sabato 16 giugno 2018
venerdì 15 giugno 2018
giovedì 14 giugno 2018
GOSSIP - Stranger Web! Millie Bobbie Brown lascia twitter per accuse omofobe
News tratta da "Uproxx"
Only days after news spread that Star Wars: The Last Jedi actress Kelly Marie Tran deleted her Instagram in response to abuse from fans, Stranger Things actress Millie Bobbie Brown has done similar with her Twitter account. The move is the latest celebrity who decided to leave social media following fan criticism, bullying, and backlash from critics and fans. Brown’s decision to leave her personal account behind comes with an odd wrinkle related to the type of “memes and gifs” the actress had been receiving according to Variety:
The Emmy-nominated actress has been plagued for the past seven months or so by the hashtag #TakeDownMillieBobbyBrown. It began with posted photos of Brown that were been altered to make her appear homophobic. Per Nylon, the hashtag apparently was coined in November but has regained momentum lately. Some Twits have had a grand old time with it, while others insist that it’s strictly for gay people and that “hets shouldn’t interact.”
Variety adds that the memes are an inside joke with the LGBT community online, but it is still confusing to many. Not only that, but the apparent joke was lost on plenty of fans, and some publicly thought that Brown was posting homophobic content on social media. As Deadline adds, the reasoning behind it doesn’t matter at this point and Brown is gone from Twitter apart from her anti-bullying account that hasn’t been updated since December 2017. Brown and Tran are only the most recent, joining Daisy Ridley’s exit from Instagram and Leslie Jones’ much-publicized exit from Twitter in 2016.
News tratta da "Uproxx"
Only days after news spread that Star Wars: The Last Jedi actress Kelly Marie Tran deleted her Instagram in response to abuse from fans, Stranger Things actress Millie Bobbie Brown has done similar with her Twitter account. The move is the latest celebrity who decided to leave social media following fan criticism, bullying, and backlash from critics and fans. Brown’s decision to leave her personal account behind comes with an odd wrinkle related to the type of “memes and gifs” the actress had been receiving according to Variety:
The Emmy-nominated actress has been plagued for the past seven months or so by the hashtag #TakeDownMillieBobbyBrown. It began with posted photos of Brown that were been altered to make her appear homophobic. Per Nylon, the hashtag apparently was coined in November but has regained momentum lately. Some Twits have had a grand old time with it, while others insist that it’s strictly for gay people and that “hets shouldn’t interact.”
Variety adds that the memes are an inside joke with the LGBT community online, but it is still confusing to many. Not only that, but the apparent joke was lost on plenty of fans, and some publicly thought that Brown was posting homophobic content on social media. As Deadline adds, the reasoning behind it doesn’t matter at this point and Brown is gone from Twitter apart from her anti-bullying account that hasn’t been updated since December 2017. Brown and Tran are only the most recent, joining Daisy Ridley’s exit from Instagram and Leslie Jones’ much-publicized exit from Twitter in 2016.
mercoledì 13 giugno 2018
NEWS - Netflix, il mistero dei numeri ne accresce il culto. Ma il portafogli?
Articolo di Mariarosa Mancuso per "Il Foglio"
Lo stato dell'arte - titolo alternativo: "Di cosa parliamo quando parliamo di Netflix" - viene ampiamente illustrato in un articolo di Josef Adalian sul New York Magazine. Il giornalista ha partecipato alle riunioni dirigenziali, ha raccolto storie di successo e di insuccesso. Ma neppure lui è riuscito a farsi dire quale serie Netflix ha avuto più pubblico, e quanti milioni di spettatori ha messo insieme. I dirigenti sparano solo l'ordine di grandezza, ipotecando con ottimismo il tempo libero degli abbonati e dei familiari: "Possiamo dire un picco potenziale di 40 o 50 milioni nel mondo", buttano lì. "E' capitato", garantiscono. Ma bocche cucite sul titolo. Per certificare che nel mondo Netflix non esistono privilegiati, giurano di non dare i dati di audience neppure a Shonda Rhimes o a Ryan Murphy, strappati alla concorrenza con contratti milionari (più milionari di quelli firmati con la concorrenza). Non daranno i numeri neppure al regista da Oscar Guillermo Del Toro, arruolato per girare la serie horror "10 After Midnight". Diciamo "sì" in una Hollywood costruita sul "no": ecco l'ultima vanteria. Malignamente si potrebbe dire che l'abbonato-spettatore se n'era accorto dalla quantità di film e serie che ogni mese vengono annunciati, di produzione propria o comprati belli e pronti come "La casa di carta". Si parla di 1000 - mille - titoli originali per il 2018. Cifra da spendere: 8 miliardi. Ted Sarandos, capo dei contenuti, non è il solo a dire tanti sì. Sotto di lui, hanno licenza di approvazione un paio di livelli gerarchici, con portafogli diversificati: chi può dare il via a uno show da 3 milioni di dollari non pub fare altrettanto se il budget si aggira sui 10 milioni. Pub farlo anche se Sarandos in persona scuote la testa: "non mi convince". E' accaduto con "American Vandal", finto documentario d'inchiesta su un liceale accusato di aver disegnato cazzetti sulle auto di 27 insegnanti. Un certo coraggio ci voleva per difendere il progetto. Ostinazione premiata, sta arrivando la seconda stagione. "Però risparmiamo sui pilot" insistono da Netflix, facendo saltare un passaggio tradizionale nelle televisioni via cavo e via antenna. Un tempo si sceglieva la sceneggiatura, poi veniva finanziato e girato l'episodio pilota, che aveva un suo tasso di mortalità (tra le serie soffocate in culla, "Le correzioni" dal romanzo di Jonathan Franzen, accantonata dalla Hbo dopo il pilot con Ewan McGregor e Maggie Gyllenhaal). Ragionamento - dicono - da buon padre di famiglia, applicato anche alle serie ottimamente recensite ma cancellate per scarso rendimento (l'intera baracca non rende, al momento, ma ci penseranno a mercato conquistato). Regge invece "Santa Clarita Diet" con Drew Barrymore, madre di famiglia zombie che preferisce le dita umane alle patate fritte (nelle Filippine vanno pazzi per la serie, mentre "Tredici" ha la stessa percentuale di spettatori in India e negli Usa). "Inside the Binge Factory" - ma la copertina del settimanale strilla "Netflix Is Watching You, Too", se non ci spiano almeno un po' non ci divertiamo - regala qualche parola chiave. "Completion", per esempio: misura quanto velocemente gli spettatori consumano la stagione. Tra gli altri dati raccolti e preziosamente gestiti, gli episodi che vengono lasciati a metà (pessimo segno) e le scelte fatte dai nuovi abbonati nel primo mese. La mega-ditta con un piede nella Silicon Valley e l'altro a Hollywood garantisce che sesso, età, e altri dati da vecchi pubblicitari non contano. Conta di più quel che hai guardato finora.
Articolo di Mariarosa Mancuso per "Il Foglio"
Lo stato dell'arte - titolo alternativo: "Di cosa parliamo quando parliamo di Netflix" - viene ampiamente illustrato in un articolo di Josef Adalian sul New York Magazine. Il giornalista ha partecipato alle riunioni dirigenziali, ha raccolto storie di successo e di insuccesso. Ma neppure lui è riuscito a farsi dire quale serie Netflix ha avuto più pubblico, e quanti milioni di spettatori ha messo insieme. I dirigenti sparano solo l'ordine di grandezza, ipotecando con ottimismo il tempo libero degli abbonati e dei familiari: "Possiamo dire un picco potenziale di 40 o 50 milioni nel mondo", buttano lì. "E' capitato", garantiscono. Ma bocche cucite sul titolo. Per certificare che nel mondo Netflix non esistono privilegiati, giurano di non dare i dati di audience neppure a Shonda Rhimes o a Ryan Murphy, strappati alla concorrenza con contratti milionari (più milionari di quelli firmati con la concorrenza). Non daranno i numeri neppure al regista da Oscar Guillermo Del Toro, arruolato per girare la serie horror "10 After Midnight". Diciamo "sì" in una Hollywood costruita sul "no": ecco l'ultima vanteria. Malignamente si potrebbe dire che l'abbonato-spettatore se n'era accorto dalla quantità di film e serie che ogni mese vengono annunciati, di produzione propria o comprati belli e pronti come "La casa di carta". Si parla di 1000 - mille - titoli originali per il 2018. Cifra da spendere: 8 miliardi. Ted Sarandos, capo dei contenuti, non è il solo a dire tanti sì. Sotto di lui, hanno licenza di approvazione un paio di livelli gerarchici, con portafogli diversificati: chi può dare il via a uno show da 3 milioni di dollari non pub fare altrettanto se il budget si aggira sui 10 milioni. Pub farlo anche se Sarandos in persona scuote la testa: "non mi convince". E' accaduto con "American Vandal", finto documentario d'inchiesta su un liceale accusato di aver disegnato cazzetti sulle auto di 27 insegnanti. Un certo coraggio ci voleva per difendere il progetto. Ostinazione premiata, sta arrivando la seconda stagione. "Però risparmiamo sui pilot" insistono da Netflix, facendo saltare un passaggio tradizionale nelle televisioni via cavo e via antenna. Un tempo si sceglieva la sceneggiatura, poi veniva finanziato e girato l'episodio pilota, che aveva un suo tasso di mortalità (tra le serie soffocate in culla, "Le correzioni" dal romanzo di Jonathan Franzen, accantonata dalla Hbo dopo il pilot con Ewan McGregor e Maggie Gyllenhaal). Ragionamento - dicono - da buon padre di famiglia, applicato anche alle serie ottimamente recensite ma cancellate per scarso rendimento (l'intera baracca non rende, al momento, ma ci penseranno a mercato conquistato). Regge invece "Santa Clarita Diet" con Drew Barrymore, madre di famiglia zombie che preferisce le dita umane alle patate fritte (nelle Filippine vanno pazzi per la serie, mentre "Tredici" ha la stessa percentuale di spettatori in India e negli Usa). "Inside the Binge Factory" - ma la copertina del settimanale strilla "Netflix Is Watching You, Too", se non ci spiano almeno un po' non ci divertiamo - regala qualche parola chiave. "Completion", per esempio: misura quanto velocemente gli spettatori consumano la stagione. Tra gli altri dati raccolti e preziosamente gestiti, gli episodi che vengono lasciati a metà (pessimo segno) e le scelte fatte dai nuovi abbonati nel primo mese. La mega-ditta con un piede nella Silicon Valley e l'altro a Hollywood garantisce che sesso, età, e altri dati da vecchi pubblicitari non contano. Conta di più quel che hai guardato finora.
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martedì 12 giugno 2018
NEWS - Ultima ora! Diele di "1992-93" condannato a 7 anni e 8 mesi di carcere per omicidio stradale
L'attore Domenico Diele (Biografia e filmografia), accusato di aver tamponato e ucciso una donna di 48 anni (LA VICENDA), Ilaria Dilillo, la notte del 24 giugno dell'anno scorso, è stato condannato a 7 anni e 8 mesi. E' stata emessa la sentenza del processo, con rito abbreviato, nel quale l'attore era imputato per omicidio stradale. L'incidente si verificò lungo la corsia nord dell'autostrada del Mediterraneo, nei pressi dello svincolo di Montecorvino Pugliano (Salerno). L'attore non era presente all'udienza che si è tenuta al Tribunale di Salerno.
L'attore Domenico Diele (Biografia e filmografia), accusato di aver tamponato e ucciso una donna di 48 anni (LA VICENDA), Ilaria Dilillo, la notte del 24 giugno dell'anno scorso, è stato condannato a 7 anni e 8 mesi. E' stata emessa la sentenza del processo, con rito abbreviato, nel quale l'attore era imputato per omicidio stradale. L'incidente si verificò lungo la corsia nord dell'autostrada del Mediterraneo, nei pressi dello svincolo di Montecorvino Pugliano (Salerno). L'attore non era presente all'udienza che si è tenuta al Tribunale di Salerno.
lunedì 11 giugno 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
"The Terror", la serie che non ti aspetti
"Ci sono serie che mai avremmo immaginato di guardare. Si intende: di guardare anche solo per dieci minuti, in attesa di trovare occupazioni più dilettevoli. Figuriamoci se immaginavamo di prenderci gusto, cercando poi di far proselitismo. E' accaduto con "Game of Thrones", nel 2011. C'erano le uova di drago, il mantra "l'inverno sta arrivando", animali chiamati "metalupi": da fuggire come la peste, per noi che odiamo il fantasy sopra ogni cosa. In capo alla prima puntata, vista per amore di uno showrunner che si chiamava David Benioff e aveva scritto magnifici romanzi (tra cui "La 25° ora", diventato un film di Spike Lee) era chiaro che non si trattava di stucchevole fantasy ma del nerboruto - parlando di scrittura - William Shakespeare. E' capitato un'altra volta con "The Terror", serie Ame che vanta tra i suoi produttori Ridley Scott (per gli spettatori non americani, su Amazon). Una storia marinara, di conquiste geografiche e di sopravvivenza, scarsissima di femmine - nell'800 a bordo dei navigli erano segno di sciagura incombente. In materia, avevamo solo un paio di appassionanti esperienze. Il "Moby Dick" di Herman Melville, dove avevamo l'intenzione di saltare un po' di dettagli sulle balene (sbagliato, sono il vero piacere e la conversione fu immediata). "Master and Commander" di Peter Weir, con Russell Crowe al comando della Surprise, nave britannica che durante le guerre napoleoniche tenta di affondare i corsari francesi della Acheron (già che ci sono, lui e il chirurgo di bordo si fanno un giretto alle Galapagos prima di Darwin). "The Terror" - intesa come miniserie di 10 puntate, difficile che riescano a prolungarla, di questi tempi è un ottima notizia -viene da un romanzo di Dan Simmons. Da tempo saldamente nella lista dei nostri guilty pleasure letterari. Nel 1989 aveva scritto "Danza macabra", immaginando nei campi di concentramento partite a scacchi con pedine umane. Nel 2009 aveva scritto "Drood", ricamando sull'incidente ferroviario in cui fu coinvolto Charles Dickens (in viaggio clandestino con la sua amante), e sul romanzo incompiuto che appunto si intitola "Il mistero di Erwin Drood" - per godimento sommo, sceglie come narratore Wilkie Collins, amico e rivale del maestro. Nel 200'7 scrisse "La scomparsa dell'Erebus" - così il titolo scelto da Mondadori, che ora ristampa le quasi 600 pagine con il titolo originale. In copertina, una nave prigioniera dei ghiacci. Con un equipaggio di 133 uomini e provviste per tre anni, l'Erebus e la Terror salparono dall'Inghilterra per cercare il passaggio a nord ovest, una delle fissazioni geografiche ottocentesche (fissazioni, proprio: come conferma la lettura dell'informatissimo e pettegolo resoconto di Fergus Fleming "I ragazzi di Barrow", Adelphi). Furono incrociate per l'ultima volta a luglio del 1845, da una flotta di baleniere. Poi più nulla, nonostante le molte spedizioni di soccorso organizzate. Solo qualche anno fa, i relitti sono stati ritrovati e fotografati. Fin qui la storia. Dan Simmons ci mette del suo, immaginando che la misteriosa agonia del capitano Franklin e il suo equipaggio sia durata tre anni. Prima scambiandosi inviti a pranzo sulle navi imprigionate dal ghiaccio, con tutta la formalità della marina britannica. Poi mandando scialuppe per cercare una via di fuga nel bianco perfetto della neve. Lo spettatore è subito informato: "Questo posto ci vuole morti". Follia, claustrofobia, gelo, scorbuto, cannibalismo, mostruose creature: non c'è che da scegliere". (Mariarosa Mancuso)
IL FOGLIO
"The Terror", la serie che non ti aspetti
"Ci sono serie che mai avremmo immaginato di guardare. Si intende: di guardare anche solo per dieci minuti, in attesa di trovare occupazioni più dilettevoli. Figuriamoci se immaginavamo di prenderci gusto, cercando poi di far proselitismo. E' accaduto con "Game of Thrones", nel 2011. C'erano le uova di drago, il mantra "l'inverno sta arrivando", animali chiamati "metalupi": da fuggire come la peste, per noi che odiamo il fantasy sopra ogni cosa. In capo alla prima puntata, vista per amore di uno showrunner che si chiamava David Benioff e aveva scritto magnifici romanzi (tra cui "La 25° ora", diventato un film di Spike Lee) era chiaro che non si trattava di stucchevole fantasy ma del nerboruto - parlando di scrittura - William Shakespeare. E' capitato un'altra volta con "The Terror", serie Ame che vanta tra i suoi produttori Ridley Scott (per gli spettatori non americani, su Amazon). Una storia marinara, di conquiste geografiche e di sopravvivenza, scarsissima di femmine - nell'800 a bordo dei navigli erano segno di sciagura incombente. In materia, avevamo solo un paio di appassionanti esperienze. Il "Moby Dick" di Herman Melville, dove avevamo l'intenzione di saltare un po' di dettagli sulle balene (sbagliato, sono il vero piacere e la conversione fu immediata). "Master and Commander" di Peter Weir, con Russell Crowe al comando della Surprise, nave britannica che durante le guerre napoleoniche tenta di affondare i corsari francesi della Acheron (già che ci sono, lui e il chirurgo di bordo si fanno un giretto alle Galapagos prima di Darwin). "The Terror" - intesa come miniserie di 10 puntate, difficile che riescano a prolungarla, di questi tempi è un ottima notizia -viene da un romanzo di Dan Simmons. Da tempo saldamente nella lista dei nostri guilty pleasure letterari. Nel 1989 aveva scritto "Danza macabra", immaginando nei campi di concentramento partite a scacchi con pedine umane. Nel 2009 aveva scritto "Drood", ricamando sull'incidente ferroviario in cui fu coinvolto Charles Dickens (in viaggio clandestino con la sua amante), e sul romanzo incompiuto che appunto si intitola "Il mistero di Erwin Drood" - per godimento sommo, sceglie come narratore Wilkie Collins, amico e rivale del maestro. Nel 200'7 scrisse "La scomparsa dell'Erebus" - così il titolo scelto da Mondadori, che ora ristampa le quasi 600 pagine con il titolo originale. In copertina, una nave prigioniera dei ghiacci. Con un equipaggio di 133 uomini e provviste per tre anni, l'Erebus e la Terror salparono dall'Inghilterra per cercare il passaggio a nord ovest, una delle fissazioni geografiche ottocentesche (fissazioni, proprio: come conferma la lettura dell'informatissimo e pettegolo resoconto di Fergus Fleming "I ragazzi di Barrow", Adelphi). Furono incrociate per l'ultima volta a luglio del 1845, da una flotta di baleniere. Poi più nulla, nonostante le molte spedizioni di soccorso organizzate. Solo qualche anno fa, i relitti sono stati ritrovati e fotografati. Fin qui la storia. Dan Simmons ci mette del suo, immaginando che la misteriosa agonia del capitano Franklin e il suo equipaggio sia durata tre anni. Prima scambiandosi inviti a pranzo sulle navi imprigionate dal ghiaccio, con tutta la formalità della marina britannica. Poi mandando scialuppe per cercare una via di fuga nel bianco perfetto della neve. Lo spettatore è subito informato: "Questo posto ci vuole morti". Follia, claustrofobia, gelo, scorbuto, cannibalismo, mostruose creature: non c'è che da scegliere". (Mariarosa Mancuso)
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Visto che Sarah Jessica Parker è a #Roma (fonte: @AcademyTelefilm), la domanda è più che mai da farsi: dopo 20 anni, #SexAndTheCity ha retto il passare del tempo?
— TelefilmCult (@TelefilmCult) 11 giugno 2018
Uno spunto per rispondere, ma senza influenzarvi eh: https://t.co/g0jjKYsfr5 @SJP @simonasiri
domenica 10 giugno 2018
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