NEWS - "Friends", la reunion (video)!
The “Friends” cast may be there for all of us one more time. NBC’s tribute to director James Burrows will bring together stars of some of America’s most memorable comedies.
The network’s latest promo for the special released Wednesday shows
Jennifer Aniston, Courteney Cox, Lisa Kudrow, Matt LeBlanc and David
Schwimmer together again for the two-hour show dedicated to the career
of comedy director Burrows, who directed 15 “Friends” episodes,
including “The One Where Ross and Rachel Take a Break.”
This almost-reunion is missing one key player, though — Matthew Perry is currently in London for “The End of Longing,” which marks his playwriting debut.
“Matthew may tape something for the tribute,” Perry’s spokeswoman
Lisa Kasteler said. “In other words, this is not the reunion people have
been hoping for.”
While Burrows was part of one of the most quoted “Friends” episodes
in the history of the ten seasons, he also has quite a few other
successful comedies under his belt. The director helmed episodes for “Cheers,”
“Taxi,” “Mary Tyler Moore,” “The Bob Newhart Show,” “Laverne &
Shirley,” “Frasier,” “Will & Grace” and the pilot for “The Big Bang
Theory,” and the stars from these shows will be at his special too. He
also just finished directing an episode of NBC’s “Crowded,” which was
the 1000th episode he’s directed of television.
The special will air Sunday, Feb. 21, at 9 p.m. on NBC.
venerdì 5 febbraio 2016
NEWS - Auditel, un nuovo presidente (Andrea Imperiali di Francavilla) per spazzare via le polemiche, gli incidenti e l'anacronismo di un impero intoccabile dal 1984 (!)
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Andrea Imperiali di Francavilla é il nuovo presidente dell'Auditel. Non è eccessivo definire quello che si é consumato giovedì 4 febbraio, in seno all'Auditel, un evento storico: è la prima volta — di fatto — che si procede all'elezione del presidente, se si esclude la votazione di 32 anni addietro che portò Giulio Malgara ad occuparne la poltrona fino alle dimissioni. Come fondatore dell'Auditel nel 1984 il suo risultato elettorale era scontato. D'altra parte allora c'era Bettino Craxi al governo, Giovanni Paolo II era solo al sesto anno dei suoi 27 di Pontificato, ed Edwin Moses vinceva i 400 metri ostacoli alle Olimpiadi di Los Angeles. Piccolo particolare ulteriore: mancavano ancora cinque anni all'invenzione da parte di Tim Berners-Lee, allora sconosciuto ricercatore del Cern, del world wide web. Dunque, dicevamo, un evento storico. Anche se potrebbe essere non meno scontato: dopo lo scandalo dell'Audigate dello scorso ottobre, rivelato dal Corriere, e l'inquinamento del panel delle famiglie da cui dipende lo share dei programmi tv e, dunque, a cascata, gli investimenti pubblicitari, il soggetto forte è l'Upa, presieduta da Lorenzo Sassoli de Bianchi. E proprio il patron della Valsoia sembra in pole position per occupare anche la casella Auditel. C'è un precedente, l'unico possibile: anche Malgara nel 1984 guidava l'Upa. In ogni caso manca poco per scoprirlo: il presidente deve essere votato da Upa, Assocom e Unicorn, ma è chiaro che in questo momento di crollo della credibilità dell'audience c'è bisogno anche di un nome gradito un po' a tutti. «Largamente condiviso», come si dice nel diplomatese di questi casi. L'Auditel è un piccolo impero, il cui valore economico (per le rilevazioni del 2015 le emittenti televisive hanno sborsato 18 milioni di euro alla società) non rispecchia minimamente il potere che in realtà ha, nascosto com'è nelle pieghe della governance ancor più che nel totem-audience. Per come è nata, negli anni in cui la tv privata, al tempo sostanzialmente la Fininvest di Silvio Berlusconi, si contrapponeva all'ex monopolista mamma Rai, l'Auditel è sempre stata la stanza di compensazione dello scontro fino a diventare una diarchia contro i nuovi entranti (non è di certo un caso che negli ultimi anni lo scontro più agguerrito sia avvenuto con Sky). È lì dentro, negli uffici di via Larga a due passi dalla Madonnina milanese, che sono stati lavati i panni sporchi in questi 32 anni. Non è un caso che Malgara fosse da sempre considerato un imprenditore vicino a Berlusconi (rischiò anche di diventare presidente Rai). E forse la sua più grande vittoria del 1984 fu quella di ottenere una sede a Milano, vicino a Fininvest e lontano dalla sede Rai di Roma. Anche se, come detto, ormai la battaglia si consuma su altre direttrici ed è più di difesa condivisa che di sgambetti tra i due super soggetti. La prima patata bollente del nuovo presidente sarà quella di chiudere la questione dell'Audigate. E in corso, a spese della Nielsen, la sostituzione del panel principale che era stato inquinato (per chi non lo ricordasse un invio di email aveva permesso a blocchi di mille persone di sapere quali fossero le altre famiglie del panel, laddove la segretezza è un elemento inscindibile dall'attendibilità del campione, anche per evitare pressioni). Il risanamento completo è stato promesso per prima dell'estate. E la clessidra si sta svuotando velocemente.
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Andrea Imperiali di Francavilla é il nuovo presidente dell'Auditel. Non è eccessivo definire quello che si é consumato giovedì 4 febbraio, in seno all'Auditel, un evento storico: è la prima volta — di fatto — che si procede all'elezione del presidente, se si esclude la votazione di 32 anni addietro che portò Giulio Malgara ad occuparne la poltrona fino alle dimissioni. Come fondatore dell'Auditel nel 1984 il suo risultato elettorale era scontato. D'altra parte allora c'era Bettino Craxi al governo, Giovanni Paolo II era solo al sesto anno dei suoi 27 di Pontificato, ed Edwin Moses vinceva i 400 metri ostacoli alle Olimpiadi di Los Angeles. Piccolo particolare ulteriore: mancavano ancora cinque anni all'invenzione da parte di Tim Berners-Lee, allora sconosciuto ricercatore del Cern, del world wide web. Dunque, dicevamo, un evento storico. Anche se potrebbe essere non meno scontato: dopo lo scandalo dell'Audigate dello scorso ottobre, rivelato dal Corriere, e l'inquinamento del panel delle famiglie da cui dipende lo share dei programmi tv e, dunque, a cascata, gli investimenti pubblicitari, il soggetto forte è l'Upa, presieduta da Lorenzo Sassoli de Bianchi. E proprio il patron della Valsoia sembra in pole position per occupare anche la casella Auditel. C'è un precedente, l'unico possibile: anche Malgara nel 1984 guidava l'Upa. In ogni caso manca poco per scoprirlo: il presidente deve essere votato da Upa, Assocom e Unicorn, ma è chiaro che in questo momento di crollo della credibilità dell'audience c'è bisogno anche di un nome gradito un po' a tutti. «Largamente condiviso», come si dice nel diplomatese di questi casi. L'Auditel è un piccolo impero, il cui valore economico (per le rilevazioni del 2015 le emittenti televisive hanno sborsato 18 milioni di euro alla società) non rispecchia minimamente il potere che in realtà ha, nascosto com'è nelle pieghe della governance ancor più che nel totem-audience. Per come è nata, negli anni in cui la tv privata, al tempo sostanzialmente la Fininvest di Silvio Berlusconi, si contrapponeva all'ex monopolista mamma Rai, l'Auditel è sempre stata la stanza di compensazione dello scontro fino a diventare una diarchia contro i nuovi entranti (non è di certo un caso che negli ultimi anni lo scontro più agguerrito sia avvenuto con Sky). È lì dentro, negli uffici di via Larga a due passi dalla Madonnina milanese, che sono stati lavati i panni sporchi in questi 32 anni. Non è un caso che Malgara fosse da sempre considerato un imprenditore vicino a Berlusconi (rischiò anche di diventare presidente Rai). E forse la sua più grande vittoria del 1984 fu quella di ottenere una sede a Milano, vicino a Fininvest e lontano dalla sede Rai di Roma. Anche se, come detto, ormai la battaglia si consuma su altre direttrici ed è più di difesa condivisa che di sgambetti tra i due super soggetti. La prima patata bollente del nuovo presidente sarà quella di chiudere la questione dell'Audigate. E in corso, a spese della Nielsen, la sostituzione del panel principale che era stato inquinato (per chi non lo ricordasse un invio di email aveva permesso a blocchi di mille persone di sapere quali fossero le altre famiglie del panel, laddove la segretezza è un elemento inscindibile dall'attendibilità del campione, anche per evitare pressioni). Il risanamento completo è stato promesso per prima dell'estate. E la clessidra si sta svuotando velocemente.
giovedì 4 febbraio 2016
GOSSIP - Fermatela! Nina Dobrev si attorciglia a bellimbusto quarterback della NFL in diretta (VIDEO)!
Nina Dobrev grinds all up on Tim
Tebow while performing on Lip Sync Battle, which airs on
Thursday (February 4). The 27-year-old The Vampire Diaries alum
gave a sexy performance of Marvin Gaye‘s “Let’s Get It On”
while dancing with the former NFL quarterback! If you missed it, be sure to check out Tim‘s
Rocky Balboa inspired Lip Sync performance.
mercoledì 3 febbraio 2016
NEWS - Fermi tutti! Un milione di italiani guarda le serie tv in streaming... E molti altri le scaricano illegalmente!
Articolo di Gianmaria Tammaro su "La Stampa"
Da una parte c'è la televisione: quella che abbiamo imparato a conoscere, l'intrattenimento a portata di telecomando, palinsesti che fanno a gara tra di loro, e un condimento - salatissimo - di pubblicità. Dall'altra c'è Internet. E un nuovo modo di intrattenere. Un mercato che non abbiamo ancora capito come interpretare. Negli ultimi due anni, il pubblico che al piccolo schermo preferisce lo streaming (il flusso via web senza che i dati vengano scaricati su un computer) o l'on demand (programmi a richiesta e a pagamento sempre disponibili) è cresciuto. Poco, se confrontato con i numeri delle generaliste (Don Matteo, in prima serata, raggiunge circa 7 milioni di persone). Molto, se teniamo conto del fatto che non è mai stato uno dei punti di riferimento di produttori e investitori. E che di un pubblico «online» non si è mai parlato. Prima d'ora. In due anni è cambiata la connessione e la diffusione del mezzo Internet, e sono intervenuti nuovi protagonisti. Non più solo Rai, con la sua sezione Replay. È arrivato Netflix e prima ancora TimVision (circa 400 mila abbonati a oggi) ha avviato il suo servizio di streaming. Quindi è toccato a Infinity. E con loro Sky. Si stima - stando agli ultimi dati - che a guardare film e serie tv in streaming sia più di un milione di persone. La verità, però, è un'altra ed è evidente a tutti: c'è un bacino di utenza che, ancora oggi, non viene soddisfatto. C'è ancora chi - per una questione di costi, praticamente superata oramai, e per una questione di contenuti - preferisce vedere tutto illegalmente. E queste persone non si possono contare: non c'è tracciabilità che tenga. Chiunque possiede una connessione Internet - e nel 2014, secondo l'Istat, ad avere un accesso alla Rete erano il 64% delle famiglie italiane - può accedere a piattaforme di streaming.
II dato interessante, quindi, diventa un altro: la capacità effettiva che hanno i grandi protagonisti della scena italiana di intercettare questo pubblico e di farlo passare allo streaming e alla visione on demand legale. Di ridurre questo divario, abbassando i costi e aumentando l'offerta di prodotti «visionabili». Tra i più bravi, c'è sicuramente Sky. E lo dicono i dati. II più importante, uno degli ultimi diffusi dalla televisione di Rupert Murdoch, riguarda la seconda stagione di In Treatment, una serie non pensata per lo streamer o lo spettatore occasionale, che scarica le puntate per vederle in un altro momento, ma che è riuscita comunque a ottenere risultati incredibili: oltre 2 milioni di download (a partire dallo scorso 23 novembre) e un quinto posto di tutto rispetto tra le serie tv di Sky Atlantic più viste in streaming (e ci sono titoli come Gomorra, The Walking Dead e Elementary). Il successo di In Treatment 2 ci dice una cosa: il pubblico sta cambiando e anche la televisione deve, volente o no, cambiare. Ci dice che i gusti sono diversi. E che ora bisogna puntare su un intrattenimento più di qualità - non di nicchia, attenzione - che tenga conto degli interessi e delle passioni di una fetta di pubblico che, magari, la televisione non l'ha mai vista (anche se, con almeno 80 milioni di televisori in giro, è difficile). I servizi online diventano fondamentali. Allo stesso modo, quelli on demand. E più che parlare del successo - vero o presunto è ancora opinabile vista la mancanza di dati ufficiali - di Netflix, è importante sottolineare la crescita dei suoi competitor come Sky: In Treatment 2 è la dimostrazione che un altro tipo di intrattenimento si può e deve fare (aspettiamo la terza stagione, adesso), e che ci sono i numeri che giustificano la scelta di un simile investimento. La televisione, quella che abbiamo imparato a conoscere, non è più sola: è iniziata l'era dello streaming e dell'on demand.
Articolo di Gianmaria Tammaro su "La Stampa"
Da una parte c'è la televisione: quella che abbiamo imparato a conoscere, l'intrattenimento a portata di telecomando, palinsesti che fanno a gara tra di loro, e un condimento - salatissimo - di pubblicità. Dall'altra c'è Internet. E un nuovo modo di intrattenere. Un mercato che non abbiamo ancora capito come interpretare. Negli ultimi due anni, il pubblico che al piccolo schermo preferisce lo streaming (il flusso via web senza che i dati vengano scaricati su un computer) o l'on demand (programmi a richiesta e a pagamento sempre disponibili) è cresciuto. Poco, se confrontato con i numeri delle generaliste (Don Matteo, in prima serata, raggiunge circa 7 milioni di persone). Molto, se teniamo conto del fatto che non è mai stato uno dei punti di riferimento di produttori e investitori. E che di un pubblico «online» non si è mai parlato. Prima d'ora. In due anni è cambiata la connessione e la diffusione del mezzo Internet, e sono intervenuti nuovi protagonisti. Non più solo Rai, con la sua sezione Replay. È arrivato Netflix e prima ancora TimVision (circa 400 mila abbonati a oggi) ha avviato il suo servizio di streaming. Quindi è toccato a Infinity. E con loro Sky. Si stima - stando agli ultimi dati - che a guardare film e serie tv in streaming sia più di un milione di persone. La verità, però, è un'altra ed è evidente a tutti: c'è un bacino di utenza che, ancora oggi, non viene soddisfatto. C'è ancora chi - per una questione di costi, praticamente superata oramai, e per una questione di contenuti - preferisce vedere tutto illegalmente. E queste persone non si possono contare: non c'è tracciabilità che tenga. Chiunque possiede una connessione Internet - e nel 2014, secondo l'Istat, ad avere un accesso alla Rete erano il 64% delle famiglie italiane - può accedere a piattaforme di streaming.
II dato interessante, quindi, diventa un altro: la capacità effettiva che hanno i grandi protagonisti della scena italiana di intercettare questo pubblico e di farlo passare allo streaming e alla visione on demand legale. Di ridurre questo divario, abbassando i costi e aumentando l'offerta di prodotti «visionabili». Tra i più bravi, c'è sicuramente Sky. E lo dicono i dati. II più importante, uno degli ultimi diffusi dalla televisione di Rupert Murdoch, riguarda la seconda stagione di In Treatment, una serie non pensata per lo streamer o lo spettatore occasionale, che scarica le puntate per vederle in un altro momento, ma che è riuscita comunque a ottenere risultati incredibili: oltre 2 milioni di download (a partire dallo scorso 23 novembre) e un quinto posto di tutto rispetto tra le serie tv di Sky Atlantic più viste in streaming (e ci sono titoli come Gomorra, The Walking Dead e Elementary). Il successo di In Treatment 2 ci dice una cosa: il pubblico sta cambiando e anche la televisione deve, volente o no, cambiare. Ci dice che i gusti sono diversi. E che ora bisogna puntare su un intrattenimento più di qualità - non di nicchia, attenzione - che tenga conto degli interessi e delle passioni di una fetta di pubblico che, magari, la televisione non l'ha mai vista (anche se, con almeno 80 milioni di televisori in giro, è difficile). I servizi online diventano fondamentali. Allo stesso modo, quelli on demand. E più che parlare del successo - vero o presunto è ancora opinabile vista la mancanza di dati ufficiali - di Netflix, è importante sottolineare la crescita dei suoi competitor come Sky: In Treatment 2 è la dimostrazione che un altro tipo di intrattenimento si può e deve fare (aspettiamo la terza stagione, adesso), e che ci sono i numeri che giustificano la scelta di un simile investimento. La televisione, quella che abbiamo imparato a conoscere, non è più sola: è iniziata l'era dello streaming e dell'on demand.
martedì 2 febbraio 2016
NEWS - Attenti al canone! Oltre ai 100 euro in bolletta, la Rai a luglio potrebbe chiedere 10 anni di arretrati di canone non pagato (più di 1000 euro!). Sarebbe un duro colpo per i vari Netflix, Sky, Premium...(chi se li può permettere?)
Articolo tratto da "Il Giornale"
Articolo tratto da "Il Giornale"
Un incubo all'orizzonte: la superbolletta Rai. A
luglio, al riparo da conseguenze elettorali perché le amministrative
saranno già passate, arriverà la prima bolletta caricata con l'odiato
canone Rai. Molti
sono ancora i dubbi e il numero verde di Viale Mazzini è perennemente
occupato. L'unica cosa certa è che sarà una bolletta da salasso. I 100
euro della tassa Rai sono divisi infatti in dieci rate di 10 euro, ma il
primo semestre verrà addebitato tutto in un colpo nella bolletta di
luglio, dunque 70 euro oltre ai costi dell'elettricità. Ma c'è di più,
uno scenario inquietante finora non smentito dalla Rai, che potrebbe
trasformare le prossime bollette in una stangata clamorosa. La
Rai punterebbe a far pagare anche gli arretrati di canone non riscosso,
fino a dieci anni. Lo riporta il giornale online Qui Finanza, che
scrive: «Con l'introduzione, a partire dal 1° gennaio 2016, del
pagamento del canone Rai insieme alla bolletta della luce e le
contestuali dichiarazioni del governo che ciò non costituirà una
sanatoria per le evasioni degli anni precedenti, si è diffuso il timore
che questa potrebbe anche essere l'occasione per pretendere la
riscossione degli anni arretrati. Infatti il pagamento della bolletta
della luce, con la maggiorazione per il canone, sarà una sorta di
autodenuncia e di ammissione del debito».
La prescrizione del mancato pagamento del canone Rai
scatta dopo dieci anni, ciò significa in linea teorica che la Rai
potrebbe infilare nella bolletta fino a dieci canoni arretrati,
«maggiorato degli interessi al tasso legale», mentre su accertamento
della Guardia di Finanza «può inoltre essere comminata una sanzione
amministrativa di importo compreso tra 103,29 e 516,45 euro». Calcolato
tutto, un salasso terrificante. Che
avrebbe dubbia legittimità, visto che così facendo la Rai presume che
chi dichiara implicitamente di avere un televisore accettando di pagare
il canone in bolletta, abbia avuto un televisore anche nei dieci anni
precedenti. Questa finora è l'ipotesi, non ancora smentita dalla Rai né
dal governo.Ma Viale Mazzini sta battendo altre strade per recuperare
più soldi possibile. Negli
ultimi giorni i telefonisti Rai stanno chiamando a raffica rivenditori e
riparatori tv per chiedere il pagamento del «canone speciale», anche se
nelle specifiche della stessa Rai i negozi che vendono televisori sono
esentati dal pagamento. Eppure in queste ore i telefoni dei più
importanti negozi di elettrodomestici italiani squillano, e dall'altra
parte c'è l'addetto che chiede di pagare il canone, e anche in fretta. I
commercianti hanno chiesto aiuto all'Aires, l'associazione di
Confcomercio che li rappresenta. La quale ha scritto una lettera a Viale
Mazzini, già spedita tre volte, direttamente all'attenzione del dg, ma
senza alcuna risposta.
«È la stessa Rai a chiarire esplicitamente che le
nostre aziende sono escluse dal pagamento del canone - spiega Davide
Rossi, direttore generale di Aires-Confcommercio - I nostri associati ci
segnalano invece numerose chiamate che invitano a ottemperare al
pagamento del canone. Speravamo che con la riforma del canone e gli
annunci sulla semplificazione della normativa, si sarebbero evitate
queste situazioni». Si
vede che la Rai ha fretta di incassare. «Sembra emergere ancora una
volta l'unica filosofia che anima l'attività delle 300 persone che
operano nella struttura Rai Canone - attacca il deputato Michele
Anzaldi, segretario Pd in Vigilanza Rai -: non quella di aiutare i
cittadini ma tormentare e vessare i contribuenti, creando ansia spesso
ingiustificata e arrivando, come sembra in questo caso, ai limiti della
truffa».
Gli abbonati di #Netflix in Italia sono solo 280 mila (110 mila a pagamento,gli altri col mese gratis). https://t.co/gV6rtRNwLa @MCaverzan— Lou Grant (@GrantLou) 2 Febbraio 2016
lunedì 1 febbraio 2016
NEWS - Netflix, non è tutto oro quel che luccica in Italia. Bene le serie tv in aumento, male i film e la catalogazione tramite algoritmo che ti illude sul totale dei contenuti. Svanita possibilità di poter vedere la programmazione mondiale in contemporanea (SmartFlix)
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Lo sbarco italiano di Netflix, avvenuto lo scorso 22 ottobre, ha suscitato reazioni discordanti. Se l'interesse del colosso americano nei confronti dell'Italia ha stimolato il senso di appartenenza alla Rete di una nuova utenza televisiva, più giovane e attenta, telespettatori più tradizionali hanno lamentato un palinsesto quantitativamente limitato e semi-sconosciuto. A tre mesi dal suo arrivo, diradatosi il polverone mediatico, è davvero giunto il momento di affiancare (o sostituire) Netflix ai consueti fornitori di contenuti televisivi? È la domanda a cui Corriere Economia si propone di rispondere attraverso un'analisi concreta del servizio. Quali sono i punti di forza che hanno convinto oltre 75 milioni di persone ad abbonarsi a Netflix (più che raddoppiate da gennaio 2013) in 190 Paesi nel mondo (erano 50 sino allo scorso anno e la Cina è ancora la grande esclusa) con una media di 120 milioni di ore di programmi visti ogni giorno? E quali sono invece i punti deboli? II lato positivo: le serie televisive originali e i documentari (Going Clear;Anonymous) sono i primi punti di forza del canale. Non solo da tre mesi il numero dei telefilm è in costante aumento, ma la qualità delle produzioni esclusive dei creatori del celebre House of Cards (che in Italia è però trasmesso da Sky) è altissima per critica e giudizi. Benché non pubblicizzate come dalla concorrenza, serie come Sense8 dei fratelli Wachowski (già autori di Matrix), DareDevil, Jessica Jones e Orange is the New Black sono gemme da vedere. Inoltre, in Italia per il 2016 sono state annunciate 11 nuove serie esclusive: tra queste Flaked, The Ranch e Marseille con Gerard Depardieu. Eccellenti sono anche le produzioni della Bbc, cedute in gran parte a Netflix, tra cui l'intera epopea di Doctor Who e l'imperdibile Sherlock con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman. Nuova e piacevole è anche la fruizione delle serie tv, pubblicate ora in stagioni complete e mai in singole puntate settimanali. Di Netflix, oltre all'accessibile costo degli abbonamenti (da 7,99 euro al mese sino a 11,99 con la qualità Ultra HD di alcune produzioni), ci piace poi la possibilità di poter disdire il servizio in qualunque momento via web, senza tranelli. La qualità dello streaming video è alta, i tempi di attesa mini-mied è davvero comoda la possibilità di poter riprendere la visione dal punto in cui si è interrotta, indipendentemente dalla periferica di accesso. Infine, è da premiare la scelta di fruibilità trasversale voluta da Netflix che permette di aecedere da qualunque piattaforma elettronica disponibile: smartphone, tablet, computer, mediabox, smartTV, Apple TV e console di videogiochi. II Iato negativo. Ed ecco invece che cosa non ci piace di Netflix. Sapere che «i contenuti del palinsesto italiano sono destinati a duplicare ogni anno, esponenzialmente» — come ci ha dichiarato il vicepresidente Joris Evers — ci aiuta a comprendere le potenzialità del servizio, ma il fatto che Netflix non voglia dichiarare il numero dei contenuti offerti tende a confondere. E impossibile sapere quante siano le ore di programmazione incluse nell'abbonamento se non ricorrendo alla consultazione di un sito esterno (uNoGS.com) non riconosciuto da Netflix. La trappola è nel celebre, ma nefasto algoritmo di ricerca usato dall'interfaccia utente di Netflix. È sviluppato per dare l'illusione di offrire molti più contenuti di quanti siano in realtà, inserendo lo stesso programma in categorie differenti. Se, ad esempio in un film di fantascienza (quindi catalogato come tale) due protagonisti avranno una relazione, questo sarà riportato anche nell'elenco dei film romantici, oltre che tra le pellicole di azione, di avventura e nella lista dei programmi più indicati in base al nostro gusto. È questo uno dei motivi per cui includiamo la programmazione cinematografica tra gli aspetti meno apprezzabili di Netflix: i film sono pochi, perlopiù datati, poco conosciuti e neppure organizzati in retrospettive o saghe che ne possano aumentare l'appetibilità. II futuro. È svanita l'illusione di SmartFlix, l'applicazione che permetteva di usufruire di tutta la programmazione mondiale di Netflix, attingendo all'immenso serbatoio dei programmi in lingua originale senza limitazione territoriale. II colosso la sta fermando per le proteste dei detentori dei diritti locali. Ora la speranza di un prossimo (e legale) ampliamento dell'accesso ai contenuti viene dall'Unione Europea. Lo scorso 9 dicembre è stata infatti presentata dalla Commissione per il mercato unico digitale della Ue una proposta per consentire la fruizione di uguali contenuti televisivi digitali in tutti i Paesi membri. Si prevede che diventi realtà entro la fine del 2017.
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Lo sbarco italiano di Netflix, avvenuto lo scorso 22 ottobre, ha suscitato reazioni discordanti. Se l'interesse del colosso americano nei confronti dell'Italia ha stimolato il senso di appartenenza alla Rete di una nuova utenza televisiva, più giovane e attenta, telespettatori più tradizionali hanno lamentato un palinsesto quantitativamente limitato e semi-sconosciuto. A tre mesi dal suo arrivo, diradatosi il polverone mediatico, è davvero giunto il momento di affiancare (o sostituire) Netflix ai consueti fornitori di contenuti televisivi? È la domanda a cui Corriere Economia si propone di rispondere attraverso un'analisi concreta del servizio. Quali sono i punti di forza che hanno convinto oltre 75 milioni di persone ad abbonarsi a Netflix (più che raddoppiate da gennaio 2013) in 190 Paesi nel mondo (erano 50 sino allo scorso anno e la Cina è ancora la grande esclusa) con una media di 120 milioni di ore di programmi visti ogni giorno? E quali sono invece i punti deboli? II lato positivo: le serie televisive originali e i documentari (Going Clear;Anonymous) sono i primi punti di forza del canale. Non solo da tre mesi il numero dei telefilm è in costante aumento, ma la qualità delle produzioni esclusive dei creatori del celebre House of Cards (che in Italia è però trasmesso da Sky) è altissima per critica e giudizi. Benché non pubblicizzate come dalla concorrenza, serie come Sense8 dei fratelli Wachowski (già autori di Matrix), DareDevil, Jessica Jones e Orange is the New Black sono gemme da vedere. Inoltre, in Italia per il 2016 sono state annunciate 11 nuove serie esclusive: tra queste Flaked, The Ranch e Marseille con Gerard Depardieu. Eccellenti sono anche le produzioni della Bbc, cedute in gran parte a Netflix, tra cui l'intera epopea di Doctor Who e l'imperdibile Sherlock con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman. Nuova e piacevole è anche la fruizione delle serie tv, pubblicate ora in stagioni complete e mai in singole puntate settimanali. Di Netflix, oltre all'accessibile costo degli abbonamenti (da 7,99 euro al mese sino a 11,99 con la qualità Ultra HD di alcune produzioni), ci piace poi la possibilità di poter disdire il servizio in qualunque momento via web, senza tranelli. La qualità dello streaming video è alta, i tempi di attesa mini-mied è davvero comoda la possibilità di poter riprendere la visione dal punto in cui si è interrotta, indipendentemente dalla periferica di accesso. Infine, è da premiare la scelta di fruibilità trasversale voluta da Netflix che permette di aecedere da qualunque piattaforma elettronica disponibile: smartphone, tablet, computer, mediabox, smartTV, Apple TV e console di videogiochi. II Iato negativo. Ed ecco invece che cosa non ci piace di Netflix. Sapere che «i contenuti del palinsesto italiano sono destinati a duplicare ogni anno, esponenzialmente» — come ci ha dichiarato il vicepresidente Joris Evers — ci aiuta a comprendere le potenzialità del servizio, ma il fatto che Netflix non voglia dichiarare il numero dei contenuti offerti tende a confondere. E impossibile sapere quante siano le ore di programmazione incluse nell'abbonamento se non ricorrendo alla consultazione di un sito esterno (uNoGS.com) non riconosciuto da Netflix. La trappola è nel celebre, ma nefasto algoritmo di ricerca usato dall'interfaccia utente di Netflix. È sviluppato per dare l'illusione di offrire molti più contenuti di quanti siano in realtà, inserendo lo stesso programma in categorie differenti. Se, ad esempio in un film di fantascienza (quindi catalogato come tale) due protagonisti avranno una relazione, questo sarà riportato anche nell'elenco dei film romantici, oltre che tra le pellicole di azione, di avventura e nella lista dei programmi più indicati in base al nostro gusto. È questo uno dei motivi per cui includiamo la programmazione cinematografica tra gli aspetti meno apprezzabili di Netflix: i film sono pochi, perlopiù datati, poco conosciuti e neppure organizzati in retrospettive o saghe che ne possano aumentare l'appetibilità. II futuro. È svanita l'illusione di SmartFlix, l'applicazione che permetteva di usufruire di tutta la programmazione mondiale di Netflix, attingendo all'immenso serbatoio dei programmi in lingua originale senza limitazione territoriale. II colosso la sta fermando per le proteste dei detentori dei diritti locali. Ora la speranza di un prossimo (e legale) ampliamento dell'accesso ai contenuti viene dall'Unione Europea. Lo scorso 9 dicembre è stata infatti presentata dalla Commissione per il mercato unico digitale della Ue una proposta per consentire la fruizione di uguali contenuti televisivi digitali in tutti i Paesi membri. Si prevede che diventi realtà entro la fine del 2017.
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domenica 31 gennaio 2016
Bryan
Cranston stares intensely into the camera for the February 2016
cover of Malibu
magazine, with some images provided exclusively
to JustJared.com.
Here’s what the 59-year-old actor had to share with
the mag:
On his Trumbo
award nominations: Yeah. I mean, it certainly isn’t why we tell these
stories, but knowing how important attention is, and marketing and these sorts
of things, when the nominations came in I was flattered and honored. At the
same time, it really meant to me that more people will see this movie than
before—and that’s great.
On how he chooses his roles: I
don’t necessarily look for good characters to play; I look for good stories to
tell. That’s my distinction. But once I lock on to a good story, if it’s a good
story, there’s almost always interesting, compelling characters. That’s part of
what makes it a good story. Certainly Trumbo was that, and doing All
the Way, my play on Lyndon Johnson, where I’m working with Jay [Roach, the
director] again, was that.
On the untitled, animated Wes
Anderson movie he’s working on: The first recording of that is
done. We saw pictures and read a script, and then talked to Wes about how he
sees it coming about and being developed. It was great fun. We were in New
York. There were four microphones, and Wes was sitting at a little desk inside
the recording booth, and there was Bob
Balaban and Edward Norton, myself and Bill
Murray.
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