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venerdì 22 dicembre 2017
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giovedì 21 dicembre 2017
SONDAGGI - Arriva l'atteso finale di "Gomorra" 3. Il doppio dibattito/sondaggio è aperto: è fantasia o realtà? Ok programmazione di 2 puntate a settimana o meglio una o, addirittura, il box completo subito per "stare senza pensieri"?
Una domanda a @antonio_visca, direttore di @SkyAtlanticHD: visto il successo di #Gomorra, è ipotizzabile x la prox stagione una puntata a settimana (non 2) per prolungare l'orgasmo?@andreascrosati @damore_marco @SalvioEspo @CrisDellAnna @cristi_dona @SkyAtlanticHD— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 20 dicembre 2017
SONDAGGIO - Venerdì gran Finale di #Gomorra3.— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 21 dicembre 2017
Come vorreste vedere la prossima stagione?@antonio_visca @SkyAtlanticHD @andreascrosati @SalvioEspo @damore_marco @CrisDellAnna @cristi_dona
Il dibattito è aperto e scatta il Sondaggio.#Gomorra è rappresentazione della realtà a rischio emulazione o fantasia sceneggiatori inattaccabile?https://t.co/ij8NYVrTBT@SkyAtlanticHD @antonio_visca @damore_marco @SalvioEspo @cristi_dona @CrisDellAnna @andreascrosati #Gomorra3— TelefilmCult (@TelefilmCult) 14 dicembre 2017
mercoledì 20 dicembre 2017
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
Netflix, consuntivo di anno tra alti (Usa) e a corrente alternata (Europa)
"Il semi-vuoto dicembrino che riserva la tv generalista è una buona occasione per dedicarsi alle serie originali di Netflix. Com'è noto, una delle strategie della piattaforma è stata quella di affiancare al ricco catalogo internazionale anche delle produzioni locali, per accompagnare il lancio nei diversi Paesi in cui il servizio è sbarcato. E il caso per esempio di «Suburra», la prima serie italiana, e di altre serie originali made in Europe presentate nei mesi scorsi. Netflix ha fatto grande rumore con i suoi titoli più celebri e riusciti, serie di alto prestigio nate in America e ispirate alla tradizione della serialità Usa più raffinata e complessa. Con l'Europa è stato un percorso più tortuoso, tra prodotti molto convincenti (vedi «The Crown») e altri più incerti, come «Marseille», prima serie francese dalle alte ambizioni ma dagli esiti più che incerti. Stesso ragionamento vale per «Le ragazze del centralino» («Las chicas del cable»), la prima serie originale spagnola che tornerà a breve con la sua seconda stagione. Nel 1928, quattro ragazze vengono assunte come operatrici della Compagnia dei Telefoni, primo gruppo telefonico nazionale: oltre alle vicissitudini lavorative, al tema della modernità che s'impone anche attraverso nuovi mezzi di comunicazione, si raccontano le loro vicende private, i tormenti sentimentali, il passato che non passa, sullo sfondo di un contesto sociale lontano dal garantire alle donne la piena possibilità di realizzare le proprie ambizioni. La serie sorprende per la sua lontananza dagli standard Netflix: è una specie di soap da tv generalista, tutta colpi di scena, effetti patinati, dialoghi «basic». In America, Netflix ha avuto buon gioco a tarare i suoi obiettivi sul modello delle serie più complesse e di alto livello. In Europa, un simile modello (a parte rare eccezioni) non è ancora la norma: più difficile dunque prendere le misure e realizzare prodotto di qualità". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
Netflix, consuntivo di anno tra alti (Usa) e a corrente alternata (Europa)
"Il semi-vuoto dicembrino che riserva la tv generalista è una buona occasione per dedicarsi alle serie originali di Netflix. Com'è noto, una delle strategie della piattaforma è stata quella di affiancare al ricco catalogo internazionale anche delle produzioni locali, per accompagnare il lancio nei diversi Paesi in cui il servizio è sbarcato. E il caso per esempio di «Suburra», la prima serie italiana, e di altre serie originali made in Europe presentate nei mesi scorsi. Netflix ha fatto grande rumore con i suoi titoli più celebri e riusciti, serie di alto prestigio nate in America e ispirate alla tradizione della serialità Usa più raffinata e complessa. Con l'Europa è stato un percorso più tortuoso, tra prodotti molto convincenti (vedi «The Crown») e altri più incerti, come «Marseille», prima serie francese dalle alte ambizioni ma dagli esiti più che incerti. Stesso ragionamento vale per «Le ragazze del centralino» («Las chicas del cable»), la prima serie originale spagnola che tornerà a breve con la sua seconda stagione. Nel 1928, quattro ragazze vengono assunte come operatrici della Compagnia dei Telefoni, primo gruppo telefonico nazionale: oltre alle vicissitudini lavorative, al tema della modernità che s'impone anche attraverso nuovi mezzi di comunicazione, si raccontano le loro vicende private, i tormenti sentimentali, il passato che non passa, sullo sfondo di un contesto sociale lontano dal garantire alle donne la piena possibilità di realizzare le proprie ambizioni. La serie sorprende per la sua lontananza dagli standard Netflix: è una specie di soap da tv generalista, tutta colpi di scena, effetti patinati, dialoghi «basic». In America, Netflix ha avuto buon gioco a tarare i suoi obiettivi sul modello delle serie più complesse e di alto livello. In Europa, un simile modello (a parte rare eccezioni) non è ancora la norma: più difficile dunque prendere le misure e realizzare prodotto di qualità". (Aldo Grasso)
martedì 19 dicembre 2017
NEWS - Achtung, compagni! Arriva il Natale e "le vie del Signore sono infinite"...occhio alla serie danese "Herrens Vejie" che mette in discussione la religione e ogni puntata è incentrata su un comandamento
Articolo tratto da "Avvenire"
"Il Cristianesimo qui non esiste più, ma perché si possa parlare di riaverlo bisogna spezzare il cuore di un poeta, e quel poeta sono io», scrive Seren Kierkegaard nel suo diario nel 1850. Nel qui dell'ora attuale, nella sua «piccola e irreligiosa Danimarca» che celebra il cinquecentenario luterano, da fine settembre una nuova serie televisiva dai temi squisitamente kierkegaardiani ha tenuto migliaia di spettatori incollati allo schermo per dieci domeniche: il suo creatore è lo stesso Adam Price, ateo regista di Borgen - Il potere (trasmessa in Italia da LaEffe tra 2013 e 2014), che dagli intrighi di palazzo stavolta si confronta con i grandi interrogativi dell'esistenza. La seconda stagione, già girata, verrà trasmessa il prossimo autunno, mentre in Francia saranno entrambe distribuite nel corso del 2018 con il titolo non pienamente indovinato di Ride upon the Storm. Herrens Veje - in italiano "Le vie del Signore" - ha per protagonista la famiglia Krogh, protestante da 250 anni: Johannes, pastore in lizza per diventare vescovo di Copenaghen, in tormentato dialogo con il crocifisso; la moglie Elisabeth, insegnante di letteratura alle prese con varie prove di coraggio; il figlio maggiore Christian, interessante Caino che alla teologia ha preferito studi di economia per rivalsa; e il figlio minore August, Abele in balia del dissidio tra colpa e innocenza, anch'egli pastore come il padre, ma via via senza una chiesa, non facendo lui parte di quella che Kierkegaard avrebbe definito «la cristianità stabilita». Il primo episodio si apre con un filmato amatoriale datato giugno 1995: August riprende con una telecamera un finto funerale officiato da Christian. 11 bambino sale di corsa le scale e trova il nonno, anch'egli pastore, che prega un qualcuno che non si vede di donargli una lingua tramite cui raggiungerlo, una via da percorrere affinché lo si trovi. Di quel delirio che ha visto - gli intima Johannes trovandolo spaventatissimo - non dovrà parlare con nessuno, perché non c'è niente di cui avere paura. Sono le stesse parole, e la stessa scena, con cui la decima puntata si chiude: una spirale che ruota attorno ad avvenimenti che accadono e su cui, spesso, si preferisce tacere. «L'uomo moderno ha bisogno di pensare o di sentire qualcosa che non si può misurare. La musica del caso. La poesia dell'istante. Il desiderio di chi si ama. L'affetto per un figlio. O l'aiuto che ricevi, all'improvviso, quando perdi qualsiasi certezza. In tutto questo io credo, e secondo questo credo io vivo la mia vita», recita Johannes a un dibattito a cui partecipa come candidato vescovo. A elezione avvenuta, lo si ritrova ad ubriacarsi pregando il Padre Nostro, attaccato alla bottiglia e alla perpetua. Una riflessione ponderata investe tutto, dalla Chiesa luteranapresentata a mo' di azienda che chiama i suoi fedeli ignari «consumatori» - ai concetti di segreto, colpa, silenzio demoniaco, rabbia, angoscia, disperazione, responsabilità, compassione, scelta, volontà. Parolechiave tutte kierkegaardiane, così come le vie del Signore percorribili, stadi sul cammino di una vita al cospetto e all'altezza di se stessa. Ogni episodio è lo svolgimento di un comandamento. Di sapore nietzschiano un commento pungente avanzato a Johannes dalla moglie, che quel cuore lo spezza dicendo: «Quando tu parli delle "tue" chiese, sono ancora le case di Dio?»".
Articolo tratto da "Avvenire"
"Il Cristianesimo qui non esiste più, ma perché si possa parlare di riaverlo bisogna spezzare il cuore di un poeta, e quel poeta sono io», scrive Seren Kierkegaard nel suo diario nel 1850. Nel qui dell'ora attuale, nella sua «piccola e irreligiosa Danimarca» che celebra il cinquecentenario luterano, da fine settembre una nuova serie televisiva dai temi squisitamente kierkegaardiani ha tenuto migliaia di spettatori incollati allo schermo per dieci domeniche: il suo creatore è lo stesso Adam Price, ateo regista di Borgen - Il potere (trasmessa in Italia da LaEffe tra 2013 e 2014), che dagli intrighi di palazzo stavolta si confronta con i grandi interrogativi dell'esistenza. La seconda stagione, già girata, verrà trasmessa il prossimo autunno, mentre in Francia saranno entrambe distribuite nel corso del 2018 con il titolo non pienamente indovinato di Ride upon the Storm. Herrens Veje - in italiano "Le vie del Signore" - ha per protagonista la famiglia Krogh, protestante da 250 anni: Johannes, pastore in lizza per diventare vescovo di Copenaghen, in tormentato dialogo con il crocifisso; la moglie Elisabeth, insegnante di letteratura alle prese con varie prove di coraggio; il figlio maggiore Christian, interessante Caino che alla teologia ha preferito studi di economia per rivalsa; e il figlio minore August, Abele in balia del dissidio tra colpa e innocenza, anch'egli pastore come il padre, ma via via senza una chiesa, non facendo lui parte di quella che Kierkegaard avrebbe definito «la cristianità stabilita». Il primo episodio si apre con un filmato amatoriale datato giugno 1995: August riprende con una telecamera un finto funerale officiato da Christian. 11 bambino sale di corsa le scale e trova il nonno, anch'egli pastore, che prega un qualcuno che non si vede di donargli una lingua tramite cui raggiungerlo, una via da percorrere affinché lo si trovi. Di quel delirio che ha visto - gli intima Johannes trovandolo spaventatissimo - non dovrà parlare con nessuno, perché non c'è niente di cui avere paura. Sono le stesse parole, e la stessa scena, con cui la decima puntata si chiude: una spirale che ruota attorno ad avvenimenti che accadono e su cui, spesso, si preferisce tacere. «L'uomo moderno ha bisogno di pensare o di sentire qualcosa che non si può misurare. La musica del caso. La poesia dell'istante. Il desiderio di chi si ama. L'affetto per un figlio. O l'aiuto che ricevi, all'improvviso, quando perdi qualsiasi certezza. In tutto questo io credo, e secondo questo credo io vivo la mia vita», recita Johannes a un dibattito a cui partecipa come candidato vescovo. A elezione avvenuta, lo si ritrova ad ubriacarsi pregando il Padre Nostro, attaccato alla bottiglia e alla perpetua. Una riflessione ponderata investe tutto, dalla Chiesa luteranapresentata a mo' di azienda che chiama i suoi fedeli ignari «consumatori» - ai concetti di segreto, colpa, silenzio demoniaco, rabbia, angoscia, disperazione, responsabilità, compassione, scelta, volontà. Parolechiave tutte kierkegaardiane, così come le vie del Signore percorribili, stadi sul cammino di una vita al cospetto e all'altezza di se stessa. Ogni episodio è lo svolgimento di un comandamento. Di sapore nietzschiano un commento pungente avanzato a Johannes dalla moglie, che quel cuore lo spezza dicendo: «Quando tu parli delle "tue" chiese, sono ancora le case di Dio?»".
lunedì 18 dicembre 2017
NEWS - Fermi tutti! Scattata la petizione per licenziare lo showrunner di "The Walking Dead", ma non per le pessime sceneggiature...
News tratta da "Uproxx"
This week, there have been a lot of The Walking Dead fans — and Star Wars fans, for that matter — who are unhappy that things did not go their way with their respective franchises. In the case of The Walking Dead, fans have gone further than to leave negative reviews on Rotten Tomatoes: One fan has actually launched an online petition to have The Walking Dead showrunner, Scott Gimple, fired from the series. The petition stems from Gimple’s decision in the midseason finale to kill off a popular character, Carl Grimes, who is not only still alive but a rising leader in Robert Kirkman’s source material. The character is not officially dead on the TV series, although Gimple left no doubt about his eventual fate. The decision upset some fans, as well as the actor who plays Carl, Chandler Riggs, and even his father. The petition, created at Change.org by a fan, Tyler Sigmon, has so far amassed 35,000 signatures (with a goal of 50,000). It asks that AMC fire Gimple not only for killing off Carl, but for the unfair treatment Sigmon feels Riggs received:
News tratta da "Uproxx"
This week, there have been a lot of The Walking Dead fans — and Star Wars fans, for that matter — who are unhappy that things did not go their way with their respective franchises. In the case of The Walking Dead, fans have gone further than to leave negative reviews on Rotten Tomatoes: One fan has actually launched an online petition to have The Walking Dead showrunner, Scott Gimple, fired from the series. The petition stems from Gimple’s decision in the midseason finale to kill off a popular character, Carl Grimes, who is not only still alive but a rising leader in Robert Kirkman’s source material. The character is not officially dead on the TV series, although Gimple left no doubt about his eventual fate. The decision upset some fans, as well as the actor who plays Carl, Chandler Riggs, and even his father. The petition, created at Change.org by a fan, Tyler Sigmon, has so far amassed 35,000 signatures (with a goal of 50,000). It asks that AMC fire Gimple not only for killing off Carl, but for the unfair treatment Sigmon feels Riggs received:
The petition is very unlikely to result in Gimple’s departure on the series. For one, all of season eight has already been shot, so there’s another eight episodes in the can that will give Gimple an opportunity either renew fans’ faith in his stewardship or leave them further disappointed. More importantly, I believe for a variety of reasons that killing off Carl Grimes will ultimately be better for the series in the long term, notwithstanding his role in the source material. Most importantly, and this goes for Star Wars, as well: Film and television makers have no duty to execute for entitled fans the exact vision they had for the series, just as entitled fans have no duty to continue watching a film or television franchise with which they have grown disillusioned. Certainly, fans have every right to complain about the direction a movie or television show takes, or even sign a petition. While showrunners and directors are certainly allowed to take those opinions into consideration, storylines should not ultimately be dictated by the fans.Scott [Gimple] has decided to kill off the shows most pivotal character Carl Grimes, son of main character Rick Grimes. The entire show has been a lead up to showing Carl become the leader that his father is, maybe one day taking on the mantle himself. Actor Chandler Riggs even considered postponing his college education so he could work on the show after Gimple promised that he would be on the show for 3 more years. Chandlers dad, William Riggs, said in a facebook post, that was later pulled, that Gimple fired his son just 2 weeks before his 18th birthday even though he promised the actor 3 more years of working on the show. He goes on to say that he never trusted Gimple or AMC and that his son did, making it especially heartbreaking for him to be fired.
L'arrivo di #Fantaghirò su @NetflixIT è l'antipasto di come potrebbe diventare la piattaforma (tutte le piattaforme, così come tutte le reti tv sia free che pay) dopo la legge di Franceschini che prevede il 60% delle produzioni italiane dal 2018 (con proroga al 2019).— TelefilmCult (@TelefilmCult) 17 dicembre 2017
Alla corazzata @Disney che si arma di #Fox+#Sky+@hulu+@Marvel e chi più ne ha più ne metta, @NetflixIT controbatte con #Fantaghirò.— Leo Damerini (@LeoDamerini) 16 dicembre 2017
In effetti vederlo in binge-watching è roba da SottoSopra.
domenica 17 dicembre 2017
NEWS - Washington, abbiamo un problema! Clooney al lavoro per una serie sul "Watergate" per Netflix
News tratta da "Vulture"
News tratta da "Vulture"
If you can’t get enough of the debate over how the current administration compares to President Nixon’s, Netflix might just have the show for you. According to The Hollywood Reporter, the streaming giant is considering green-lighting a mini-series about the Watergate scandal. George Clooney’s production company, Smokehouse Pictures, is developing the eight-episode series, with the actor serving as one of the executive producers. The Oscar-nominated Bridge of Spies scribe Matt Charman is set to write. Clooney, who has been mostly absent from the small screen during this golden age of television, seems to be doubling down on the limited-series game. Last month it was also announced that the former ER star will be directing and starring in a six-episode adaption of Joseph Heller’s 1961 novel Catch-22. All this to say: Happy Holidays, moms everywhere.
Nuovo filone Usa seriale 2018: dissotterrare i Presidenti a...puntate.
— Leo Damerini (@LeoDamerini) 17 dicembre 2017
Dopo annunciata serie su #Reagan (@USA_Network) ci si mette anche Clooney con il #Nixon del #Watergate (@netflix), con evidenti analogie a #Trump.
Dalle serie Usa ci si aspetta però di più: a quando #Clinton?
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