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venerdì 29 novembre 2019
mercoledì 23 ottobre 2019
NEWS - "Euphoria" mica troppo! Fa discutere la serie con Zendaya in onda su Sky: "Avvenire" si chiede se gli adolescenti di oggi siano davvero così, secondo l'Aiart il serial "crea pessimismo con situazioni umanamente abbiette"
Articolo tratto da "Avvenire"
Squilla un telefono. E un adolescente che ha appena guardato una serie tv di quelle considerate a rischio emulazione per i comportamenti potenzialmente distruttivi o autodistruttivi. Risponde un addetto del personale di segreteria che accoglie la telefonata, recupera le generalità, il luogo di residenza, e provvede a indirizzare l'adolescente, rimandandolo a degli psicologi professionisti, pubblici o privati, di prossimità. La serie tv per cui è stato attivato questo servizio è Euphoria, serie televisiva statunitense creata da Sam Levinson per il network Hbo, in Italia in onda su Sky Atlantic e Now Tv. La serie, prodotta dal rapper Drake e interpretata da Zendaya (prima stagione composta da otto episodi), si basa su un'omonima miniserie israeliana, ideata da Ron Leshem, Daphna Levin e Tmira Yardeni, e presenta uno spaccato della vita di un gruppo di adolescenti tra abuso di droghe, eccessi, violenza, e relazioni complicate della cosiddetta Generazione Z, ovvero i post millennial, cioè quella generazione che approssimativamente comprende i nati tra il 1995 e il 2010; la protagonista, Rue Bennett, è infatti nata a ridosso degli attentati dell' 11 settembre 2001. II servizio (mail e linea telefonica dedicata), proprio com'era avvenuto negli Stati Uniti con Hbo, è stato voluto da Sky, che ha deciso di «accompagnare la messa in onda di Euphoria con un'attività di sensibilizzazione e supporto per chi vive situazioni di disagio e di dipendenza, perché la rilevanza di queste storie vada oltre la tv e consenta a ciascuno di prendere consapevolezza e aiutare anche chi non sta guardando». II Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi ha concesso il proprio patrocinio per la serie, mettendo a disposizione un servizio di informazione e supporto di professionisti competenti, a titolo gratuito, fornito da Form-Aupi (Associazione Unitaria Psicologi Italiani - Società Scientifica): «La maggior parte delle richieste di supporto - ha spiegato Mario Sellini, presidente dell'associazione è arrivatatramite contatto mail, da parte di ragazzi e ragarip dai 17 anni in su. Inoltre devo dire mi sarei aspettato più richieste da parte dei genitori, invece sono stati principalmente i ragazzi a cercare un contatto per parlare delle loro problematiche e ricevere un aiuto». Riguardo a quelle che sono state le principali richieste di supporto, Sellini riporta un riscontro inaspettato: «Non abbiamo ancora dei numeri precisi, anche perché il servizio è tuttora attivo, ma ci sono state richieste principalmente di due tipologie: uso di stupefacenti - ma a differenza della serie non su droghe sintetiche e psicofarmaci - oppure problematiche di ordine sessuale, ed in particolare legate a questioni relative l'identità di genere, e il conseguente rapporto con i genitori per affrontare l'argomento; devo dire che questo è l'aspetto che ci preoccupa di più come professionisti, perché se una tossicodipendenza può essere inserita in un percorso di crescita complesso che va alla ricerca di un'esplorazione dei propri limiti, mentre le problematiche legate alla sessualità, invece, implicano più facilmente un non riconoscimento del problema, poiché non invalidanti. Per cui l'educazione alla sessualità viene percepita in modo distorto, anche per via della pornografia». Euphoria, com'era già avvenuto ad aprile 2018 per un altro teen drama, Tredici, ha ricevuto critiche da parte del Parents Television Council per la promozione di contenuti espliciti ad un pubblico adolescente. A tal proposito bisogna anche ricordare che recentemente Netfiix ha deciso di rimuovere la scena del suicidio dalla prima stagione, su indicazione di esperti medici dell'American for Suicide Prevention. Euphoria e Tredici, non sono comunque le uniche due serie tv ad affrontare queste e altre tematiche del mondo degli adolescenti, attraverso scene più o meno esplicite: le serie tv britanniche Sex education e The end of the f *** ing world, ne sono un esempio, ma anche l'italiana Baby, ispirata allo scandalo delle giovani squillo dei Parioli, e almeno un paio di passaggi su alcool e droga della serie spagnola Elite. Un'altra serie tv che tratta il tema della droga, poi, è la tedesca Come vendere droga online (in fretta). Su Euphoria è intervenuta anche l'Aiart, ovvero l'Associazione italiana cittadini mediali, che ha segnalato i contenuti agli organi di vigilanza e ha chiesto di aprire un tavolo di confronto con Sky e con tutte le emittenti che mandano in onda serie problematiche rivolte a un pubblico giovane, per riflettere su una responsabilità condivisa nella comunicazione: «E un processo - interviene con una nota Giovanni Baggio, presidente nazionale Aiart - che incoraggia l'emulazione di comportamenti a rischio e autodistruttivi. L'Agcom approva? Noi fatichiamo ad accettare una narrazione che mette in scena contenuti a tal punto estremi da indurre la stessa emittente ad aprire una linea di supporto psicologico attiva nei giorni in cui vanno in onda le puntate. Sky - prosegue Baggio - dichiara di voler incoraggiare una discussione e sensibilizzare il pubblico su questi problemi, ma l'Aiart è convinta che proporre immagini crude e contenuti espliciti come quelli che la serie presenta, spenga sul nascere qualsiasi discussione e sia in grado di creare non già una conoscenza critica di fenomeni degenerativi, come si asserisce, ma soltanto un senso di pessimismo, sconfitta e rassegnazione a situazioni umanamente abiette. E discutibile che le aziende radiotelevisive pur di far cassa ospitino contenuti di qualunque tipo, giustificandoli, ma i motivi di questo degrado televisivo restano essenzialmente tre: una regolamentazione inefficace, la potenza del web e il conseguente accesso 24 ore su 24 da parte di chiunque e a qualunque contenuto, e infine il silenzio degli organi di vigilanza». Resta infine da capire se davvero lo spaccato raccontato in queste serie tv sia rappresentativo del vero mondo degli adolescenti: «In verità - conclude Sellini - non tutti gli adolescenti vivono le problematiche raccontate. Quello che vediamo è solo una parte», e in parte risponde alla domanda che si pone Sam Levinson, il creatore di Euphoria, sul sito dedicato alle richieste di aiuto e supporto: «Come ci si orienta in un mondo che cambia ogni giorno?».
Articolo tratto da "Avvenire"
Squilla un telefono. E un adolescente che ha appena guardato una serie tv di quelle considerate a rischio emulazione per i comportamenti potenzialmente distruttivi o autodistruttivi. Risponde un addetto del personale di segreteria che accoglie la telefonata, recupera le generalità, il luogo di residenza, e provvede a indirizzare l'adolescente, rimandandolo a degli psicologi professionisti, pubblici o privati, di prossimità. La serie tv per cui è stato attivato questo servizio è Euphoria, serie televisiva statunitense creata da Sam Levinson per il network Hbo, in Italia in onda su Sky Atlantic e Now Tv. La serie, prodotta dal rapper Drake e interpretata da Zendaya (prima stagione composta da otto episodi), si basa su un'omonima miniserie israeliana, ideata da Ron Leshem, Daphna Levin e Tmira Yardeni, e presenta uno spaccato della vita di un gruppo di adolescenti tra abuso di droghe, eccessi, violenza, e relazioni complicate della cosiddetta Generazione Z, ovvero i post millennial, cioè quella generazione che approssimativamente comprende i nati tra il 1995 e il 2010; la protagonista, Rue Bennett, è infatti nata a ridosso degli attentati dell' 11 settembre 2001. II servizio (mail e linea telefonica dedicata), proprio com'era avvenuto negli Stati Uniti con Hbo, è stato voluto da Sky, che ha deciso di «accompagnare la messa in onda di Euphoria con un'attività di sensibilizzazione e supporto per chi vive situazioni di disagio e di dipendenza, perché la rilevanza di queste storie vada oltre la tv e consenta a ciascuno di prendere consapevolezza e aiutare anche chi non sta guardando». II Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi ha concesso il proprio patrocinio per la serie, mettendo a disposizione un servizio di informazione e supporto di professionisti competenti, a titolo gratuito, fornito da Form-Aupi (Associazione Unitaria Psicologi Italiani - Società Scientifica): «La maggior parte delle richieste di supporto - ha spiegato Mario Sellini, presidente dell'associazione è arrivatatramite contatto mail, da parte di ragazzi e ragarip dai 17 anni in su. Inoltre devo dire mi sarei aspettato più richieste da parte dei genitori, invece sono stati principalmente i ragazzi a cercare un contatto per parlare delle loro problematiche e ricevere un aiuto». Riguardo a quelle che sono state le principali richieste di supporto, Sellini riporta un riscontro inaspettato: «Non abbiamo ancora dei numeri precisi, anche perché il servizio è tuttora attivo, ma ci sono state richieste principalmente di due tipologie: uso di stupefacenti - ma a differenza della serie non su droghe sintetiche e psicofarmaci - oppure problematiche di ordine sessuale, ed in particolare legate a questioni relative l'identità di genere, e il conseguente rapporto con i genitori per affrontare l'argomento; devo dire che questo è l'aspetto che ci preoccupa di più come professionisti, perché se una tossicodipendenza può essere inserita in un percorso di crescita complesso che va alla ricerca di un'esplorazione dei propri limiti, mentre le problematiche legate alla sessualità, invece, implicano più facilmente un non riconoscimento del problema, poiché non invalidanti. Per cui l'educazione alla sessualità viene percepita in modo distorto, anche per via della pornografia». Euphoria, com'era già avvenuto ad aprile 2018 per un altro teen drama, Tredici, ha ricevuto critiche da parte del Parents Television Council per la promozione di contenuti espliciti ad un pubblico adolescente. A tal proposito bisogna anche ricordare che recentemente Netfiix ha deciso di rimuovere la scena del suicidio dalla prima stagione, su indicazione di esperti medici dell'American for Suicide Prevention. Euphoria e Tredici, non sono comunque le uniche due serie tv ad affrontare queste e altre tematiche del mondo degli adolescenti, attraverso scene più o meno esplicite: le serie tv britanniche Sex education e The end of the f *** ing world, ne sono un esempio, ma anche l'italiana Baby, ispirata allo scandalo delle giovani squillo dei Parioli, e almeno un paio di passaggi su alcool e droga della serie spagnola Elite. Un'altra serie tv che tratta il tema della droga, poi, è la tedesca Come vendere droga online (in fretta). Su Euphoria è intervenuta anche l'Aiart, ovvero l'Associazione italiana cittadini mediali, che ha segnalato i contenuti agli organi di vigilanza e ha chiesto di aprire un tavolo di confronto con Sky e con tutte le emittenti che mandano in onda serie problematiche rivolte a un pubblico giovane, per riflettere su una responsabilità condivisa nella comunicazione: «E un processo - interviene con una nota Giovanni Baggio, presidente nazionale Aiart - che incoraggia l'emulazione di comportamenti a rischio e autodistruttivi. L'Agcom approva? Noi fatichiamo ad accettare una narrazione che mette in scena contenuti a tal punto estremi da indurre la stessa emittente ad aprire una linea di supporto psicologico attiva nei giorni in cui vanno in onda le puntate. Sky - prosegue Baggio - dichiara di voler incoraggiare una discussione e sensibilizzare il pubblico su questi problemi, ma l'Aiart è convinta che proporre immagini crude e contenuti espliciti come quelli che la serie presenta, spenga sul nascere qualsiasi discussione e sia in grado di creare non già una conoscenza critica di fenomeni degenerativi, come si asserisce, ma soltanto un senso di pessimismo, sconfitta e rassegnazione a situazioni umanamente abiette. E discutibile che le aziende radiotelevisive pur di far cassa ospitino contenuti di qualunque tipo, giustificandoli, ma i motivi di questo degrado televisivo restano essenzialmente tre: una regolamentazione inefficace, la potenza del web e il conseguente accesso 24 ore su 24 da parte di chiunque e a qualunque contenuto, e infine il silenzio degli organi di vigilanza». Resta infine da capire se davvero lo spaccato raccontato in queste serie tv sia rappresentativo del vero mondo degli adolescenti: «In verità - conclude Sellini - non tutti gli adolescenti vivono le problematiche raccontate. Quello che vediamo è solo una parte», e in parte risponde alla domanda che si pone Sam Levinson, il creatore di Euphoria, sul sito dedicato alle richieste di aiuto e supporto: «Come ci si orienta in un mondo che cambia ogni giorno?».
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mercoledì 11 settembre 2019
lunedì 12 agosto 2019
mercoledì 31 luglio 2019
mercoledì 19 giugno 2019
martedì 16 aprile 2019
NEWS - Netflix, missione Italia! La società americana investe 200 milioni di euro per i prossimi 3 anni in produzioni made in Italy (ma Moccia anche no, dai...). Al momento però solo la soprannaturale "Curon" è originale e non "tratta da"
News tratta da "Italia Oggi"
Duecento milioni di euro per le produzioni italiane nei prossimi tre anni: è l'investimento deciso da Netflix, il gigante del video streaming on demand, che in questo modo moltiplicherà i contenuti made in Italy e destinati anche al resto del mondo grazie alla propria piattaforma. La società guidata da Reed Hastings ha iniziato a produrre in Italia nel 2015, con Suburra, serie originale realizzata insieme con Cattleya e Rai Fiction di cui è stata annunciata la terza stagione, poi si sono succedute altre produzioni e diverse sono in lavorazione attualmente. Lo scorso anno, ha fatto sapere Netfiix, quasi 50 mila persone, contando cast e altro personale, hanno lavorato su produzioni originali e co-produzioni Netflix in Europa, e di queste circa 9 mila in Italia. «La comunità creativa italiana è molto ammirata in tutto il mondo per la qualità delle sue storie e per le sue capacità produttive», ha commentato Kelly Luegenbiehl, vice president of International Originals per Europa, Medio Oriente ed Africa. «E stato emozionante vedere show italiani e realizzati in Italia come Suburra - La Serie e Baby e film come Sulla mia pelle, raggiungere una platea globale. Questo investimento ci consentirà di realizzare un numero maggiore di produzioni qui in Italia, che ci auguriamo il pubblico globale apprezzerà, e ci consentirà anche di supportare in modo più ampio la comunità creativa italiana». Oltre alle produzioni, infatti, dovrebbero esserci altre iniziative che saranno dettagliate in seguito dal momento che Netflix è già in contatto con le associazioni del settore. Per Francesco Rutelli, presidente dell'Anice., «investimenti duraturi e in partnership con produttori originari italiani, sia per film che serie tv, porteranno effetti positivi nel nostro paese», mentre Giancarlo Leone, presidente dell'Apa (Associazione produttori audiovisivi), ha parlato di un annuncio «di grande importanza per l'intero settore dell'audiovisivo italiano». «Siamo certi», ha aggiunto Leone, «che i rafforzati rapporti tra i produttori indipendenti nazionali e Netflix contribuiranno ad una presenza sempre più significativa del servizio in Italia e ad una vetrina di successo internazionale per le produzioni italiane nel mondo, oltre che ad una ulteriore crescita dell'intera filiera creativa nel mercato globale». La notizia dell'investimento arriva poche ore prima del rilascio dei dati del primo trimestre, che dovrebbero vedere gli abbonati a livello globale arrivare a quota 150 milioni. Le stime della società parlavano di ulteriori 9 milioni di abbonati paganti attesi nei tre mesi, oltre a 8 milioni nel primo mese di test gratuito. La maggior parte dei nuovi abbonati, 1'80% circa, arriva dai mercati internazionali dove Netflix sta appunto investendo parecchio in termini di contenuti. Fra le ultime serie, per esempio, ci sono produzioni turche, polacche e del bacino mediorientale, per non parlare dell'hub produttivo aperto in Spagna. L'investimento in contenuti originali europei è stato di 1 miliardo di dollari lo scorso anno. Fra i progetti già annunciati o in lavorazione per quest'anno in Italia ci sono Luna Nera (Fandango), Curon (Indiana Productions); l'adattamento di Tre metri sopra il cielo di Moccia (Cattleya) e quello di Winx Club, oltre all'acquisizione dei diritti audiovisivi del libro Fedeltà di Marco Missiroli.
News tratta da "Italia Oggi"
Duecento milioni di euro per le produzioni italiane nei prossimi tre anni: è l'investimento deciso da Netflix, il gigante del video streaming on demand, che in questo modo moltiplicherà i contenuti made in Italy e destinati anche al resto del mondo grazie alla propria piattaforma. La società guidata da Reed Hastings ha iniziato a produrre in Italia nel 2015, con Suburra, serie originale realizzata insieme con Cattleya e Rai Fiction di cui è stata annunciata la terza stagione, poi si sono succedute altre produzioni e diverse sono in lavorazione attualmente. Lo scorso anno, ha fatto sapere Netfiix, quasi 50 mila persone, contando cast e altro personale, hanno lavorato su produzioni originali e co-produzioni Netflix in Europa, e di queste circa 9 mila in Italia. «La comunità creativa italiana è molto ammirata in tutto il mondo per la qualità delle sue storie e per le sue capacità produttive», ha commentato Kelly Luegenbiehl, vice president of International Originals per Europa, Medio Oriente ed Africa. «E stato emozionante vedere show italiani e realizzati in Italia come Suburra - La Serie e Baby e film come Sulla mia pelle, raggiungere una platea globale. Questo investimento ci consentirà di realizzare un numero maggiore di produzioni qui in Italia, che ci auguriamo il pubblico globale apprezzerà, e ci consentirà anche di supportare in modo più ampio la comunità creativa italiana». Oltre alle produzioni, infatti, dovrebbero esserci altre iniziative che saranno dettagliate in seguito dal momento che Netflix è già in contatto con le associazioni del settore. Per Francesco Rutelli, presidente dell'Anice., «investimenti duraturi e in partnership con produttori originari italiani, sia per film che serie tv, porteranno effetti positivi nel nostro paese», mentre Giancarlo Leone, presidente dell'Apa (Associazione produttori audiovisivi), ha parlato di un annuncio «di grande importanza per l'intero settore dell'audiovisivo italiano». «Siamo certi», ha aggiunto Leone, «che i rafforzati rapporti tra i produttori indipendenti nazionali e Netflix contribuiranno ad una presenza sempre più significativa del servizio in Italia e ad una vetrina di successo internazionale per le produzioni italiane nel mondo, oltre che ad una ulteriore crescita dell'intera filiera creativa nel mercato globale». La notizia dell'investimento arriva poche ore prima del rilascio dei dati del primo trimestre, che dovrebbero vedere gli abbonati a livello globale arrivare a quota 150 milioni. Le stime della società parlavano di ulteriori 9 milioni di abbonati paganti attesi nei tre mesi, oltre a 8 milioni nel primo mese di test gratuito. La maggior parte dei nuovi abbonati, 1'80% circa, arriva dai mercati internazionali dove Netflix sta appunto investendo parecchio in termini di contenuti. Fra le ultime serie, per esempio, ci sono produzioni turche, polacche e del bacino mediorientale, per non parlare dell'hub produttivo aperto in Spagna. L'investimento in contenuti originali europei è stato di 1 miliardo di dollari lo scorso anno. Fra i progetti già annunciati o in lavorazione per quest'anno in Italia ci sono Luna Nera (Fandango), Curon (Indiana Productions); l'adattamento di Tre metri sopra il cielo di Moccia (Cattleya) e quello di Winx Club, oltre all'acquisizione dei diritti audiovisivi del libro Fedeltà di Marco Missiroli.
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sabato 6 aprile 2019
martedì 11 dicembre 2018
LA VITA E' UNA COSA SERIAL - Ecco perché le coppie di adolescenti di "Baby" e "L'amica geniale" sono cult (e un fil rouge le unisce fino ad oggi)
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lunedì 3 dicembre 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
Le ingenuità e gli stereotipi di "Baby"
CORRIERE DELLA SERA
Le ingenuità e gli stereotipi di "Baby"
"'Per noi la vita è semplice, vogliamo sentirci onnipotenti, divertirci e fare cazzate. E se non riusciamo a farlo alla luce del giorno ci rifugiamo in qualcosa che è solo nostro. La cosa bella è avere una vita segreta...». Adolescenti inquieti e genitori egocentrici, perdizione e rispettabilità borghese, Parioli e borgate: liberamente ispirata alla vicenda delle «baby-squillo» minorenni che segnò la «Roma bene» nel 2013, la serie «Baby» (Netflix) se ne discosta ampiamente, senza troppo cedere alla pressione della cronaca. Dopo «Suburra», il colosso globale dello streaming conferma la Capitale come ambientazione privilegiata per le proprie produzioni locali italiane; una Roma di nuovo scandagliata nei suoi bassifondi morali, ma osservata stavolta nei suoi spazi urbani più elitari e distintivi e mediata tramite un universo giovanile a rischio d'implosione. A raccontare la storia dell'amicizia tra Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani), delle loro frequentazioni pericolose e della loro solitudine familiare, così diversa ma in fondo simile (il formalismo di genitori «separati in casa» nel caso di Chiara, l'assenza del padre e la presenza di una madre assalita da patologie adolescenziali nel caso di Ludovica), è la scrittura del collettivo Grams, un insieme di giovani autori romani, pressoché coetanei dei protagonisti della serie, e forse proprio per questo titolati a imprimere agli snodi della trama scarti un po' ingenui e a forzare i diversi piani di conflitto e di contrapposizione con soluzioni stereotipate (o prese a prestito dal nuovi §cenaci del teen trama, tipo la serie spagnola Elite). L'operazione va, tuttavia, nella direzione di immaginare anche un pubblico largo. II cast attinge dai giovani attori di Braccialetti rossi ad adulti come Pandolfi, Isabella Ferrari, Calabresi". (Aldo Grasso)
venerdì 30 novembre 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
AVVENIRE
L'inaccettabile nichilismo di "Baby"
"Non è stato facile per chi scrive arrivare alla fine della proiezione (riservata alla stampa) delle prime due puntate di Baby senza provare un senso di ribellione. Non tanto perché la nuova serie disponibile su Netflix da venerdì 30 novembre (prodotta da Fabula Pictures e diretta da Andrea De Sica e Anna Negri) ha preso spunto dagli sconvolgenti fatti accaduti a Roma qualche anno fa e battezzati dai giornali come il caso delle baby squillo dei Parioli. Quello che proprio non ha convinto la sottoscritta, non solo come giornalista ma soprattutto come madre di un figlio adolescente, è stata la voluta parzialità del racconto. Di una storia che, forse, si proponeva di raccontare gli adolescenti di oggi e che invece ha finito per tracciame un ritratto assolutamente incompleto, in certi momenti persino fastidioso. La storia di Baby si svolge ai Parioli: «Se hai sedici anni e vivi nel quartiere più bello di Roma sei fortunata» dice Chiara (Benedetta Porcaroli), una delle giovani protagoniste della serie all'inizio della prima puntata. Ma bastano pochi minuti per capire che quella fortuna è solo illusoria: la ragazzina, come tutti i coetanei della prestigiosa scuola che frequenta, è sola. Terribilmente sola, figlia di una famiglia in decomposizione nella quale i genitori si dichiarano separati in casa («Lo facciamo per te»), salvo fare ciascuno i propri comodi, a volte proprio sotto lo sguardo sconcertato della figlia. Non va meglio ai suoi amici, che poi tanto amid non sono visto che il valore dell'amicizia qui non è nemmeno abbozzato, come del resto qualsiasi altro valore: Ludovica (Alice Pagani) vive con una madre fragile e instabile che con la figlia condivide lo smalto, le cene con i fidanzati di passaggio e poco altro; e Damiano (Riccardo Mandolini) è cresciuto nella periferia romana del Quarticciolo ma, a causa della morte della madre, è costretto a vivere ai Parioli con il padre ambasciatore e la di lui moglie, lacerato tra due mondi diametralmente opposti nei quali fa fatica a riconoscersi. In questa riproduzione (volutamente?) stereotipata, dove non c'è nemmeno un solo personaggio positivo, non mancano naturalmente il sesso facile per sfuggire alla noia, che non richiede alcun coinvolgimento affettivo ed emotivo; la droga altrettanto facile visto che a scuola si spacciano canne e cocaina; i locali da frequentare fino a notte fonda E, dulcis in fundo, la prostituzione. Il teorema alla base di Baby è, tutto sommato, chiaro e, per certi versi, persino condivisibile: se hai sedici anni e una famiglia che non si occupa dite se non in apparenza, il rischio è quello di diventare un adolescente sbandato alla mercé del primo disgraziato che passa Un paio di cose, però, non convincono. La prima è, come dicevamo, la parzialità del racconto: il mondo degli adolescenti è, per fortuna, più ricco e variegato di quello proposto da Baby ma la serie non lo mostra, dando l'impressione che i sedicenni di oggi, almeno quelli benestanti e abitanti in una grande città, siano tutti così. La seconda è che non c'è traccia di un benché minimo giudizio su comportamenti francamente discutibili. Nessuno ha particolari nostalgie della tv pedagogica di un tempo ma è inaccettabile sentir dire dagli autori di Baby che «il nostro primo obiettivo è stato quello di non giudicare i personaggi» o che «non vogliamo filtri paternalistici o moralistici. Sarà il pubblico a trarne le conseguenze» davanti a ragazzini e ragazzine che si drogano e considerano il sesso poco più di un passatempo perché significa non riconoscere la responsabilità che ci si assume quando si fa televisione. Soprattutto una televisione come Netflix che ha nel suo Dna proprio il pubblico giovane. Autori e protagonisti di Baby da questo orecchio, però, non ci sentono: «Questa serie ha l'obiettivo di mettere il pubblico in condizione di farsi delle domande e non di trovare le risposte» ribadisce Benedetta Porcaroli mentre Isabella Aguilar si spinge a generalizzare: «In questa serie abbiamo messo anche tanto di noi, delle nostre esperienze personali. Siamo stati tutti sedicenni allo stesso modo. Non c'è nichilismo né denuncia sociale». Se non è nichilismo Baby c'è da chiedersi cosa lo sia". (Tiziana Lupi)
AVVENIRE
L'inaccettabile nichilismo di "Baby"
"Non è stato facile per chi scrive arrivare alla fine della proiezione (riservata alla stampa) delle prime due puntate di Baby senza provare un senso di ribellione. Non tanto perché la nuova serie disponibile su Netflix da venerdì 30 novembre (prodotta da Fabula Pictures e diretta da Andrea De Sica e Anna Negri) ha preso spunto dagli sconvolgenti fatti accaduti a Roma qualche anno fa e battezzati dai giornali come il caso delle baby squillo dei Parioli. Quello che proprio non ha convinto la sottoscritta, non solo come giornalista ma soprattutto come madre di un figlio adolescente, è stata la voluta parzialità del racconto. Di una storia che, forse, si proponeva di raccontare gli adolescenti di oggi e che invece ha finito per tracciame un ritratto assolutamente incompleto, in certi momenti persino fastidioso. La storia di Baby si svolge ai Parioli: «Se hai sedici anni e vivi nel quartiere più bello di Roma sei fortunata» dice Chiara (Benedetta Porcaroli), una delle giovani protagoniste della serie all'inizio della prima puntata. Ma bastano pochi minuti per capire che quella fortuna è solo illusoria: la ragazzina, come tutti i coetanei della prestigiosa scuola che frequenta, è sola. Terribilmente sola, figlia di una famiglia in decomposizione nella quale i genitori si dichiarano separati in casa («Lo facciamo per te»), salvo fare ciascuno i propri comodi, a volte proprio sotto lo sguardo sconcertato della figlia. Non va meglio ai suoi amici, che poi tanto amid non sono visto che il valore dell'amicizia qui non è nemmeno abbozzato, come del resto qualsiasi altro valore: Ludovica (Alice Pagani) vive con una madre fragile e instabile che con la figlia condivide lo smalto, le cene con i fidanzati di passaggio e poco altro; e Damiano (Riccardo Mandolini) è cresciuto nella periferia romana del Quarticciolo ma, a causa della morte della madre, è costretto a vivere ai Parioli con il padre ambasciatore e la di lui moglie, lacerato tra due mondi diametralmente opposti nei quali fa fatica a riconoscersi. In questa riproduzione (volutamente?) stereotipata, dove non c'è nemmeno un solo personaggio positivo, non mancano naturalmente il sesso facile per sfuggire alla noia, che non richiede alcun coinvolgimento affettivo ed emotivo; la droga altrettanto facile visto che a scuola si spacciano canne e cocaina; i locali da frequentare fino a notte fonda E, dulcis in fundo, la prostituzione. Il teorema alla base di Baby è, tutto sommato, chiaro e, per certi versi, persino condivisibile: se hai sedici anni e una famiglia che non si occupa dite se non in apparenza, il rischio è quello di diventare un adolescente sbandato alla mercé del primo disgraziato che passa Un paio di cose, però, non convincono. La prima è, come dicevamo, la parzialità del racconto: il mondo degli adolescenti è, per fortuna, più ricco e variegato di quello proposto da Baby ma la serie non lo mostra, dando l'impressione che i sedicenni di oggi, almeno quelli benestanti e abitanti in una grande città, siano tutti così. La seconda è che non c'è traccia di un benché minimo giudizio su comportamenti francamente discutibili. Nessuno ha particolari nostalgie della tv pedagogica di un tempo ma è inaccettabile sentir dire dagli autori di Baby che «il nostro primo obiettivo è stato quello di non giudicare i personaggi» o che «non vogliamo filtri paternalistici o moralistici. Sarà il pubblico a trarne le conseguenze» davanti a ragazzini e ragazzine che si drogano e considerano il sesso poco più di un passatempo perché significa non riconoscere la responsabilità che ci si assume quando si fa televisione. Soprattutto una televisione come Netflix che ha nel suo Dna proprio il pubblico giovane. Autori e protagonisti di Baby da questo orecchio, però, non ci sentono: «Questa serie ha l'obiettivo di mettere il pubblico in condizione di farsi delle domande e non di trovare le risposte» ribadisce Benedetta Porcaroli mentre Isabella Aguilar si spinge a generalizzare: «In questa serie abbiamo messo anche tanto di noi, delle nostre esperienze personali. Siamo stati tutti sedicenni allo stesso modo. Non c'è nichilismo né denuncia sociale». Se non è nichilismo Baby c'è da chiedersi cosa lo sia". (Tiziana Lupi)
venerdì 2 novembre 2018
NEWS - Che derby rosa! Da stasera la first lady Robin Wright ("House of Cards") sfida la deb Julia Roberts ("Homecoming"). E Netflix gode tra le due litiganti con le teen "Baby" (dal 30) in un novembre seriale cult
Articolo tratto da "La Gazzetta dello Sport"
Uno scontro titanico apre un novembre rovente in tv per quanto riguarda le serie. Rivedremo le due attrici americane da oggi, in due titoli diversi: una alle prese con un finale di stagione, l'altra al debutto in una nuova serie. Robin Wright torna infatti ad essere la protagonista degli intrighi politici di House of Cards 6, su Sky Atlantic, mentre Julia Roberts è alla sua prima prova in una produzione seriale nel thriller psicologico Homecoming, su Amazon Prime Video.
La Roberts è Heidi, assistente sociale in un centro che aiuta i veterani a reinserirsi nella vita civile. Ma sono dubbie le motivazioni della struttura nella quale lavora. La serie è diretta da Sam Esmail (lo stesso regista di Mr. Robot) e arriva in originale: la versione doppiata sarà disponibile a partire dal 2019. Per quanto riguarda gli Underwood, la scelta di fare morire il marito Frank dipende dal licenziamento di Kevin Spacey a causa dello scandalo sessuale nel quale è rimasto coinvolto. Claire adesso è la presidente e la protagonista di questa stagione. Accanto a lei, arrivano alcuni personaggi nuovi interpretati da Diane Lane e Greg Kinnear nei panni di due fratelli lobbisti. Gli episodi della serie Netflix sono otto.
E proprio su Netflix debutta alla fine del mese la terza serie italiana della piattaforma di streaming; dopo Suburra e prima di Luna nera, il 30 arriva Baby, vicenda liberamente ispirata al giro di squillo minorenni dei Parioli, diretta da Andrea De Sica e Anna Negri. Due settimane prima, il 16, è la volta di Narcos: Messico, costola di Narcos, scritta dagli stessi autori, ambientata negli Anni 80. Stesso giorno di debutto per una commedia, Il metodo Kominsky, serie ideata da Chuck Lorre (quello di The Big Bang Theory) con due interpreti come Michael Douglas e Alan Arkin: il protagonista è un ex attore di successo che insegna recitazione a Hollywood. Torna in tv anche Jim Carrey con Kidding - Il fantastico mondo di Mr. Pickles, serie diretta da Michel Gondry già regista di Se mi lasci ti cancello (2004), in onda su Sky Atlantic dal 7 novembre. Carrey impersona un personaggio all'apparenza di successo, e dai grandi interessi economici, ma la cui vita privata va sgretolandosi. Due giorni dopo su Prime esordisce la seconda stagione di Patriot, con l'agente segreto John Tavner, interpretato da Michael Dorman, costretto a lavorare sotto copertura in un'impresa di tubature del Midwest. In arrivo su Rai 1 (la data di debutto ancora non confermata è il 19), Nero a metà, commedia poliziesca in sei puntate con Claudio Amendola.
Uno scontro titanico apre un novembre rovente in tv per quanto riguarda le serie. Rivedremo le due attrici americane da oggi, in due titoli diversi: una alle prese con un finale di stagione, l'altra al debutto in una nuova serie. Robin Wright torna infatti ad essere la protagonista degli intrighi politici di House of Cards 6, su Sky Atlantic, mentre Julia Roberts è alla sua prima prova in una produzione seriale nel thriller psicologico Homecoming, su Amazon Prime Video.
La Roberts è Heidi, assistente sociale in un centro che aiuta i veterani a reinserirsi nella vita civile. Ma sono dubbie le motivazioni della struttura nella quale lavora. La serie è diretta da Sam Esmail (lo stesso regista di Mr. Robot) e arriva in originale: la versione doppiata sarà disponibile a partire dal 2019. Per quanto riguarda gli Underwood, la scelta di fare morire il marito Frank dipende dal licenziamento di Kevin Spacey a causa dello scandalo sessuale nel quale è rimasto coinvolto. Claire adesso è la presidente e la protagonista di questa stagione. Accanto a lei, arrivano alcuni personaggi nuovi interpretati da Diane Lane e Greg Kinnear nei panni di due fratelli lobbisti. Gli episodi della serie Netflix sono otto.
E proprio su Netflix debutta alla fine del mese la terza serie italiana della piattaforma di streaming; dopo Suburra e prima di Luna nera, il 30 arriva Baby, vicenda liberamente ispirata al giro di squillo minorenni dei Parioli, diretta da Andrea De Sica e Anna Negri. Due settimane prima, il 16, è la volta di Narcos: Messico, costola di Narcos, scritta dagli stessi autori, ambientata negli Anni 80. Stesso giorno di debutto per una commedia, Il metodo Kominsky, serie ideata da Chuck Lorre (quello di The Big Bang Theory) con due interpreti come Michael Douglas e Alan Arkin: il protagonista è un ex attore di successo che insegna recitazione a Hollywood. Torna in tv anche Jim Carrey con Kidding - Il fantastico mondo di Mr. Pickles, serie diretta da Michel Gondry già regista di Se mi lasci ti cancello (2004), in onda su Sky Atlantic dal 7 novembre. Carrey impersona un personaggio all'apparenza di successo, e dai grandi interessi economici, ma la cui vita privata va sgretolandosi. Due giorni dopo su Prime esordisce la seconda stagione di Patriot, con l'agente segreto John Tavner, interpretato da Michael Dorman, costretto a lavorare sotto copertura in un'impresa di tubature del Midwest. In arrivo su Rai 1 (la data di debutto ancora non confermata è il 19), Nero a metà, commedia poliziesca in sei puntate con Claudio Amendola.
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venerdì 24 agosto 2018
NEWS - Anteprima, sul set di "Baby", la serie made in Italy sulle squillo minorenni di Roma pronte a sedurre il mondo: in 190 Paesi entro fine 2018. Schiera di esordienti e scritta dal collettivo Grams, cresciuta a "pane e 'Breaking Bad'"...
News tratta da "Il Messaggero"
I corridoi asettici di una scuola esclusiva - potrebbe essere indifferentemente un liceo italiano o un campus anglosassone - brulicano di studenti in divisa. Dialogo concitato tra un ragazzo e una ragazza: «Cosa ti ho fatto, me lo dici?». «Tu non c'entri nulla». Appartato in un angolo, un giovane cerca compulsivamente compagnia su Grindr, l'app degli incontri gay. L'interno di un bagno ospita invece le confessioni "pericolose" di due studentesse. Si respira tensione, disagio esistenziale, trasgressione latente. Il regista Andrea De Sica, in bermuda dietro un monitor, grida: «Stop!» e per qualche minuto il set si ferma. Siamo a Roma, nell'università di Tor Vergata trasformata per qualche settimana nell'immaginario Liceo Collodi: si gira Baby, la serie originale Netflix prodotta da Fabula Pictures, regia dei sei episodi spartita tra De Sica (quattro) e Anna Negri (due). Ispirata a fatti di cronaca recenti che hanno sconvolto l'opinione pubblica, la serie è destinata a fare scalpore: protagonista è infatti la «vita segreta», o meglio inconfessabile, di alcuni teenagerdei quartieri alti di Roma. Prostituzione minorile, droga, bullismo, omosessualità, suicidio, integrazione, conflitti familiari: a partire dallo scandalo delle "baby squillo" che esercitavano ai Parioli, sono tanti i temi "bollenti" affrontati dalla serie che sarà disponibile in 190 Paesi entro la fine dell'anno ed è interpretata da una quarantina di attori giovanissimi, sia volti noti sia sconosciuti, facce pulite e anime tormentate: Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Riccardo Mandolini, Chabeli Sastre Gonzalez, Brando Pacitto, Lorenzo Zurzolo. I loro rispettivi personaggi sembrano condannati alla trasgressione, declinata in forme diverse, «perché sono disperatamente in cerca d'amore», spiegano gli sceneggiatori, tutti under 30, del collettivo Grams scelto per portare nella serie la verità dei giovani vista «dal di dentro»: è la loro scrittura, definita «audace», la novità forse più significativa del progetto. Ma del cast fanno parte anche Isabella Ferrari nei panni di una mamma "pariola" apparentemente sicura di sé ma molto fragile, Claudia Pandolfi (una prof della scuola), Paolo Calabresi nel ruolo ingrato del "localaro" che recluta le ragazze per poi darle in pasto a clienti senza vergogna che hanno la stessa età dei loro padri. De Sica, 36 anni, terza generazione della gloriosa dinastia artistica (è figlio di Manuel e della produttrice Tilde Corsi, nonché nipote di Vittorio), è stato scritturato dopo aver diretto il premiatissimo film d'esordio I figli della notte sulle amicizie «maledette» di alcuni ragazzi altoborghesi. E apparso dunque il regista giusto per maneggiare con sicurezza e una buona dose di oggettività l'incandescente materia della serie Netflix. «Baby racconta, al di fuori degli stereotipi e senza giudizi morali, i conflitti profondi che nascono in un ambiente agiato», spiega Andrea, «i nostri pariolini somigliano ai ragazzi di qualunque quartiere e di qualunque estrazione. Le loro storie riflettono romanticismo e cattiveria, sono tutt'altro che edulcorate. E abbiamo cercato di dare alla serie una connotazione internazionale: per intenderci, qui non ci sa no i banchi rotti e i graffiti del Mamiani che abbiamo visto fino alla nausea in troppi film italiani». Il produttore Nicola De Angelis afferma che lavorare per Netflix «è un'esperienza a 360 gradi estrema e interessante, caratterizzata dalla libertà assoluta e dalla velocità dei tempi di attuazione». Annuiscono i ragazzi del Grams che sono spesso presenti sul set e, mantenendo un rapporto quasi simbiotico con il regista e gli attori, hanno portato nel progetto Baby non solo un linguaggio ma anche un modo inedito di lavorare. «Il caso delle squillo minorenni ha rappresentato solo uno spunto da cui siamo partiti ma da cui ci siamo presto staccati per raccontare le vite segrete dei giovani della Roma bene», spiega Eleonora Trucchi, 25 anni. «La serie è una storia di formazione che vede contrapposti teenager che fanno gli adulti e adulti che si comportano da bambini», aggiunge Antonio Le Fosse, 25 anni. «I nostri protagonisti soffrono tanto, ma i grandi ignorano il loro dolore», incalza Giacomo Mazzariol, 21. «Abbiamo indagato sul vuoto esistenziale di questi ragazzi senza giudicare le loro azioni», incalzano Re Salvador, 28, e Marco Raspanti, 29. Curiosità: nessuno di loro proviene dai Parioli, il quartiere un po' ingenuamente e sbrigativamente considerato l'epicentro di ogni vizio. In compenso raccontano di essersi formati con le grandi serie americane: «Siamo cresciuti a pane e Breaking Bad». Sentono di appartenere a un mondo in cui «le Instagram Stories hanno sostiutito la tv» e non vogliono rimanere estranei al processo produttivo: «Il mercato internazionale è importante». Infatti i loro discorsi sono disseminati di termini come "payoff", "endorsement", "core business" e così via. Tant'è. Ma un fatto è certo: le teenager perdute di Baby sono pronte a fare il "botto" in tutto il mondo.
News tratta da "Il Messaggero"
I corridoi asettici di una scuola esclusiva - potrebbe essere indifferentemente un liceo italiano o un campus anglosassone - brulicano di studenti in divisa. Dialogo concitato tra un ragazzo e una ragazza: «Cosa ti ho fatto, me lo dici?». «Tu non c'entri nulla». Appartato in un angolo, un giovane cerca compulsivamente compagnia su Grindr, l'app degli incontri gay. L'interno di un bagno ospita invece le confessioni "pericolose" di due studentesse. Si respira tensione, disagio esistenziale, trasgressione latente. Il regista Andrea De Sica, in bermuda dietro un monitor, grida: «Stop!» e per qualche minuto il set si ferma. Siamo a Roma, nell'università di Tor Vergata trasformata per qualche settimana nell'immaginario Liceo Collodi: si gira Baby, la serie originale Netflix prodotta da Fabula Pictures, regia dei sei episodi spartita tra De Sica (quattro) e Anna Negri (due). Ispirata a fatti di cronaca recenti che hanno sconvolto l'opinione pubblica, la serie è destinata a fare scalpore: protagonista è infatti la «vita segreta», o meglio inconfessabile, di alcuni teenagerdei quartieri alti di Roma. Prostituzione minorile, droga, bullismo, omosessualità, suicidio, integrazione, conflitti familiari: a partire dallo scandalo delle "baby squillo" che esercitavano ai Parioli, sono tanti i temi "bollenti" affrontati dalla serie che sarà disponibile in 190 Paesi entro la fine dell'anno ed è interpretata da una quarantina di attori giovanissimi, sia volti noti sia sconosciuti, facce pulite e anime tormentate: Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Riccardo Mandolini, Chabeli Sastre Gonzalez, Brando Pacitto, Lorenzo Zurzolo. I loro rispettivi personaggi sembrano condannati alla trasgressione, declinata in forme diverse, «perché sono disperatamente in cerca d'amore», spiegano gli sceneggiatori, tutti under 30, del collettivo Grams scelto per portare nella serie la verità dei giovani vista «dal di dentro»: è la loro scrittura, definita «audace», la novità forse più significativa del progetto. Ma del cast fanno parte anche Isabella Ferrari nei panni di una mamma "pariola" apparentemente sicura di sé ma molto fragile, Claudia Pandolfi (una prof della scuola), Paolo Calabresi nel ruolo ingrato del "localaro" che recluta le ragazze per poi darle in pasto a clienti senza vergogna che hanno la stessa età dei loro padri. De Sica, 36 anni, terza generazione della gloriosa dinastia artistica (è figlio di Manuel e della produttrice Tilde Corsi, nonché nipote di Vittorio), è stato scritturato dopo aver diretto il premiatissimo film d'esordio I figli della notte sulle amicizie «maledette» di alcuni ragazzi altoborghesi. E apparso dunque il regista giusto per maneggiare con sicurezza e una buona dose di oggettività l'incandescente materia della serie Netflix. «Baby racconta, al di fuori degli stereotipi e senza giudizi morali, i conflitti profondi che nascono in un ambiente agiato», spiega Andrea, «i nostri pariolini somigliano ai ragazzi di qualunque quartiere e di qualunque estrazione. Le loro storie riflettono romanticismo e cattiveria, sono tutt'altro che edulcorate. E abbiamo cercato di dare alla serie una connotazione internazionale: per intenderci, qui non ci sa no i banchi rotti e i graffiti del Mamiani che abbiamo visto fino alla nausea in troppi film italiani». Il produttore Nicola De Angelis afferma che lavorare per Netflix «è un'esperienza a 360 gradi estrema e interessante, caratterizzata dalla libertà assoluta e dalla velocità dei tempi di attuazione». Annuiscono i ragazzi del Grams che sono spesso presenti sul set e, mantenendo un rapporto quasi simbiotico con il regista e gli attori, hanno portato nel progetto Baby non solo un linguaggio ma anche un modo inedito di lavorare. «Il caso delle squillo minorenni ha rappresentato solo uno spunto da cui siamo partiti ma da cui ci siamo presto staccati per raccontare le vite segrete dei giovani della Roma bene», spiega Eleonora Trucchi, 25 anni. «La serie è una storia di formazione che vede contrapposti teenager che fanno gli adulti e adulti che si comportano da bambini», aggiunge Antonio Le Fosse, 25 anni. «I nostri protagonisti soffrono tanto, ma i grandi ignorano il loro dolore», incalza Giacomo Mazzariol, 21. «Abbiamo indagato sul vuoto esistenziale di questi ragazzi senza giudicare le loro azioni», incalzano Re Salvador, 28, e Marco Raspanti, 29. Curiosità: nessuno di loro proviene dai Parioli, il quartiere un po' ingenuamente e sbrigativamente considerato l'epicentro di ogni vizio. In compenso raccontano di essersi formati con le grandi serie americane: «Siamo cresciuti a pane e Breaking Bad». Sentono di appartenere a un mondo in cui «le Instagram Stories hanno sostiutito la tv» e non vogliono rimanere estranei al processo produttivo: «Il mercato internazionale è importante». Infatti i loro discorsi sono disseminati di termini come "payoff", "endorsement", "core business" e così via. Tant'è. Ma un fatto è certo: le teenager perdute di Baby sono pronte a fare il "botto" in tutto il mondo.
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lunedì 5 marzo 2018
NEWS - Clamoroso al Cibali! La rivoluzione, oltre che alle urne, esplode in tv: tra un paio di anni Netflix visibile su Sky! E intanto oggi Mediaset perde 4 punti in Borsa dopo le elezioni e l'accordo con Vivendi appare lontanissimo (Amazon: adesso o scegli con chi allearti o fai la fine del PD...)
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
Per gli appassionati di serie tv, decidere a quale piattaforma abbonarsi è complesso. Chi ama le trame condite da intrighi criminali deve scegliere tra Narcos o Gomorra. Chi preferisce il fantasy o le narrazioni futuristiche sa che non potrà avere sia Black Mirror sia Game of Thrones. La frammentazione dei contenuti on demand è un problema che si risolve solo iscrivendosi (perlomeno) a quelle che in Italia sono più note e offrono un ampio catalogo: Netflix e Sky. Senza contare la crescente realtà di Amazon Prime Video. O le altre che si preparano a scendere in campo, come Disney, che ha annunciato l'arrivo di una sua piattaforma. Sopravvivere in un mondo sempre più affollato come quello dello streaming, proponendo contenuti migliori, o servizi più funzionali, non è facile. Lo sanno bene i due più agguerriti giocatori del panorama europeo, che hanno finito per stipulare un'alleanza. Ed ecco quindi l'accordo di due giorni fa: il nuovo box Sky Q, lanciato a novembre, ospiterà anche Netflix. Una partnership che diventerà realtà in tutta Europa nel giro di due anni e permetterà (finalmente) di avere una sola iscrizione per (la maggior parte di) serie tv, film e documentari. «E una soluzione di continuità — spiega al Corriere Maria Ferreras, vicepresidente dell'area Business Development per Europa, Medio Oriente e Africa di Netflix —. Chi ha entrambi gli abbonamenti, potrà scegliere di unirli e pagare un unico conto». Aggiunge che si tratta della «prima volta che decidiamo di unire il nostro catalogo a quello di una emittente televisiva e l'accordo si estende anche al servizio streaming di Sky, NowTv». Una vittoria per entrambi? Sicuramente lo è per Netflix, che sta investendo molto — guadagnando ancora poco — nella crescita della sua utenza nel mondo, pari oggi a u7 milioni di persone. Non rivela il numero di iscritti in Italia, ma l'osservatorio Ey a ottobre ne aveva stimati circa 800mila. Mentre Sky nel nostro Paese a fine novembre aveva quasi 5 milioni di abbonati. Un ben più folto gruppo di potenziali utenti che, con questo accordo, Netflix riuscirà in parte a intercettare. Per la partenza non c'è ancora una data precisa: i primi Paesi saranno Regno Unito e Irlanda, «entro la fine di quest'anno — aggiunge Ferreras — poi amplieremo ad altri, inclusa l'Italia. E un mercato molto importante per noi». Anche sul lato delle produzioni: «Stiamo lavorando alla terza serie originale italiana: Baby, dopo Suburra e First team: Juventus». Titoli che compariranno, a breve, anche sul box di ultima generazione di Sky. Una piattaforma che integra la trasmissione via satellite a quella via internet e porta sullo stesso piano i canali tradizionali e l'on demand, lo schermo del televisore e quello dei dispositivi mobili. Per Sky l'abbattimento di frontiere tra la tv e lo smartphone è l'occasione di rilancio di un servizio ancora troppo ancorato alla fruizione tradizionale. Per la società fondata da Reed Hastings, l'approdo (anche) sui piccoli schermi che ancora regnano nella case della maggior parte degli europei, soprattutto degli italiani, è un punto di (ri)partenza in un altro senso. Nata come servizio di streaming online, si è proposta come alternativa nuova e giovane. Poi l'ambizione di farsi un nome anche come casa di produzione: «Nella tecnologia — spiega la manager spagnola — stanno le nostre fondamenta, ma oggi la creazione di contenuti originali è diventato un altro nostro marchio di garanzia». Ed estendere il servizio anche su altre piattaforme, con altri mezzi, non può che giovare.
giovedì 16 novembre 2017
NEWS - Dopo "Suburra", Netflix investe sulle squillo minorenni di Roma in "Baby"
News tratta da "Il Manifesto"
Dopo «Suburra - La serie» Netflix ha annunciato ieri il progetto di una serie tv - che si chiamerà «Baby» e sarà prodotta da Fabula Pictures- incentrata sulla vicenda delle prostitute minorenni del quartiere romano dei Parioli emersa nel 2014. A scrivere «Baby» (le riprese inizieranno nel 2018) sarà il neonato collettivo GRAMS , composto da cinque giovani autori - Giacomo Mazzariol, Romulo Emmanuel Salvador, Antonio Le Fosse, Marco Raspanti e Eleonora Trucchi - che verranno affiancati da Isabella Aguilar (che ha recentemente lavorato anche a «The Place» di Paolo Genovese) e Giacomo Durzi (sceneggiatore e anche autore del documentario «Ferrante Fever»).
News tratta da "Il Manifesto"
Dopo «Suburra - La serie» Netflix ha annunciato ieri il progetto di una serie tv - che si chiamerà «Baby» e sarà prodotta da Fabula Pictures- incentrata sulla vicenda delle prostitute minorenni del quartiere romano dei Parioli emersa nel 2014. A scrivere «Baby» (le riprese inizieranno nel 2018) sarà il neonato collettivo GRAMS , composto da cinque giovani autori - Giacomo Mazzariol, Romulo Emmanuel Salvador, Antonio Le Fosse, Marco Raspanti e Eleonora Trucchi - che verranno affiancati da Isabella Aguilar (che ha recentemente lavorato anche a «The Place» di Paolo Genovese) e Giacomo Durzi (sceneggiatore e anche autore del documentario «Ferrante Fever»).
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