sabato 2 marzo 2019

PICCOLO GRANDE SCHERMO - Successo sul serial! Se 4 attori su 4 vincitori degli Oscar sono legati alle serie tv...

Articolo tratto da "Il Foglio"
"Gli Oscar cancellano la linea che separa il cinema dalla televisione", scrive Deadline. Non c'entra "Roma" di Alfonso Cuarón. Né Guillermo del Toro, l'altro messicano che ha conquistato Hollywood: oltre a "Pinocchio" - film d'animazione, proprio mentre la Disney ha rifatto live "II Re Leone" e pure "Dumbo" - si sta dando parecchio da fare con le serie. C'entrano i quattro attori che hanno vinto gli Oscar: i protagonisti Olivia Colman e Rami Malek, i non protagonisti Regina King e Mahershala Ali (già la seconda statuetta in tre anni, dopo "Moonlight"; possiamo solo augurargli buona fortuna: ne aveva vinte due, a distanza ravvicinata, la sparita Hilary Swank). Tutti e quattro hanno la loro serie televisiva. Mai sarebbe successo, fino a qualche decina di anni fa. Lavoravano in televisione solo gli attori che avevano cominciato la carriera in televisione. 0 quelli che avevano cominciato al cinema, ma non erano riusciti a sfondare. "Ci sarebbe qualcosa in televisione", sussurrava l'agente. L'attore contrariato faceva un segno per dire "ma neanche per sogno, piuttosto muoio di fame". Dustin Hoffman in "Tootsie" va all'audizione per una serie televisiva quando ha perso ogni speranza di lavorare in teatro. A quel punto, travestirsi da occhialuta signora di mezza età era il male minore. Quattro attori premiati con l'Oscar 2019 su quattro. E sono serie di primissima scelta, non vecchi programmi ricuperati per godere di luce riflessa: quanti avevano sentito il nome di Olivia Colman, The Crown" - su Netflix prima di ammirarla in "La Favorita"? (e chi se la ricordava da "Broadchurch"?). Nella terza stagione di "The Crown" verso la fine del 2019 - Mrs Colman sarà la Regina Elisabetta, ricevendo il testimone da Claire Foy. Siamo nel 1964, è nato il principino Edoardo, l'intero cast è cambiato: "A trent'anni si cammina in maniera diversa che a 50", fa notare lo showrunner Peter Morgan. E invecchiare gli attori con trucchi pesanti non usa più. Le prime foto mostrano Olivia Colman con il cappottino arancione bordato di pelliccia, avrà già imparato a fare "ciao ciao" con la manina.
La prima volta che abbiamo visto Rami Malek, spuntava dal cappuccio della felpa, con gli occhi spiritati, nella serie "Mr Robot" di Sam Esmail. Trafficava con l'informatica, viveva una topaia, era preso di mira dal Mr Robot del titolo, anarchico-insurrezionalista (altisonante per "sfegato in guerra con il mondo") che voleva cancellare i debiti dei poveri con le banche, e distruggere qualche multinazionale cattiva. Si avvertiva anche un sentore di pillola rossa in stile "Matrix": siccome siamo contrari, e preferiamo le superfici alla profondità, siamo passati ad altre serie. Ma per colpa degli occhi spiritati non siamo riusciti a divertirci con "Bohemian Rhapsody": altro che Freddie Mercury, era sempre il confuso e infelice Rami Malek.

Mahershala Ali è nella terza stagione di "True Detective", con Stephen Dorf. Con successo, a giudicare da quel che si legge e si dice in giro (su Sky Atlantic, anche on demand e in versione originale, pronta per quando avremo il tempo di vederla).
Regina King, tra i quattro la meno conosciuta - l'Oscar è arrivato per "Se la strada potesse parlare" - sarà in "Watchmen", la serie di Damon Lindelof in arrivo su Hbo. Per non farsi mancare nulla, e per non irritare Alan Moore - l'autore del fumetto illustrato da Dave Gibbons, sempre scontento quando il cinema adatta cose sue - ha scomodato il Vecchio e il Nuovo Testamento. Lindelof ha provveduto al Nuovo, che non toglie di mezzo il Vecchio, ma si prende parecchie libertà". (Mariarosa Mancuso)

venerdì 1 marzo 2019

NEWS - Ultima ora! Dylan-iati dalla fatalità: Luke Perry colpito da ictus (in gravi condizioni) nel giorno dell'annuncio del reboot di "Beverly Hills 90210"

News tratta da "Il Giornale"
E' stato il tempo delle mele americano, la soap adolescenziale più longeva della tv, gli amori, capricciosi e umorali, le amicizie, le avventure dei teenager anni Novanta di Beverly Hills, Beverly Hills 90210 appunto, la capitale della moda e delle bellezza yankee, la prigione dorata dei divi di Hollywood con la sua Rodeo drive dalle vetrine scintillanti e dagli abiti che costano come un monolocale. Beverly Hills 90210, 90210 è il codice postale di Beverly Hills, è stata la prima serie tv davvero dedicata alle vite degli adolescenti, meno popolare di Happy Days, ma più di Genitori in blue jeans, erano le macchine decapottabili, le ville con piscina e i country club della meglio gioventù, qualcosa, e qualcuno, da sognare. Dylan, cioè Coy Luther Perry III, conosciuto come Luke Perry, il bello e impossibile della serie, ha smesso da un po' di essere il sogno erotico della ragazzine in piena esplosione ormonale. Lui, come le sue fans, ha superato i cinquanta, e del ribelle e dannato che era in tv, non è riuscito a liberarsi più. Da allora solo qualche parte defilata, qualche comparsata nelle serie tv, persino un cinepanettone con Boldi e De Sica dove interpreta se stesso, oggetto del desiderio ragazzino di una giovanissima Cristiana Capotondi. Adesso era impegnato nelle riprese della serie Riverdale, fa il padre di Archie, Fred Andrews, il viso che faceva sobbalzare le adolescenti alzando appena il sopracciglio ora è tormentato e barbuto. Ieri ha avuto un ictus e al momento è ricoverato in ospedale in gravi condizioni. La richiesta di soccorso, racconta il sito Tmz, sarebbe arrivata alle 9.40 di ieri mattina dalla casa di Perry, nel quartiere di Sherman Oaks a Los Angeles in California. Il malore, precisa sempre Tmz, lo ha colpito proprio nel giorno in cui la Fox ha annunciato il reboot di Beverly Hills, 90210., anche se Perry aveva deciso di non far parte del cast come la collega Shannen Doherty, quella che interpretava Brenda, la star della serie. Poco si sa su cosa gli sia successo e come. Un portavoce dell'attore ha confermato a People il ricovero, spiegando che «Perry è attualmente sotto osservazione». Le prossime ore dovranno dire quali sono i danni cerebrali riportati. Non c'è ragazzo che non abbia visto almeno una delle serie. Non c'è ragazza che ora non preghi per lui.

giovedì 28 febbraio 2019

NEWS - Auditel, la presa per il culo infinita! Ennesimo annuncio di voler monitorare ascolti tv da tablet, smartphone e pc: dal 2017 promessa mai mantenuta (vedi QUI)! Anche gli ascolti di Netflix campionati da una società (Auditel) partecipata da Rai e Mediaset...ma che, davvero? E' come se Wanda Nara giocasse al posto di Icardi...

News tratta da "Il Fatto Quotidiano"

L'attesa spasmodica con cui il mondo della televisione tutte le mattine alle dieci attende col fiato sospeso i dati Auditel dei programmi del giorno prima raddoppierà: si aspetteranno anche le percentuali delle 5 di pomeriggio. Sarà all'ora del the, infatti, che saranno resi noti i dati di ascolto sugli strumenti extra televisivi: pc, tablet, smartphone e smart tv. E' questa la rivoluzione dell'Auditel in arrivo tra pochi mesi (n.d.r.: annunciata dal 2017 e mai messa in atto! Vedi QUI), forse già prima dell'estate o, al più tardi, in autunno. Monitorare il pubblico tv non solo sull'apparecchio tradizionale, ma pure sugli altri device di casa in modo da intercettare una platea televisiva ora assolutamente sfuggente formata soprattutto da giovanissimi. Così da raggiungere quella che gli addetti ai lavori chiamano "total audience" che, secondo gli esperti, farà aumentare del 3-4% il pubblico televisivo: un pubblico che già esiste, ma non viene monitorato. Una vera e propria rivoluzione, che questa mattina sarà illustrata a Montecitorio dal presidente Auditel, Andrea Imperiali, durante la relazione annuale. Dopo l'allargamento del panel nel 2017 (il cosiddetto super panel, il più ampio d'Europa), sono 16.100 le famiglie italiane che hanno in casa il rilevatore Auditel, per un totale di 41 mila persone. Di queste, 10 mila saranno le case in cui verranno monitorati - tramite l'indirizzo Ip - anche gli altri strumenti tecnologici con cui si possono vedere programmi tv sulle varie piattaforme. Se dunque una persona guarda un evento sportivo in streaming oppure un film su Raiplay, Sky o Netflix, sarà intercettato e andrà a completare l'audience totale. Ma anche guardare un video su Youtube, Facebook o Google, per esempio una canzone di Sanremo targata Rai, avrà valore. L'operazione di monitoraggio è più complessa, per questo ci vorrà qualche ora in più e i dati usciranno alle 5 di pomeriggio. Per quanto riguarda i festivi, invece, i dati saranno diffusi il primo giorno lavorativo utile. "Tutto ciò permetterà il monitoraggio di un pubblico televisivo che ora sfugge completamente, come i giovanissimi, così da avere una mappatura il più completa possibile di chi guarda la tv e in che modo", spiegano dall'Auditel, società partecipata da Rai, Mediaset e Unione pubblicitari. E di "total audience" ha parlato qualche giorno fa anche l'amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini. "Si deve passare a un sistema di valutazione del prodotto più completo, che coinvolga piattaforme diverse. Bisogna arrivare alla cosiddetta total audience", ha sottolineato il numero uno di Viale Mazzini in un convegno a Montecitorio.
La novità, però, qualche apprensione la crea, perché è proprio sui dati di audience e di share, diversificati per età e tipologia sociale, che viene stabilito il mercato pubblicitario, con i piani tariffari che i canali sottopongono agli inserzionisti. La rivoluzione dell'audience potrebbe avere come prima conseguenza proprio il cambiamento dell'offerta pubblicitaria. Se il valore del mercato degli spot in tv vale circa 10 miliardi l'anno, l'ampliamento del pubblico determinerà lo spostamento di 300-400 milioni di euro. Non proprio bruscolini. E a vincere la sfida saranno quei canali già pronti alla sfida digitale. Per esempio, chi dai propri programmi già estrae pillole da 2 a 4 minuti da mettere, per esempio, sul proprio sito o su Youtube. "Il pubblico televisivo non è in calo, malatvè fruitaattraverso altri strumenti. Ed è anche a questo pubblico che noi dobbiamo parlare", spiegano da Viale Mazzini. Dove, come a Mediaset e in tutti gli altri canali nazionali, ci si prepara alla rivoluzione, che gioco forza inciderà anche sull'offerta televisiva, con cambi su contenuti e palinsesti.

martedì 26 febbraio 2019

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Suburra" 2, il cuore di Roma ancora più nero
"Un'ambientazione, se possibile, ancora più nera e cupa di quella cui eravamo abituati. Il lancio della seconda stagione di Suburra (Netflix) ci consegna una Roma in cui il lato oscuro del crimine, del malaffare e delle relazioni tra i protagonisti s'impone come cifra dominante del racconto. Dal litorale di Ostia, le vicende si spostano progressivamente dentro le mura della città, imprimendo alla serie un crescendo di tensione, di azione, ma anche di complicazioni narrative. Le trame delle famiglie Adami, Anacleti e Marchilli s'intrecciano tra loro, così come i disegni di Samurai (Francesco Acquaroli) e Sara Monaschi (Claudia Gerini), revisore contabile per conto del Vaticano. Il secondo atto di Suburra lavora principalmente per accumulo: i traffici criminali, infatti, s'inseriscono in uno scenario in cui emergono alcuni temi tipici del recente crime all'italiana, quali i legami con la politica (le vicende si svolgono nel pieno della campagna elettorale per il sindaco e il rinnovo del Consiglio comunale di Roma), l'opacità del sistema religioso, l'ascesa — contrastata e contraddittoria — del potere femminile, i fenomeni d'attualità come la gestione dei migranti e i conseguenti business illeciti che la circondano. In questo senso, Suburra si colloca a metà tra Romanzo Criminale (la «presa» di Roma e quel «sto a svoltà» di Aureliano) e Gomorra, pur senza la stessa qualità di scrittura. L'operazione di Netflix riesce tuttavia a costruire un brand potente e riconoscibile, autonomo dai prodotti cui s'ispira, che rielabora le esperienze editoriali precedenti (il romanzo, il film) articolando in tutta la sua crudezza un «mondo di mezzo» romano tragico ma tremendamente reale, reso ancora più impeccabile dalla regia di Andrea Molaioli (almeno nei primi episodi) e nel quale spicca l'interpretazione di Alessandro Borghi". (Aldo Grasso)

lunedì 25 febbraio 2019

NEWS - Achtung, compagni! La tv on line ha raggiunto quella satellitare ed è pronta al sorpasso in nome dell'"effetto Netflix"

Articolo tratto da "Affari&Finanza"
La corsa frenetica ai contenuti originali per saziare i divoratori di film e serie tv, la competizione sbilanciata e agguerrita tra gli operatori tradizionali e i colossi online, la ricerca affannosa del perfetto equilibrio tra quantità e qualità, l'apertura multiservizio del consumatore digitale e infine la difficile ma possibile riscossa dei piccoli player. Chi crede che la rivoluzione digitale si sia già abbattuta definitivamente sul mercato televisivo è ancora in tempo per rimettere in discussione le proprie convinzioni, se non altro perché non abbiamo ancora visto nulla. E ciò vale in modo specifico per il mercato televisivo italiano, uno degli ultimi a esser stato bagnato da questa rivoluzione a macchia d'olio. L'avanzata inarrestabile della televisione in streaming e on demand trainata dai giganti tecnologici, e in particolare da Netflix, è il fenomeno con la effe maiuscola degli ultimi anni. Basta anche solo osservare il profondo mutamento delle modalità di consumo di contenuti televisivi, ormai fruibili quando, come e dove vogliamo, per renderci conto di quanto stiano cambiando i paradigmi competitivi. A quanto pare siamo però solo in presenza delle prime avvisaglie di un vero e proprio tsunami digitale. Secondo il termometro del settore televisivo italiano contenuto nell'ultimo rapporto di ITMedia Consulting, che non a caso cita nel titolo un vero e proprio "effetto Netflix", la televisione online sta infatti sottraendo anno dopo anno utenti e mercato al digitale terrestre e alla pay-tv satellitare. Ed entro il 2020 l'offerta televisiva trasmessa in banda larga raggiungerà circa 8,5 milioni di abitazioni, cioè oltre 5 milioni in più di quelle raggiunte lo scorso anno, per un tasso di crescita media annua del 25%. Ciò significa che alla fine del prossimo anno i player della tv online (da Netflix ad Amazon, da Tim Vision a Chili, passando per la Now TV di Sky, Infinity e altri) arriveranno a contare il doppio degli abbonati satellitari conquistati da Sky dopo 15 anni di attività. Questa spinta cambierà anche gli equilibri delle modalità di accesso ai contenuti, segnando forse un punto di non ritorno: la tv a pagamento sorpasserà la tv gratuita come modalità primaria, salendo dal 42% delle famiglie italiane dello scorso anno al 55% entro il 2020. Si preannuncia un sorpasso storico anche all'interno della stessa famiglia dei contenuti pay, sempre in termini di penetrazione: entro il prossimo biennio, infatti, la televisione online diventerà il canale primario di accesso ai contenuti a pagamento, registrando così un fulmineo balzo dal terzo e ultimo posto alla prima posizione in tre anni. Insomma, siamo in presenza di un fenomeno di assoluto rilievo che tra l'altro si sta estendendo dai Millennials a ogni generazione.

«Il mercato italiano del video on demand è un mercato giovane ma ha già raggiunto un numero di utenti paragonabile a quello di Sky. E non è un risultato da poco se pensiamo che Mediaset Premium ha impiegato anni per conquistare la metà degli utenti della pay-tv rivale. Ecco perché ormai anche i broadcaster sono spinti a posizionarsi sul segmento online», sottolinea Augusto Preta, fondatore e ceo di ITMedia Consulting, contestando la riduzione del successo degli Over-the-top alla competitività dei prezzi degli abbonamenti mensili, in alcuni casi persino inferiori alla doppia cifra: «I fattori di successo di queste piattaforme non sono legati esclusivamente al prezzo, anche perché il prezzo stesso è in realtà la sintesi di una capacità più ampia di conquistare e fidelizzare il pubblico in maniera più efficace. Questa è la vera peculiarità di Amazon, Netfiix e degli altri big del video on demand che non hanno bisogno di investire grandi cifre sull'acquisizione di abbonati, come invece devono fare gli operatori tradizionali». Tra i vantaggi competitivi degli operatori online rientra anche la capacità di sfruttamento dei dati generati dagli spettatori online. Analizzando continuamente le scelte, i gusti e le preferenze degli utenti è infatti possibile suggerire il contenuto più adatto a ogni profilo. E soprattutto avere il polso della domanda: non proprio un aspetto secondario, specialmente quando si tratta di allocare il budget sulla creazione dei contenuti originali. Quest'ultimo punto interessa ovviamente pure gli operatori tradizionali, tanto che in questo senso va letta la recente stagione di fusioni e accordi: «Avere più utenti significa avere più dati, cioè conoscere meglio il proprio pubblico. La dimensione è un fattore fondamentale di competitività. I concorrenti diretti degli over-the-top sono i big, da Disney ad ATeT post fusione con Time Warner passando per la Sky acquisita da Comcast, perché hanno la capacità di unire un pubblico da centinaia di milioni di utenti. Del resto, non si può competere contro chi ha pianificato investimenti miliardari sui contenuti investendo 100 milioni».
Queste dinamiche stanno interessando anche il mercato televisivo italiano. Nel nostro Paese il segmento online sconta un ritardo non indifferente rispetto ad altri grandi Paesi europei: non a caso, rileva ITMedia Consulting, ancora non si assiste alla sottrazione di abbonati alle pay-tv che invece si sta verificando negli Usa o nel Regno Unito. I grandi broadcaster si stanno comunque attrezzando: ad esempio, Mediaset e Rai stanno puntando sulle partnership con gli operatori stranieri per costruire una dimensione più ampia di pubblico e offerta. E sembra esserci qualche margine di conquista anche per i piccoli operatori: «La predisposizione degli utenti online a sfruttare contemporaneamente più servizi in streaming e on demand gioca a favore dei player minori. Se prima era impossibile competere con i grandi, ora è difficile ma possibile, anche perché il mercato digitale è destinato a crescere ulteriormente. Almeno sulla carta, ci sono quindi opportunità di posizionamento per tutti. Credo però che sul lungo periodo la tendenza al consolidamento si farà sentire».

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