sabato 5 maggio 2018
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venerdì 4 maggio 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA STAMPA
In "The Handmaid's Tale" una tragedia che colpisce tutti
"II fatto che spesso le serie tv migliori siano drammi non è casuale. C'è qualcosa di appagante nel raccontare il peggio. Dal punto di vista della scrittura, qualcosa di più semplice. Le commedie sono difficili. Far ridere, soprattutto, è difficile. Le tragedie sono lineari. C'è un inizio, c'è uno svolgimento e c'è una fine. Tra questi tre punti possono accadere mille altre, ma sappiamo già quello che succederà dopo una certa scena o una particolare battuta. In televisione c'è chi riesce a dare vita a un mondo alternativo e disturbante che mette a nudo quello che siamo e che nel profondo abbiamo sempre saputo di essere. Con la seconda stagione di The Handmaid's Tale, disponibile ogni giovedì su TimVision con un nuovo episodio, la tragedia diventa estenuante, terribile; a tratti quasi insopportabile. La distopia di un futuro prossimo schiaccia ogni cosa. Le donne sono oggetti: isolate, accondiscendenti, schiavizzate. In nome della sopravvivenza, non c'è più nessuna libertà. Si subisce. E la speranza, che pure c'è, appare come una luce soffusa alla fine di un tunnel che sembra essere infinito. Tra la prima e la seconda stagione di The Handmaid's Tale, le differenze ci sono. C'è stato un passaggio. Tra prima e dopo, fondamentalmente. E i personaggi - a partire dalla protagonista, interpretata da Elisabeth Moss - sono cambiati. Tema: come le persone, messe davanti all'orrore, reagiscono. C'è un'ambientazione più grande, inedita e diversa. II libro di Margaret Atwood, a cui la serie tv si rifà, rimane alla base di ogni cosa: è il centro nodale del racconto. Ma in nome della tragedia la scrittura e la regia si prendo- no qualche libertà. L'obiettivo è sempre quello: il dramma. Prendere una cosa, un'idea condivisa e accettata, e stravolgerla. Portare all'estremo, a volte anche oltre, una situazione. Giocare con le paure, aizzarle contro lo spettatore. Raccontare una storia possibile, magari impensabile, e cercare un equilibrio tra due estremi. Una terza via, ecco. The Handmaid's Tale è fisico, brutale, assolutamente sconvolgente in alcuni momenti. Non è più solo la storia di una donna che soffre; è una narrazione corale e più ampia di qualcosa che riguarda tutti, della voglia di essere liberi piuttosto che della libertà in sé. E non è un caso che Hulu, la piattaforma streaming dietro questa serie, abbia deciso di rinnovarla per una terza stagione: c'è tanto materiale, qui, e tante cose da dire". (Gianmaria Tammaro)
LA STAMPA
In "The Handmaid's Tale" una tragedia che colpisce tutti
"II fatto che spesso le serie tv migliori siano drammi non è casuale. C'è qualcosa di appagante nel raccontare il peggio. Dal punto di vista della scrittura, qualcosa di più semplice. Le commedie sono difficili. Far ridere, soprattutto, è difficile. Le tragedie sono lineari. C'è un inizio, c'è uno svolgimento e c'è una fine. Tra questi tre punti possono accadere mille altre, ma sappiamo già quello che succederà dopo una certa scena o una particolare battuta. In televisione c'è chi riesce a dare vita a un mondo alternativo e disturbante che mette a nudo quello che siamo e che nel profondo abbiamo sempre saputo di essere. Con la seconda stagione di The Handmaid's Tale, disponibile ogni giovedì su TimVision con un nuovo episodio, la tragedia diventa estenuante, terribile; a tratti quasi insopportabile. La distopia di un futuro prossimo schiaccia ogni cosa. Le donne sono oggetti: isolate, accondiscendenti, schiavizzate. In nome della sopravvivenza, non c'è più nessuna libertà. Si subisce. E la speranza, che pure c'è, appare come una luce soffusa alla fine di un tunnel che sembra essere infinito. Tra la prima e la seconda stagione di The Handmaid's Tale, le differenze ci sono. C'è stato un passaggio. Tra prima e dopo, fondamentalmente. E i personaggi - a partire dalla protagonista, interpretata da Elisabeth Moss - sono cambiati. Tema: come le persone, messe davanti all'orrore, reagiscono. C'è un'ambientazione più grande, inedita e diversa. II libro di Margaret Atwood, a cui la serie tv si rifà, rimane alla base di ogni cosa: è il centro nodale del racconto. Ma in nome della tragedia la scrittura e la regia si prendo- no qualche libertà. L'obiettivo è sempre quello: il dramma. Prendere una cosa, un'idea condivisa e accettata, e stravolgerla. Portare all'estremo, a volte anche oltre, una situazione. Giocare con le paure, aizzarle contro lo spettatore. Raccontare una storia possibile, magari impensabile, e cercare un equilibrio tra due estremi. Una terza via, ecco. The Handmaid's Tale è fisico, brutale, assolutamente sconvolgente in alcuni momenti. Non è più solo la storia di una donna che soffre; è una narrazione corale e più ampia di qualcosa che riguarda tutti, della voglia di essere liberi piuttosto che della libertà in sé. E non è un caso che Hulu, la piattaforma streaming dietro questa serie, abbia deciso di rinnovarla per una terza stagione: c'è tanto materiale, qui, e tante cose da dire". (Gianmaria Tammaro)
giovedì 3 maggio 2018
GOSSIP - Hunnam, you are Son of a Beach! L'ex protagonista di "SOA" si rimette con la fidanzata storica al mare
Charlie Hunnam embraces his longtime girlfriend Morgana McNelis while having fun in the sun this week in Honolulu, Hawaii. The 38-year-old actor went shirtless and bared his buff muscles while wearing a pair of green swim trunks. Morgana wore a floral bikini and shielded herself from the sun with a fedora. Charlie and Morgana were seen flaunting PDA after some time apart. He has been in Hawaii filming his upcoming movie Triple Frontier. Rumors about the state of their relationship were swirling after Charlie hit the beach with a mystery woman the other day, but clearly the couple is happier than ever!
mercoledì 2 maggio 2018
lunedì 30 aprile 2018
IL FOGLIO
Se quella serie ritrovata di Fassbinder ricorda "Westworld" e "The Handmaid's Tale"
"Viene voglia di porre un argine ai drammi che stanno per abbattersi sullo spettatore seriale. Questa settimana su Hbo - per noi su Sky Atlantic, in contemporanea o in leggera differita, doppiati o sottotitolati, così si conquista il pubblico abituato al fai da te - è cominciata la seconda stagione di "Westworld", showrunner Jonathan Nolan e Lisa Joy. Ambientazione: un parco giochi per adulti, popolato di androidi da violentare e uccidere. Sennonché gli androidi son sempre a rischio di coscienza, o di qualcosa che alla coscienza somiglia (seguono complicazioni). Questa settimana su Hulu - per noi su TimVision, a 24 ore di distanza dalla messa in onda americana - comincia la seconda stagione di "The Handmaid's Tale", showrunner Bruce Miller. Ambientazione: Gilead, il regime teocratico dove non nascono quasi più bambini, e le poche donne fertili sono schiave e ridotte a fattrici. La stagione non era prevista nel romanzo di Margaret Atwood Il racconto dell'ancella, ma la scrittrice ha supervisionato gli orrori, ora estesi alle colonie. Sono state consultate l'Onu e le organizzazioni umanitarie, per evitare che una serie femminista scivolasse nel torture porn. Pare strano imbattersi, cercando un raggio di sole e un filo di speranza, in una serie girata da Rainer Werner Fassbinder per la Wdr, WestDeutscherRundschau. Il regista aveva appena girato "Le lacrime amare di Petra von Kant": la più amara delle storie lesbiche che sia mai capitato di vedere. Nulla lasciava immaginare una serie familiare e tutto sommato tranquilla come "Acht Stunden sind kein Tag", "Otto ore non fanno un giorno". Girato nel 1972, fu un grande successo popolare. Ma a differenza di "Berlin Alexanderplatz" - altre 14 puntate per la televisione dal romanzo di Alfred Döblin - usci presto dal radar dei critici. Restaurata, la serie si trova in Dvd. Le famiglie raccontate da Rainer Werner Fassbinder sono solitamente un nido di vipere. In "Martha" un marito salta addosso alla moglie che si è appena scottata al sole. In "Il diritto del più forte" l'amore con un giostraio finisce quando il giostraio portato in società non sa da come cavarsela con i cannoncini alla crema (abbiamo scelto apposta le torture più Tight). La famiglia di Colonia fa eccezione. Ci sarebbero gli estremi per un dramma, ma la sceneggiatura vira subito verso la commedia. L'operaio specializzato Jochen corteggia e poi sposa Marion, la segretaria con i ricciolini biondi (lavora in un giornale, quando ancora i piccoli annunci venivano telefonati e battuti a macchina). I mobili di casa, le tende, i completi con i pantaloni appena un po' svasati, oggi fanno l'effetto di un film in costume: sessant'anni sono più che sufficienti per finire in un museo del modernariato. La più simpatica è la nonna, che porta i cappellini a fiori e rimorchia ai giardinetti. La sorella di Jochen ha sposato un uomo ricco che la tratta male, ma anche qui la situazione non precipita. Troverà un altro che la merita e la farà felice. Dopo "Otto ore non sono un giorno", l'infaticabile Fassbinder- una quarantina tra film, testi teatrali, progetti per la tv in appena 37 anni di vita, è morto nel 1982 - girö il fantascientifico "Welt am Draht". Tratto da un romanzo del 1964 intitolato "Simulacron 3", "L'uomo sul filo" racconta un mondo virtuale fabbricato al computer. Gli abitanti non sanno di esserlo, naturalmente. Visto oggi, oltre a qualche ridimentale somiglianza con "Westworld", si godono gli ambienti. Dovrebbero essere futuri, e restano fatalmente anni 70". (Mariarosa Mancuso)
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domenica 29 aprile 2018
NEWS - Fenomeno "SKAM" anche in Italia (su TimVision): la serie "usa e getta" norvegese fa boom nella versione made in Italy "cercando di dare un'educazione sentimentale ai ragazzi di oggi senza volgarità"
Articolo tratto da "Il Messaggero"
In Norvegia, dove è nata, la chiamano "la Dawson's Creek dei millennials". Ma la definizione più calzante è un'altra, "il Fight Club delle serie tv": vietato parlarne, vietato dire che esiste, vietato rivelare dove trovarla. O almeno: vietato agli adulti. Perché non si può spiegare il successo di SKAM, serie rivelazione da poco adattata in Italia (prima produzione originale TimVision), senza prendere coscienza di due fatti: i ragazzi non guardano più la tv e la tv non guarda più i ragazzi. «In Norvegia hanno studiato il fenomeno - ha spiegato Ludovico Bessegato, regista di SKAM Italia, ospite al Napoli Comicon - Per un anno hanno intervistato i "giovani" e sono giunti a una conclusione: noi adulti non sappiamo più cosa vogliono e di cosa hanno paura. Eppure continuiamo a proporgli storie in tv seguendo modelli paternalisti. SKAM invece racconta quello che fanno e che dicono veramente. E se è qualcosa che va fuori dal canone, che sia bere, tradire i fidanzati e fare sesso a 16 anni, la serie ha il coraggio di dirlo senza censure». Già adattata in Francia, e presto anche negli Stati Uniti (dove a distribuirla sarà Facebook), in Italia SKAM è arrivata a marzo, in un silenzio mediatico imposto dal format di partenza: nessun lancio ufficiale, nessuna pubblicità. Come già accaduto in Norvegia, l'obiettivo era che gli adolescenti la scoprissero da soli, condividendone i contenuti senza che fosse il marketinga richiederlo. Anche perché l'altra novità di SKAM, oltre al linguaggio spregiudicato, è la modalità frammentata con cui la serie è distribuita: in clip "usa e getta" di pochi minuti, cancellate dopo 24 ore, sul sito della serie; in episodi, 13, di circa mezz'ora, diffusi su TimVision; e ancora sotto forma di storie Instagram, post su Facebook, chat di Whatsapp con cui il pubblico può interagire con i protagonisti. Ma di cosa parla, SKAM? La storia segue l'originale norvegese, concentrandosi nella prima stagione (in Nord Europa sono arrivati alla quarta, in Italia si starebbe lavorando alla seconda) sulla vita di Eva (Ludovica Martino), una sedicenne romana che ha da poco litigato con la sua migliore amica, è legata a un fidanzato ingombrante (Ludovico Tersigni) e non riesce a socializzare con le compagne di classe. «Ma la storia non è la ripetizione di SKAM Norvegia: la ragione del successo dell'originale derivava dallo studio sugli adolescenti, e cosi abbiamo fatto anche noi», ha detto Bessegato, che nei due mesi di preparazione ha condotto oltre 100 interviste con liceali italiani. «I problemi degli adolescenti sono gli stessi, ma cambiano i dettagli. Il liceo in Norvegia inizia a 16 anni, età in cui i ragazzi smettono di vivere con i genitori. La loro cultura scolastica è all'americana, la nostra è più fluida. E per loro bere una birra è già una trasgressione». Ed è proprio su questo fronte che SKAM Italia supera a destra qualsiasi tentativo della tv generalista: «Non è una serie diseducativa, blasfema o volgare. Anzi. Cerchiamo di dare un'educazione sentimentale ai ragazzi, di veicolare dei messaggi, ma non li caliamo dall'alto. Ovvio che rispetto agli standard della tv pubblica sui minorenni abbiamo fatto passi avanti: qui si parla di sesso orale, di consumo di alcolici e marijuana, di tradimenti disinvolti. E dalla prossima stagione di omosessualità». E per chi non ci credesse e avesse bisogno di un riscontro nella realtà, TimVision dal 5 maggio mostrerà ogni sabato ai suoi abbonati i "veri" giovani con la do- cuserie originale Dark Polo Gang. La Serie, 12 episodi sull'omonima band indie rap romana entrata di recente nel "giro" di Fedex e J-Ax. Raccontati per la prima volta nella loro quotidianità fatta di belle macchine, ragazze docili, "bombe" in studio e party mondani, i quattro ragazzi si mostrano senza filtri nel periodo che ha preceduto la realizzazione di British, il nuovo singolo in uscita I'll maggio. E la realtà supera la fantasia: i ragazzini di SKAM, in confronto a loro, sembrano I ragazzi del muretto.
Articolo tratto da "Il Messaggero"
In Norvegia, dove è nata, la chiamano "la Dawson's Creek dei millennials". Ma la definizione più calzante è un'altra, "il Fight Club delle serie tv": vietato parlarne, vietato dire che esiste, vietato rivelare dove trovarla. O almeno: vietato agli adulti. Perché non si può spiegare il successo di SKAM, serie rivelazione da poco adattata in Italia (prima produzione originale TimVision), senza prendere coscienza di due fatti: i ragazzi non guardano più la tv e la tv non guarda più i ragazzi. «In Norvegia hanno studiato il fenomeno - ha spiegato Ludovico Bessegato, regista di SKAM Italia, ospite al Napoli Comicon - Per un anno hanno intervistato i "giovani" e sono giunti a una conclusione: noi adulti non sappiamo più cosa vogliono e di cosa hanno paura. Eppure continuiamo a proporgli storie in tv seguendo modelli paternalisti. SKAM invece racconta quello che fanno e che dicono veramente. E se è qualcosa che va fuori dal canone, che sia bere, tradire i fidanzati e fare sesso a 16 anni, la serie ha il coraggio di dirlo senza censure». Già adattata in Francia, e presto anche negli Stati Uniti (dove a distribuirla sarà Facebook), in Italia SKAM è arrivata a marzo, in un silenzio mediatico imposto dal format di partenza: nessun lancio ufficiale, nessuna pubblicità. Come già accaduto in Norvegia, l'obiettivo era che gli adolescenti la scoprissero da soli, condividendone i contenuti senza che fosse il marketinga richiederlo. Anche perché l'altra novità di SKAM, oltre al linguaggio spregiudicato, è la modalità frammentata con cui la serie è distribuita: in clip "usa e getta" di pochi minuti, cancellate dopo 24 ore, sul sito della serie; in episodi, 13, di circa mezz'ora, diffusi su TimVision; e ancora sotto forma di storie Instagram, post su Facebook, chat di Whatsapp con cui il pubblico può interagire con i protagonisti. Ma di cosa parla, SKAM? La storia segue l'originale norvegese, concentrandosi nella prima stagione (in Nord Europa sono arrivati alla quarta, in Italia si starebbe lavorando alla seconda) sulla vita di Eva (Ludovica Martino), una sedicenne romana che ha da poco litigato con la sua migliore amica, è legata a un fidanzato ingombrante (Ludovico Tersigni) e non riesce a socializzare con le compagne di classe. «Ma la storia non è la ripetizione di SKAM Norvegia: la ragione del successo dell'originale derivava dallo studio sugli adolescenti, e cosi abbiamo fatto anche noi», ha detto Bessegato, che nei due mesi di preparazione ha condotto oltre 100 interviste con liceali italiani. «I problemi degli adolescenti sono gli stessi, ma cambiano i dettagli. Il liceo in Norvegia inizia a 16 anni, età in cui i ragazzi smettono di vivere con i genitori. La loro cultura scolastica è all'americana, la nostra è più fluida. E per loro bere una birra è già una trasgressione». Ed è proprio su questo fronte che SKAM Italia supera a destra qualsiasi tentativo della tv generalista: «Non è una serie diseducativa, blasfema o volgare. Anzi. Cerchiamo di dare un'educazione sentimentale ai ragazzi, di veicolare dei messaggi, ma non li caliamo dall'alto. Ovvio che rispetto agli standard della tv pubblica sui minorenni abbiamo fatto passi avanti: qui si parla di sesso orale, di consumo di alcolici e marijuana, di tradimenti disinvolti. E dalla prossima stagione di omosessualità». E per chi non ci credesse e avesse bisogno di un riscontro nella realtà, TimVision dal 5 maggio mostrerà ogni sabato ai suoi abbonati i "veri" giovani con la do- cuserie originale Dark Polo Gang. La Serie, 12 episodi sull'omonima band indie rap romana entrata di recente nel "giro" di Fedex e J-Ax. Raccontati per la prima volta nella loro quotidianità fatta di belle macchine, ragazze docili, "bombe" in studio e party mondani, i quattro ragazzi si mostrano senza filtri nel periodo che ha preceduto la realizzazione di British, il nuovo singolo in uscita I'll maggio. E la realtà supera la fantasia: i ragazzini di SKAM, in confronto a loro, sembrano I ragazzi del muretto.
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