Non si esce da Manhattan (qualcuno si starà chiedendo: “perché esiste davvero altro fuori di lì?”), ma ci si sposta a Nolita, un quartiere più accessibile, alla portata della middle class, in vecchi appartamenti con la carta da parati macchiata di caffè, gli specchi incrinati e i posaceneri pieni si sigarette spente a metà. Le protagoniste non hanno un fisico scolpito da top model, né sono bionde e griffate dalla testa ai piedi: sono ragazze dalle più rotonde, con qualche centimetro di ricrescita sui capelli e le spalle tatuate. Certo, alcuni di voi forse così saranno poco invogliati a iniziare Girls, ma io mi schiero a spada tratta dalla sua parte, tanto da dargli il titolo (sulla fiducia) dello Stracult della settimana.
Non ci sono ventenni con le carte di credito illimitate stavolta, né ragazzette viziate con una classe A, ma protagonisti più “reali” che si ritrovano a dover vivere con mille dollari al mese e a lottare col proprio capo nel tentativo di metter fine a uno stage e ottenere uno straccio di contratto al lavoro.
Ci sono meno Gossip Girl o Sex and The City e più How to Make it in America in Girls. Il sesso c’è, ma non è quello acrobatico e passionale che fa Samantha, anzi, e al posto delle Manolo Blahnik e delle Vuitton, ci sono sneakers e jeans impataccati.
Perciò sì, non sarà perfetto questo Girls, ma va apprezzato perché è vero, più di molti altri: è un’altra New York, e come in tutto quello che ci circonda, è il rovescio della medaglia.
Ci sono poi spin-off venduti come tali, ma che di spin-off non hanno un bel niente, come The Finder.
Lanciato nel diciannovesimo episodio della sesta stagione di Bones e venduto in maniera tale da farci credere che in qualche modo avremmo ritrovato in esso qualcosa della serie ideata da Hart Henson, qualcosa che in realtà, non c’è affatto. Perché The Finder nasce come backdoor pilot e tale rimane. È una (mediocre) serie a sé stante, che nonostante il furbo lancio strategico, non è riuscita a riscuotere gli ascolti sperati neanche con i primi episodi, complici la scarsa qualità della sceneggiatura, il plot privo di brio e fascino e l’accozzaglia di personaggi strampalati e per nulla connessi l’un l’altro. Su tutti il protagonista Walter (Geof Stults), ex militare di guerra oggi in grado di rintracciare oggetti e persone in seguito a un incidente che lo ha reso “speciale”, ma totalmente incapace di convincere il pubblico o suscitare alcun tipo di simpatia. Anche il clima della serie stona su tutti i fronti: il pathos che alcune storyline cercano di trasmettere, è brutalmente smorzato dall’atmosfera “disneyana” del “vogliamoci tutti bene” che regna al termine di ogni episodio. Decisamente Stracotto.