Articolo di Giovanna Grassi sul "Corriere della Sera"
LOS ANGELES - Non ha dubbi Tom Hanks: «Dal passato al presente, la Storia d' America si può raccontare attraverso le sue guerre. Oggi che il mio Paese è di nuovo e ancora una volta in guerra, uno dei conflitti paradossalmente più brutali e sconosciuti alla nostra cultura, quello del Pacifico contro il Giappone, che cominciò per gli Usa dall' attacco contro Pearl Harbor, traccia, nei dieci episodi della miniserie televisiva The Pacific, un parallelo con il Medio Oriente e con la cultura musulmana». «Prima di ogni altra cosa - osserva - The Pacific affronta le storie degli uomini, e tanti furono i marines spesso poco più che diciassettenni, inviati su un fronte fatto di isole e giungle a loro totalmente estranee. Come lontana da tutti loro era la cultura giapponese, dove il dualismo "uccidere o essere uccisi" implicava anche il suicidio piuttosto che la resa». La prima delle dieci puntate prodotte da Hanks e Steven Spielberg per la HBO è stata trasmessa domenica sera (in Italia si vedrà a maggio su Sky) e Time ha dedicato la copertina ad Hanks, «l' uomo che vuole ridefinire il nostro passato». «Lo ammetto - dice lui - questa copertina mi ha inorgoglito e l' ho messa ben in vista per i miei figli, che come tutti i ragazzi, chiedono spesso ai videogames giochi da eroi. Ma The Pacific non ha niente a che fare con un videogame». Dopo quattro anni di preparazione e di ricerche per il progetto, 19 mesi di riprese in Australia - un anno e mezzo della sua vita - Tom sorride quando ricorda che la scorsa settimana ha avuto il compito di annunciare la vittoria di Kathryn Bigelow all' Oscar per The Hurt Locker: «Ma l' ho fatto con scarne e soddisfatte parole». Il ragazzo che faceva ridere gli americani con le sue commedie e che poi li ha commossi con il Vietnam di Forrest Gump (1994) ammette: «Da studente non amavo troppo la storia e al cinema preferivo vedere guerre spettacolari e sensuali come l' indimenticabile Da qui all' eternità». Oggi però, a 53 anni, è diventato un appassionato di Storia. Ed è più orgoglioso dei premi conquistati con la miniserie Band of Brothers (sempre la II Guerra Mondiale, ma sul fronte europeo) che dei due Oscar conquistati prima. Accenna appena all' imminente inizio delle riprese di Larry Crowne, che lo aspetta come regista e protagonista assieme a Julia Roberts, e preferisce parlare delle polemiche che si aspetta da The Pacific: «Qualcuno avrà senz' altro da ridire per la brutalità di tante scene, con riprese di esplicita ripugnanza...». Ma cosa le dispiacerebbe più di ogni altra cosa? «Non vorrei mai e poi mai che la serie televisiva venisse giudicata un film di propaganda». E invece cosa vorrebbe che The Pacific suggerisse agli spettatori? «Mi auguro, in primis, che la serie sia vista soprattutto dai giovani». Una platea che sembra rifiutare i film di guerra... «Perché nessuno più si identifica in questi film, a differenza di ciò che accadde con Patton, tanto amato da Nixon; con l' epico Il cacciatore che raccontava di un' amicizia tra uomini; con il pacifista Tornando a casa.... Dopo l' 11 settembre, in questi lunghi anni di conflitto, la platea non riesce più a trovare alcun idealismo, al di là di un certo discusso patriottismo, nelle svanite "giuste cause", che hanno tolto l' idea del consenso». Poi tiene a raccontare come è nata l' idea di questa serie: «Spielberg e io, dopo Band of Brothers e Salvate il Soldato Ryan, abbiamo ricevuto centinaia di lettere, non solo di veterani. Molte ci chiedevano di affrontare la guerra nel Pacifico, le battaglie di Guadalcanal, di Iwo Jima, di Cape Gloucester nelle isole di Peliliu e Okinawa. E' stato un appassionante lavoro di ricerca e documentazione. Tutto quello che abbiamo realizzato è basato su autentiche memorie di guerra ed è stata diretta in Australia da quattro registi. Io poi ho dato la mia voce per raccontare alcuni spezzoni di repertorio. I protagonisti sono tre sono marines: Robert Leckei (l' attore James Badge Dale), Eugene Sledge (Joseph Mazzello, che da bambino aveva lavorato con Spielberg in Jurassik Park) e John Basilone (Jon Seda), che era il decimo figlio di una famiglia di immigrati italiani, una storia che da sola meriterebbe un intero film. L' ultimo episodio affronta il problema del reinserimento dei reduci e a esso tenevo particolarmente». Se dovesse dare una definizione sintetica del risultato ottenuto con The Pacific, che cosa direbbe? «E' un lavoro contro ogni guerra, non patriottico né edulcorato. Cerca la verità e non nasconde nulla dell' orrore del conflitto. Pone domande: perché sono qui? perché uccido? per cosa combatto? Ciò che a me e a Spielberg stava più a cuore di raccontare è la devastazione prodotta dalla guerra. Molti attori, come del resto io stesso e Steven, hanno padri o nonni che avevano combattuto quella guerra. Che senso ha la vittoria se perdi te stesso e impari soprattutto a odiare il nemico?».