
ANTEPRIMA BOLLETTINO - Giù la maschera, Auditel-Belfagor!
Tra i momenti più indimenticabili del sesto
Telefilm Festival spiccano le dichiarazioni di
Giorgio Gori durante la prima tavola del
Workshop, dedicata alla programmazione e alla produzione delle serie tv. I telefilm, secondo l'Amministratore Delegato di
Magnolia, non sono poi questo gran successo in Italia, mentre all'estero prodotti come "
CSI" e "
Grey's Anatomy" sono cult anche per gli ascolti, oltre che per i critici. La provocazione intelligente di Gori non può cadere nel vuoto e merita una riflessione. E' davvero così? E' assolutamente vero che i telefilm, oltre confine, siano ai vertici degli ascolti (così in Francia, Inghilterra, Germania e Spagna), ma in Italia la situazione non è poi così catastrofica come si dipinge. Il vero punto focale, per alcuni una spina nel fianco intoccabile, è uno solo:
l'Auditel. Quest'ultimo, come si sa, ha chiamato a raccolta poco più di 5000 famiglie-campione sulla scorta dei dati
ISTAT che ci descrivono come
il Paese più vecchio tra gli Stati con più di 10 milioni di abitanti, contando il
25% di popolazione oltre i 60 anni (dei Paesi sopra citati, l'unica che si avvicina a noi è la
Germania: 24% oltre i 60 anni; la
Francia è "solo" decima, con il 20.5% di over 60). E le previsioni non sono rosee, visto che
nel 2025 gli oltre sessantenni saranno in Italia il 34% (saremo secondi soli al Giappone). Di più: secondo gli addetti ai livori
l'Auditel non rappresenterebbe efficacemente i reali gusti del Bel Paese spettatore. Si pensi solo al fatto che
chi ha la scatoletta dell'Auditel in casa debba avere per forza il telefono fisso per connetterla, lasciando fuori dal panel una gran fetta di pubblico (perlopiù giovane) che ormai vive solo col cellulare. Ancor di più, pochi sanno (e pochi l'hanno mai pubblicata, a dire il vero!) come sia effettivamente sbilanciata la rappresentazione del pubblico televisivo secondo l'Auditel: già solo gli individui
oltre i 55 anni sono rappresentati al
32.7% (
12.5% nella fascia
55-64 anni,
20.2% quelli
oltre i 65 anni); a scendere anagraficamente, la fascia
45-54 anni è presente al
13.7%, i
35-44 anni al
16.7%, i
25-34 anni sono al
15.2%, i
20-24 anni al
5.7%, i
15-19 anni al
5.1%, gli
8-14 anni al
6.9%, i
4-7 anni al
3.8%. Appare perciò evidentissimo che i telefilm, genere prediletto dal pubblico giovane, risentano di un profilo a dir poco penalizzante (
la fascia dai 15 ai 24 anni - sommando i 15-19 e i 20-24 anni - non raggiunge quella dei 55-64 anni!). Insomma, se il campione Auditel è formato da anziani e "bamboccioni" - e in un'Italia dove si rendono pubblici i redditi su Internet, stride alquanto che non si possa conoscere l'identità e la composizione specifica del campione Auditel... - si spiegherebbe perchè gli ascolti premino programmi come "
Domenica In" e "
Ho sposato uno sbirro", mentre "
Lost" non riesca a raggiungere il 10% di share o "
Desperate Housewives" non raccolga quanto meriterebbe. Un fatto di per sè inconcepibile, se pensiamo che
l'Auditel era nato il 3 luglio 1984 con la finalità ultima della "rilevazione oggettiva e imparziale degli indici di ascolto, a fine pubblicitario, delle trasmissioni televisive". Proprio per questo, e soprattutto per venire incontro agli inserzionisti pubblicitari, vista la sua natura commerciale, Mediaset, dal 3 aprile 2006, accanto al totale degli individui ha iniziato a comunicare lo share del cosiddetto
pubblico "attivo" (quello nella fascia d'età tra i 15 e i 64 anni, quello che più interessa ai pubblicitari). E così si scopre che le ultime puntate di "
Dr. House", senza considerare la contro-programmazione, lo zig-zag nei palinsesti e la filologia-killer, non siano state affatto un flop su Canale 5 come qualche affrettato giornalista ha scritto: il 18% di share sul pubblico totale, ma
il 22% nel pubblico attivo, in perfetta media di rete. Una strategia di rilevamento che all'estero è già avviata e condivisa (si pensi alla madrepatria dei telefilm,
l'America, dove accanto al totale degli individui si pubblica lo share di una fascia ancora più stretta, quella
dai 18 ai 49 anni; o alla
Germania, dove le reti commerciali sono rilevate con
lo share dai 14 ai 49 anni). In Italia la "mossa" di Mediaset è stata letta come un arrocco strumentale per privilegiare il pubblico giovane, a fronte di quello Rai che per tradizione è più...sedentario. Si aggiunga che l'Ansa, la principale agenzia di stampa nazionale, ha scelto di ignorare la diffusione del cosiddetto "target commerciale", continuando a pubblicare lo share totale, e così a ruota tutti i giornali. Verrebbe da pensare che se in Italia non si produce fiction degna di quella americana, un pò è colpa anche della stampa, sempre più pronta a etichettare come
flop un titolo che perde solo 2 punti di share (vedi "
Dr. House"), innescando una sorta di
filiera castrante (produttori, direttori di rete, registi di grido, sceneggiatori, attori...) verso telefilm che volessero mai allontanarsi dall'immagine del caro vecchio foto-romanzo e del caro vecchio presepe. In realtà, al di fuori delle logiche di convenienza e di concorrenza, uscendo dalle opportunità pubblicitarie,
la pubblicazione del "target commerciale" era e sarebbe un'opportunità imperdibile per premiare titoli e programmi innovativi, intelligenti, stimolanti. E se le fonti "ufficiali" nicchiano, si potrebbe iniziare dai siti internet, dai portali telefilmici e dai blog, a dare i...numeri (quelli "veri", quelli del pubblico più dinamico). Pensiamo solo al fatto che ancora oggi
programmi che vincono in percentuale nella sola fascia oltre i 54 anni (perdendo in tutte le altre più "giovani") riescono ad aggiudicarsi gli ascolti totali di prime e seconde serate, tanto per dire come l'Auditel attuale sia favorevole nei confronti di un pubblico tradizionalista e anziano.
Una sorta di "bolla" (un
rover degno de "
Il Prigioniero") che ci fa arrabbiare (da telespettatori) per i cambi o le sospensioni di palinsesto, che fa decidere (i programmatori) sulle collocazioni e sulle strategie di trasmissione, che spinge (i produttori e gli sceneggiatori) a mettere in scena storie monodimensionali, che fa scrivere (taluni giornalisti e taluni critici) articoli inneggianti o stroncanti. Riusciremo mai a scoprire chi sia il fatidico "Numero 1"? Chi siano i
Belfagor che compongono l'Auditel, soprannominato non a caso "la Casa di vetro" (si legga a tal proposito il saggio "
La favola dell'Auditel" di
Roberta Gisotti, Editori Riuniti)? A scoprire i confini di un'isola degna di "
Lost" e de "
Il Prigioniero"? Più passa il tempo e più appare che la nostra salvezza (di telespettatori "attivi") dipenda da quella risposta...(Articolo di
Leo Damerini pubblicato sul "
Telefilm Magazine" di Giugno)