venerdì 16 ottobre 2015
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Aquarius", più soap che drama
"Charles Manson voleva diventare più famoso dei Beatles. Era una delle sue ossessioni. Era convinto di essere il quinto (mancato) Beatles. Certo, dare vita a un culto satanico per incidere qualche disco porta a conseguenze tragiche. In un capitolo di «Tragico tascabile», Guido Ceronetti accusa i Beatles di avere eccitato con «Helter Skelter» la furia omicida di Manson, artefice con la sua banda del massacro di Cielo Drive in cui, il 9 agosto 1969, venne, tra gli altri, assassinata Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, 26 anni, incinta di otto mesi. Mah! Difficile capire dalle prime due puntate quanto «Aquarius», la serie creata da John McNamara per NBC, riesca a restituirci il senso del tragico nel raccontare i delitti commessi da Manson e dalla sua setta in un crescendo di violenza e follia (Sky Atlantic, mercoledì, 21.10). Siamo nel i96', a Los Angeles. Una ragazzina sparisce da casa: e l'espediente narrativo per introdurci nel gruppo di Manson, tra cultura hippy e manifestazioni contro la guerra in Vietnam, uso di droghe e rock psichedelico, tensioni razziali e liberazione sessuale. A indagare c'è il detective Sam Hodiak (David Duchovny), affiancato da un partner più giovane e più in sintonia con i tempi che cambiano, Brian Shafe (Grey Damon). Ben presto le loro ricerche li condurranno nella tana del lupo, dove il guru mezzo disadattato (l'infanzia difficile, le violenze subite in carcere, una pulsione omosessuale...), riesce tuttavia ad attirare giovani donne deboli e manipolabili, per plagiarle e convincerle a unirsi alla causa. «Aquarius» gode di un'ottima fotografia, di una colonna sonora degna di quegli anni, di una recitazione di tutto rispetto. Ma il racconto tende volentieri alla soap (intrecci amorosi, fidanzate e mogli abbandonate...) e la tragicità fatica non poco a morderci, a inchiodarci alla sua smisuratezza. In America, NBC ha reso subito disponibili on demand tutti gli episodi, in stile Netflix". (Aldo Grasso, 16.10.2015)
CORRIERE DELLA SERA
"Aquarius", più soap che drama
"Charles Manson voleva diventare più famoso dei Beatles. Era una delle sue ossessioni. Era convinto di essere il quinto (mancato) Beatles. Certo, dare vita a un culto satanico per incidere qualche disco porta a conseguenze tragiche. In un capitolo di «Tragico tascabile», Guido Ceronetti accusa i Beatles di avere eccitato con «Helter Skelter» la furia omicida di Manson, artefice con la sua banda del massacro di Cielo Drive in cui, il 9 agosto 1969, venne, tra gli altri, assassinata Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, 26 anni, incinta di otto mesi. Mah! Difficile capire dalle prime due puntate quanto «Aquarius», la serie creata da John McNamara per NBC, riesca a restituirci il senso del tragico nel raccontare i delitti commessi da Manson e dalla sua setta in un crescendo di violenza e follia (Sky Atlantic, mercoledì, 21.10). Siamo nel i96', a Los Angeles. Una ragazzina sparisce da casa: e l'espediente narrativo per introdurci nel gruppo di Manson, tra cultura hippy e manifestazioni contro la guerra in Vietnam, uso di droghe e rock psichedelico, tensioni razziali e liberazione sessuale. A indagare c'è il detective Sam Hodiak (David Duchovny), affiancato da un partner più giovane e più in sintonia con i tempi che cambiano, Brian Shafe (Grey Damon). Ben presto le loro ricerche li condurranno nella tana del lupo, dove il guru mezzo disadattato (l'infanzia difficile, le violenze subite in carcere, una pulsione omosessuale...), riesce tuttavia ad attirare giovani donne deboli e manipolabili, per plagiarle e convincerle a unirsi alla causa. «Aquarius» gode di un'ottima fotografia, di una colonna sonora degna di quegli anni, di una recitazione di tutto rispetto. Ma il racconto tende volentieri alla soap (intrecci amorosi, fidanzate e mogli abbandonate...) e la tragicità fatica non poco a morderci, a inchiodarci alla sua smisuratezza. In America, NBC ha reso subito disponibili on demand tutti gli episodi, in stile Netflix". (Aldo Grasso, 16.10.2015)
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giovedì 15 ottobre 2015
NEWS - Fiat Netflix in Italia, ma non per tutti! Solo il 22% del nostro Paese coperto dalla banda ultralarga: prima di abbonarsi, meglio informarsi
Articolo tratto da "Il Sole 24 ore"
Sette giorni esatti. Tanto manca all’arrivo in Italia di Netflix. Prima di noi altri 50 Paesi e 65 milioni di persone hanno aderito alle proposte streaming del network californiano. Nel suo carnet conta film, documentari e serie televisive, da assemblare tra loro per creare palinsesti personali. Netflix è un servizio streaming, dunque l’utente non deve scaricare i contenuti. Niente «download». Ecco perché viene richiesta la connessione continua a Internet. Basta attivare l’app e i programmi televisivi si guardano sugli schermi delle smart tv, di tablet, smartphone e notebook. E se la tivù manca di collegamento web, va bene anche la console per videogame. Una rivoluzione non da poco, perché vengono a cadere i vincoli spazio-temporali dei tradizional i programmi Tv prodotti da i broad caster televisivi. Basti pensare che ogni giorno con Netflix, dicono i dati interni, vengono guardate 100 milioni di trasmissioni web. Stiamo dunque entrando nel mondo della fruizione di contenuti video e intrattenimento «anywhere, anytime». Cioè da ogni posto e in qualunque momento. Con la possibilità di guardare un film sulla smart tv, bloccarlo a metà e il giorno dopo continuare su tablet e smartphone mentre si viaggia. In Italia, secondo i responsabili Netflix, saranno sottoscritti almeno 150 mila abbonamenti entro fine anno. La proposta prevede tre pacchetti con prezzi che dipendono sia dalla qualità video, sia dalle cosiddette «sessioni di streaming», cioè il numero di trasmissioni da guardare in contemporanea dall’utente e gli altri componenti della famiglia (cinque persone in tutto). Il piano «Base» da 7,99 euro al mese — come dire 27 centesimi al giorno — include una qualità video standard, con una sola sessione streaming e velocità di tre megabit al secondo. Lo «Standard» da 9,99 euro al mese offre qualità Hd, due sessioni di streaming e velocità di cinque megabit al secondo. Infine c’è «Premium», un piano da 11,99 euro al mese in ultra Hd4K: consente di attivare fino a quattro streaming per volta a 25 megabit al secondo. Sottoscrivere l’abbonamento è semplice. Basta creare un account dal sito netflix.com, oppure dall’omonima app. Si inseriscono poi i dati bancari con carta di credito o PayPal. Nuova la soluzione scelta dai softwaristi per gestire l’abbonamento mese per mese (il primo gratis) , con cancellazione immediata quando si decide di non usare Netflix per il successivo. Nelle impostazioni è previsto il parental control per sorvegliare i contenuti rivolti ai bambini. Non solo. Una volta scaricata l’app, lo smartphone si trasforma in telecomando digitale. Nel nostro Paese, Netflix ha da poco stretto accordi con Telecom e Vodafone per offrire sottoscrizioni congiunte. Sarà anche possibile acquistare carte prepagate Netf lix presso rivenditori autorizzati. Tra questi: GameStop, Unieuro, MediaWorld, Esselunga, Mondadori ed Euronics. In Italia già un milione e mezzo di persone usa la tivù via strea- ming. Dunque a chi darà fastidio Netflix? Sky on demand e Sky Go già da un paio d’anni consentono agli abbonati Sky di guardare programmi satellitari su d ispositivi mobili. Mediaset punta invece sulla pay tv con Infinity: film, serie tv, fiction in Hd. Il Biscione offre anche Premium Play per guardare il calcio in diretta streaming su tablet, inclusi i programmi di Canale 5, Italia 1 e Rete 4 degli ultimi sette giorni. Fastweb ha superato i 400 mila utenti in tre anni con Chili Tv. TimVision, la piattaforma on demand di Telecom Italia, dichiara 6 mila titoli tra serie tv, cartoni, cinema e documentari. Rai.Tv consente invece di seguire via Internet il meglio dell’emittente nazionale. Ma per Netflix il tallone d’Achille del Belpaese resta la velocità di connessione. Perché in mancanza di banda ultraveloce (30 megabit al secondo) si rischia di guardare i contenuti con fastidio se interruzioni. Oggi, secondo i dati di Sos Tariffe, solo il 22,3% del territorio italiano è raggiunto da banda ultralarga, rispetto alla media europea del 64%. Senza contare che ci sono regioni come il Molise, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta in cui la copertura è assente. Vale dunque un consiglio. Prima di sottoscrivere l’abbonamento, accertatevi della velocità di connessione presente tra le mura domestiche (wi-f i e Adsl). In caso contrario è come acquistare un vestito griffato che però vi sta stretto.
Articolo tratto da "Il Sole 24 ore"
Sette giorni esatti. Tanto manca all’arrivo in Italia di Netflix. Prima di noi altri 50 Paesi e 65 milioni di persone hanno aderito alle proposte streaming del network californiano. Nel suo carnet conta film, documentari e serie televisive, da assemblare tra loro per creare palinsesti personali. Netflix è un servizio streaming, dunque l’utente non deve scaricare i contenuti. Niente «download». Ecco perché viene richiesta la connessione continua a Internet. Basta attivare l’app e i programmi televisivi si guardano sugli schermi delle smart tv, di tablet, smartphone e notebook. E se la tivù manca di collegamento web, va bene anche la console per videogame. Una rivoluzione non da poco, perché vengono a cadere i vincoli spazio-temporali dei tradizional i programmi Tv prodotti da i broad caster televisivi. Basti pensare che ogni giorno con Netflix, dicono i dati interni, vengono guardate 100 milioni di trasmissioni web. Stiamo dunque entrando nel mondo della fruizione di contenuti video e intrattenimento «anywhere, anytime». Cioè da ogni posto e in qualunque momento. Con la possibilità di guardare un film sulla smart tv, bloccarlo a metà e il giorno dopo continuare su tablet e smartphone mentre si viaggia. In Italia, secondo i responsabili Netflix, saranno sottoscritti almeno 150 mila abbonamenti entro fine anno. La proposta prevede tre pacchetti con prezzi che dipendono sia dalla qualità video, sia dalle cosiddette «sessioni di streaming», cioè il numero di trasmissioni da guardare in contemporanea dall’utente e gli altri componenti della famiglia (cinque persone in tutto). Il piano «Base» da 7,99 euro al mese — come dire 27 centesimi al giorno — include una qualità video standard, con una sola sessione streaming e velocità di tre megabit al secondo. Lo «Standard» da 9,99 euro al mese offre qualità Hd, due sessioni di streaming e velocità di cinque megabit al secondo. Infine c’è «Premium», un piano da 11,99 euro al mese in ultra Hd4K: consente di attivare fino a quattro streaming per volta a 25 megabit al secondo. Sottoscrivere l’abbonamento è semplice. Basta creare un account dal sito netflix.com, oppure dall’omonima app. Si inseriscono poi i dati bancari con carta di credito o PayPal. Nuova la soluzione scelta dai softwaristi per gestire l’abbonamento mese per mese (il primo gratis) , con cancellazione immediata quando si decide di non usare Netflix per il successivo. Nelle impostazioni è previsto il parental control per sorvegliare i contenuti rivolti ai bambini. Non solo. Una volta scaricata l’app, lo smartphone si trasforma in telecomando digitale. Nel nostro Paese, Netflix ha da poco stretto accordi con Telecom e Vodafone per offrire sottoscrizioni congiunte. Sarà anche possibile acquistare carte prepagate Netf lix presso rivenditori autorizzati. Tra questi: GameStop, Unieuro, MediaWorld, Esselunga, Mondadori ed Euronics. In Italia già un milione e mezzo di persone usa la tivù via strea- ming. Dunque a chi darà fastidio Netflix? Sky on demand e Sky Go già da un paio d’anni consentono agli abbonati Sky di guardare programmi satellitari su d ispositivi mobili. Mediaset punta invece sulla pay tv con Infinity: film, serie tv, fiction in Hd. Il Biscione offre anche Premium Play per guardare il calcio in diretta streaming su tablet, inclusi i programmi di Canale 5, Italia 1 e Rete 4 degli ultimi sette giorni. Fastweb ha superato i 400 mila utenti in tre anni con Chili Tv. TimVision, la piattaforma on demand di Telecom Italia, dichiara 6 mila titoli tra serie tv, cartoni, cinema e documentari. Rai.Tv consente invece di seguire via Internet il meglio dell’emittente nazionale. Ma per Netflix il tallone d’Achille del Belpaese resta la velocità di connessione. Perché in mancanza di banda ultraveloce (30 megabit al secondo) si rischia di guardare i contenuti con fastidio se interruzioni. Oggi, secondo i dati di Sos Tariffe, solo il 22,3% del territorio italiano è raggiunto da banda ultralarga, rispetto alla media europea del 64%. Senza contare che ci sono regioni come il Molise, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta in cui la copertura è assente. Vale dunque un consiglio. Prima di sottoscrivere l’abbonamento, accertatevi della velocità di connessione presente tra le mura domestiche (wi-f i e Adsl). In caso contrario è come acquistare un vestito griffato che però vi sta stretto.
(Quasi) Niente.
Dopo scandalo #Auditel niente dati x 15 giorni.
Poi tutto come prima.
#nuovafarsa
http://t.co/cydc2w0fqd @massimosideri
— Lou Grant (@GrantLou) 14 Ottobre 2015
mercoledì 14 ottobre 2015
GOSSIP - Lady Gaga infuocata: "Voglio sposare Taylor Kinney!"
(ANSA) - ROMA - "C'e' chi mi chiama Gaga, Stefani, Steffi. Mio papa' mi chiama Loopy, un affettuoso vezzeggiativo per "pazza". E il mio fidanzato Taylor Kinney (n.d.r.: protagonista di ‘Chicago Fire’, in onda con la 3° stagione inedita su Premium Action”) mi chiama Babe. Delizioso, non vedo l'ora di sposarlo!". Cosi' racconta Lady Gaga su "Oggi" in edicola. In un'intervista, la pop star e attrice racconta della sua famiglia: "I Germanotta, i nonni paterni, partirono in nave dalla Sicilia: puri emigranti. Mio nonno era calzolaio, creava delle scarpe dal nulla e mia nonna lo aiutava. La sorella di mio padre mori' di lupus (una malattia autoimmune, ndr) quando aveva 19 anni e tutta la famiglia ne soffri' profondamente. C'era un'aria di grande depressione in casa. I nonni materni arrivarono invece da Venezia. Lui era impiegato nelle assicurazioni e abitavano nel New Jersey. Hanno sofferto e lavorato tanto. Penso che il mio successo sia stato un modo di ripagare i loro sacrifici enormi". Lady Gaga rivela: "Anche se ero circondata da una famiglia che mi voleva bene e mi aiutava, non riuscivo a capire perche' mi sentivo molto sola. Ora so che e' una sorta di chimica con cui si nasce. Non sai di averla, e ti senti profondamente depressa e sola. Per questo, come artista famosa, mi impegno ad aiutare i giovani che sono o si sentono soli in questo mondo. Sono cresciuta con una buona dose di depressione, che sembra ereditaria nella mia famiglia. In piu' sono cattolica e sono italiana. Non ci sono medicine che tengano. E' la vita!".
(ANSA) - ROMA - "C'e' chi mi chiama Gaga, Stefani, Steffi. Mio papa' mi chiama Loopy, un affettuoso vezzeggiativo per "pazza". E il mio fidanzato Taylor Kinney (n.d.r.: protagonista di ‘Chicago Fire’, in onda con la 3° stagione inedita su Premium Action”) mi chiama Babe. Delizioso, non vedo l'ora di sposarlo!". Cosi' racconta Lady Gaga su "Oggi" in edicola. In un'intervista, la pop star e attrice racconta della sua famiglia: "I Germanotta, i nonni paterni, partirono in nave dalla Sicilia: puri emigranti. Mio nonno era calzolaio, creava delle scarpe dal nulla e mia nonna lo aiutava. La sorella di mio padre mori' di lupus (una malattia autoimmune, ndr) quando aveva 19 anni e tutta la famiglia ne soffri' profondamente. C'era un'aria di grande depressione in casa. I nonni materni arrivarono invece da Venezia. Lui era impiegato nelle assicurazioni e abitavano nel New Jersey. Hanno sofferto e lavorato tanto. Penso che il mio successo sia stato un modo di ripagare i loro sacrifici enormi". Lady Gaga rivela: "Anche se ero circondata da una famiglia che mi voleva bene e mi aiutava, non riuscivo a capire perche' mi sentivo molto sola. Ora so che e' una sorta di chimica con cui si nasce. Non sai di averla, e ti senti profondamente depressa e sola. Per questo, come artista famosa, mi impegno ad aiutare i giovani che sono o si sentono soli in questo mondo. Sono cresciuta con una buona dose di depressione, che sembra ereditaria nella mia famiglia. In piu' sono cattolica e sono italiana. Non ci sono medicine che tengano. E' la vita!".
In un Paese normale, dopo l'inchiesta sull'#Auditel aka #Audigate, @massimosideri meriterebbe il #Pulitzer.
http://t.co/PNoednOql7
— Lou Grant (@GrantLou) 13 Ottobre 2015
martedì 13 ottobre 2015
NEWS - Clamoroso al Cibali! L'Auditel sospeso per (almeno) 6 mesi! Ci stanno pensando i pubblicitari (che sono quelli a cui più interessano i dati). Più serie tv per tutti!
Dopo che è stata rivelata l’identita’ di 4mila famiglie sulle 5700
che formano il campione di rilevazione degli ascolti televisivi di Auditel – a
causa di un errore nella trasmissione di comunicazioni di posta elettronica –
tra i membri del Cda di Upa, in corso di svolgimento, c’è chi propende per la
richiesta di una interruzione della raccolta dei dati fino alla formazione del
nuovo campione. Se si seguisse questa via si potrebbe arrivare ad una
sospensione di almeno sei mesi. Mercoledì
14 ottobre 2015, invece, si terra’ il Cda di Auditel, di cui Upa fa parte
insieme ai rappresentanti dei gruppi televisivi. Sky, che parteciperà alla
riunione, ha chiesto chiarimenti sulla situazione e sembra propensa a chiedere
la sospensione della raccolta dati. E così tra pochi giorni potrebbe
clamorosamente interrompersi la diffusione dei dati degli ascolti televisivi
per la prima volta dal 1987.
E dopo scandalo #Auditel, si continua a ragionare sui dati come fossero veritieri.
#comenientefosse
http://t.co/rRSQpt7yYa @massimosideri
— Leo Damerini (@LeoDamerini) 13 Ottobre 2015
lunedì 12 ottobre 2015
Norman Reedus takes the cover of Details magazine’s November 2015 issue.
Here’s what the 46-year-old The Walking Dead star had to share with the mag:
On how The Walking Dead has transformed: “The dynamic has changed. In Season 1, it was ‘Here’s some clay, mold it into something.’ Season 2, it’s ‘Okay, here’s the mold—we’re all sharing ideas on how big the hands should be.’ And then Season 3: ‘He may or may not have long or short hair,’ and a bunch of people are making that decision.”
On being called ‘damaged’: “I guess there is that damaged quality. That’s something I might have unconsciously run with early on. Maybe I still do. It gives some people an underdog quality—you want to root for them as they fight their way through something. Maybe I have a little bit of that. But I don’t cry myself to sleep.”
On Daryl Dixon’s chances for love: “Even this season, I’m the last in line for love. I like not going through that door one way or another. I like that mystery. They’ll kill me whenever they want. I would hate to leave the show. I would play this role until I’m 80, I really would. And I could.”
For more from Norman, visit Details.com.
NEWS - Auditel da rottamare! Ecco le prove che la rilevazione degli ascolti è una bufala: telecomandi fantasma, anonimato violato, rappresentazione del pubblico italiano falsata
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
Dal telecomando fantasma all’anonimato violato. Ecco le falle nel sistema dei rilevamenti tv raccontate da chi è nel panel. Ecco tutto ciò che avreste voluto sapere sull’Auditel e non avete mai osato chiedere: millimetrico, con un livello di anonimato da Guerra fredda e in grado di rappresentare tutti gli strati sociali, come racconta il mito? Non proprio a parlare con una famiglia che fa parte del panel da pochi mesi e che abbi am o contatta to in segui to allo scandalo dell’«Audigate» svelato dal Corriere. Primo: esiste il famigerato telecomando con il quale gli appartenenti al panel dovrebbero segnalare, di volta in volta, quante persone sono sedute davanti alla tv? La nostra famiglia — che chiameremo XY — non lo ha mai visto. Nessuno ne ha fatto cenno quando gli hanno montato il meter, lo strumento di rilevazione che è collegato sia alla tv che al decoder Sky. E, anzi, dalle domande poste dal personale sul numero di componenti del nucleo è facile supporre che il calcolo sia frutto di una media, che nell’epoca della sorveglianza di massa, di Edward Snowden e dei social network, risulta un tantino démodé (peraltro ci hanno scritto anche un saggio di successo: The average is over, liberamente traducibile come la media è morta). Potrebbe sembrare un particolare ma non lo è visto che la supposta superiorità del sistema Auditel nel calcolare lo share dei programmi rispetto alle metriche delle tv a pagamento come lo smart panel è basato proprio su questo numero magico. Magari qualcuno lo avrà questo telecomando ma, evidentemente, non tutti. Forse la famiglia XY fa eccezione. Secondo: per il disturbo della partecipazione al panel c’è un bonus annuo di 40 euro annui e per permettere al personale di montare i necessari strumenti di rilevazione bisogna dare la disponibilità a far entrare un tecnico dal lunedì al venerdì in orari d’ufficio. Le coppie che lavorano potrebbero dunque risultare sottostimate, come anche gli strati più ricchi della popolazione che difficilmente saranno propense ad accettare il disturbo. Altro elemento importante perché l’attendibilità dell’audience richiede che il panel riproduca il più esattamente possibile la stratificazione sociale, culturale ed economica delle persone davanti alla tv. Terzo, ultimo e forse più importante dubbio. Ma i dati su chi fa parte di questo sacro panel dal quale dipendono 4 miliardi circa di investimenti pubblicitari sui canali televisivi non dovrebbero essere trattati come la lista di chi detiene dei soldi non dichiarati al Fisco in Svizzera? Questo è l’occhio del ciclone dell’Audigate, visto che da quanto è stato scoperto dal Corriere e poi confermato da Auditel, Nielsen (la società a cui sono affidate le rilevazioni) e Rai e Upa in qualità di azionisti dell’Auditel, il panel è stato contaminato da uno scambio improprio di email che ne hanno minato la segretezza. La teoria dice che i nomi dovrebbero essere preservati dall’Auditel stessa mentre Nielsen dovrebbe gestire solo codici non riconducibili all’anagrafe. Peccato che la famiglia XY sia stata contattata direttamente sul cellulare per la richiesta di partecipazione, con nome e cognome. È vero che esiste un codice famiglia ma le comunicazioni arrivano via posta tradizionale con no me, co gn om e e in dirizzo. I n so ldo ni Nielsen, società privata che visto il proprio business avrebbe anche dei potenziali conflitti di interessi, sa tutto. Un’altra eccezione? La ciliegina sulla torta è che la famiglia XY era stata già contattata anni fa per fare parte del panel ( al tempo aveva declinato). Essere pescati due volte su 60 milioni di abitanti è una bella casualità da fare impazzire gli amanti del calcolo delle probabilità. Il mistero del telecomando fantasma e le falle nell’anonimato si sommano alle domande dell’«Audigate»: quali email hanno inquinato il panel dato che le famiglie vengono contattate tramite posta analogica? Chi aveva accesso a queste mailing list? Chi ne garantisce la segretezza? Di quante email stiamo parlando? Grattacapi a realtà aumentata per il board Auditel di mercoledì.
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
Dal telecomando fantasma all’anonimato violato. Ecco le falle nel sistema dei rilevamenti tv raccontate da chi è nel panel. Ecco tutto ciò che avreste voluto sapere sull’Auditel e non avete mai osato chiedere: millimetrico, con un livello di anonimato da Guerra fredda e in grado di rappresentare tutti gli strati sociali, come racconta il mito? Non proprio a parlare con una famiglia che fa parte del panel da pochi mesi e che abbi am o contatta to in segui to allo scandalo dell’«Audigate» svelato dal Corriere. Primo: esiste il famigerato telecomando con il quale gli appartenenti al panel dovrebbero segnalare, di volta in volta, quante persone sono sedute davanti alla tv? La nostra famiglia — che chiameremo XY — non lo ha mai visto. Nessuno ne ha fatto cenno quando gli hanno montato il meter, lo strumento di rilevazione che è collegato sia alla tv che al decoder Sky. E, anzi, dalle domande poste dal personale sul numero di componenti del nucleo è facile supporre che il calcolo sia frutto di una media, che nell’epoca della sorveglianza di massa, di Edward Snowden e dei social network, risulta un tantino démodé (peraltro ci hanno scritto anche un saggio di successo: The average is over, liberamente traducibile come la media è morta). Potrebbe sembrare un particolare ma non lo è visto che la supposta superiorità del sistema Auditel nel calcolare lo share dei programmi rispetto alle metriche delle tv a pagamento come lo smart panel è basato proprio su questo numero magico. Magari qualcuno lo avrà questo telecomando ma, evidentemente, non tutti. Forse la famiglia XY fa eccezione. Secondo: per il disturbo della partecipazione al panel c’è un bonus annuo di 40 euro annui e per permettere al personale di montare i necessari strumenti di rilevazione bisogna dare la disponibilità a far entrare un tecnico dal lunedì al venerdì in orari d’ufficio. Le coppie che lavorano potrebbero dunque risultare sottostimate, come anche gli strati più ricchi della popolazione che difficilmente saranno propense ad accettare il disturbo. Altro elemento importante perché l’attendibilità dell’audience richiede che il panel riproduca il più esattamente possibile la stratificazione sociale, culturale ed economica delle persone davanti alla tv. Terzo, ultimo e forse più importante dubbio. Ma i dati su chi fa parte di questo sacro panel dal quale dipendono 4 miliardi circa di investimenti pubblicitari sui canali televisivi non dovrebbero essere trattati come la lista di chi detiene dei soldi non dichiarati al Fisco in Svizzera? Questo è l’occhio del ciclone dell’Audigate, visto che da quanto è stato scoperto dal Corriere e poi confermato da Auditel, Nielsen (la società a cui sono affidate le rilevazioni) e Rai e Upa in qualità di azionisti dell’Auditel, il panel è stato contaminato da uno scambio improprio di email che ne hanno minato la segretezza. La teoria dice che i nomi dovrebbero essere preservati dall’Auditel stessa mentre Nielsen dovrebbe gestire solo codici non riconducibili all’anagrafe. Peccato che la famiglia XY sia stata contattata direttamente sul cellulare per la richiesta di partecipazione, con nome e cognome. È vero che esiste un codice famiglia ma le comunicazioni arrivano via posta tradizionale con no me, co gn om e e in dirizzo. I n so ldo ni Nielsen, società privata che visto il proprio business avrebbe anche dei potenziali conflitti di interessi, sa tutto. Un’altra eccezione? La ciliegina sulla torta è che la famiglia XY era stata già contattata anni fa per fare parte del panel ( al tempo aveva declinato). Essere pescati due volte su 60 milioni di abitanti è una bella casualità da fare impazzire gli amanti del calcolo delle probabilità. Il mistero del telecomando fantasma e le falle nell’anonimato si sommano alle domande dell’«Audigate»: quali email hanno inquinato il panel dato che le famiglie vengono contattate tramite posta analogica? Chi aveva accesso a queste mailing list? Chi ne garantisce la segretezza? Di quante email stiamo parlando? Grattacapi a realtà aumentata per il board Auditel di mercoledì.
Il Cinema #Apollo di #Milano, sede di 7 #TelefilmFestival, chiude. Imbarazzante silenzio di @giulianopisapia.
http://t.co/7QryBtGvWn
— Telefilm Festival (@TelefilmFest) 10 Ottobre 2015
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