Articolo tratto da Vice.com
La scorsa settimana la Guardia di Finanza, su disposizione del gip del Tribunale di Roma, ha effettuato il più grande oscuramento congiunto di siti illegali che offrono contenuti in streaming e download. In poche ore è stato impedito l'accesso a più siti internet che nei tre anni precedenti, ma non è soltanto il numero a far pensare che ci sia stato un giro di vite significativo nella lotta alla pirateria online. Le nuove misure, infatti, cercano di risalire a ritroso la china del denaro ottenuto da questi siti per rintracciare gli individui che vi si nascondo dietro. Questo cambiamento di strategia sarà realmente in grado di mettere fine all'epoca in cui ogni singolo contenuto video era reperibile gratis online con estrema facilità? E al di là di questo, le conseguenze riguarderanno solamente i fornitori di questi servizi illegali? Cosa rischia effettivamente chi scarica un film illegalmente—e magari lo ricondivide in sistemi di peer-to-peer—o lo guarda direttamente in streaming?
Per capirlo ho contattato l'avvocato Fulvio Sarzana, esperto in diritto delle nuove tecnologie, che da anni cura un blog in cui si occupa di questi temi. Ho cercato di riassumere quello che mi ha detto in una serie di punti principali, in modo da sintetizzare la situazione della pirateria online e dei rischi reali che si corrono utilizzandola in Italia.
Innanzitutto si deve distinguere il tipo di comportamento degli utenti che utilizzano questi contenuti: "la norma approvata nel 2005 in materia, che ha introdotto sostanzialmente nel nostro ordinamento le fattispecie di downloading e uploading di materiale protetto dal diritto d'autore su internet, pone una differenza sostanziale," mi ha detto l'avvocato Sarzana. Di fatto, chi guarda film o serie tv in streaming, o compie un download per utilizzo personale e singolo, non rischia praticamente niente. E questo anche per una semplice questione pratica: "le forze dell'ordine sono principalmente concentrate nell'individuazione di coloro che offrono questi servizi—tentare di perseguire migliaia di utenti sarebbe veramente complicato—ed è quindi l'upload a rappresentare la differenza sostanziale per il rischio di essere individuati."
Visto che l'utente che compie download non risponde, se non con delle sanzioni amministrative abbastanza blande, il tipo di servizio che utilizza non fa alcuna differenza. Sia che utilizzi un sito illegale per guardare una partita di Champions in streaming, sia che scarichi la prima stagione di Narcos. Per come stanno le cose, insomma, fruire di questi contenuti senza condividerli su internet allontana realmente ogni potenziale ritorsione legale, anche se in teoria si sta comunque compiendo un illecito che prevederebbe una sanzione amministrativa. "In altri paesi, invece, come la Francia, si arriva anche a tagliare la rete internet a chi scarica".
Se è l'upload a fare la differenza, resta comunque da capire cosa rischiano tutti gli utenti che partecipano ai circuiti di peer-to-peer. In questo caso, è la finalità dell'upload a essere discriminante.
"Chi immette su sistemi di file-sharing contenuti protetti dal diritto d'autore, senza scopi di lucro, rischia una sanzione penale. Ma è una sanzione di tipo pecuniario—fino a 2065 euro—che non prevede la reclusione."
I provider che ci danno accesso a internet conservano tutti i nostri dati di navigazione, e questo teoricamente potrebbe essere un fattore importante.
"Questi dati vengono utilizzati dalle grandi major per monitorare, più o meno legalmente, il compimento di determinati comportamenti. In realtà sarebbero dati protetti dalla privacy, però si discute da tempo—senza che qualcuno abbia mai portato prove reali—sul fatto che alcune società riescano a sapere quali sono gli utenti che scaricano."
Il Caso Peppermint, da questo punto di vista, è abbastanza significativo: l'etichetta discografica tedesca nel 2006 accusò più di 3.600 utenti per aver illegalmente condiviso file su cui esercitava il diritto d'autore, con la complicità dei loro provider. Il Garante della privacy, però, stabilì l'illegalità dei dati raccolti.
Per quanto riguarda invece l'ipotetico pericolo che qualcuno utilizzi una rete wi-fi pubblica—oppure sottraendo la password a un privato—per scaricare file protetti da diritto d'autore o per gestire il proprio sito di sharing, la normativa non prevede sanzioni a carico di coloro che posseggono la linea. "La responsabilità del provider si riferisce all'hosting, e quindi colui che risponde dell'infrazione è l'utente".
Al di là della mole di siti sequestrati, quest'ultima operazione della Guardia di Finanza prevede anche un salto di qualità nel tipo di procedimento utilizzato per perseguire coloro che lucrano grazie a questi siti.
"Le Forze dell'Ordine vogliono innanzitutto riuscire a identificare chi opera dietro questi siti grazie ai flussi di denaro, e dimostrare che spesso questi individui si trovano in Italia. Per poi contestargli una serie di reati congiunti."
Questo tipo di provvedimenti potrebbe insomma portare alla fine del meccanismo secondo il quale un sito sequestrato viene riaperto dopo poche ore utilizzando un altro url, perché finalmente si arriverebbe a individuare i responsabili. Con l'inasprimento delle conseguenze, poi, ci sarebbe probabilmente una diminuzione netta dell'offerta. In realtà, però, non si può essere così netti nel decretare l'imminente morte del fenomeno.
Secondo Sarzana, però, lo sviluppo della questione coinvolge anche altre dinamiche. "Uno dei problemi reali che alimenta la pirateria online, però, rimane intatto: ovvero l'inadeguatezza dei servizi legali. Se non cambieranno questi servizi—rendendoli cioè più accessibili, funzionali, ed economici—sarà difficile arginare totalmente il fenomeno."