venerdì 20 gennaio 2017

NEWS - Netflix, la resa dei conti: 93,8 milioni di abbonati nel mondo, utili pari a 186 milioni di dollari ma business in perdita fuori dagli Usa (maxi-investimento di 6 miliardi di dollari nel 2017)

Articolo tratto da "Italia Oggi"
Ciascuno dei 3.500 dipendenti di Netflix vale ricavi per quasi 2,4 milioni di euro all'anno. E anche in questa correlazione, che conferma il basso utilizzo di capitale umano (a Sky Italia, per esempio, ciascun dipendente vale 750 mila euro di ricavi all'anno), sta uno dei punti di forza dell'azienda americana di streaming online a pagamento che ha nel mondo, e non in una sola nazione, il suo mercato. Ha chiuso il 2016 con ricavi complessivi pari a 8,830 miliardi di dollari (8,324 mld di euro), 30,2% sul 2015, un risultato operativo di 379 milioni di dollari (24,2%) e utili pari a 186 milioni di dollari (175,3 min di euro). Complessivamente Netflix ha 93,8 milioni di abbonati nel mondo, di cui 49,4 milioni negli Usa (10,5% sul 2015) e 44,3 milioni negli altri paesi (47,6% sul 2015). A livello di ricavi, circa 5,1 miliardi di dollari (4,8 mld di euro) arrivano dagli abbonati Usa (il business è parecchio profittevole, con un primo margine positivo per 1,8 miliardi di dollari), circa 3,2 miliardi di dollari (3 miliardi di euro) dagli abbonati fuori dagli Stati Uniti (business ancora in perdita, con un primo margine di contribuzione negativo per 308 milioni di dollari), e 542 milioni di dollari dal noleggio e vendita di dvd (il business da cui Netflix è nata), anch'esso ancora molto profittevole (279 min di dollari di primo margine).

Nel 2017 il gruppo si prepara a un investimento monstre da 6 miliardi di dollari (5,65 mld di euro) nella produzione di nuovi contenuti, dopo i 4,7 mld di euro investiti nel 2016. E nel portfolio di Netflix ci sono serie come The Crown, Stranger Things, Luke Cage, Black Mirror, Gilmore girls, The OA, Trollhunters, oltre ai classici Orange is the new black, Narcos o House of cards, le cui riprese della quinta stagione inizieranno nel secondo trimestre 2017.
Quanto a investimenti in contenuti locali, il gruppo di streaming tv a pagamento ha appena siglato un accordo a lungo termine con la casa di produzione Red Chillies entertainment dell'attore indiano Shah Rukh Khan, considerato la più grande star mondiale del cinema e i cui film e produzioni, da qui in poi, saranno esclusive Netflix. Mai come ora la società fondata e presieduta da Reed Hastings è fiduciosa che, a dieci anni di distanza dal debutto nella tv in streaming a pagamento, sia proprio il consumo di video sul web il business del futuro in grado di soppiantare la classica tv lineare: «Amazon Prime Video di recente si è sviluppata molto, ricalcando sostanzialmente la nostra presenza nei mercati mondiali», spiegano da Netflix, «mentre il consumo di video è sempre maggiore, in termini di minuti, su YouTube e inizia a decollare pure su Facebook. La stessa Apple, in base ad alcune indiscrezioni, dovrebbe aggiungere i video ai suoi servizi musicali, mentre le tv satellitari, un po' in tutto il mondo, si stanno specializzando pure nel business della distribuzione multi-channel di video su Internet. Ci sono poi operatori nuovi come Molotov tv in Francia o Hulu che stanno realizzando una loro interfaccia nativa digitale per pacchetti legati invece ai network tv classici. I quali, peraltro, iniziano a privilegiare il web alla tv lineare per il debutto di serie o programmi. Per esempio la Cbs sta producendo la serie Star Trek esclusivamente per la sua piattaforma di video on demand in abbonamento, mentre la Bbc ha già annunciato alcune nuove stagioni di serie tv che saranno disponibili prima in streaming on demand e solo successivamente sulla tv lineare. Hbo, probabilmente, farà la stessa cosa»

giovedì 19 gennaio 2017

NEWS - "Mr. Robot" su Sky? La nuova Premium come Airbnb: canali in affitto su altre piattaforme (come Fox). Nuova filosofia low-cost: basta calcio, De Filippi e D'Urso on demand per fare cassa all'insegna del soprav-Vivendi 
News tratta da "Italia Oggi"
Nel piano 2017-2020 presentato ieri a Londra, i vertici di Mediaset ribadiscono, in sostanza, che il core business del gruppo è e sarà assolutamente legato alla tv free e ai video in chiaro nel mondo digitale, con una struttura di ricavi nella quale rimarrà decisiva la raccolta pubblicitaria. La pay tv, che negli ultimi tempi ha avuto impatti molto pesanti sui bilanci del Biscione (perdite attorno ai 200 min di euro nel 2016), sarà invece un business molto ridimensionato. Mediaset rimarrà editore di canali pay non sportivi, che però verranno anche ceduti a terzi, da Sky alle offerte a pagamento delle società telefoniche. La piattaforma del digitale terrestre, inoltre, sarà aperta ad altri editori (tipo Discovery) interessati ad accedere, con una semplice mossa, a un parco di 2 milioni di abbonati, 4 milioni di card prepagate e 6 milioni di device (dalle smartcam ai decoder, passando per le app di Premium già installate nelle smart tv). I diritti tv dello sport, e in particolare del calcio, invece non saranno più una stella polare di Premium: si parteciperà alle aste, ma senza fare pazzie (ergo: difficilmente si vinceranno pacchetti pay). D'altronde non è casuale che il piano Mediaset preveda per il 2020, proprio per effetto del nuovo ruolo della pay tv, un miglioramento dell'ebit (risultato operativo) di 200 milioni di euro. Miglioramento che si potrà ottenere semplicemente risparmiando i 220 milioni di euro all'anno che Mediaset ha pagato per i diritti tv della Champions league di calcio nel triennio 2015-2018, e che, dalla stagione 2018-2019, potrebbe non pagare più. Insomma, una Premium più leggera e low cost. Aveva un senso fare forti investimenti nel 2008, quando si doveva frenare l'ascesa di Sky Italia. Ora la pay tv satellitare è stabile da qualche anno, e allora spendere così tanto per i diritti tv non è più una priorità per Cologno Monzese. Detto questo, il piano Mediaset fissa per il 2020 un miglioramento complessivo dell'ebit pari a 468 milioni di euro. Circa 90 milioni di ebit in più arriveranno dalla crescita della quota Mediaset del mercato pubblicitario italiano, che passerà dall'attuale 37,4% al 39-39,5% nel 2020. Altri 45 milioni di ebit in più saranno realizzati nel business dei contenuti, con ottimizzazioni e nuovi investimenti redditizi. Dieci milioni di ebit aggiuntivi verranno dalle attività sul mondo radiofonico. E altri 123 milioni dalla nuova organizzazione del gruppo, con un piano che, tuttavia, non prevede esuberi. Tutti questi addendi, sommati ai 200 milioni di ebit in più della pay tv, danno, appunto, come risultato finale i 468 milioni aggiuntivi di risultato operativo 2020. La voce di ricavi più importante resterà, come detto, quella legata alla raccolta pubblicitaria, che per Mediaset si è chiusa col dicembre 2016 in crescita del 4,1% sullo stesso mese dei 2015. Il gruppo di Cologno Monzese (guidato dal vicepresidente e a.d. Pier Silvio Berlusconi), al momento, nella tv controlla il 32% di share e il 56,3% degli investimenti pubblicitari; sul digital ha già 22 milioni di user al mese e il 7,8% della raccolta; sulla radio il 22% di audience e il 20% della torta pubblicitaria. Oltre alla leadership nel classico mercato della tv in chiaro, Mediaset, da qui al 2020, punta molto al pro-grammatic e alla pubblicità indirizzabile a target precisi su smart tv, pc, tablet e smartphone. «Nel 2018», spiegano gli uomini del Biscione, «Auditel lancerà la misurazione della total audience, con un panel molto ampio di 15 mila famiglie. In questo modo si potrà valutare l'effettiva audience generata dai contenuti Mediaset, lineari e non lineari, sui vari device». Già nel 2016 su 100 euro di ricavi pubblicitari totali del programmatic, circa 20 arrivavano da contenuti non lineari. E poiché il non lineare prenderà sempre più piede, secondo le previsioni del Biscione, con questa modalità precisa e profilata, si potranno aumentare i prezzi di listino del 15-20%. Inoltre, con la pubblicità «indirizzabile», ovvero offerta solo a certi target attraverso smart tv, pc, tablet e smartphone, i prezzi di listino potranno crescere del 10-15%. In un combinato disposto che, da solo, porterà a un aumento dell'1,2-1,4% sul totale dei ricavi pubblicitari. Il business della radio, invece, nel periodo, dovrebbe avere un incremento dei ricavi pubblicitari del 15-20%. E proprio in questo comparto Radio 105 ha appena potenziato il suo segnale comprando frequenze a Parma e provincia, Agrigento, Catania e provincia, Treviso, Venezia, Padova, e in provincia di Bergamo. La pubblicità è importante. Ma c'è anche la produzione di contenuti originali per la tv in chiaro e locali, su cui il Biscione spingerà molto. Soprattutto perché, come fa notare lo stesso documento presentato a Londra, la Champions league di calcio vale 6 punti di share in meno rispetto a programmi come Amici o Ciao Darwin, e vale meno della metà in termini di grp. Si avvieranno pure co-produzioni con Mediaset España su una serie tv; ci sono ipotesi di alleanze con altri broadcaster per prodotti scripted locali; Mediaset, invece, si terrà lontana da mega produzioni internazionali rischiose e a forte intensità di capitale. Sul digitale, infine, Mediaset si concentra sul mercato dei video gratuiti finanziati dalla pubblicità, ed entro il 2017, come già anticipato da ItaliaOggi, verrà lanciata una nuova piattaforma Avod (advertising video on demand), con una user experience simile alla piattaforma Svod (video on demand pagando un abbonamento) di Infinity, e che avrà grossi benefici dalla partnership con Studio 71. Piace questa metafora: la piattaforma Avod come una sorta di Spotify; la piattaforma del digitale terrestre di Premium come una specie di Airbnb.

mercoledì 18 gennaio 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

LA STAMPA
Ultime battute per "Girls", ecco perchè ci mancherà
"Ci voleva Lena Dunham, enfant prodige della scrittura e della regia, perché la normalità - che parola stupenda - dell'essere donna arrivasse a migliaia e migliaia (e anche di più, forse) di persone. Se Girls, la serie tv che ha creato, scritto e - qualche volta - diretto per Hbo, ci mancherà (e ci mancherà, non dubitatene) è anche per questo: per l'onestà, talvolta estrema, con cui ha saputo raccontare il mondo e, in particolare, New York e i suoi abitanti. Hannah, la protagonista, interpretata dalla stessa Dunham, è un'aspirante scrittrice; ha tre carissime amiche, una vita sessuale travagliata e soffre di depressione. Sembra il profilo perfetto per il personaggio di uno show televisivo, e invece è molto più di questo: è reale. Lo spettatore tende a provare empatia per Hannah (anche se è così particolare, e viziata e assurda); e segue la sua storia non solo per noia, ma perché è curioso, perché ci si riconosce. Certo, anche Girls ha avuto i suoi problemi (accuse di razzismo e elitarismo) ma ha mantenuto nel corso degli anni un andamento (quasi) crescente, dove ogni personaggio ha avuto la sua parte e la sua dignità. La rivoluzione che la Dunham e le sue Girls hanno iniziato è una rivoluzione mediatica, a tutto tondo. Titolo: chi sono le donne e che cosa vogliono. Durante le sue cinque stagioni (dal 12 febbraio su Hbo andrà in onda la sesta e ultima), Girls è cambiata: ha raccontato prima un aspetto, poi un altro della vita delle sue protagoniste; ha messo a fuoco, con incredibile lucidità, il maschilismo - che non è solo un atteggiamento degli uomini ma un'idea che appartiene anche alle donne - e la latitanza di una classe di intellettuali. Il merito è della Dunham, ovviamente: suo, della visione disincantata che ha del mondo e del coraggio che ha dimostrato nel sapersi confessare". (Gianmaria Tammaro

martedì 17 gennaio 2017

NEWS - Clamoroso al Cibali! Via libera allo spin-off di "Game of Thrones": sarà un prequel!

News tratta da Slashfilm.com
Casely Bloys spoke with Entertainment Weekly, where he said that a theoretical Game of Thrones spin-off would probably be a prequel:
A prequel feels like it has less pressure on it [than a spin-off]. [Author George R.R. Martin’s history of Westeros] gives you areas in which to say to a writer, “If you were going to do this, then go flesh it out,” and we’ll see what comes back. But I don’t feel any pressure that we have to have something.
If you put HBO’s original programming president Casey Bloys in the same room as a bunch of entertainment journalists, two questions are bound to come up: how many episodes will be in the final season of Game of Thrones and will there be a spin-off series, possibly set in a different era of Westerosi history? Bloys addressed both questions during the Television Critics Association press tour.
While Bloys did talk about other shows, including the possibility of more The Night Of and the Deadwood movie David Milch is supposedly writing, let’s focus in on this quote (via Variety), where he says that a Game of Thrones spin-off is far from set in stone, but yes, they are talking about it:
All I can say is that we’re exploring it. We don’t have any scripts, we’re not even close to saying “Oh let’s do this.” But it’s a big enough property that we would be foolish not to explore it. It’s a really rich world. We’d be foolish not to look at it.
Every time I write about possible Game of Thrones spin-offs, I tend to bring up George R.R. Martin’s Tales of Dunk and Egg novellas, which take place 90 years before the events of the novels/series and follow a wandering hedge knight and his young squire who leave behind…let’s just say unlikely legacies. And I bring them up for good reason: they’re excellent as standalone stories but remarkable when viewed in context of the larger timeline, when the long shadows these characters leave can be fully examined. If there’s a spin-off series, I imagine this would be HBO’s go-to source for more stories, although I certainly wouldn’t be opposed to another series set during Robert’s Rebellion, where younger version of Ned Stark, Tywin Lannister, and Robert Baratheon could have key roles.
Meanwhile, Bloys was unable to shed any light (“We are talking about it”) on how many episodes will be in the show’s eighth and final season. We do know that the seventh, which is expected to premiere this summer, will consist of only seven episodes, three less than usual. It’s been suggested that the final season will be only six episodes long, but with other people involved in the production suggesting that we have 15 hours of show left, we have to wonder if we’ll be getting shorter seasons but longer episodes or even some kind of super-sized series finale.
In any case, we can expect the final hours to kill off just about everybody, which is the Game of Thrones way.

lunedì 16 gennaio 2017

NEWS - Ufficio telefilm sottovalutati. Da stasera "Le Bureau" con Kassovitz, l'"Homeland" francese post Bataclan e Charlie Hebdo

Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
E' la risposta francese a Homeland, la serie tv che ha messo a nudo le inquietudini del presente raccontando di un prigioniero di guerra americano che si converte all'Islam e una volta tornato in patria lavora al servizio di Al Qaeda. Le Bureau - Sotto copertura fa un passo di lato (c'è meno azione), ma anche uno in avanti perché è basata su testimonianze reali di ex spie francesi e ispirata a eventi contemporanei. Il protagonista è Mathieu Kassovitz, conosciuto per i suoi ruoli in Amélie e Munich e come regista che fulminò Cannes con L'odio sugli scontri nelle banlieue di Parigi. «E una serie tv molto ben documentata — spiega l'attore 49enne —: è la prima volta che il pubblico ha la possibilità di capire come funziona il sistema dietro le quinte, meglio di quanto possano aver fatto serie anche molto belle come Homeland. Le Bureau è molto accurata sulle questioni di geopolitica e su come lavorano i servizi segreti. È qualcosa di diverso rispetto a quello a cui siamo abituati». Ormai è la realtà che anticipa la finzione: «Charlie Hebdo e il Bataclan hanno avuto luogo mentre giravamo, ed entrambe le volte ci siamo ritrovati la mattina seguente, guardandoci l'un l'altro, a recitare scene che erano vicine alla situazione reale. È per questo che la serie è convincente: il pubblico si ritrova in qualcosa che è molto vicino a quello che vede al telegiornale». Le Bureau - Sotto copertura parte stasera con 10 episodi ogni lunedì alle 21.15 su Sky Atlantic. In Francia è stata un successo, celebrata da Le Monde per l'accuratezza della ricostruzione politica, mentre Le Nouvel Observateur l'ha paragonata a Mad Men per l'intreccio minuzioso tra le dinamiche di lavoro e quelle personali. Malotru, il personaggio interpretato Kassovitz, è un equilibrista della menzogna, anche nella vita privata non riesce sa non agire sotto copertura. È un funzionario dell'intelligence che torna a Parigi dopo sei anni come agente sotto falsa identità in Siria. Diviso tra l'amore e la fedeltà, abituato a vivere nella bugia, Malotru deve affrontare la sfida di ritornare alla vita normale, di riprendere le relazioni con la ex moglie, la figlia, i colleghi, di rientrare nella sua vecchia e reale identità. «Cerca sempre di nascondere la sua personalità, nemmeno io so ancora chi è esattamente, devo ancora capirlo. È un uomo con un'etica, ma talvolta la sua etica personale va contro gli ordini che deve eseguire. Il suo lavoro è mentire e quando inizi a mentire devi continuare a farlo, non c'è uscita: chi ti sta vicino avrà sempre il dubbio se dici la verità o stai mentendo».

"Il trivial game + divertente dell'anno" (Lucca Comics)

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