L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA STAMPA
Con "Westworld" conta più l'atmosfera che il resto
"L'ultimo giocattolo della tv si spinge in una zona d'ombra difficile da
decifrare. Westworld, ambiziosa serie della Hbo in onda in
contemporanea negli Stati Uniti e in Italia, porta nel titolo, «Dove
tutto è concesso», le istruzioni per l'uso. Solo che la mappa è molto
meno chiara di quanto possa sembrare. L'elaborato parco dei divertimenti
a tema western si trasforma ogni dieci minuti in un bagno di sangue
festeggiato con stupri e violenze. E il limite non esiste perché tutta
questa brutalità, venata di vago romanticismo e interrotta solo da
lunghe occhiate languide, non si sfoga contro degli esseri umani ma
contro delle sofisticate macchine. Quindi, appunto, vale tutto. Molti
personaggi non fanno che ripeterlo ad amici più timidi: «E disegnato
apposta per farti divertire, lasciati andare, non è reale» ed è pure
girato per non essere mai neanche vagamente verosimile. Non esiste
nemmeno una realtà contemporanea
da contrapporre alla mattanza del vecchio west, si vedono solo gli
uomini che vivono dietro al parco e lo controllano e nulla si sa
dell'epoca e del luogo in cui si muovono. Gli androidi dalle sembianze
perfettamente umane stanno quasi tutto il tempo nudi, in officina, dove
una serie di programmatori psicologi, tutti fuori controllo,
impartiscono ordini surreali del tipo: «Togli la parte emotiva». E poi
cancellano ogni giornata dalla memoria dei cyborg. È un fumetto e la
responsabilità non trova radici, scivola, perde di senso. Eppure la
domanda di fondo torna: ma davvero avrebbe senso pagare quasi 40 mila
euro al giorno per poi sparare a tutto quello che si muove e violentare
quel che resta in piedi? Preoccupati che il quesito contagi l'audience,
gli attori iniziano a rivelare trame e dettagli per chiarire che nulla è
gratuito e del resto pure il copione rispecchia l'idea perché segue
letteralmente il percorso di un labirinto che appare fra le mani di
diversi ospiti. Trovare un senso nel disegno della fiction avrebbe poco
senso: da Twin Peaks a Lost ormai si è capito che conta l'atmosfera,
l'idea di fondo. L'evoluzione della storia non è poi così importante in
molta parte delle serie contemporanee. Però, in una scenografia dove il fondale cambia, le
intenzioni pure, i protagonisti si perdono e le menti dietro il progetto
sono logorate dai segreti, dare un peso a quel che è giusto diventa
complicatissimo. Il padre del baccanale, interpretato da Anthony
Hopkins, non aiuta. Tanto memo il visitatore seriale con la faccia di Ed
Harris e nemmeno un nome a disposizione. Per sciogliere qualche nodo e
capire se il fascino supera l'imbarazzo o viceversa bisogna andare alle
radici dell'idea. Westworld è figlio di una visione più arcaica già
diventata film nel 1973 grazie alla regia di Michael Crichton che ha
scritto il soggetto originale. La realizzazione non lo aveva soddisfatto
e in realtà lui si era tolto lo sfizio di un parco degenerato con
JurassicPark, diciassette anni dopo. Gli avevano proposto un remake di
Westworld, ha rifiutato. II primo a cui hanno offerto la direzione del
remake è stato Quentin Tarantino e pure lui ha deciso di stare alla
larga. Più raffinati diventavano i mezzi e più rischioso si faceva il
programma. C'erano tutti gli elementi del fiasco e invece la serie ha
successo. Esordio sopra le aspettative, nessun rimpianto per Game of
Thrones, che ha creato persino casi di inspiegabile
dipendenza, seconda stagione più o meno concordata nonostante i costi.
Il giocattolone perverso funziona, il sangue finto è catartico, peccato
che alla quinta puntata ormai sia chiaro che le intelligenze artificiali
hanno imparato pure a provare emozioni e anche quando vengono resettate
mantengono psichedelici ricordi. Quindi prenderle a pistolettate e
trascinarle per i capelli torna a essere un reato. Non proprio, la
sceneggiatura ci risparmia il voyerismo illecito. Gli ospiti non sanno
che le macchine stanno assimilando sentimenti, se la godono. Con quel
che costa il soggiorno. Il pubblico è adulto e consenziente ed è lo
stesso che chatta on line raccontando frottole in cambio di sesso
virtuale. Il senso di colpa per quel che non è reale lo ha perso almeno
da una generazione". (Giulia Zonca, 31.10.2016)
giovedì 17 novembre 2016
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