venerdì 9 febbraio 2018
giovedì 8 febbraio 2018
GOSSIP - C'eravamo tanto odiate! AnnaLynne McCord svela odio reciproco sul set di "90210" con Shenae Grimes (ma adesso sono amiche per la pelle...)
AnnaLynne McCord is opening up about about her relationship with 90210 co-star Shenae Grimes and how they didn’t get along while filming the popular series. The 30-year-old actress says that Shenae reached out to her in 2013 when the series ended so that they could end their feud.
AnnaLynne McCord is opening up about about her relationship with 90210 co-star Shenae Grimes and how they didn’t get along while filming the popular series. The 30-year-old actress says that Shenae reached out to her in 2013 when the series ended so that they could end their feud.
“Shenae and I, who played Annie, we were at each other’s throats for five years and the day before we wrapped, Shenae calls me and was like, Hey… I can’t believe it’s over.’ I’m like, ‘Bitch?!’” AnnaLynne said on Wendy.
She explained her behavior, saying, “I just was removed from everything. I had social anxiety and I didn’t know it so it makes you seem like a real, little piece of work.”
“We hash it out the day before we wrap, all five years, and I end up at her wedding in England and now were friends. We have dinner dates. It’s awesome, I love her,” AnnaLynne added about their new relationship.
mercoledì 7 febbraio 2018
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Britannia", non convince il vice "GOT"
"Nell'anno 43 dopo Cristo, l'esercito romano vara una sanguinosa campagna alla conquista della Britannia, dopo quasi novant'anni dal primo, fallimentare tentativo di invasione condotto da Giulio Cesare. L'isola è ostile, con alte e impervie scogliere, e soprattutto abitata da una popolazione tenace di Celti e i Druidi, misteriosi sacerdoti con forti connessioni ai cicli della terra e della luna, capaci di interpretare i segni provenienti da fauna e della flora. Al comando della spedizione c'è Aulo Plauzio, deciso in tutto e per tutto a compiere l'impresa con successo, ma anche appesantito da un segreto torbido che potrebbe bloccargli la strada. Le tribù dei Celti sono divise tra loro e i Romani sperano di approfittare delle lotte intestine per imporre la loro supremazia all'isola. Sono queste le premesse della serie Britannia, una nuova produzione internazionale di Sky arrivata da poco anche in Italia, su Sky Atlantic (lunedì, 21.15). L'impressione avuta dai primi episodi è che la serie cerchi di capitalizzare l'attenzione suscitata in tutto il mondo dal Trono di Spade: per tutti gli orfani della serie che tornerà nel 2019 ci sono non poche strizzate d'occhio all'immaginario fantasy che ha fatto del Trono uno dei più importanti successi televisivi degli ultimi anni. Il racconto di Britannia vorrebbe proporsi come una sorta di romanzo di fondazione della Gran Bretagna, intrecciando storia e mitologia (gli aruspici, i riti di iniziazione druidi e via così). L'impressione è però che, almeno per ora, gli manchi quell'afflato epico che ha fatto del Trono di Spade molto più di un fantasy. Al di là dei diversi budget produttivi (quelli del Trono sono stellari), in Britannia è la scrittura a non convincere pienamente: nei primi episodi la carne al fuoco è tanta, sia in termini di trame sia di personaggi presentati, e si fatica a individuare quale direzione prenderà il racconto". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
"Britannia", non convince il vice "GOT"
"Nell'anno 43 dopo Cristo, l'esercito romano vara una sanguinosa campagna alla conquista della Britannia, dopo quasi novant'anni dal primo, fallimentare tentativo di invasione condotto da Giulio Cesare. L'isola è ostile, con alte e impervie scogliere, e soprattutto abitata da una popolazione tenace di Celti e i Druidi, misteriosi sacerdoti con forti connessioni ai cicli della terra e della luna, capaci di interpretare i segni provenienti da fauna e della flora. Al comando della spedizione c'è Aulo Plauzio, deciso in tutto e per tutto a compiere l'impresa con successo, ma anche appesantito da un segreto torbido che potrebbe bloccargli la strada. Le tribù dei Celti sono divise tra loro e i Romani sperano di approfittare delle lotte intestine per imporre la loro supremazia all'isola. Sono queste le premesse della serie Britannia, una nuova produzione internazionale di Sky arrivata da poco anche in Italia, su Sky Atlantic (lunedì, 21.15). L'impressione avuta dai primi episodi è che la serie cerchi di capitalizzare l'attenzione suscitata in tutto il mondo dal Trono di Spade: per tutti gli orfani della serie che tornerà nel 2019 ci sono non poche strizzate d'occhio all'immaginario fantasy che ha fatto del Trono uno dei più importanti successi televisivi degli ultimi anni. Il racconto di Britannia vorrebbe proporsi come una sorta di romanzo di fondazione della Gran Bretagna, intrecciando storia e mitologia (gli aruspici, i riti di iniziazione druidi e via così). L'impressione è però che, almeno per ora, gli manchi quell'afflato epico che ha fatto del Trono di Spade molto più di un fantasy. Al di là dei diversi budget produttivi (quelli del Trono sono stellari), in Britannia è la scrittura a non convincere pienamente: nei primi episodi la carne al fuoco è tanta, sia in termini di trame sia di personaggi presentati, e si fatica a individuare quale direzione prenderà il racconto". (Aldo Grasso)
Più che #AlteredCarbon è #ILoveDick: nel senso di Philip Dick. Tutto già stravisto. Kinnaman recita in 2 modi: coi vestiti e senza. Barry Mann meritava da protagonista. Ortega simpatica come una electric sheep attaccata ai maroni. Peggior serie del 2018 di @netflix. Voto: 3⃣-
— Leo Damerini (@LeoDamerini) 6 febbraio 2018
martedì 6 febbraio 2018
lunedì 5 febbraio 2018
NEWS - Achtung, compagni! Netflix e Amazon corrono il pericolo della "normalizzazione": dovevano essere rivoluzionarie, rischiano di diventare generaliste
Articolo tratto da "La Stampa"
"Ogni rivoluzione ha la sua normalizzazione. E sembra che alla regola non sfugga una delle grandi rivoluzioni dell'ultimo decennio: quella delle serie tv. L'era pionieristica aperta da Netflix è al capolinea? Speriamo di no, ma i segnali non sono positivi. Erano in pochi, all'inizio, a frequentare quella nicchia di web. Era un po' come entrare in una libreria indipendente e andare alla ricerca di libri fuori catalogo, ululando dalla gioia per un remainder introvabile. Era una comunità ristretta di drogati delle serie web, che si sparavano tutte le puntate in una notte per poi presentarsi in ufficio con le occhiaie. Avevano passato una notte brava e ne andavano fieri. Erano pionieri. E pionieri erano anche quelli che queste serie le pensavano. Le serie in streaming attraevano grandi talenti incuriositi dal nuovo mezzo e che su quei vascelli corsari si sentivano liberi di tentare nuove vie. Essere nicchia aveva i suoi vantaggi. Era il periodo in cui queste serie le vedevano sul computer i pochi fortunati che potevano godere di connessioni Internet abbastanza veloci. Ogni tanto si bloccavano e la rotellina iniziava a girare in mezzo allo schermo. Non restava che attendere che il video si caricasse, non potendo tirare pugni sul televisore, alla vecchia maniera. Poi sono arrivate le fibre, i giga per tutti, le apple tv e tutto il resto, e i carbonari delle serie tv si sono diluiti nel pubblico generalista. Se prima gli spettatori si dividevano tra chi guardava le serie sul computer e chi guardava la televisione tradizionale, ora questa distinzione è sempre meno netta. Una fluidità che non porta bene alla tv in streaming, pare. Gli ex corsari stanno diventando generalisti. Addio sperimentazione. Qualche esempio, per spiegarsi meglio. A novembre Amazon aveva rilasciato l'episodio pilota per una sitcom assolutamente nuova. Si intitolava Sea Oak e schierava un mix di nomi interessante: alla regia Hiro Murai, americano di origine giapponese super premiato per Atlanta e Snowfall. Sceneggiatore George Saunders, vincitore del Man Booker Prize per Lincoln nel Bardo (in Italia pubblicato da Feltrinelli), protagonista Glenn Close. Raccontava la storia di una pensionata uccisa durante una irruzione in casa che torna in vita come un celestiale angelo sterminatore. Roba forte, che non diventerà però mai una serie, perché, appunto, è troppo forte e non va bene per il pubblico generalista. Quindi parola d'ordine normalizzazione. Al posto di George Saunders ecco The Grand Tour, con il trio di machi motorizzati guidati da Jeremy Clarkson: auto, sgommate e bevute di birra. Licenziato dalla Bbc per un pugno a un collaboratore, il gentiluomo è stato ingaggiato per racimolare i milioni di spettatori rimasti orfani di Top Gear (conosciuto come TG, da cui il furbo nome di Grand Tour, che ne ribalta le iniziali in GT). Al posto di chicche come I Love Dick e One Mississippi arriva invece una serie sul Signore degli Anelli, piuttosto dozzinale a giudicare dai trailer, una sorta di trasposizione serializzata di un videogioco da playstation. Addio navi corsare, siamo agli stessi prodotti delle emittenti tradizionali.
Articolo tratto da "La Stampa"
"Ogni rivoluzione ha la sua normalizzazione. E sembra che alla regola non sfugga una delle grandi rivoluzioni dell'ultimo decennio: quella delle serie tv. L'era pionieristica aperta da Netflix è al capolinea? Speriamo di no, ma i segnali non sono positivi. Erano in pochi, all'inizio, a frequentare quella nicchia di web. Era un po' come entrare in una libreria indipendente e andare alla ricerca di libri fuori catalogo, ululando dalla gioia per un remainder introvabile. Era una comunità ristretta di drogati delle serie web, che si sparavano tutte le puntate in una notte per poi presentarsi in ufficio con le occhiaie. Avevano passato una notte brava e ne andavano fieri. Erano pionieri. E pionieri erano anche quelli che queste serie le pensavano. Le serie in streaming attraevano grandi talenti incuriositi dal nuovo mezzo e che su quei vascelli corsari si sentivano liberi di tentare nuove vie. Essere nicchia aveva i suoi vantaggi. Era il periodo in cui queste serie le vedevano sul computer i pochi fortunati che potevano godere di connessioni Internet abbastanza veloci. Ogni tanto si bloccavano e la rotellina iniziava a girare in mezzo allo schermo. Non restava che attendere che il video si caricasse, non potendo tirare pugni sul televisore, alla vecchia maniera. Poi sono arrivate le fibre, i giga per tutti, le apple tv e tutto il resto, e i carbonari delle serie tv si sono diluiti nel pubblico generalista. Se prima gli spettatori si dividevano tra chi guardava le serie sul computer e chi guardava la televisione tradizionale, ora questa distinzione è sempre meno netta. Una fluidità che non porta bene alla tv in streaming, pare. Gli ex corsari stanno diventando generalisti. Addio sperimentazione. Qualche esempio, per spiegarsi meglio. A novembre Amazon aveva rilasciato l'episodio pilota per una sitcom assolutamente nuova. Si intitolava Sea Oak e schierava un mix di nomi interessante: alla regia Hiro Murai, americano di origine giapponese super premiato per Atlanta e Snowfall. Sceneggiatore George Saunders, vincitore del Man Booker Prize per Lincoln nel Bardo (in Italia pubblicato da Feltrinelli), protagonista Glenn Close. Raccontava la storia di una pensionata uccisa durante una irruzione in casa che torna in vita come un celestiale angelo sterminatore. Roba forte, che non diventerà però mai una serie, perché, appunto, è troppo forte e non va bene per il pubblico generalista. Quindi parola d'ordine normalizzazione. Al posto di George Saunders ecco The Grand Tour, con il trio di machi motorizzati guidati da Jeremy Clarkson: auto, sgommate e bevute di birra. Licenziato dalla Bbc per un pugno a un collaboratore, il gentiluomo è stato ingaggiato per racimolare i milioni di spettatori rimasti orfani di Top Gear (conosciuto come TG, da cui il furbo nome di Grand Tour, che ne ribalta le iniziali in GT). Al posto di chicche come I Love Dick e One Mississippi arriva invece una serie sul Signore degli Anelli, piuttosto dozzinale a giudicare dai trailer, una sorta di trasposizione serializzata di un videogioco da playstation. Addio navi corsare, siamo agli stessi prodotti delle emittenti tradizionali.
Netflix non fa di meglio, cassando un altro gioiello come Lady Dynamite, una serie in linea con lo stile degli esordi. Raccontava le surreali avventure della protagonista Maria Bamford, che dopo sei mesi in manicomio per un disturbo bipolare cerca di ricostruire la sua esistenza: la storia è parzialmente basata sulla sua vita vera. Cestinata dopo due stagioni per lasciare spazio ai nuovi 20 episodi di The Ranch, con Ashton Kutcher, serie che si svolge in una famiglia di cowboy del Colorado. Molto yankee e molto trumpiano, poco nello stile del vecchio Netflix.
È la fine di un'era? I segnali ci sono. Confermati da fatti inquietanti, come lo scivolone sul Racconto dell'Ancella. Netflix si è fatta scappare la serie di Bruce Miller ispirata al romanzo di Margaret Atwood che ha poi fatto incetta di Emmy, Golden Globe e altri svariati premi. Hanno poi rimediato accaparrandosi Alias Grace (L'altra Grace), sempre ispirata alla narrativa della Atwood, ma la questione rimane aperta. Intanto - in Inghilterra almeno - la Bbc si muove nella direzione opposta: produce serie come McMafia, ispirato al libro di Mischa Glenny sulle connessioni globali della criminalità organizzata. Se anche non ha lo stesso sapore di lucida follia che caratterizzava la prima web tv di Netflix, non la si può certo catalogare come il prodotto di una emittente tradizionale".
È la fine di un'era? I segnali ci sono. Confermati da fatti inquietanti, come lo scivolone sul Racconto dell'Ancella. Netflix si è fatta scappare la serie di Bruce Miller ispirata al romanzo di Margaret Atwood che ha poi fatto incetta di Emmy, Golden Globe e altri svariati premi. Hanno poi rimediato accaparrandosi Alias Grace (L'altra Grace), sempre ispirata alla narrativa della Atwood, ma la questione rimane aperta. Intanto - in Inghilterra almeno - la Bbc si muove nella direzione opposta: produce serie come McMafia, ispirato al libro di Mischa Glenny sulle connessioni globali della criminalità organizzata. Se anche non ha lo stesso sapore di lucida follia che caratterizzava la prima web tv di Netflix, non la si può certo catalogare come il prodotto di una emittente tradizionale".
Etichette:
Alias Grace,
Amazon,
Atlanta,
Glenn Close,
I Love Dick,
L'EDICOLA DI LOU,
Lady Dynamite,
Netflix,
network,
NEWS,
One Mississippi,
PICCOLO GRANDE SCHERMO,
Sea Oak,
Snowfall,
The Ranch
domenica 4 febbraio 2018
GOSSIP - Non le Mandy a dire! La Moore di "This Is Us" descrive Milo Ventimiglia "senza limiti" dalla cover di "Cosmopolitan"
On how she’d describe her This Is Us co-stars with one word:
·Milo Ventimiglia: Boundless (+ just the greatest in every way)
·Chrissy Metz: Spectacular (one of the funniest / crazy talented)
·Sterling K. Brown: Majestic (brilliant doesn’t even cover it)
·Justin Hartley: Magnificent (+ tall + utterly handsome)
On This Is Us: “Before I got the part, I was making massive changes in my personal life and was looking to echo that in my work. I was waiting for something different that would allow me to dig deep. I knew I was capable, but I couldn’t get any momentum, and I had just been crushed by three failed pilot seasons. When I read the script for This Is Us, I told my agent, “I will do absolutely anything to be a part of this.””
Mandy Moore is looking smokin’ on the cover of Cosmopolitan magazine’s March 2018 issue.
Here’s what the This Is Us star had to share with the mag:On how she’d describe her This Is Us co-stars with one word:
·Milo Ventimiglia: Boundless (+ just the greatest in every way)
·Chrissy Metz: Spectacular (one of the funniest / crazy talented)
·Sterling K. Brown: Majestic (brilliant doesn’t even cover it)
·Justin Hartley: Magnificent (+ tall + utterly handsome)
On This Is Us: “Before I got the part, I was making massive changes in my personal life and was looking to echo that in my work. I was waiting for something different that would allow me to dig deep. I knew I was capable, but I couldn’t get any momentum, and I had just been crushed by three failed pilot seasons. When I read the script for This Is Us, I told my agent, “I will do absolutely anything to be a part of this.””
On the current climate in Hollywood: “We’re having a real cultural reckoning—one that’s definitely past due. Men have been using their positions of power to take advantage of women, and it’s so prevalent…I can only hope that what’s happening encourages more women [to speak out] and it serves to put women in more powerful positions across the spectrum and in entertainment specifically…as studio heads, directors, writers, and produces. I think it’s going to help women ascend to the top faster.” For more from Mandy, visit Cosmopolitan.com.
Iscriviti a:
Post (Atom)