sabato 14 aprile 2018
venerdì 13 aprile 2018
NEWS - Milano expo(rt)! Disney lancia la sua prima serie internazionale girata all'ombra del nuovo skyline di Piazza Gae Aulenti: dal 7 maggio al via "Penny on MARS" (spin-off di "Alex & Co.")
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
Un'Italia da esportazione che guarda al mercato globale. Disney Italia ha prodotto per la prima volta una serie destinata anche agli anglosassoni, interamente girata a Milano con un cast inglese: l'unico modo per abbattere qualunque barriera, superare ogni frontiera, uscire dalla gabbia della locazione. II know-how Disney è nel ramo «serie per teenager», successi costruiti a tavolino con un consolante ed eterno ritorno dell'uguale che pesca nel solco narrativo tracciato da Hannah Montana, passato per Violetta, fino ad arrivare a Soy Luna: storie di adolescenti tra amori e amicizia, tra scuola e musica. Questa volta tocca a Penny On M.A.R.S. che debutta su Disney Channel (Sky, canale 613) il 7 maggio (da lunedì a venerdì alle 20.10), trampolino di lancio perla messa in onda in Inghilterra a giugno, quindi in Francia in autunno e a seguire in altri Paesi. Cast internazionale, ma regista italiano, Claudio Norza che aveva già diretto Alex e Co., serie concepita per sbarcare in Europa e Sud America. Ora il passo successivo è quello mondiale: «Alex e Co. non era arrivata nei Paesi anglofoni, mentre questa è una serie pensata per un mercato davvero globale. Per farlo è stato necessario girare in inglese, con attori madrelingua. Se i Paesi latini sono abituati al doppiaggio, per quelli di lingua inglese non è concepibile: è stato questo l'ostacolo che aveva fino ad ora bloccato i nostri progetti più ambiziosi». Undici settimane di riprese a Milano, tra Bovisa e Portello, tra Navigli e piazza Gae Aulenti, alcuni dei luoghi del nuovo rinascimento della città, che ha un respiro internazionale ormai sempre più condiviso: «La serie è dichiaratamente ambientata a Milano, una città che è un simbolo riconosciuto in Europa e nel mondo, sull'onda del richiamo all'estero della nostra architettura, del design, della moda e del cibo». Penny On M.A.R.S., prodotta da 3Zero2Tv con Disney Italia, segue le avventure della ragazza del titolo (interpretata dall'esordiente Olivia-Mai Barret), talentuosa adolescente che sogna di frequentare la scuola di performing arts più prestigiosa al mondo, il M.A.RS. di Milano. Con lei c'è l'inseparabile amica Camilla (Shannon Gaskin): sono come sorelle e niente può separarle, almeno fino al momento in cui a scuola non si innamorano dello stesso ragazzo (Finlay MacMillan che ha già lavorato con Tim Burton nel film del 2016 Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali). «Penso che il punto di forza della serie — riflette ancora Norza — sia il triangolo amoroso che nasce anche per una serie di malintesi. E poi la musica e il ballo che fanno allo stesso tempo da sfondo e da palco alle avventure di questi ragazzi che hanno un grande sogno da realizzare». Segreti e amori, amicizia e talento, la determinazione a raggiungere l'obiettivo conditi da brani musicali originali interpretati dal cast. E questa la ricetta dell'immedesimazione che funziona sull'immaginario collettivo degli adolescenti di ogni latitudine, in un meccanismo di identificazione che si accende ogni volta come un riflesso pavloviano.
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
Un'Italia da esportazione che guarda al mercato globale. Disney Italia ha prodotto per la prima volta una serie destinata anche agli anglosassoni, interamente girata a Milano con un cast inglese: l'unico modo per abbattere qualunque barriera, superare ogni frontiera, uscire dalla gabbia della locazione. II know-how Disney è nel ramo «serie per teenager», successi costruiti a tavolino con un consolante ed eterno ritorno dell'uguale che pesca nel solco narrativo tracciato da Hannah Montana, passato per Violetta, fino ad arrivare a Soy Luna: storie di adolescenti tra amori e amicizia, tra scuola e musica. Questa volta tocca a Penny On M.A.R.S. che debutta su Disney Channel (Sky, canale 613) il 7 maggio (da lunedì a venerdì alle 20.10), trampolino di lancio perla messa in onda in Inghilterra a giugno, quindi in Francia in autunno e a seguire in altri Paesi. Cast internazionale, ma regista italiano, Claudio Norza che aveva già diretto Alex e Co., serie concepita per sbarcare in Europa e Sud America. Ora il passo successivo è quello mondiale: «Alex e Co. non era arrivata nei Paesi anglofoni, mentre questa è una serie pensata per un mercato davvero globale. Per farlo è stato necessario girare in inglese, con attori madrelingua. Se i Paesi latini sono abituati al doppiaggio, per quelli di lingua inglese non è concepibile: è stato questo l'ostacolo che aveva fino ad ora bloccato i nostri progetti più ambiziosi». Undici settimane di riprese a Milano, tra Bovisa e Portello, tra Navigli e piazza Gae Aulenti, alcuni dei luoghi del nuovo rinascimento della città, che ha un respiro internazionale ormai sempre più condiviso: «La serie è dichiaratamente ambientata a Milano, una città che è un simbolo riconosciuto in Europa e nel mondo, sull'onda del richiamo all'estero della nostra architettura, del design, della moda e del cibo». Penny On M.A.R.S., prodotta da 3Zero2Tv con Disney Italia, segue le avventure della ragazza del titolo (interpretata dall'esordiente Olivia-Mai Barret), talentuosa adolescente che sogna di frequentare la scuola di performing arts più prestigiosa al mondo, il M.A.RS. di Milano. Con lei c'è l'inseparabile amica Camilla (Shannon Gaskin): sono come sorelle e niente può separarle, almeno fino al momento in cui a scuola non si innamorano dello stesso ragazzo (Finlay MacMillan che ha già lavorato con Tim Burton nel film del 2016 Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali). «Penso che il punto di forza della serie — riflette ancora Norza — sia il triangolo amoroso che nasce anche per una serie di malintesi. E poi la musica e il ballo che fanno allo stesso tempo da sfondo e da palco alle avventure di questi ragazzi che hanno un grande sogno da realizzare». Segreti e amori, amicizia e talento, la determinazione a raggiungere l'obiettivo conditi da brani musicali originali interpretati dal cast. E questa la ricetta dell'immedesimazione che funziona sull'immaginario collettivo degli adolescenti di ogni latitudine, in un meccanismo di identificazione che si accende ogni volta come un riflesso pavloviano.
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L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
"Il Cacciatore", modello seriale da esportazione che vince Cannes
"Non chiamatela fiction, per carità. Non chiamatela fiction: gli sceneggiatori, i registi, gli attori e i produttori hanno fatto del loro meglio per prendere le distanze. E non confondersi con la caterva di prodotti audiovisivi che sembrano fatti apposta per offrire materiale alla serie "Boris" (peraltro, l'unico esperimento riuscito di sit-com italiana, prima di "La linea verticale" diretto da Mattia Torre con Valerio Mastandrea). Non chiamatela fiction, per ripagare gli sforzi e per un motivo anche più nobile: solo in Italia — santino dopo santino, storia edificante dopo storia edificante — siamo riusciti a umiliare una nobile parola che altrove distingue le storie inventate dalle storie che non lo sono. Senza impegnarsi minimamente sulla qualità delle medesime. "La fiction è sugli stereotipi, la serie è sull'umanità", annuncia l'attore Francesco Montanari, appunto il "Cacciatore di mafiosi" (era il titolo dell'autobiografia di Alfonso Sabella, il magistrato del pool antimafia servito da traccia per il personaggio di Saverio Barone). Per interposti produttori, sceneggiatori e registi — le dodici puntate sono dirette da Stefano Lodovichi e Davide Marengo, premiato con il Flaiano nel 2011 per la terza stagione di "Boris", e al cinema applaudito per "Notturno bus"—vuol dire che "Il cacciatore" guarda a modelli internazionali. Oltre che alle serie italiane da esportazione: da "Romanzo criminale" (Francesco Montanari era il Libanese) a "Gomorra" e "Suburra". Viene citato Dante, in dialetto siciliano — il commissario Montalbano ha fornito un corso accelerato, neanche l'ombra dei sottotitoli — già nella prima puntata (la "selva oscura" va assai di moda, serve anche per il titolo dell'ultimo romanzo di Nicole Krauss, ex signora Jonathan Safran Foer, appena uscito da Guanda). Siamo nel 1993, dopo le stragi di Capaci e di Via d'Amelio, morto Giovanni Falcone e morto Paolo Borsellino. Chi già vorrebbe obiettare — "ma sempre mafia?" — prenda atto che le storie mafiose stanno all'Italia come il western sta agli Stati Uniti: una miniera inesauribile, troppo ricca per lasciarla sfruttare solo dai registi americani con il cognome italiano. "La piovra" ha aperto la strada, e l'ha lastricata di repliche. "Il cacciatore" va in onda su RaiDue dal 14 marzo scorso (con anteprima online su Raiplay, modalità già sperimentata con "La linea verticale"). Sulla via dell'esportazione, si è guadagnata la vittoria in concorso a Canneseries, prima edizione del Festival francese dedicato alle serie, dal 4 all'11 aprile. Sulla via del successo critico, viene celebrata da un articolo sul Post di Luca Sofri e uno su Wired. Non la chiameremo "fiction" (badando bene a non farci sentire fuori dall'Italia, dove la parola resta nobile). Abbiamo notato la fotografia non sciatta, le scritte in sovrimpressione che chiariscono allo spettatore chi è Giovanni Brusca e chi Leoluca Bagarella, e a quanto ammonta lo score dei rispettivi omicidi. Abbiamo notato il barile di acido, la violenza in montaggio alternato, l'autista Paolo Briguglia che deve mantenere la famiglia e altri lavori per chi è stato in galera non ce ne sono, il giovane che prova a fregarsene delle regole imposte dalla vecchia guardia, il magazzino-mattatoio. Alla voce "umanità contro stereotipi" arriva qualche interno bagnato di luce calda, con famiglia mafiosa che si scambia tenerezze (si pub far meglio). Da parte sua, il cacciatore di mafiosi è sempre rigido e compreso nella sua missione da compiere. Anche quando, da copione, dovrebbe scherzare". (Mariarosa Mancuso)
IL FOGLIO
"Il Cacciatore", modello seriale da esportazione che vince Cannes
"Non chiamatela fiction, per carità. Non chiamatela fiction: gli sceneggiatori, i registi, gli attori e i produttori hanno fatto del loro meglio per prendere le distanze. E non confondersi con la caterva di prodotti audiovisivi che sembrano fatti apposta per offrire materiale alla serie "Boris" (peraltro, l'unico esperimento riuscito di sit-com italiana, prima di "La linea verticale" diretto da Mattia Torre con Valerio Mastandrea). Non chiamatela fiction, per ripagare gli sforzi e per un motivo anche più nobile: solo in Italia — santino dopo santino, storia edificante dopo storia edificante — siamo riusciti a umiliare una nobile parola che altrove distingue le storie inventate dalle storie che non lo sono. Senza impegnarsi minimamente sulla qualità delle medesime. "La fiction è sugli stereotipi, la serie è sull'umanità", annuncia l'attore Francesco Montanari, appunto il "Cacciatore di mafiosi" (era il titolo dell'autobiografia di Alfonso Sabella, il magistrato del pool antimafia servito da traccia per il personaggio di Saverio Barone). Per interposti produttori, sceneggiatori e registi — le dodici puntate sono dirette da Stefano Lodovichi e Davide Marengo, premiato con il Flaiano nel 2011 per la terza stagione di "Boris", e al cinema applaudito per "Notturno bus"—vuol dire che "Il cacciatore" guarda a modelli internazionali. Oltre che alle serie italiane da esportazione: da "Romanzo criminale" (Francesco Montanari era il Libanese) a "Gomorra" e "Suburra". Viene citato Dante, in dialetto siciliano — il commissario Montalbano ha fornito un corso accelerato, neanche l'ombra dei sottotitoli — già nella prima puntata (la "selva oscura" va assai di moda, serve anche per il titolo dell'ultimo romanzo di Nicole Krauss, ex signora Jonathan Safran Foer, appena uscito da Guanda). Siamo nel 1993, dopo le stragi di Capaci e di Via d'Amelio, morto Giovanni Falcone e morto Paolo Borsellino. Chi già vorrebbe obiettare — "ma sempre mafia?" — prenda atto che le storie mafiose stanno all'Italia come il western sta agli Stati Uniti: una miniera inesauribile, troppo ricca per lasciarla sfruttare solo dai registi americani con il cognome italiano. "La piovra" ha aperto la strada, e l'ha lastricata di repliche. "Il cacciatore" va in onda su RaiDue dal 14 marzo scorso (con anteprima online su Raiplay, modalità già sperimentata con "La linea verticale"). Sulla via dell'esportazione, si è guadagnata la vittoria in concorso a Canneseries, prima edizione del Festival francese dedicato alle serie, dal 4 all'11 aprile. Sulla via del successo critico, viene celebrata da un articolo sul Post di Luca Sofri e uno su Wired. Non la chiameremo "fiction" (badando bene a non farci sentire fuori dall'Italia, dove la parola resta nobile). Abbiamo notato la fotografia non sciatta, le scritte in sovrimpressione che chiariscono allo spettatore chi è Giovanni Brusca e chi Leoluca Bagarella, e a quanto ammonta lo score dei rispettivi omicidi. Abbiamo notato il barile di acido, la violenza in montaggio alternato, l'autista Paolo Briguglia che deve mantenere la famiglia e altri lavori per chi è stato in galera non ce ne sono, il giovane che prova a fregarsene delle regole imposte dalla vecchia guardia, il magazzino-mattatoio. Alla voce "umanità contro stereotipi" arriva qualche interno bagnato di luce calda, con famiglia mafiosa che si scambia tenerezze (si pub far meglio). Da parte sua, il cacciatore di mafiosi è sempre rigido e compreso nella sua missione da compiere. Anche quando, da copione, dovrebbe scherzare". (Mariarosa Mancuso)
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giovedì 12 aprile 2018
SGUARDO FETISH - Gina, lo sguardo di Satana! La Rodriguez "sanguinolenta" sul set di "Someone Great" di Netflix
Gina Rodriguez “stabbed” a couple while filming her upcoming Netflix series Someone Great! The 33-year-old Jane the Virgin actress was spotted shooting a bloody scene on Monday (April 9) in New York City. She was joined by her co-stars Brittany Snow and DeWanda Wise. Gina rocked a “Latina AF” crop t-shirt along with a plaid button-up, grey pants, black and white sneakers, and a yellow tarp. The rom-com tells the story of a woman who, on the rebound from a nasty break-up, travels with her two best friends to New York City. Gina is also producing.
mercoledì 11 aprile 2018
GOSSIP - "Voglio essere boss di me stessa e delle altre donne": Kaley Cuoco di "TBBT" si allarga su "Cosmopolitan", mostra la coscia e rifugge qualsiasi concorrenza con Sofia Vergara, l'attrice tv più pagata (di lei)!
Kaley Cuoco is featured on the cover of Cosmopolitan magazine’s May 2018 issue, on newsstands April 10. Here’s how the 32-year-old Big Bang Theory actress had to share with the mag:
On The Big Bang Theory—and being the second-highest-paid TV actress (behind Sofia Vergara): “I spent my entire 20s on this show. I didn’t have to fight for pay…Knowing what it feels like [to be paid as an equal], I will always take that stand for myself.”
On being a girl boss and running her own production company, Yes, Norman Productions:“I want to be a full-on girl boss. I’ve been in the business so long, and I’ve worked with the best. I don’t let people mess with me. I want to show girls out there that you can be cool, wear yoga clothes, and run your own f—king company. You don’t have to be a guy in a suit. I want this to be a big company. I want to be sitting down a few years from now and have so many projects going. That’s what I’m excited about.” For more from Kaley, visit Cosmopolitan.com.
NEWS - HBO too! Il network si adegua alla protesta di Reese Witherspoon di "BLL" sui cachet discrepanti tra uomini e donne: "provvederemo"
News tratta da "Vulture"
HBO won’t succumb to what befell their royal competitors over at Netflix. As a “direct result” of the Time’s Up movement and encouragement from Big Little Lies’ Reese Witherspoon, HBO executive Casey Bloys admitted that the network took a cold, hard look at its gender pay gaps and promptly fixed every discrepancy they could identify within their shows. “One of the things that’s come out of thinking about the movement and some conversations with Reese, who’s really at the forefront, is something we’ve done recently,” Bloys told THR. “We’ve proactively gone through all of our shows — in fact, we just finished our process where we went through and made sure that there were no inappropriate disparities in pay; and where there were, if we found any, we corrected it going forward.” Bloys wouldn’t provide an example of a show that underwent a pay correction — not even whether it rhymed with “Vest Whirled” or “Flame of Bones” — noting that it’s just “people getting what they deserve.” And by that, he means boatloads of money.
News tratta da "Vulture"
HBO won’t succumb to what befell their royal competitors over at Netflix. As a “direct result” of the Time’s Up movement and encouragement from Big Little Lies’ Reese Witherspoon, HBO executive Casey Bloys admitted that the network took a cold, hard look at its gender pay gaps and promptly fixed every discrepancy they could identify within their shows. “One of the things that’s come out of thinking about the movement and some conversations with Reese, who’s really at the forefront, is something we’ve done recently,” Bloys told THR. “We’ve proactively gone through all of our shows — in fact, we just finished our process where we went through and made sure that there were no inappropriate disparities in pay; and where there were, if we found any, we corrected it going forward.” Bloys wouldn’t provide an example of a show that underwent a pay correction — not even whether it rhymed with “Vest Whirled” or “Flame of Bones” — noting that it’s just “people getting what they deserve.” And by that, he means boatloads of money.
In #Trust funziona bene il racconto (pilot) della dynasty capeggiata dal magnate-magnetico Donald Sutherland (dategli un Emmy o un Globe, please). Meno, molto meno, quando si annacqua con il rapimento da black comedy british by Boyle con ciccio Fraser. Voto: 6️⃣,5️⃣.
— Leo Damerini (@LeoDamerini) 9 aprile 2018
martedì 10 aprile 2018
NEWS - Clamoroso al Cibali! Apple rimanda lo sbarco nelle serie tv al 2019. Ecco i motivi (leggi il link)
lunedì 9 aprile 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Trust" vola tra riferimenti alti e cadute soap
"La notte del 10 luglio 1973 scompare a Roma John Paul Getty III, nipote del ricchissimo petroliere inglese. John Paul ha 16 Janni, è un ragazzo con i capelli lunghi e l'aspetto trasandato. I giornali dell'epoca lo descrivono come un hippie che frequenta nightclub e manifestazioni di sinistra. Per guadagnarsi da vivere, vende per strada piccoli gioielli, dipinti creati da lui e fa la comparsa a Cinecittà. E un caso che per cinque mesi rimane sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e culmina in un gesto macabro: i rapitori tagliano l'orecchio destro dell'ostaggio e lo inviano a un giornale per convincere la famiglia a pagare il riscatto. II nonno del giovane è ricchissimo, si dice che potrebbe pagare le tasse degli ultimi dieci anni di tutti gli italiani. I suoi averi sono valutati 1.000 miliardi di lire e il patrimonio delle sue compagnie petrolifere è di 3.000 miliardi. Creata da Simon Beaufoy, Danny Boyle e Christian Colson (i tre di The Millionaire), la serie Trust. Il rapimento ripercorre queste vicende nei toni della saga familiare, tra riferimenti alti (non può mancare Shakespeare) e cadute soap (giusto pensare a Dallas e a Dynasty, ma non a una storia rappresentata «in maniera barocca e volutamente volgare come fosse una telenovela anni Settanta», come goffamente è stato scritto). A dirigere i primi tre episodi lo stesso Danny Boyle, mentre la regia di uno degli episodi ambientati nel nostro Paese è stata affidata a Emanuele Crialese (Sky Atlantic, mercoledì, 21.15). Tra lezioni di old economy ed esercitazioni bunga bunga ante litteram, il «vecchio» Donald Sutherland si dimostra in grande forma: «I Getty e la regina d'Inghilterra non hanno mai contante». Curiosamente, Trust esce a pochi mesi di distanza da Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott basato sulla medesima vicenda, con Christopher Plummer ingaggiato all'ultimo per sostituire Kevin Spacey". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
"Trust" vola tra riferimenti alti e cadute soap
"La notte del 10 luglio 1973 scompare a Roma John Paul Getty III, nipote del ricchissimo petroliere inglese. John Paul ha 16 Janni, è un ragazzo con i capelli lunghi e l'aspetto trasandato. I giornali dell'epoca lo descrivono come un hippie che frequenta nightclub e manifestazioni di sinistra. Per guadagnarsi da vivere, vende per strada piccoli gioielli, dipinti creati da lui e fa la comparsa a Cinecittà. E un caso che per cinque mesi rimane sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e culmina in un gesto macabro: i rapitori tagliano l'orecchio destro dell'ostaggio e lo inviano a un giornale per convincere la famiglia a pagare il riscatto. II nonno del giovane è ricchissimo, si dice che potrebbe pagare le tasse degli ultimi dieci anni di tutti gli italiani. I suoi averi sono valutati 1.000 miliardi di lire e il patrimonio delle sue compagnie petrolifere è di 3.000 miliardi. Creata da Simon Beaufoy, Danny Boyle e Christian Colson (i tre di The Millionaire), la serie Trust. Il rapimento ripercorre queste vicende nei toni della saga familiare, tra riferimenti alti (non può mancare Shakespeare) e cadute soap (giusto pensare a Dallas e a Dynasty, ma non a una storia rappresentata «in maniera barocca e volutamente volgare come fosse una telenovela anni Settanta», come goffamente è stato scritto). A dirigere i primi tre episodi lo stesso Danny Boyle, mentre la regia di uno degli episodi ambientati nel nostro Paese è stata affidata a Emanuele Crialese (Sky Atlantic, mercoledì, 21.15). Tra lezioni di old economy ed esercitazioni bunga bunga ante litteram, il «vecchio» Donald Sutherland si dimostra in grande forma: «I Getty e la regina d'Inghilterra non hanno mai contante». Curiosamente, Trust esce a pochi mesi di distanza da Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott basato sulla medesima vicenda, con Christopher Plummer ingaggiato all'ultimo per sostituire Kevin Spacey". (Aldo Grasso)
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