioned one Instagram photo. "[Pray] for those that are hurt."
The large fire caused two buildings to collapse, leaving 19 injured (four of them critically) and one person missing. According to NBC, Good Samaritans scrambled to help people escape, and firefighters took just three minutes to arrive. The powerful blaze was reportedly caused by plumbing and gas work in the building.
Like so many others, De Matteo, a Queens native, appeared to be in disbelief. "A hole where my NYC home of the last 22 years once stood…" she captioned a second photo. "RIP 123 2nd Avenue."
Another actress, Sarah Hyland, also has a close connection with the area. "I grew up across the street. Thinking of my childhood neighborhood," the Modern Family star tweeted Thursday, including a headline and a link to a New York Daily News story about the fire. "Explosion shreds East Village, building collapses."

"Il trivial game + divertente dell'anno" (Lucca Comics)

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Il GIOCO DEI TELEFILM di Leopoldo Damerini e Fabrizio Margaria, nei migliori negozi di giocattoli: un viaggio lungo 750 domande divise per epoche e difficoltà. Sfida i tuoi amici/parenti/partner/amanti e diventa Telefilm Master. Disegni originali by Silver. Regolamento di Luca Borsa. E' un gioco Ghenos Games. http://www.facebook.com/GiocoDeiTelefilm. https://twitter.com/GiocoTelefilm

Lick it or Leave it!

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