L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
L'importanza di Bernadette in "Game of Thrones"
"La donna che sussurrava a Jamie Lannister. L'attore Nikolaj Koster-Waldau era sull'orlo di una crisi di nervi, sul set di "Game of Thrones". Problemi personali, subito disinnescati da Bernadette Caulfied, produttrice esecutiva della serie (sì, ha lo stesso cognome del giovane Holden di Salinger, ma non sono parenti; il leggendario adolescente già odiava Hollywood, figuriamoci cosa penserebbe di Hbo). "La persona migliore che poteva capitarci", hanno scritto in una mail gli showrunner David Benioff e DB. Weiss. Il cast non è da meno, a cominciare dalla regina dei draghi Daenerys Targaryen — saldamente nel nostro cuore dalla prima notte di nozze con il Khan Drogo, quando insegnò al fascinoso bruto un po' di kamasutra. "Produttore esecutivo" non è un mestiere che fa sognare, in un paese di artisti e di aspiranti registi, già la sceneggiatura da noi viene considerata poco o nulla. Ma in un'impresa titanica come "Game of Thrones" — l'ultima stagione ha fatto il record di spettatori, negli Stati Uniti e in Italia dove va in onda su Sky Atlantic — è chi rende possibili le cose, trasportandole dalla pagina allo schermo. George R. R. Martin, che ha scritto la saga "Cronache del ghiaccio e del fuoco" all'origine della serie, non ha questi problemi. Scrive "draghi volanti sputafuoco" con la stessa facilità con cui l'abbiamo scritto noi, e lo stesso vale per i combattimenti con gli orsi, o per le scene di massa. Bernadette Caulflied deve trovare l'orso, convincere l'attrice a recitare con lui, far disegnare i dragoni (che non sono mica tutti uguali, qui sono particolarmente eleganti, si capiva dalle uova), ordinarne la costruzione nel reparto effetti speciali o inserirli in post produzione, dopo che la scena è stata girata con un segnaposto per il drago feroce. Deve organizzare fino a cinque unità di regia, al lavoro in Spagna, in Croazia, in Islanda sotto la tempesta di ghiaccio. Deve organizzare migliaia di comparse. Deve sussurrare all'orecchio degli attori, magari alle tre del mattino, dopo mesi di lavoro al freddo della notte: "Ci sarebbe da discutere la prossima battuta in lingua dothraki". Lo racconta Emilia Clarke al New York Times, che in vista dell'evento — oltre al solito riassunto delle puntata precedenti, alla guida per chi ha smarrito la trama, alle scommesse su chi alla fine conquisterà il Trono di Spade — dedica un ritratto "alla più grande produttrice vivente". Chi ha visto il primo episodio dell'ultima stagione sa già che almeno una delle ipotesi è caduta sotto il peso di una rivelazione. E sa cosa mangiano i draghi. Mangiano quel che vogliono, ma al momento stanno un po' a stecchetto. Sta per arrivare il momento in cui bisognerà scegliere tra un drago pasciuto e un esercito numeroso. Però volano, e Jon Snow ne approfitta per una romantica cavalcata, aggrappato alle scaglie. Per il titolo "serie che ha cambiato la storia della tv" gareggiano molte concorrenti. Di sicuro, dalla prima puntata di "Game of Thrones" (era il 2011) la storia della televisione è cambiata per conto suo, non solo per l'eccelsa qualità di certi prodotti. "House of Cards" di Beau Williamson (con Kevin Spacey, ne hanno cancellato anche la memoria) arriva su Netflix nel 2013 e butta all'aria la scansione settimanale — con il carico di ragionamenti e interpretazioni che avevano fatto la fortuna di "Lost". L'ottava stagione di "Game of Thrones" potrebbe essere l'ultimo appuntamento collettivo. Vale la pena di godersela, prima di tornare a chiudersi nella bolla dell'algoritmo". (Mariarosa Mancuso)
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venerdì 19 aprile 2019
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lunedì 18 febbraio 2019
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
In "The First" un Sean Penn intimista ai confini dello spazio
"'La nostra macchina ci ha tradito». Nell'anno 2033, in un futuro in cui il riconoscimento vocale è pratica quotidiana e ha ormai sostituito anche le azioni più banali, la prima missione umana su Marte va storta e provoca la morte di cinque astronauti. Di fronte alla tragedia e alla riconosciuta imperfezione delle macchine, davanti all'imprevedibilità del destino, Laz Ingram, responsabile della società aerospaziale Vista, che gestisce le operazioni, è intenzionata a proseguire. Per farlo, è pronta a chiedere la disponibilità di Tom Hagerty (un brillante Sean Penn), ex comandante che aveva seguito alla tv la morte in diretta dei suoi amici astronauti. «The First», una coproduzione statunitense e britannica che segna l'esordio di Sean Penn nella serialità televisiva (percorso ormai comune a diverse star del cinema hollywoodiano), affronta il tema classico della conquista dello spazio da un punto di vista del tutto peculiare (TimVision). L'immaginario principe della fantascienza, infatti, lascia spazio da un lato a toni più intimisti, dove s'intrecciano i tormenti psicologici dei protagonisti, con i loro drammi, paure, vicissitudini famigliari complicate e, dall'altro, scivola verso aspetti politici, con i responsabili del disastro chiamati a sfilare davanti alla commissione del Congresso. Del resto, ideatore e sceneggiatore di alcuni episodi della serie è Beau Willimon, il creatore di «House of Cards», di cui si nota l'impronta nella caratterizzazione profonda dei personaggi sin dalle prime battute. «The First» vuole piuttosto far riflettere sui limiti dell'umano («Tu non vuoi toccare Dio, ma vuoi essere Dio», dice Hagerty-Penn) e sui legami famigliari come strumento di salvezza e libertà di fronte a ciò che non conosciamo e ci fa paura. II tutto in un crescendo emotivo che viene ben accompagnato da una colonna sonora riuscita, firmata da Colin Stetson". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
In "The First" un Sean Penn intimista ai confini dello spazio
"'La nostra macchina ci ha tradito». Nell'anno 2033, in un futuro in cui il riconoscimento vocale è pratica quotidiana e ha ormai sostituito anche le azioni più banali, la prima missione umana su Marte va storta e provoca la morte di cinque astronauti. Di fronte alla tragedia e alla riconosciuta imperfezione delle macchine, davanti all'imprevedibilità del destino, Laz Ingram, responsabile della società aerospaziale Vista, che gestisce le operazioni, è intenzionata a proseguire. Per farlo, è pronta a chiedere la disponibilità di Tom Hagerty (un brillante Sean Penn), ex comandante che aveva seguito alla tv la morte in diretta dei suoi amici astronauti. «The First», una coproduzione statunitense e britannica che segna l'esordio di Sean Penn nella serialità televisiva (percorso ormai comune a diverse star del cinema hollywoodiano), affronta il tema classico della conquista dello spazio da un punto di vista del tutto peculiare (TimVision). L'immaginario principe della fantascienza, infatti, lascia spazio da un lato a toni più intimisti, dove s'intrecciano i tormenti psicologici dei protagonisti, con i loro drammi, paure, vicissitudini famigliari complicate e, dall'altro, scivola verso aspetti politici, con i responsabili del disastro chiamati a sfilare davanti alla commissione del Congresso. Del resto, ideatore e sceneggiatore di alcuni episodi della serie è Beau Willimon, il creatore di «House of Cards», di cui si nota l'impronta nella caratterizzazione profonda dei personaggi sin dalle prime battute. «The First» vuole piuttosto far riflettere sui limiti dell'umano («Tu non vuoi toccare Dio, ma vuoi essere Dio», dice Hagerty-Penn) e sui legami famigliari come strumento di salvezza e libertà di fronte a ciò che non conosciamo e ci fa paura. II tutto in un crescendo emotivo che viene ben accompagnato da una colonna sonora riuscita, firmata da Colin Stetson". (Aldo Grasso)
domenica 16 dicembre 2018
NEWS - Arriva "The First" col debutto seriale di Sean Penn: nei cinema (il 18 dicembre) e poi su TimVision (dal 19)
Dopo il successo di pubblico e critica internazionale arriva in Italia in esclusiva dal 19 dicembre su Timvision la serie The First creata dallo showrunner di House of Cards Beau Willimon. I primi due episodi di The First, prodotto da Westword Productions, verranno proiettati in anteprima martedì 18 dicembre dalle ore 20 in 30 cinema italiani grazie a Timvision in collaborazione con Nexo Digital. La serie in 8 episodi è ambientata nel 2030 e racconta la preparazione di un team di astronauti alla prima missione su Marte guidata dal capitano Tom Hagerty, interpretato dal 2 volte premio Oscar Sean Penn per la prima volta protagonista di una serie tv.
Ecco l'elenco dei cinema dove poterlo vedere gratuitamente: LINK
Dopo il successo di pubblico e critica internazionale arriva in Italia in esclusiva dal 19 dicembre su Timvision la serie The First creata dallo showrunner di House of Cards Beau Willimon. I primi due episodi di The First, prodotto da Westword Productions, verranno proiettati in anteprima martedì 18 dicembre dalle ore 20 in 30 cinema italiani grazie a Timvision in collaborazione con Nexo Digital. La serie in 8 episodi è ambientata nel 2030 e racconta la preparazione di un team di astronauti alla prima missione su Marte guidata dal capitano Tom Hagerty, interpretato dal 2 volte premio Oscar Sean Penn per la prima volta protagonista di una serie tv.
Ecco l'elenco dei cinema dove poterlo vedere gratuitamente: LINK
mercoledì 1 novembre 2017
News: #HouseOfCards, Production On @Netflix Series Suspended Indefinitely Following Kevin Spacey Allegations. https://t.co/SsjNvJD2TF
— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 31 ottobre 2017
martedì 31 ottobre 2017
GOSSIP - Senti che Rapp! L'attore di "Star Trek Discovery" accusa Kevin Spacey, fresco di coming out, di averlo molestato a 14 anni. L'interprete di Underwood si scusa. Lo showrunner di "House of Cards"chiosa senza mezzi termini: "molto preoccupante"
(Ansa) - Nuove rivelazioni a sfondo sessuale dalle star di Holliwood. A finire in prima pagina oggi è Kevin Spacey che ha fatto coming out. La star di House of Cards lo ha rivelato con un post, dopo essere stato accusato qualche ora prima da Anthony Rapp - l'attore che dà il volto a Paul Stamets in Star Trek Discovery - di averlo molestato sessualmente nel 1986. All'epoca Rapp aveva 14 anni, Spacey 26. Attraverso un lungo tweet, ha prima chiesto scusa a Rapp per la sua condotta riprovevole e ha poi deciso di fare chiarezza sul suo orientamento sessuale. "Ho molto rispetto e ammirazione per Anthony Rapp come attore. Mi ha fatto orrore sentire la sua storia. Sinceramente non ricordo quell'episodio che risale a più di 30 anni fa e che è frutto di un comportamento inappropriato legato ai fumi dell'alcol. Ma se mi sono comportato come lui dice, gli faccio le mie più sincere scuse (…) Questa storia mi stimola a raccontare di più sulla mia persona. Nella mia vita ho avuto relazioni sia con donne sia con uomini. Ho amato e avuto incontri romantici con diversi uomini nel corso della mia vita e ora ho deciso di vivere da uomo gay. Voglio affrontare la cosa onestamente e apertamente".
(Ansa) - Nuove rivelazioni a sfondo sessuale dalle star di Holliwood. A finire in prima pagina oggi è Kevin Spacey che ha fatto coming out. La star di House of Cards lo ha rivelato con un post, dopo essere stato accusato qualche ora prima da Anthony Rapp - l'attore che dà il volto a Paul Stamets in Star Trek Discovery - di averlo molestato sessualmente nel 1986. All'epoca Rapp aveva 14 anni, Spacey 26. Attraverso un lungo tweet, ha prima chiesto scusa a Rapp per la sua condotta riprovevole e ha poi deciso di fare chiarezza sul suo orientamento sessuale. "Ho molto rispetto e ammirazione per Anthony Rapp come attore. Mi ha fatto orrore sentire la sua storia. Sinceramente non ricordo quell'episodio che risale a più di 30 anni fa e che è frutto di un comportamento inappropriato legato ai fumi dell'alcol. Ma se mi sono comportato come lui dice, gli faccio le mie più sincere scuse (…) Questa storia mi stimola a raccontare di più sulla mia persona. Nella mia vita ho avuto relazioni sia con donne sia con uomini. Ho amato e avuto incontri romantici con diversi uomini nel corso della mia vita e ora ho deciso di vivere da uomo gay. Voglio affrontare la cosa onestamente e apertamente".
News: #HouseOfCards Showrunner Beau Willimon Calls Kevin Spacey Allegations ‘Deeply Troubling’. https://t.co/kRO8l6Eop1 via @variety— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 30 ottobre 2017
sabato 26 marzo 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
Il Binge-Watching, la nuova malattia del nostro tempo (ovvero: la depressione da Netflix)
"Ero avvilito, mi sentivo abbandonato », confessava a dicembre sul New York Times Matthew Schneier. «L'episodio successivo sarebbe stato l'ultimo, poi nulla fino alla nuova stagione. Ammesso che ci fosse». Sui social se ne lamentano da mesi, ci sono perfino i gruppi di sostegno. Ora, dalla scienza arriva la conferma. È il malessere da binge-watching, quello che assale dopo un'abbuffata di serie tv. La nuova malattia del nostro tempo, la sensazione di tristezza e svuotamento dopo una maratona. La depressione, insomma, da Netflix. II servizio che rende disponibili tutte le puntate insieme ha cambiato la fruizione di W. II dizionario Collins ha eletto «binge-watch» parola del 2oi,5. E a differenza del binge-eating (l'alimentazione incontrollata), il binge-watching fa figo. Si adeguano gli altri: Sky ha lanciato Sky Box Sets, versione on demand del vecchio cofanetto. L'allyou-can-eat della tv. Senza porzioni consigliate. Ma per gli esperti il binge scatena ansia, nervosismo. Addirittura dipendenza. Se ai tempi di Friends guardare una serie era un momento circoscritto, oggi con l'autoplay che annuncia il nuovo episodio in 1,3 secondi, solo i più disciplinati sanno dire no. Ho il bilancio aziendale da finire, ma vado avanti fino all'indomani. Non ho più autocontrollo». II risultato è alienazione. E quando arrivi all'ultima puntata e la stagione successiva è ancora da filmare, scattano spleen e solitudine. Netflix tutto questo lo sa. Ci gioca, in uno spot su una ragazza inconsolabile, monitora l'episodio della prima stagione dopo il quale i170% degli utenti è accalappiato. «La pazienza è la virtù dei forti», gongola, cattivissimo, Beau Willimon, produttore di House of Cards. Quando arriva la seconda di Jessica Jones? (Costanza Rizzacasa d'Orsogna)
CORRIERE DELLA SERA
Il Binge-Watching, la nuova malattia del nostro tempo (ovvero: la depressione da Netflix)
"Ero avvilito, mi sentivo abbandonato », confessava a dicembre sul New York Times Matthew Schneier. «L'episodio successivo sarebbe stato l'ultimo, poi nulla fino alla nuova stagione. Ammesso che ci fosse». Sui social se ne lamentano da mesi, ci sono perfino i gruppi di sostegno. Ora, dalla scienza arriva la conferma. È il malessere da binge-watching, quello che assale dopo un'abbuffata di serie tv. La nuova malattia del nostro tempo, la sensazione di tristezza e svuotamento dopo una maratona. La depressione, insomma, da Netflix. II servizio che rende disponibili tutte le puntate insieme ha cambiato la fruizione di W. II dizionario Collins ha eletto «binge-watch» parola del 2oi,5. E a differenza del binge-eating (l'alimentazione incontrollata), il binge-watching fa figo. Si adeguano gli altri: Sky ha lanciato Sky Box Sets, versione on demand del vecchio cofanetto. L'allyou-can-eat della tv. Senza porzioni consigliate. Ma per gli esperti il binge scatena ansia, nervosismo. Addirittura dipendenza. Se ai tempi di Friends guardare una serie era un momento circoscritto, oggi con l'autoplay che annuncia il nuovo episodio in 1,3 secondi, solo i più disciplinati sanno dire no. Ho il bilancio aziendale da finire, ma vado avanti fino all'indomani. Non ho più autocontrollo». II risultato è alienazione. E quando arrivi all'ultima puntata e la stagione successiva è ancora da filmare, scattano spleen e solitudine. Netflix tutto questo lo sa. Ci gioca, in uno spot su una ragazza inconsolabile, monitora l'episodio della prima stagione dopo il quale i170% degli utenti è accalappiato. «La pazienza è la virtù dei forti», gongola, cattivissimo, Beau Willimon, produttore di House of Cards. Quando arriva la seconda di Jessica Jones? (Costanza Rizzacasa d'Orsogna)
lunedì 13 luglio 2015
NEWS - Il potere è degli showrunner. Chi sono e cosa fanno i "direttori d'orchestra" delle serie tv (con cachet dai 50 mila dollari e mezzo milione a puntata!)
Articolo tratto da "La Repubblica"
Beau Willimon, Nic Pizzolatto, Shonda Rhimes, Lee Daniels... Chi sono? Semplicemente alcuni tra i più influenti personaggi nel mondo dello spettacolo americano di oggi. Sono gli show runner di alcune delle serie televisive di maggior successo nel mondo: House of cards, True Detective, Grey's Anatomy, Empire. Ma cos’è uno show runner? Suona come “ring-master”, il capomastro di un circo o capocomico di una compagnia teatrale d’altri tempi. E in effetti qualcosa in comune con queste storiche maestranze artistiche gli show runner ce l’hanno: sono coloro che portano avanti, che gesticono lo show, la serie, i veri direttori d’orchestra, i “mister” di una squadra, gli arrangiatori, creativi e motivatori allo stesso tempo.
Articolo tratto da "La Repubblica"
Beau Willimon, Nic Pizzolatto, Shonda Rhimes, Lee Daniels... Chi sono? Semplicemente alcuni tra i più influenti personaggi nel mondo dello spettacolo americano di oggi. Sono gli show runner di alcune delle serie televisive di maggior successo nel mondo: House of cards, True Detective, Grey's Anatomy, Empire. Ma cos’è uno show runner? Suona come “ring-master”, il capomastro di un circo o capocomico di una compagnia teatrale d’altri tempi. E in effetti qualcosa in comune con queste storiche maestranze artistiche gli show runner ce l’hanno: sono coloro che portano avanti, che gesticono lo show, la serie, i veri direttori d’orchestra, i “mister” di una squadra, gli arrangiatori, creativi e motivatori allo stesso tempo.
Per questo, nella Golden Era della
televisione, sono diventati figure riverite, rispettate, corteggiate,
richieste e anche meglio pagate di Hollywood. Non importa che agli
spettatori sfuggano i loro nomi: nel “business” House of cards non è
solo Kevin Spacey, è soprattutto Willimon, creatore, capo-sceneggiatore e
show runner della premiata serie targata Netflix. Empire non è solo
Terrence Howard, è soprattutto Lee Daniels.
Scandal viene forse riconosciuta come la serie di Kerry Washington nel ruolo dell’esperta di “gestione di crisi” e spin-doctor? Nemmeno per sogno: è la sua creatrice e show runner Shonda Rhimes il “capitano”; la stessa di Le regole del delitto perfetto, sull’avvocatessa manipolatrice e femme fatale interpretata da Viola Davis. E ancora: Vince Gilligan, show runner (e creatore assoluto) di Breaking Bad, esempio lampante di uno diventato in poco tempo un “ pezzo da novanta”.
Scandal viene forse riconosciuta come la serie di Kerry Washington nel ruolo dell’esperta di “gestione di crisi” e spin-doctor? Nemmeno per sogno: è la sua creatrice e show runner Shonda Rhimes il “capitano”; la stessa di Le regole del delitto perfetto, sull’avvocatessa manipolatrice e femme fatale interpretata da Viola Davis. E ancora: Vince Gilligan, show runner (e creatore assoluto) di Breaking Bad, esempio lampante di uno diventato in poco tempo un “ pezzo da novanta”.
Damon Lindelof, show runner del dramma HBO The Leftovers, spiega così
il passaggio da “creatore” di una serie a “capomastro”: «Mi considero
prima di tutto uno sceneggiatore che poi è diventato un produttore, che
poi è diventato show runner per garantirsi il controllo assoluto sul suo
stesso materiale.
Nella stanza degli sceneggiatori riuniti intorno al tavolo mi sento come
il membro della giuria popolare in La parola ai giurati, quello che
cerca di convincere tutti gli altri che la sua opinione è quella da
seguire, nel nostro caso l’idea. Gli altri sceneggiatori mi guardano
perplessi e dicono: “Ehi, tu sei il boss, non hai bisogno di
convincerci!”. E invece sì: anche io ho bisogno di sentirmi dire che la
mia idea è la migliore!».
Alex Gansa, show runner di Homeland
conferma: «È brutto dover riscrivere un episodio proposto da qualcuno
dello staff. A me è capitato spesso quando ero giovane, e soffrendo ho
imparato a usare gli arnesi del mestiere. Un “capitano” deve saper
intervenire puntando a tenere insieme la squadra senza far soffrire
troppo nessuno. La frustrazione o l’umiliazione non contribuisce mai a
un sano processo creativo collettivo».
E
una serie televisiva è il massimo del lavoro collettivo: all’idea
iniziale, al trattamento del primo episodio, il “pilota” che viene
mostrato ai potenziali distributori (canali televisivi) e dalla cui
brillantezza dipende il destino della serie (se la puntata “pilota”
funziona, aumenteranno le probabilità di aggiungere episodi e stagioni),
a questo germe iniziale si aggiungono produttori, produttori esecutivi,
un team di sceneggiatori, registi e ovviamente il cast.
L’avvicendarsi dei registi non garantisce la continuità stilistica,
estetica e tematica della serie. Ed è qui che entra in scena lo show
runner , colui o colei che tiene le redini della carovana, che
garantisce la continuità, che imprime il tono (come un direttore
d’orchestra), che come un colonnello tiene unite le file dei vari
plotoni di un battaglione e “manda avanti la carretta”. I registi vanno e
vengono, i produttori pure, gli sceneggiatori anche, ma lo show runner
rimane fisso nell’occhio caotico della produzione. È responsabile di
budget che arrivano anche a 5 milioni di dollari a episodio (soprattutto
per serie storiche come Game of thrones o d’azione no-stop come The
walking dead).
Nick Pizzolatto, 35 anni, ex docente
universitario di letteratura americana, si sta imponendo come il “golden
boy” grazie a True Detective. È lui l’unico comun denominatore di una
serie che la HBO già pensa di riprogrammare per altri cinque anni.
«Lavoro molto con gli attori - dice - sto con loro sul set, li seguo, ci
parlo tra un ciak e l’altro, ripasso con loro le battute. A
volte rompo le scatole al regista di turno, che in genere scelgo io,
perché voglio difendere quella certa inquadratura che avevo immaginato
mentre scrivevo la sceneggiatura. Voglio che ogni regista possa
contribuire a suo modo, certo, ma allo stesso tempo ritengo che sia
fondamentale che il linguaggio della serie venga rispettato, che non si
passi dal letterario al vernacolare o al dialettale senza una ragione.
Uno show runner come me, anche se non è il regista di quel dato
episodio, e anche se non è lui stesso l’autore del copione, deve far
sentire a tutti il fiato sul collo». Dice proprio questo Pizzolatto: fiato sul
collo. «Se non facessimo così la serie andrebbe in ogni direzione come
una banderuola al vento: lo show runner ha il compito di far soffiare il
vento sempre nella giusta direzione, mantenendo la stabilità ».
Queste
figure sono un curioso ibrido tra l’artista sognatore e il duro e
pragmatico manager operativo: capi cantiere ma anche un po’ poeti.
Assumono e licenziano scrittori e attori, sviluppano trame narrative, si
occupano di casting, scelgono i registi e analizzano nei minimi
dettagli budget e valori produttivi. Vietato sciupare denaro: sarà pure
la Golden Era della televisione, ma gli sprechi non sono ammessi.
«Veniamo pagati bene - assicura Pizzolatto - non possiamo lamentarci. Ma
se lo spettacolo non ha il successo sperato o alla HBO non quadrano i
conti, la responsabilità è tutta mia».
Lo show runner guadagna tra i 50 mila dollari a puntata e il mezzo
milione: dipende dal successo, dai ratings, dallo share, e soprattutto
dalla capacità che ha la serie di tirare avanti per almeno cento
episodi, cifra- tetto che si traduce automaticamente in enormi guadagni
con relativi diritti sulle repliche - i “rerun” - su qualsiasi rete tv
in qualsiasi paese del mondo. Lo show runner di una serie di successo
continuerà a ricevere assegni per le royalties vita natural durante.
Eppure ecco cosa racconta Mike Judge,
potente show runner di Silicon Valley: «Adoriamo tutti la televisione,
certo, ma sotto sotto il nostro sogno nel cassetto è quello di arrivare
al cinema, di scrivere per il cinema. L’ideale sarebbe gestire una serie
televisiva e fare un film ogni anno. Come sta facendo Seth McFarlane,
con il quale ho creato e realizzato Family guy. Adesso lui ha girato
Ted e Ted 2 , e io muoio dall’invidia. Anche se mi diverto da matti a
fare la parodia dei vari Steve Jobs e dei nerd di Silicon Valley».
Dunque sono gli show runner i nuovi mogul di Hollywood? La nuova vetta dello star system? Dopo i
capi degli studios, i produttori, i registi e gli attori, adesso sono
loro la nuova potenza nel mondo dello spettacolo che dal grande schermo
si sta spostando verso il piccolo. E per giunta creano da soli i loro
spettacoli. Se è vero che gli studios - e le piattaforme streaming come
Netflix o Hulu - continuano a essere padroni dei loro show, è
altrettanto vero che senza un bravo show runner lo spettacolo non
marcerebbe. E se si ritira lo show runner , addio contenuto e repliche
che anche tra dieci anni portano contanti nelle casse.
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