martedì 3 giugno 2008

ANTEPRIMA BOLLETTINO - Giù la maschera, Auditel-Belfagor!
Tra i momenti più indimenticabili del sesto Telefilm Festival spiccano le dichiarazioni di Giorgio Gori durante la prima tavola del Workshop, dedicata alla programmazione e alla produzione delle serie tv. I telefilm, secondo l'Amministratore Delegato di Magnolia, non sono poi questo gran successo in Italia, mentre all'estero prodotti come "CSI" e "Grey's Anatomy" sono cult anche per gli ascolti, oltre che per i critici. La provocazione intelligente di Gori non può cadere nel vuoto e merita una riflessione. E' davvero così? E' assolutamente vero che i telefilm, oltre confine, siano ai vertici degli ascolti (così in Francia, Inghilterra, Germania e Spagna), ma in Italia la situazione non è poi così catastrofica come si dipinge. Il vero punto focale, per alcuni una spina nel fianco intoccabile, è uno solo: l'Auditel. Quest'ultimo, come si sa, ha chiamato a raccolta poco più di 5000 famiglie-campione sulla scorta dei dati ISTAT che ci descrivono come il Paese più vecchio tra gli Stati con più di 10 milioni di abitanti, contando il 25% di popolazione oltre i 60 anni (dei Paesi sopra citati, l'unica che si avvicina a noi è la Germania: 24% oltre i 60 anni; la Francia è "solo" decima, con il 20.5% di over 60). E le previsioni non sono rosee, visto che nel 2025 gli oltre sessantenni saranno in Italia il 34% (saremo secondi soli al Giappone). Di più: secondo gli addetti ai livori l'Auditel non rappresenterebbe efficacemente i reali gusti del Bel Paese spettatore. Si pensi solo al fatto che chi ha la scatoletta dell'Auditel in casa debba avere per forza il telefono fisso per connetterla, lasciando fuori dal panel una gran fetta di pubblico (perlopiù giovane) che ormai vive solo col cellulare. Ancor di più, pochi sanno (e pochi l'hanno mai pubblicata, a dire il vero!) come sia effettivamente sbilanciata la rappresentazione del pubblico televisivo secondo l'Auditel: già solo gli individui oltre i 55 anni sono rappresentati al 32.7% (12.5% nella fascia 55-64 anni, 20.2% quelli oltre i 65 anni); a scendere anagraficamente, la fascia 45-54 anni è presente al 13.7%, i 35-44 anni al 16.7%, i 25-34 anni sono al 15.2%, i 20-24 anni al 5.7%, i 15-19 anni al 5.1%, gli 8-14 anni al 6.9%, i 4-7 anni al 3.8%. Appare perciò evidentissimo che i telefilm, genere prediletto dal pubblico giovane, risentano di un profilo a dir poco penalizzante (la fascia dai 15 ai 24 anni - sommando i 15-19 e i 20-24 anni - non raggiunge quella dei 55-64 anni!). Insomma, se il campione Auditel è formato da anziani e "bamboccioni" - e in un'Italia dove si rendono pubblici i redditi su Internet, stride alquanto che non si possa conoscere l'identità e la composizione specifica del campione Auditel... - si spiegherebbe perchè gli ascolti premino programmi come "Domenica In" e "Ho sposato uno sbirro", mentre "Lost" non riesca a raggiungere il 10% di share o "Desperate Housewives" non raccolga quanto meriterebbe. Un fatto di per sè inconcepibile, se pensiamo che l'Auditel era nato il 3 luglio 1984 con la finalità ultima della "rilevazione oggettiva e imparziale degli indici di ascolto, a fine pubblicitario, delle trasmissioni televisive". Proprio per questo, e soprattutto per venire incontro agli inserzionisti pubblicitari, vista la sua natura commerciale, Mediaset, dal 3 aprile 2006, accanto al totale degli individui ha iniziato a comunicare lo share del cosiddetto pubblico "attivo" (quello nella fascia d'età tra i 15 e i 64 anni, quello che più interessa ai pubblicitari). E così si scopre che le ultime puntate di "Dr. House", senza considerare la contro-programmazione, lo zig-zag nei palinsesti e la filologia-killer, non siano state affatto un flop su Canale 5 come qualche affrettato giornalista ha scritto: il 18% di share sul pubblico totale, ma il 22% nel pubblico attivo, in perfetta media di rete. Una strategia di rilevamento che all'estero è già avviata e condivisa (si pensi alla madrepatria dei telefilm, l'America, dove accanto al totale degli individui si pubblica lo share di una fascia ancora più stretta, quella dai 18 ai 49 anni; o alla Germania, dove le reti commerciali sono rilevate con lo share dai 14 ai 49 anni). In Italia la "mossa" di Mediaset è stata letta come un arrocco strumentale per privilegiare il pubblico giovane, a fronte di quello Rai che per tradizione è più...sedentario. Si aggiunga che l'Ansa, la principale agenzia di stampa nazionale, ha scelto di ignorare la diffusione del cosiddetto "target commerciale", continuando a pubblicare lo share totale, e così a ruota tutti i giornali. Verrebbe da pensare che se in Italia non si produce fiction degna di quella americana, un pò è colpa anche della stampa, sempre più pronta a etichettare come flop un titolo che perde solo 2 punti di share (vedi "Dr. House"), innescando una sorta di filiera castrante (produttori, direttori di rete, registi di grido, sceneggiatori, attori...) verso telefilm che volessero mai allontanarsi dall'immagine del caro vecchio foto-romanzo e del caro vecchio presepe. In realtà, al di fuori delle logiche di convenienza e di concorrenza, uscendo dalle opportunità pubblicitarie, la pubblicazione del "target commerciale" era e sarebbe un'opportunità imperdibile per premiare titoli e programmi innovativi, intelligenti, stimolanti. E se le fonti "ufficiali" nicchiano, si potrebbe iniziare dai siti internet, dai portali telefilmici e dai blog, a dare i...numeri (quelli "veri", quelli del pubblico più dinamico). Pensiamo solo al fatto che ancora oggi programmi che vincono in percentuale nella sola fascia oltre i 54 anni (perdendo in tutte le altre più "giovani") riescono ad aggiudicarsi gli ascolti totali di prime e seconde serate, tanto per dire come l'Auditel attuale sia favorevole nei confronti di un pubblico tradizionalista e anziano. Una sorta di "bolla" (un rover degno de "Il Prigioniero") che ci fa arrabbiare (da telespettatori) per i cambi o le sospensioni di palinsesto, che fa decidere (i programmatori) sulle collocazioni e sulle strategie di trasmissione, che spinge (i produttori e gli sceneggiatori) a mettere in scena storie monodimensionali, che fa scrivere (taluni giornalisti e taluni critici) articoli inneggianti o stroncanti. Riusciremo mai a scoprire chi sia il fatidico "Numero 1"? Chi siano i Belfagor che compongono l'Auditel, soprannominato non a caso "la Casa di vetro" (si legga a tal proposito il saggio "La favola dell'Auditel" di Roberta Gisotti, Editori Riuniti)? A scoprire i confini di un'isola degna di "Lost" e de "Il Prigioniero"? Più passa il tempo e più appare che la nostra salvezza (di telespettatori "attivi") dipenda da quella risposta...(Articolo di Leo Damerini pubblicato sul "Telefilm Magazine" di Giugno)

17 commenti:

Anonimo ha detto...

molto interessante, ho sempre creduto che l'Auditel fosse una favola...

Anonimo ha detto...

Mi piace la definizione di "addetti ai livori".
Era voluta?

Leo Damerini ha detto...

YES

Anonimo ha detto...

Non per niente Auditel è stato dichiarato "non rappresentativo" dal Tribunale di Milano

Anonimo ha detto...

è sconvolgente che l'Auditel sia frazionato così...ci credo che vincono sempre i programmi indecenti e LOST o DESPERATE vengano penalizzati...Del resto se Pippo Baudo è ancora lì, un motivo c'è!

Anonimo ha detto...

NON E' UN PAESE PER GIOVANI

Anonimo ha detto...

Le fasce auditel sono perfettamente allineate a quelle della popolazione italiana, e quindi perfette.
Il target commerciale serve SOLO ai pubblicitari, che lo usino pure: ma la stima degli ascolti non la si fa con utilizzando tutte le età

Anonimo ha detto...

Paghiamo il canone e non veniamo neanche rappresentati in maniera adeguata ..

Anonimo ha detto...

vorrebbe un’iniziativa privata che si occupi di creare un’alternativa all’auditel in modo da poter avere un quadro della situazione ancora più completo e non limitato a 5000 (e ripeto cinquemila) famiglie che “decidono” di cosa è fatta la tv.

è scandaloso.

Anonimo ha detto...

Numeri che dimostrano quanto l’Italia sia arretrata.
Non ha senso importare format esteri, tf di successo ammodernarsi quando le basi poi rimangono iper vetuste.
Ci credo che da noi le novità arrivano o col contagocce o con anni di differita, a chi investe nel nostro paese passa la voglia di farlo se nel vassoio gli porgiamo ( prevalentemente) un target che sarebbe contento di vedere la Signora in Giallo e Colombo tutto il giono.

Anonimo ha detto...

Anche secondo me bisognerebbe tener conto solo del target commerciale xkè quelli che non ne fanno parte contano ben poco per la pubblicità.

Ma una persona ne rappresenta 300 per l’Auditel?

Anonimo ha detto...

Bell'articolo. Che cita una sola delle molte storture della bufala Auditel.
Esempi di categorie di spettatori che non sono per nulla rappresentati:
- chi guarda poca o nessuna Tv (lo share è gonfiato)
- chi non riceve la Tv terrestre, solo il satellite
- chi abita in luoghi isolati
- Chiunque non ha un tefono fisso tradizionale (esclusi cellulare, fibra ottica, satellite o IP)
- chiunque vive in qualche comunità
(alberghi, ristoranti, campeggi, ospedali, carceri, scuole, navi)
- chi è in vacanza
- chi lavora viaggiando
- chi guarda la Tv durante turni di attesa (pompieri, poliziotti, infermieri, medici, guardiani notturni)
- chi guarda i programmi registrati

Ovviamente sono esclusi anche i milioni di immigrati / Rom, ma questo mi pare più che giusto.

Anonimo ha detto...

Secondo me è giusto, normale e logico che se l’Italia è una nazione ricca di anziani ed essi sono quelli con la percentuale maggiore, il campione auditel rispecchi questo e che, quindi, esso sia proporzionato al numero di abitanti per ogni target. Statica questa.

Io credo sia importante dare più peso agli ascolti totali e non dividerli in base ai target più giovanili. La conseguenza sarebbe solo quella che si avrebbero solo telespettatori di serie A e telespettatori di serie B.
Gli anziani guardano di più la tv e sono maggiormente presenti nella nostra Italia?
Allora accontentiamoli.

Anonimo ha detto...

Secondo me, è vero che la tele generalista la guardano gli anziani, i giovani son più frammentati e non
credo che, auditel a parte, “desperate housewives” possa mai avere un pubblico maggiore di “mogli a pezzi”, ad esempio, che, per quanto mediocre, rappresenta una realtà familiare con attrici familiari inseriti nel circuito televisivo e del gossip.
In altre parole, da noi vige la regola della provincia, secondo cui è il divo a essere seguito e non il prodotto.
L’italiano che segue la tv generalista preferirebbe una fiction scadente con la Antonella Clerici, anzichè una di qualità con attori sconosciuti.
La massa di anzianotti che dipendono di più dalla tv, adora il circuito in cui il personaggio parte da maria de filippi, passa alla fiction, poi torna dalla de filippi, fa un’intervista doppia alle iene, gli fanno uno scherzo a scherzi a parte e in fine dopo ore ed ore alla vita in diretta, arriva a fare il padrino del festival, qualunque esso sia.
E’ questa la tv italiana, quelli che cercano un altro tipo di prodott, che cercano storie veramente ben fatte, o sono un’esigua minoranza, che già si nutre di sky, internet e dvd.
Cambiare l’auditel è già difficile, cambiare questo sistema è virtualmente impossibile almeno finchè non ci sarà un reale cambio generazionale.

Anonimo ha detto...

io l’auditel lo adolirei…
solo così la tv sarà libera di presentare trasmissioni di qualità. Ormai siamo schiavi dei numeri dell’auditel e della controprogrammazione che stravolge le serate…. e rende la tv generalista isterica.

Anonimo ha detto...

L'AUDITEL è UNA BUFALA...

Anonimo ha detto...

Credo che l'auditel rispecchi più o meno i gusti degli italiani. Ci sono più anziani che guardano la TV che giovani, è un dato di fatto, e quindi è normale che una oscenità come Buona Domenica sia più vista di una serie come Lost. Ma c'è un'altra questione. TUTTE le serie TV che arrivano dall'estero vanno prima in onda su canali a pagamento. Pochi giovani possono (o vogliono) permettersi sistemi di intrattenimento come questi e quindi si arrangiano con altri mezzi (es. internet) sfuggendo così dai normali mezzi di rilevazione dell'auditel. Basti pensare a Lost o Desperate H. il 90% delle persone che conosco hanno visto queste due serie TV prima che venissero trasmesse in chiaro e solo il 2/3% di loro ha SKY. Come ve lo spiegate? ;-)

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