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lunedì 18 marzo 2019

NEWS - Achtung, compagni! Tra una settimana viene presentato lo streaming di Apple anti-Netflix e Amazon

Articolo tratto da "La Stampa"
L'invito è nero, lucido, con la silhouette della mela morsicata e le parole: «It's show time». È l'ora dello spettacolo: scocca il 25 marzo alle 10 del mattino, ora locale di Cupertino, California. Non sta scritto, né sull'invito né altrove, ma tutti sanno (o immaginano) che li, in quel giorno e quell'ora la Apple annuncerà il lancio della sua piattaforma di streaming, la sua Netflix, la «tv» che viaggia su Internet e che ciascuno può vedere quando vuole - in abbonamento - su smartphone, tablet, computer e televisori collegati alla Rete. Sarà quello il preciso momento in cui si scatenerà la guerra tra giganti dell'intrattenimento che cambierà definitivamente il modo in cui useremo i piccoli e grandi schermi. Bob Iger, il grande capo Disney impegnato in questi mesi a digerire il boccone da 66 miliardi 20th Century Fox, ha svelato tre giorni fa che Disney+, il servizio di streaming che lancerà negli Usa entro l'anno, «ospiterà l'intero archivio dei nostri film» dagli Anni 20 a oggi, e naturalmente le produzioni future. Quale famiglia al mondo potrà resistere a una piattaforma che permette di vedere (e rivedere, come piace ai bambini) Dumbo, Il re leone, Frozen, Biancaneve e La sirenetta ogni volta che lo si desidera sullo schermo di casa? Intanto Amazon, il colosso del commercio online, più grande Internet company al mondo, punta forte sulla sua divisione di intrattenimento in streaming, Amazon Prime Video. Al recente festival Sundance, specializzato in cinema e documentari di qualità, ha speso 41 milioni di dollari, più di ogni altro distributore, per acquisire film, soprattutto commedie adatte a un pubblico femminile. L'azienda fondata da Jeff Bezos, l'uomo più ricco del mondo, ha ingaggiato diverse star (Julia Roberts, Jon Hamm, Orlando Bloom) e molto si attende da Good Omens, mini-serie coprodotta con la Bbc in arrivo a fine maggio. Ora porterà la sfida anche sul terreno della tv più tradizionale (unscripted in televisonese), storie vere, talk show e intrattenimento non sceneggiato. 
Se a questi big aggiungiamo il gruppo Warner, che ha annunciato una discesa in campo prima della fine del 2019, e Netflix, che con i suoi 140 milioni di abbonati guida la graduatoria di un mercato globale che ha sostanzialmente inventato, abbiamo un quadro abbastanza completo dei partecipanti alla guerra. Netflix, tra l'altro, non si ferma mai: stringe accordi in giro per il mondo, lavora molto sull'animazione (esce Love Death e Robots, diretta da David Fincher, il regista di Fight Club), ha già un cavallo di razza pronto per la corsa al prossimo Oscar, The Irishman, regia di Martin Scorsese, con Robert DeNiro e Al Pacino, costato 200 milioni di dollari, che in autunno uscirà anche in sala e questa volta in maniera massiccia, non in pochi «selezionati» cinema come Roma. E l'Italia? Siamo troppo piccoli per avere un ruolo nella tv via web? Da noi oggi si vedono Netflix, Amazon e forse presto anche Apple, che sfrutterà il suo vantaggio competitivo più evidente, il miliardo e 300 milioni di dispositivi con il marchio della mela in funzione nel mondo. Poi c'è Now Tv, il braccio via streaming di Sky, che offre anche il calcio, interessante perché indica una delle possibili strade future per i canali che Rupert Murdoch ha venduto a Comcast; c'è DPlay di Discovery; RaiPlay della Rai, che vanta già buoni numeri, anche in occasioni apparentemente vintage come il Festival di Sanremo. Tim Vision, che offre serie premiatissime come Il racconto dell'ancella e KillingEve, produce Skam Italia che è un piccolo fenomeno. E ci sono Chili e Rakuten, che propongono un modello diverso, senza abbonamenti, un sistema paga-ciò-che-vedi dai possibili interessanti sviluppi. Un'altra domanda si impone: c'è spazio per tutti, o nel mondo ne resterà solo uno, come nel film Highlander? La storia insegna che il flusso di informazioni del web finisce per portare al monopolio: c'è un solo motore di ricerca, una sola enciclopedia online, un solo sito per vedere i video. E chi può essere interessato a pagare quattro o cinque abbonamenti per vedere i film, le serie e gli show che ama? L'unica certezza è che il panorama è in movimento. Tra un paio d'anni i nomi citati in questo articolo potrebbero essere cambiati, o non esistere del tutto, o essersi aggregati. Ma non si tornerà indietro, la nuova televisione - quella che permette a tutti di costruire e smontare il proprio palinsesto casalingo con un clic - entrerà nelle nostre vite e le cambierà più di quanto abbia fatto finora.

giovedì 11 ottobre 2018

NEWS - Occhio alle serie tv di DPlay in "Walter Presents", sorta di Netflix free e full con titoli europei non privi di curiosità
Articolo di Antonio Dipollina su "La Repubblica"
La febbre da serie tv non ha limiti, parliamo dell'offerta. Per esempio all'insegna del gratuito, per differenziarsi dai servizi streamig in pay, quelli di Discovery Channel si sono inventati Walter Presents. O meglio lo ha inventato Walter Iuzzolino. Viene da Genova, ma da tempo staziona in Inghilterra, per esempio a Channel Four, creando format assai pop e immergendosi nelle acque della fiction Internazionale. Con ordine: bisogna partire dal sito Dplay, gratuito, che ospita la produzione dei van canali Discovery, da Crozza in giù. Nella sezione Walter Presents sono già a disposizione alcune serie, soprattutto francesi, quasi sempre in originale con sottotitoli italiani. Si tratta di fiction di successo trasmesse dalla tv in chiaro dei vari Paesi. L'operazione è libera, con fruizione full, ovvero tutti gli episodi a disposizione, e senza spendere nulla si vive una sensazione alla Netflix o Amazon Video, e si può andare di maratona. A patto di essere interessati al genere e soprattutto di credere alle fiction europee, popolai nei rispettivi Paesi, come se fossero qualcosa anche di casa nostra. Vedi il caso francese. Due esempi su tutti. In primo è Spin. Gli uomini dell'ombra, thriller politico in onda su France 2, ambizioso tentativo di andare in scia a House of Cards, ma con avvio shock - kamikaze uccide il presidente francese - salvo scoprire che il terrorismo c'entra almeno quanto c'entrano micidiali trame di potere, tra ricatti incrociati e scheletri, neppure troppo metaforici, nell'armadio. L'altro esempio è Spiral, proposta anche in chiaro sul Canale 9. Si va indietro nel tempo: la fiction è partita nel 2005. E un noir che inizia con il delitto di una ragazza dell'Est Europa Anche qui, trame e intrecci giudiziario-politici. Dplay, forse per vezzo, forse per parodia o chissà, imita nella grafica del sito quella di Netflix: l'intenzione di farne una versione free, quasi rugged e comunque insolita, diventa, a quel punto, plateale.

domenica 23 settembre 2018

venerdì 7 settembre 2018

NEWS - United States of Virginia. La Raffaele si fa in quattro debuttando in una serie tv dove scimmiotterà Toni Collette...

News tratta da "Il Fatto Quotidiano"
"Come quando fuori piove". Il 6 settembre a Milano il sole splende in ogni direzione ma per chi si trova alla presentazione dei palinsesti Discovery Italia, sono queste le parole da tenere a mente. Perché il colpaccio del network, che si conferma terzo editore nazionale, ha esattamente questo titolo: "Come quando fuori piove". È così che si chiama la prima serie tv con protagonista Virginia Raffaele, dal 12 settembre in onda sul Nove in prima serata. Un gran gol, e Laura Carafoli, SVP Chief Content Offer Discovery, non nasconde la sua soddisfazione: "Abbiamo fortemente voluto Virginia per il suo incredibile talento ma non aveva senso riproporrequello che fa, benissimo, sulle altre reti. Volevamo un prodotto che fosse nostro". E il contenuto originale è arrivato, con Virginia Superstar presente a sorpresa in conferenza stampa. Gonna corta e inedita chioma castana, la Raffaele sorride e soprattutto ringrazia per averla voluta e per averle dato massima libertà nella realizzazione della fiction: "Quello di interpretare personaggi è il mio mestiere, ma le tempistiche della serie mi hanno permesso di approfondirli in maniera diversa - racconta - Stavolta ho a che fare con quattro donne lontane eppure vicinissime. Il titolo, infatti, richiama il poker: quattro semi distinti, che sono però carte dello stesso mazzo". E nella clip mostrata in anteprima si ha un'idea di quanto vedremo a breve: Virginia sarà Susanna, giovane sposa che deve fare i conti con l'inaffidabilità del caso, Saveria Foschi Volante, la migliore attrice italiana in circolazione afflitta però da insicurezza cronica e dipendente dalle benzodiazepine, Giorgiamaura, diciannovenne che vuole vincere Amici ma che deve vedersela con uno zio portatore di malsani principi e infine Gregoria Barberio Bonanni, un'anziana signora. Quale sarà la resa della Raffaele in un formato televisivo per lei nuovo? Non resta che aspettare il 12 settembre per dare i voti.

lunedì 25 giugno 2018

NEWS - Achtung, companeros! Siete pronti alla rivoluzione tv e a buttare i televisori che non prevedono il 5G? Entro 4 anni il digitale terrestre si deve dimezzare ma i network - Rai, Mediaset e La7 in primis - si ribellano: te credo, l'operazione costa 700 milioni! Toccherà decidere a Luigi Di Maio...

Articolo tratto da "Affari&Finanza"
I broadcaster storici da una parte, quelli che controllano le frequenze tv: Rai e Mediaset su tutti, ma anche La7 di Urbano Cairo, la Prima Tv di Tarak Ben Ammar. Il governo e l'Agcom dall'altra. In mezzo, come spettatori interessati, i broadcaster senza rete, cioè quelli che affittano la diffusione del loro segnale dai titolari delle frequenze e dalle tower company Sky, Discovery, Viacom. Il campo di gioco è il fatto che entro 4 anni le tv dovranno sgomberare la banda 700 mhz. Significa, al netto dei tecnicismi, che tutto il sistema del digitale terrestre italiano, che oggi viaggia su 30 frequenze, dovrà restringersi in metà spazio: 15 frequenze. Aiutato però da uno step tecnologico che dimezza la quantità di banda richiesta. Ma le cose non vanno così lisce. E' per questo che dieci giorni fa da Mediaset e da Cairo sono partiti due ricorsi davanti al Tar per bloccare l'intera partita. E altri ricorsi sono in arrivo, a partire da quello di Ben Ammar. E un avvertimento al governo: serve un accordo. E questa è la prima grana che il neoministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio si troverà a dover risolvere avendo mantenuto le deleghe sul settore delle Comunicazioni. E ora si capisce anche bene perché. Perché da lui dipenderà una decisione che avrà un impatto sui bilanci di Mediaset e di Rai. Anzi, più esattamente, di EiTower e di Ray Way. La posta in gioco? E doppia. Per le tv è l'utilizzo di un'operazione da 700 milioni circa, ossia i costi per l'abbandono della banda 700 mhz da lasciare agli operatori mobili per il 5G. Per il governo la possibilità di incassare i 2,5 miliardi di euro dell'asta per le frequenze della banda ultralarga mobile e che sono un punto non indifferente della Legge di Stabilità approvata alla fine dello scorso anno dal governo Gentiloni. L'incrocio micidiale che si è creato è che il governo ha la necessità assoluta di convincere le telco che parteciperanno all'asta di settembre-ottobre che non ci saranno problemi (e che quindi possono serenamente aprire i portafogli). Ma i problemi ci sono
Ci sono due ostacoli, uno imprevisto e uno no. Il primo: bisogna passare dall'attuale sistema denominato Dvbtl, o TI, al nuovo, il Dvbt2, o T2 e non sarebbe vero che il nuovo richieda esattamente la metà dello spazio del vecchio, coem si è finora sostenuto. Ma più spazio di quello non ce ne è. Insomma, il 12 occupa più banda del previsto. Secondo nodo. Un canale digitale non occupa oggi 20 megabit di banda ma circa 24: e questo lo si sa da sempre, lo sanno anche al Mise e all'Agcom. Perché è scritto nero su bianco sui contratti di trasporto del segnale che EiTowers ha con i suoi clienti, in primis Mediaset, e Rai Way con il suo unico cliente, ossia Rai. E lo sa Prima Tv, che trasporta canali di Mediaset, Sky e Discovery. Nel nuovo assetto dell'etere, visto che lo spazio si dimezza, e che invece le frequenze non si possono suddividere, si è pensato bene di cambiare i termini giuridici delle concessioni: non si concedono più frequenze ma capacità di trasmissione. Chi ha una sola frequenza, come Cairo, Prima Tv, Wmd3, l'Europa7 di Francesco Di Stefano o la ReteCapri di Costantino Federico, si troverà in mano qualcosa di meno concreto. E resta un problema: c'è un operatore di rete per ogni frequenza; domani? Una frequenza è gestita da un apparato che può suddividere il segnale in più porzioni. Ma chi gestirà il segnale della mezza frequenza di Cairo o di Ben Ammar? In pratica è come una fibra ottica: la si può suddividere in mille modi, ma la fibra, il singolo capello di fibra ottica, resta sempre uno e uno solo, e pub avere un solo proprietario. Insomma le cose non sono chiare, ma se la partita ingegneristica è da mal di testa, quando si passa a parlare di soldi tutto diventa più chiaro. il passaggio al T2 può mettere a rischio il conto economico delle tower company. Ei Tower, Rai Way, Persidera e Cellnex (ma quest'ultima in minima parte perché ha pochissime torri tv). Lo può fare in due modi. ll primo: se si dimezzano le frequenze si dimezzano gli apparati su cui vengono trasportati i singoli segnali tv (un ingegnere forse inorridirebbe per l'approssimazione, ma al fondo le cose stanno così). Ma poiché alla fine quello che il cliente paga alla tower company non è il trasporto un tanto al chilo ma il servizio di consegna del prodotto finito, ossia il canale tv, la cosa può trovare una compensazione (basta cambiare congruamente le componenti del prezzo). Ma c'è sempre il rischio di incertezza che questo passaggio comporta. Soprattutto se lo spazio per tutti i canali non fosse garantito come sembrava invece promesso. Una soluzione c'è. Il problema è solo trovare i soldi per realizzarla. E' infatti vero che la coperta delle frequenze è sempre più corta, anzi si dimezza, ma è anche vero che in questo momento ce ne sono molte inutilizzate. Per favorire la liberazione della banda 700 e il contemporaneo passaggio alle nuove tecnologie, il governo Gentiloni aveva messo in Legge di Stabilità ulteriori stanziamenti per la rottamazione di frequenze usate da tv locali: un incentivo economico alla restituzione delle frequenze locali. La stessa Legge di Stabilità fissa il budget complessivo per l'intera operazione T2 in circa 700 milioni in quattro anni. A spanne: oltre 200 milioni per le emittenti nazionali per i costi di trasformazione e aggiornamento degli impianti; oltre 300 milioni per gli incentivi alla rottamazione delle frequenze; 100 milioni sono stanziati per agevolare l'acquisto di decoder da parte di utenti i cui televisori di vecchia generazione non siano in grado di ricevere i nuovi canali in T2 (come invece accade per tutti gli apparecchi in vendita da inizio anno); infine circa 60 milioni a disposizione del Mise per costi di organizzazione della transizione tecnologica. In apparenza i soldi dunque ci sono ma pare - perché di certezze ufficiali in questo momento ce ne sono poche - che dentro i 300 milioni per la rottamazione delle frequenze locali sarebbero nascosta una pillola avvelenata: la Rai. Il piano del "vecchio" governo prevede infatti che Rai dovrebbe scendere dagli attuali 5 mux (oggi uno per ogni frequenza, con una capacità di trasportare fino a 7 canali "normali" 0 3-4 in alta definizione) a 2 mux e mezzo. Ma su uno di questi dovrebbe andare la sola Rai3 regionale e portare in tutto il resto delle capacità trasmissiva, emittenti locali. Buon progetto, sulla carta, che garantisce alle locali un operatore di rete pubblico come Rai Way, alla stessa Rai Way, che ha l'handicap di avere in pratica un unico cliente, ossia il suo azionista, una nuova area di business. Peccato però che questa capacità trasmissiva sia stata allocata nella banda Vhf. E non tutte le case in Italia hanno un'antenna in grado di ricevere questi canali. Che sono quelli usati dall'Europa 7 di Francesco Di Stefano. Per rendere visibili a tutti gli italianitutti i canali e per il "refarming" dei canali Rai si stima - sempre in via non ufficiale - che Viale Mazzini dovrebbe spendere giusto attorno ai 300 milioni. E qui i conti iniziano evidentemente a non tornare. Quello che i broadcaster chiedono al governo è dunque una quota maggiore di fondi, a valere sull'incasso dell'asta 5G per un riassetto definitivo dello spettro radio. E potrebbe essere un'occasione per mettere la parola fine al caos dell'etere italiano. Perché non solo molte emittenti locali continuano a mantenere la titolarità di frequenze solo in attesa di una loro definitiva valorizzazione economica (basta guardare la quantità di programmi ripetuti che si susseguono pigiando sul telecomando dopo il tasto 50) ma ci sono anche emittenti nazionali forse pronte a restituire le frequenze. A partire daRete Capri e Europa 7. Ma perfino Wind3 potrebbe essere pronta a restituire la frequenza che dai tempi dell'H3g di Vincenzo Novari non usa più per trasmettere un suo canale. A questo punto, facendo scendere le frequenze riservate alle locali dalle attuali 5 (garantite per legge in misura di un terzo del totale) a 3, forse anche a solo 2, e con almeno un paio di nazionali in meno, ci sarebbe molto più spazio. Per fare cosa? Rai, per esempio, potrebbe fare a meno di investire sulla banda Vhf. Mediaset non ha per ora problemi di spazio visto che è riuscita ad ospitare una decina di nuovi canali Sky, frutto dell'accordo del mese scorso, nel suo bouquet pay di Premium senza particolari sofferenze. Ma per i conti e le prospettive di Rai Way e Ei Tower avere più capacità trasmissiva da gestire significa avere più ricavi. Senza contare che sia Rai che Mediaset dovranno iniziare a pensare presto a portare il 4k, la nuova generazione dell'altra definzione sui canali terrestri. E allora servirà sì più spazio. Lo switch off Infine il passaggio di tecnologia. Oggi non è prevista una data per uno switch off, come per il passaggio dal digitale all'analogico. Ma nella situazione attuale tutti i broadcaster lo ritengono necessario. Con più frequenze per tutti, invece, si potrebbe procedere in modo più graduale. La soluzione ? Che il ministero si decida ad abrogare la riserva di un terzo di frequenze per le locali. E scriva in modo più chiaro il percorso di passaggio dal T1 al T2. Pare sia d'accordo anche Agcorn che questa settimana pubblicherà il primo atto formale del nuovo piano frequenze: formale perché si limiterà a dire che la banda 700 va liberata entro il 2022, come vuole l'Ue. Ma rimandando al governo la palla delle decisioni sostanziali. A quel punto sarà Di Maio a guidare il gioco. Ha tempo fino a inizio autunno. Ed è probabile che questo tempo se lo prenderà tutto.

sabato 7 ottobre 2017

mercoledì 4 ottobre 2017

martedì 3 ottobre 2017

lunedì 2 ottobre 2017

venerdì 29 settembre 2017

LA VITA E' UNA COSA SERIAL - Achtung, compagni! Una proposta di legge di Dario Franceschini vuole eliminare di fatto le serie tv americane dai palinsesti italiani!
Leggi QUI.

lunedì 13 febbraio 2017

NEWS - Taca la Banda! Gli utenti della banda (ultra)larga aumentano per vedere le serie tv, anche se l'Italia rimane la Cenerentola d'Europa. Sorpresa: Chili cresce più di Netflix. Mediaset in stand-by, Amazon pronta a scendere in campo. Tra TimVision e Vodafone, attacca la banda anche Fastweb

News tratta da "Affari&Finanza"
Tutti in sala: Io spettacolo sta per cominciare, anzi i titoli di testa sono già sullo schermo. La tv on demand ha finalmente messo in moto la banda larga e soprattutto quella ultralarga, che significa fibra ottica. Gli utenti crescono, la domanda preme anche in Italia, risolvendo l'annoso dilemma se si debba prima costruire le nuove reti ultraveloci o aspettare il crescere dell'offerta. In numeri: oggi in Italia ci sono 1,7 milioni di utenti di video on demand. Sono utenti che guardano meno tv tradizionale, quella dei palinsesti e dei tasti del telecomando e che invece sempre più di frequente cercano quello che vogliono vedere su cataloghi online. 
Crescono non perché ci sia più 4K in giro o più smartphone o tavolette, ma perché ora sempre più film, serie tv, grandi eventi e sport arrivano con ottima qualità sui televisori di casa: siano smart tv, ossia tv a cui, oltre il cavo d'antenna si connette anche il cavo verso il modem a banda larga domestico (o un wi-fi) oppure grazie ai set-top-box, (più facile chiamarli decoder) che abilitano anche i vecchi apparecchi attraverso la porta Hdmi: da Timvision a Vodafone Tv, da Now.tv di Sky a Infintiy e, tra qualche mese, anche al nuovo decoder di Fastweb che sta ultimando i suoi trial tecnici per adattare alla rete italiana il decoder usato in Svizzera dalla sua controllante Swisscom. Un milione e 700 mila utenti che cresceranno rapidamente. "A fine 2019 ne stimiamo quasi 4,2 milioni", spiega Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting, che all'esplosione del Vod, il video on demand, in Europa e in Italia ha dedicato un rapporto uscito appena un paio di mesi fa. "L'Italia sta iniziando a recuperare il gap che la ha finora seperata da resto del mercato europeo: la nostra analisi infatti - continua Preta - stima che mentre l'Europa continuerà a crescere nei prossimi tre anni a tassi tra il 20% di quest'anno il 14% del 2019, i ricavi del settore in Italia aumenteranno del 72% quest'anno e di quasi il 55% tra tre anni". Che il mercato ci creda si vede nei fatti. All'estero, ovviamente, prima di tutto, con le ultime operazioni. Atet che acquisisce prima Direct Tv (la maggiore pay tv satellitare Usa) e poi Time Warner (anche se l'operazione deve ottenere anche ora il via libera dell'Antitrust Usa), a cui risponde Verizon con l'acquisizione di Yahoo. Ma anche in Italia, dove le cose si anno muovendo rapidamente. Telecom ha rilanciato Timvision, Vodafone lancia Vodafone Tv e Fastweb, come anticipato più sopra, sta rientrando nel settore da cui era uscito alcuni anni fa con lo spinoff di Chili Tv
Quanto a Vodafone, si sa della sua offerta, del valore di circa 10 euro al mese. I contenuti sono in via di definizione con potenziali alleati come Sky, Discovery, Viacom. Di certo ci sono già tra le opzioni Netflix e Chili, con pagamento a parte, ma con un'offerta iniziale che comprende sei mesi di Netflilx e 6 film di Chili. Per ora è in vendita in una trentina di negozi Vodafone ma si arriverà presto a regime. D'altra parte l'offerta del gruppo guidato da Aldo Bisio è legata a filo doppio allo sviluppo della rete ottica di Open Fiber, la joint venture Enel e Cdp con cui Vodafone ha un accordo operativo. Timvision, l'offerta di tv in streaming di Telecom Italia, è sugli scudi: presentando i conti del gruppo per il 2016, la scorsa settimana, l'ad Flavio Cattaneo ha detto chiaramente che è dai servizi a valore aggiunto sulla fibra, e in particolare dalla tv, che il gruppo si aspetta di tomare a veder crescere ricavi e margini. E si sta muovendo di conseguenza: accelera sulle nuove reti, con 120 mila nuove case passate ogni settimana, ha societarizzato Timvision, prima una divisione della capogruppo, ha firmato un accordo con Rai per venti film prodotti da RaiCinema in esclusiva. Una cosa, quest'ultima, che ha fatto anche storcere qualche naso a Viale Mazzini dove è stata da poco rinnovata l'offerta di RaiPlay, la catch-up tv, gratuita ma con pubblicità dove si può rivedere online e on demand la programmazione degli ultimi sette giorni, oltre le dirette streaming di tutti i dieci canali Rai. 
Se il fronte delle telco è in fermento, anche dall'altra parte, quella dell'offerta, ci sono movimenti. Broadcaster, major e produttori di contenuti hanno intuito che il momento è positivo e spingono sull'acceleratore. Con il risultato che il mercato, colpito da questo aumento di offerta, reagisce e cresce ed oggi gli utenti italiani possono scegliere in un panorama di una ventina di offerte diverse, tra abbonamenti e pay-per-view, tra cataloghi specializzati e anche motori di ricerca. I quasi 2 milioni di utenti italiani erano un miraggio solo dodici mesi fa. C'è che è un mercato in cui i protagonisti non si sbottonano e cifre ufficiali non ci sono. Si possono solo citare quelle che addetti ai lavori e operatori ammettono a mezza bocca. Secondo queste indiscrezioni il primo operatore sarebbe oggi Timvision, con circa 400 mila utenti, compresa però una quota di utenti registrati ma che non hanno ancora attivato il servizio. Cifre ad alta oscillazione quelle relative a Netflix che secondo alcune stime potrebbe avvicinarsi ai 400 mila utenti (compresi quelli nel periodo gratuito) e secondo altre valutazioni arriverebbe a malapena a 300 mila. Risultato non disprezzabile ma comunque sotto le attese (si parlava di un milione entro il primo anno, e Netflix è partita nell'ottobre 2015). A rallentare la corsa del gruppo di Reed Hastings sarebbero ancora una ridotta offerta di contenuti in italiano e la scarsa abitudine del pubblico nostrano ai film sottotitolati. Senza contare che i titoli di punta prodotti dal gruppo, a parure da House of Cards, in Italia sono stati acquistati dai concorrenti, Sky in testa. 
Chili vanta in Italia 650 mila utenti registrati, il 90% dei quali ha anche registrato un metodo di pagamento, e cresce di 20 mila nuove registrazioni al mese. Ma Chili ha un modello di business diverso dagli altri: niente abbonamento ma si paga volta per volta quello che si vede. Chili non ha un suo decoder ma si affida, come Netflix, d'altronde, alla presenza sui set-top-box degli altri, da Tim-vision a
Vodafone, alla presenza della sua icona nelle tv connesse di Samsung e Lg e alla possibilità di connettere il proprio smartphone o la propria tavoletta al televisore tramite le "chiavette" Hdmi come Chromecast di Google o Amazon Fire. Anche per Sky non si hanno numeri precisi. Sui 100 mila dovrebbero essere gli utenti che vedono l'intero bouquet della pay tv guidata da Andrea Zappia tramite la fibra ottica e con l'apposito decoder sviluppato da Sky con Telecom Italia per replicare tutte le funzionalità del ricevitore satellitare. Più del doppio, forse sui 250 mila, invece, gli utenti di Now.tv, la versione low cost" di Sky che viaggia esclusivamente via web. Situazione in stallo in casa Mediaset, viste le note vicende societarie: su Premium Online non ci sono numeri. E su Infinity, in pratica la Netflix del Biscione, film e serie tv, lanciata proprio anche per non lasciare strada libera a Netflix, si parla di una forbice compresa tra i 100 mila e i 200 mila utenti. E ancora indietro è Amazon Prime Video, che dal 14 dicembre scorso, giorno del lancio ufficiale, in Italia ma assieme ad altri 200 mercati, è praticamente appannaggio gratuito di tutti gli utenti di Amazon Prime. Amazon non rilascia numeri su quanti siano gli utenti in Italia e tanto meno su quante siano le eventuali attivazioni del servizio. L'utilizzo è comunque ridotto dalla esiguità del catalogo, per ora, con pochi film doppiati. Forse le cose miglioreranno in primavera, quando dovrebbe arrivare anche in Italia "Crisis in 6 Scenes" la serie tv firmata da Woody Allen. E poi c'è il resto: dalla Play Station Video di Sony, ad iTunes di Apple e Google Play, che non prevedendo pagamenti fissi ma acquisti a catalogo e sfuggono ancora di più ad ogni rilevazione, fino a portali come Mubi, Vimeo o l'italiana MyMovies che propongono selezioni mensili o settimanali di contenuti: una specie di ritorno a una forma di palinsesto.

giovedì 13 ottobre 2016

NEWS - Più Crime che crimini! Su Premium debutta ID (Investigation Discovery), che dovrà far a coltellate con Premium Crime, Fox Crime, Top Crime, Giallo...
Un nuovo brand targato Discovery debutta su Mediaset Premium: ID – Investigation Discovery arriva finalmente in Italia, il 24 ottobre, al canale 320 del digitale terrestre. Una novità che andrà ad arricchire il pacchetto “Serie & Doc” dei clienti di Mediaset Premium con uno dei brand più famosi e riconoscibili al mondo. Passioni, indagini e misteri: un palinsesto ricco di produzioni di qualità, dal ritmo incalzante e coinvolgente che attraverso ricostruzioni, approfondimenti, inchieste e indagini porta alla scoperta di ogni segreto del crime, uno dei generi più apprezzati dal pubblico. Presente in 163 Paesi nel mondo, ID – Investigation Discovery è un vero e proprio fenomeno negli Stati Uniti dove è il canale via cavo con la crescita d’ascolto più alta e con il maggior tasso di permanenza tra le donne 25-54 anni. Un vero e proprio pilastro del portfolio Discovery, grazie alla capacità di intrattenere, raccontare e stupire, con un linguaggio sempre moderno e accattivante. 
Alessandro Araimo, SVP & COO Discovery Networks Southern Europe ha affermato: “Siamo davvero lieti di portare anche in Italia ID – Investigation Discovery, in partnership esclusiva con Mediaset Premium. Il nostro obiettivo è quello di continuare a offrire programmi originali e innovativi anche sul pay. Una piattaforma su cui investiamo costantemente proponendo con continuità contenuti pregiati e mai visti prima”. 
Franco Ricci, AD Mediaset Premium dichiara: “L’arrivo di ID - Investigation Discovery sulla nostra piattaforma risponde alla strategia di rafforzamento dell’offerta Mediaset Premium nell’area cinema, serie TV e factual,  con un ricco bouquet di canali che si affiancano ai già ben noti ed esclusivi contenuti sportivi". 
ID – Investigation Discovery arriva in Italia con tante produzioni di successo tra cui spiccano True Crime storie di omicidi, con la nota scrittrice e giornalista Aphrodite Jones alle prese con alcuni dei casi di omicidio più atroci del nostro tempo e Vite segrete di mogli (im)perfette, la serie-docu che indaga sulle vicende di donne con intenzioni mortali, disposte a distruggere le loro vite apparentemente perfette pur di ostacolare la verità. Tanta anche l’attenzione a tematiche sociali: nel palinsesto di ID – Investigation Discovery non mancheranno programmi su violenza contro le donne, bullismo, discriminazioni e altri fatti di cronaca.

lunedì 29 agosto 2016

NEWS - L'Elba di un nuovo "Luther"? L'attore-deejay-aspirantenuovo007 annuncia su twitter che ci sono buone chance per rivedere la serie cult. E intanto s'inventa (o meglio: torna a fare il) pugile in un docu-serial
(ANSA) - LOS ANGELES - C'e' chi usa il "metodo" per entrare nella parte. Idris Elba e' andato oltre. L'attore inglese di Prometeus, Thor e Star Trek, nonchè di Luther e The Wire, si e' allenato per diventare un kickboxer professionista, peso massimo, davanti alle telecamere del programma 'Idris Elba: fighter', la cui realizzazione e' stata annunciata nell'ambito del festival della televisione di Edimburgo, in corso di svolgimento in Scozia. Niente copione, niente recitazione, le telecamere DMax, canale 52 del gruppo Discovery Italia dalla primavera del 2017, e' stata filmata nel corso di uno spazio temporale di un anno e sara' composta da tre puntate da sessanta minuti, che racconteranno il percorso dell'attore nel mondo del pugilato professionale, le riprese mostreranno i veri allenamenti e i veri combattimenti dell'attore e atleta, sudore, sangue e fatica compresi. Allenato da pugili professionisti Elba, 44 anni a settembre, non era comunque nuovo alla disciplina. A vent'anni infatti, per qualche tempo, si era allenato a scopo ricreativo ma non aveva mai partecipato a gare. "Eppure e' una aspirazione che ho da molto tempo - dice l'attore che della serie e' anche produttore - salire su un ring per mettermi alla prova e' una di quelle esperienze che volevo fare. Ho cambiato completamente il mio stile di vita per partecipare a questo progetto. E' stato faticoso e impegnativo ma sono orgoglioso del percorso fatto e del risultato". Gli spettatori avranno la possibilità di vedere e conoscere Idris Elba come uomo e non come attore, in un esperimento che mostrerà al pubblico ciò che gli dà grinta, le sue aspirazioni di vita e le sfide che vuole affrontare e vincere.

martedì 19 luglio 2016

NEWS - Netflix, tanto rumore per nulla! E' il sito di streaming preferito in Italia, ma nessun tsunami (il meno strombazzato Infinity insegue a soli 8 punti di percentuale...)

Articolo tratto dal "Corriere Economia"
Tanto rumore per nulla, avrebbe detto Shakespeare. Forse scomodare il Bardo è eccessivo, ma nel panorama della tv on demand sembra proprio questa la tendenza quando si parla di Netflix. Quando a ottobre era stato annunciato lo sbarco anche in Italia della creatura di Reed Hastings, il fermento mediatico, ma non solo, era stato alto: «Seppellirà i concorrenti», «con la libreria e i contenuti che ha, renderà obsoleto qualsiasi altro competitor». E invece...E invece a distanza di nove mesi, complice anche la casa madre americana che comunica con il contagocce qualunque dato relativo ai singoli Paesi, non sembra che lo tsunami Netflix abbia avuto particolari effetti sui numeri degli utenti. O meglio, un effetto l' ha avuto: ha fatto capire ai competitor le potenzialità della tv on demand e la diffusione ormai inarrestabile dello streaming. Oltre alla necessità di sviluppare il piano della banda larga capillarmente a tutto il Paese. Puntare sull' innovazione è sempre stata una delle strategie di Netflix che ha preventivato per tutto l' arco dell'anno 800 milioni di investimenti in tecnologia e sviluppo, a fronte dei 5 miliardi previsti per le nuove produzioni. Una cifra che, al momento dell' annuncio, aveva fatto infuriare gli azionisti che rimproverano al patron margini non all' altezza del fatturato da 2 miliardi. Resta il fatto che le produzioni originali di Netflix sono difficili da eguagliare, forti anche della solida base economica alle spalle. Titoli come House of Cards e Orange is the new black sono ormai serie cult. E date le premesse, per le nostrane Sky e Mediaset è complesso riuscire eguagliare, almeno in termini di produzione il «cugino ricco». Secondo uno studio condotto dall' istituto di ricerca Nextplora, Netflix è il sito di streaming a pagamento preferito in Italia. Stando all'indagine, nell'ultimo anno il 15% degli internauti ha usufruito di contenuti sui siti di streaming a pagamento. E tra questi, la preferenza del 48% va a Netflix, il 40% a Infinity e il 37% a Skyonline, da poche settimana diventata Now Tv. Il network guidato da Zappia, infatti, ha trovato il modo di controbattere, sia a livello di contenuti, investendo 40 milioni di euro in due nuove produzioni originali: The young Pope e Diabolik, (forte del successo di Romanzo Criminale e Gomorra, tra i pochi prodotti made in Italy esportati con successo anche all' estero). Sia rivoluzionando la sua Internet tv, trasformandola in Now tv, per l' appunto, un brand già operativo nel Regno Unito che ricalca quindi il progetto di integrazione delle tre Sky: Italia, Germania e Uk. Obiettivo: una navigazione e un' interfaccia più fruibile e immediata e un' offerta più ricca. Novità anche in casa Mediaset, in attesa del via libera dell'Antitrust che dovrà dare l'ok alla cessione di Premium a Vivendi. «La due diligence è stata fatta, tutto è a posto - aveva detto a inizio mese l' amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi durante la presentazione dei palinsesti -. È difficile dire se il closing sarà anticipato o no». Grazie a questa operazione Mediaset diventerà il secondo azionista industriale di Vivendi e Premium farà parte del gruppo francese. Nell'accordo è anche compresa la creazione di un «polo paneuropeo» di produzione e distribuzione di programmi televisivi, un progetto molto complicato di cui però si parlerà non prima della primavera del 2017. E della nuova piattaforma dovrebbe far parte anche Infinity. Ma, precisano da Cologno, il servizio di streaming resta in Mediaset: «Ci teniamo molto, è l' attività più vicina a quello che pensiamo sarà il futuro - è stato il commento di Pier Silvio Berlusconi - ha più di 600mila utenti, siamo leader in Italia e siamo soddisfatti, ma è un business ancora molto piccolo, questo riguarda sia noi sia Netflix». Ma la battaglia degli ascolti (e della pubblicità) non sarà solo online: anche i canali generalisti si stanno preparando per un autunno impegnativo. La7 in primis, dato che deve fare i conti con la presenza di due ingombranti vicini: Sky sul tasto 8 e Discovery sul 9. Due canali in via di definizione, ma che stanno cominciando a ritagliarsi una precisa identità anche a livello di contenuti. Per il gruppo di Urbano Cairo l'obiettivo sarà non solo spingere sugli ascolti, ma rafforzare la raccolta pubblicitaria con previsioni per fine semestre di una crescita del 2,5%.
Forte dei numeri registrati nei primi sei mesi, con uno share complessivo in aumento del 15% rispetto all' anno precedente, Discovery Italia si prepara a farsi largo tra le emittenti grazie ai suoi 13 canali tra digitale, satellite free e pay. Un portfolio completato con l' acquisto del tasto 9 dal gruppo editoriale L'Espresso, su cui l' emittente guidata dall' amministratore delegato Marinella Soldi punta molto. Lo scorso anno poi, il gruppo ha acquisito, con un investimento da 1,3 miliardi, i diritti di trasmissione delle Olimpiadi per l' Europa dal 2018 al 2024. Non bisogna dimenticare che a livello pubblicitario, la pare del leone la fanno ancora i canali generalisti. In particolare la Rai di Antonio Campo Dall'Orto che può contare sul 22% della torta degli investimenti pubblicitari destinati al piccolo schermo, e un 13,6% dell' intero mercato.

martedì 16 febbraio 2016

NEWS - Achtung, compagni! Nei network tv a garantire fedeltà e fare tendenza sono le serie tv, non più lo sport ("è un'aggiunta"). E dal 27 febbraio debutta Paramount Channel in chiaro...
Articolo tratto da "Affari e Finanza"
II futuro della televisione sarà in chiaro. La pay tv non scornparira, ma rallenterà con il free to air che si allargherà. Una tendenza che a livello internazionale è in atto da tempo e adesso prende piede in Italia. A fine mese sul numero 27 del telecomando debutterà Paramount Channel, un canale gratuito del colosso americano Viacom dove saranno trasmessi film e serie televisive. Nelle scorse settimane Sky ha rilevato proprio da Viacom il canale numero 8, dove c'era Mtv, per trasformarlo in una rete generalista, mentre Discovery ha comprato il numero 9 trasformando in "neogeneralista" Deejay Tv. Insomma a muoversi sono proprio i grandi editori della tv a pagamento. «Più che uno spostamento verso il chiaro, si tratta di un allargamento dell'offerta per coprire fasce di pubblico diverse», osserva Francesco Siliato, docente di Sociologia delle comunicazioni al Politecnico di Milano e partner dello Studio Frasi, che aggiunge: «Per la pay tv, aggredita da offerte on demand come Netflix, ampliare il mercato vuole dire difendersi. E il pubblico generalista ha capito da tempo che l'offerta televisiva si è ormai estesa a 20/30 canali». Non a caso la pay tv fatica a far crescere la sua base abbonati. Colpa della crisi economica ma anche dello sviluppo del digitale terrestre che ha ricevuto quantità di spettro multiple rispetto a quelle degli altri Paesi europei e a prezzi molto bassi. Anche per questo Sky ha avviato da qualche anno un percorso di cambiamento che ha portato ad affiancare al modello di tv satellitare a pagamento, nuovi modi per crescere nel mercato televisivo. Insomma la miglior difesa è l'attacco con l'obiettivo di contrastare il dominio delle generaliste: senza dimenticare che i canali in chiaro possono servire come finestre per la televisione a pagamento. In questo senso la strategia di Discovery è evidente: dopo il debutto nel 1997 con un'offerta in esclusiva su Tele , nel 2010 il gruppo ha iniziato a investire sul free to air, prima con Real Time - ottavo canale nazionale per share - poi con Dmax (uno dei più seguiti tra il pubblico maschile). I risultati sono evidenti: i 14 canali garantiscono uno share medio del 6,4% facendo di Discovery il terzo editore italiano. Sulla stessa lunghezza d'onda si muove Viacom che ha scelto di presidiare anche l'ambito in chiaro con l'obiettivo di costruire un portafoglio di prodotti ampio e diversificato per soddisfare i bisogni degli spettatori che non si riconoscono nell'offerta attuale. Si punta quindi sulla tv in chiaro nella speranza di recuperare reddittività che a livello di pay tv in Italia è tra le peggiori in Europa. Colpa anche della concorrenza a suon di sconti e offerte promozionah - in particolare tra Sky e Mediaset - che taglia i margini di guadagno senza far aumentare gli abbonati. La scelta di andare in chiaro convince gli addetti ai lavori e d'altra parte le rilevazioni dello studio Frasi sul consumo televisivo degli abbonati Sky e Mediaset mostrano come le serie tv e gli eventi più importanti siano seguiti free to air anche dal pubblico delle tv a pagamento. «Il paradigma è cambiato: i grandi eventi sono le serie che da un lato garantiscono la fedeltà dell'abbonato, dall'altro fanno tendenza. Lo sport serve sempre, ma in aggiunta», dice Siliato. «In termini di ritorno per un editore hanno più valore cinque buone serie che l'intera Olimpiade». C'è poi un'altra questione: per passare dalla tv in chiaro alla pay servono importanti - e costose - offerte di prime visioni con il rischio di drenare risorse senza garantire ritorni immediati, mentre il passaggio inverso è più facile perché gli asset di pregio già esistono. La difficoltà è piuttosto quella di calibrare l'offerta a pagamento con quella in chiaro. «Di certo non porteremo in free i capisaldi della pay», dicono a Sky. «I nostri abbonati continueranno ad avere i contenuti di pregio molto prima, in alta definizione e senza interruzioni». Sui canali del digitale terrestre arriveranno contenuti pensati per garantire la crescita del fatturato pubblicitario, senza dimenticare che una finestra in chiaro permette di gestire più facilmente quei diritti sportivi che richiedono una esposizione anche fuori dalla Pay, come nel caso della MotoGp o delle Olimpiadi. L'obiettivo di fondo è aumentare la raccolta pubblicitaria sommando a quella profilata - che fa concorrenza al web - delle tv quella pagamento, quella delle reti in chiaro. Chiudendo all'angolo tutti quanti non riescano a stare al passo.

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