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lunedì 3 aprile 2017

PICCOLO GRANDE SCHERMO - Scanzi for President! "I remake di serie tv cult al cinema, tipo CHIPs, sono un sacrilegio. Se fallisce pure Lynch con Twin Peaks chiudete il sarcofago!"

Articolo di Andrea Scanzi su "Il Fatto Quotidiano"
A detta di uno dei diretti interessati, o forse per meglio dire delle vittime: "Sembra una versione soft porn di Scemo e Più Scemo". Parola di Larry Wilcox. Parlava di CHIPs, di cui è stato uno dei due protagonisti ("quello biondo") dal 1977 al 1983. Solo che Wilcox aveva interpretato la serie televisiva, mica il film. Che, evidentemente, gli ha fatto parecchio schifo. Prima di aggiustare un po' il tiro, concedendo alla nuova pellicola una parvenza di decenza, Wilcox ha pure aggiunto: "Ben fatto, Warner Bros! Hai giusto rovinato il brand di CHIPs e di Calif Highway Patrol. Bella mossa!".

Il film CHIPs, girato 34 anni dopo l'ultima puntata della serie, uscirà nelle sale italiane il 20 luglio. L'altro protagonista storico, Erik Estrada cioè Francis Poncharello detto "Ponch", è stato meno duro. Alla prima americana era presente e fa pure un piccolo cameo nel film. Estrada, che l'anno scorso è diventato davvero poliziotto (a 66 anni) per il Dipartimento di Polizia di St. Anthony in California, si è dimostrato assai conciliante. A lui l'idea del reboot cinematografico è piaciuta proprio: "Non stanno insultando nessuno: stanno solo proponendo la loro versione".
Nell'attesa (non esattamente spasmodica) di vedere l'opera e con ciò capire se ha ragione il biondo o il moro, un fatto è certo: c'è una gran voglia di rimpiangere -e addirittura reinterpretare, che è poi in questo caso un riesumare - quel buco nero spesso tremendo che sono stati gli Anni Ottanta. Per carità, è stato un decennio con fiammate qua e là autentiche: nella musica, nel cinema, nella tivù. Solo che quasi sta esagerando. In primo luogo, quando ti riduci a fare il film su CHIPs quarant'anni dopo la prima puntata, certifichi implicitamente che la mancanza di idee nuove del cinema è pressoché accecante. L'esatto opposto delle serie tivù, che rispetto ai tempi di CHIPs hanno fatto passi da gigante. I passi di Lost, di Breaking Bad, di Sons of Anarchy, di True Detective. Eccetera. In seconda istanza, la proliferazione di operazioni-riesumazione legate agli Ottanta non coincide quasi mai con rese qualitative esaltanti. Dodici anni fa è uscito Hazzard. Ve lo ricordate? No? Beati voi. Il film era ispirato alla serie omonima più o meno coeva di CHIPs. Il risultato, per usare un eufemismo, non si rivelò esattamente esaltante. E difficilmente lo sarà il sequel di Magnum PI, altra serie mitica (va be') degli Ottanta. Ci stanno lavorando, uscirà a vent'anni dopo l'ultima puntata e la protagonista sarà la figlia di Thomas Sullivan Magnum IV (o se preferite "Magnum", interpretato da Tom Selleck).
Perché ci mancano così tanto quegli anni? Forse perché eravamo giovani e forse belli, forse perché voltarsi indietro è un gesto che prima o poi viene voglia di fare. Anche solo per vedere l'effetto che fa. Un gesto umanissimo, ma artisticamente - e non solo artisticamente - scivolosissimo. C'è sempre il rischio di rovinare il ricordo, di scoprire quanto nel frattempo tutto sia cambiato: di quanto, per non farla cadere troppo dall'alto, il tempo abbia travolto ogni cosa. Pochi giorni fa si sono commossi in tanti nel vedere la foto di "Starsky" Paul Micheal Glaser che spingeva "Hutch" David Soul sulla sedia a rotelle. Anche gli "eroi" invecchiano, come ci aveva dimostrato inequivocabilmente pure Harrison Ford mostrandoci un Han Solo che, tutto sommato, nell'ultimo Guerre stellari non vedeva l'ora di farsi ammazzare (con quel figlio coglione, oltretutto). Più che rimpiangerli a casaccio, verrebbe solo voglia di lasciare gli Anni Ottanta dove stavano, in quel limbo posticcio tra consumismo frainteso e folgorazione disattesa. Quel poco di bello che c'è stato non può essere ripetuto.
Se n'è accorto perfino Michael Mann, che pure è un genio, quando ha provato a portare al cinema la serie televisiva Miami Vice (di cui era produttore esecutivo): il film, nonostante cast ed effetti speciali, fu una delusione. Meglio poi non parlare dell'obbrobrio che è stato il remake di Point Break, gioiello di inizio Novanta con un Patrick Swayze leggendario: perché replicare un'epifania non replicabile? Non ha senso, non è giusto. Per certi versi è persino sacrilego.
In questa mania tracimante di revival è rimasto invischiato addirittura David Lynch. Ha deciso di riprendere Twin Peaks, quella sì una serie straordinaria, ventisette anni dopo. Ci sono ancora molti attori "originali": di fatto, più che un sequel, ¡proprio la terza stagione che in tanti avrebbero voluto vedere. Solo che nel frattempo è passato un quarto di secolo. Un rischio, un azzardo, una follia. Soltanto Lynch può riuscirci: se fallisce pure lui, per favore, chiudete per sempre il sarcofago di quegli anni.

sabato 18 marzo 2017

GOSSIP - "Starsky&Hutch" per sempre! La favola bella dei due interpreti del poliziesco cult, ancora insieme nelle sofferenze

Articolo tratto dal "Corriere della Sera"

"Erano i poliziotti più simpatici della tv anni Settanta e sgommavano sulle strade della California. Oggi Starsky (Paul Michael Glaser) e Hutch (David Soul) hanno 73 anni, ma sono rimasti amici. Fratelli, dicono loro: così amici che la loro foto a Liverpool per una convention di fan risulta emozionante. Hutch sulla sedia a rotelle, Starsky a spingerlo. In Inghilterra I due attori 70enni erano insieme a Liverpool invitati a una convention di fan. I capelli di Starsky sono ancora ricci come una volta, ma grigi e un po' radi. Il ciuffo biondo di Hutch non c'è più, ma dei tempi belli gli è rimasto almeno il giubbetto scamosciato anche se è costretto sulla sedia a rotelle ed è sparito sotto il peso degli anni e delle medicine anche il sorriso smargiasso che riservava ai testimoni bugiardi come alle ragazze carine di Bay City. Quando i due poliziotti più simpatici della tv Anni 7o sgommavano per le strade della California sulla loro Ford Gran Torino rossa con la striscia bianca e ai ragazzini d'America — e del resto del mondo, la serie fu un sorprendente successo globale — sembrava dal salotto di casa di sentire l'odore di quei pneumatici sull'asfalto. Oggi Starsky e Hutch hanno 73 anni e non sono più quelli di una volta ma neanche noi lo siamo: l'ultimo episodio del loro telefilm è andato in onda nella primavera del 1979, ma sono rimasti amici o, come dicono loro, «fratelli». Ecco perché la foto degli attori Paul Michael Glaser (Starsky) e David Soul (Hutch) a Liverpool per una convention di fan è così emozionante per chi ricorda le loro avventure. Il loro fascino è arrivato nell'era di Internet anche se sulle tv a alta definizione 4K di oggi risulta parecchio sgranato e con l'audio mono un po' gracchiante. In Italia «Starsky e Hutch» debuttarono nel 1979, sulla Rai, quando in America il telefilm era praticamente finito ma qui non lo sapeva nessuno (altri tempi, analogici), e furono molto amati dal pubblico nei bui Anni 70 dominati da una parte dal sanguinario Ispettore Callaghan e dall'altra da Serpico che lottava contro poliziotti corrotti più cattivi dei criminali senza divisa. Starsky e Hutch erano due poliziotti un po' hippie, simpatici e democratici, che non amavano sparare ma preferivano gli inseguimenti in auto e a piedi, e al limite ai cattivi rifilavano qualche sganassone invece di una pistolettata. Due poliziotti-amici che — nel mondo del telefilm era l'assoluta normalità ma in quei tempi fu una rivoluzione — prendevano ordini da un nero, il burbero ma buono (e goloso) capitano Dobey al quale nascondevano gli amati bomboloni. Glaser e Soul in questi quarant'anni: hanno visto il loro telefilm diventare un cult, hanno doppiato i loro personaggi per un videogioco e hanno visto il remake cinematografico di qualche anno fa, con Ben Stiller-Starsky e Owen Wilson-Hutch arrivare nelle sale e uscirne senza far innamorare nessuno: perché, molto semplicemente, si vedeva che loro due erano due amici che sul set si divertivano, Stiller e Wilson erano due attori famosi che recitavano un copione prima di andare a casa ognuno per conto suo. A Liverpool, con Hutch in sedia a rotelle e Starsky a spingerlo, c'era anche Huggy Bear, l'informatore al quale chiedevano sempre una mano: l'attore Antonio Fargas che di Glaser e Soul è rimasto amico, tre moschettieri di un successo di tanto tempo fa (i ragazzi americani conoscono un altro Fargas, Justin: ex giocatore di football, figlio di Antonio). Chi, in questi anni, ha seguito sui giornali e su Internet la carriera dei tre amici — non hanno più avuto un successo così, ma di trionfo, come diceva sempre Orson Welles che dell'ingratitudine di Hollywood se ne intendeva, «ne basta solo uno» per essere ricordati — sa che Soul, che da qualche anno vive in Inghilterra, è malato ma la sorte più terribile è toccata all'amico: Paul Michael Glaser ha visto la prima moglie, la dolcissima Elizabeth, morire nel 1994 per l'Aids contratto nel 1981 da una trasfusione effettuata durante il parto della piccola Ariel, che venne infettata durante l'allattamento e morì a soli sette anni. Chi ha visto tanti episodi di «Starsky e Hutch» fatica a indicare il più bello ma per quello più commovente è facile: un sicario spara alla fidanzata di Starsky e lei, prima di morire, lascia a Hutch il suo orsacchiotto: «Prenditi cura di lui, e diStarsky».

venerdì 3 luglio 2015

PICCOLO GRANDE SCHERMO - Achtung! Il film di "CHiPs" si mette in...moto: Kristen Bell nel cast!

News tratta da "Collider"
We last head about Dax Shepard’s adaptation of CHiPs last September when he commented on the film by saying that it would be more serious than the original TV series, which ran from 1977-1983. However, we didn’t know when California Highway Patrol motorcycle cops Don Baker (Shepard) and Frank “Ponch” Poncherello (Michael Pena) would be hitting the road. Pena said that the project was greenlit two or three weeks ago, which means he’s been preparing for the role:
"I had to start learning how to ride a motorcycle, rehearsing, and then working out. I’ve been throwing up like every day after workouts. I like food, you know? And I also like reading, being on my iPad, no walks in the park; just chilling with my son. We just lounge and this [gestures to stomach] gets bigger".

Pena also revealed that the movie would be set in the present day, and reiterated Shepard’s earlier statement that the film would be in the vein of Lethal Weapon. Specifically, don’t expect a comedy that’s barraging you with jokes:
It’s more like a Lethal Weapon where there’s a lot of action and what we wanted to do is if there’s any comedy that we do, it’s not like one-liners here and there, like we’re the guys always being stand-up comedians. It’s almost like you lose a little bit of the plotline whenever you’re off doing your own comedy thing, so we’re focusing a little more on the plot, if that makes any sense whatsoever.
Following up on his comment about how the movie will be “Lethal Weapon-ish”, he added that they’re going for an R-rating, which should be interesting. At the very least, it looks like they’re definitely avoiding the Starsky & Hutch approach. Finally, Pena also noted that the film will co-star Vincent D’Onofrio and that they’re trying to get Kristen Bell (who’s married to Shepard) for a role, so it looks like they’re putting together a strong cast this adaptation. I have no feelings one way or the other about the CHiPs TV series, but I like these actors, and it sounds like they have a solid take on the material, so I’m excited to see what they do with it.

lunedì 8 settembre 2014

PICCOLO GRANDE SCHERMO - Fate Estrada! Il film di "Chips" si mette in...moto!

News tratta da Deadline.com

Warner Bros has set Dax Shepard to write, direct and star in a screen version of CHiPS, that TV series that ran from 1977-83 and featured two officers who patrolled the highways of California armed with motorcycles and the tightest khaki cop uniforms in television history. Shepard will play Officer Jon Baker (played in the original by Larry Wilcox), while Michael Pena is attached to play Frank “Ponch” Poncherello, the role Erik Estrada originated. Rick Rosner created the NBC series. This is the most serious Warner Bros has been in turning CHiPS into a film. The studio tried it years ago, after That ’70s Show star Wilmer Valderrama showed up in the office of exec Greg Silverman (who’s now running production at the studio). Dressed in the signature tight-fitting uniform, Valderrama merely said, “Funny, right?” — and he walked out with a deal and an intention to play Ponch. Apparently it wasn’t funny enough because while TV shows from that era such as Starsky & Hutch and The Dukes Of Hazzard got movie transfers, CHiPS stalled. The new take is envisioned as much in the tone of Bad Boys and Lethal Weapon than a comedy. Shepard is known mostly in humorous roles and the series Parenthood. He’s actually a professional driver of race cars and motorcycles, and he expects to be performing his own riding and stunts. Andrew Panay is producing, along with Shepard’s Primate Pictures. Rosner will be exec producer, and Warner Bros execs Jesse Ehrman and Nik Mavinkurve will oversee for the studio. Shepard most recently directed and wrote the indie comedy Hit & Run, which he starred in with Kristen Bell. CHiPS will be the first one for a studio.

mercoledì 20 aprile 2011

NEWS - Chiamate Zebra 3! Paul Michael Glaser vittima di una stalker fuori di testa...

A 68 anni suonati come la sirena della Zebra 3 con la quale sgommava in "Starsky&Hutch", Paul Michael Glaser ha fatto una denuncia al tribunale di Los Angeles che sfiora i confini del credibile: una donna minaccerebbe di continuo l'ex riccioluto e adidasato attore. Secondo l'esposto, Glaser sarebbe pedinato di continuo, compreso quando 3 anni or sono andò in Inghilterra per recitare a teatro. La donna, che in origine gestiva il sito ufficiale di Paul, rimarrebbe appostata fuori dalla di lui casa losangelina, oltre a intasargli la email con messaggi che in più di un'occasione sfociano nel delirio (Glaser ha contato circa 500 messaggi in due anni!). "Ho paura per la mia salute", ha confessato l'attore a "TMZ", "e adesso che sto per partire in tour per presentare il mio libro, vorrei che il giudice imponesse alla donna di starmi lontano". Almeno 200 yards, secondo la legge. Altrimenti che qualcuno intervenga a sirene spiegate...

martedì 13 ottobre 2009

LA VITA E' UNA COSA SERIAL - Ottanta Revival: iniezione retrò in attesa del futuro
Chissà se la riforma sanitaria fortemente voluta da Barack Obama entrerà presto nelle sceneggiature telefilmiche. Quale sarà la prima serie ad aggiudicarsela, a sventolarla nei credits, a inglobarla nei plot? Quale titolo si schiererà per primo, pro o contro? “Grey’s Anatomy”, “Dr. House”, “Nurse Jackie”? In attesa di risposte, c’è una gran voglia di ritorno al passato. Non necessariamente con punte di nostalgia. E non solo telefilmicamente parlando. Nella musica son tornati prepotentemente i suoni anni ’80: è un tripudio di synth con La Roux, IAMX, Lady Tron, Little Boots, Junior Boys, Rubicks, Fisherspooner…Provate a mixare “Poker Face” di Lady Gaga con “Sweet Dreams” degli Eurythmics e ne avrete la prova. Tornano in scena pure gli Spandau Ballet, dopo le reunion già salutate da entusiasmo dei Duran Duran, Yazoo, Ultravox, DAF. Torna in auge la New-Wave, addirittura con un festival ad hoc (a Fano, a fine luglio scorso). Stili Eighties anche nella moda: bretelline sottili alla Kajagoogoo, trucchi marcati alla Human League, eyeliner e mega-orecchini alla Visage, t-shirt sotto la giacca con immancabili spalline alla Mazinga-Z. Su Facebook non si contano più i gruppi che rivorrebbero in commercio lo Slaim o la Micronite. Il Subbuteo è più vivo che mai e conta migliaia di praticanti – oltre che di irriducibili fedeli – in tutto il mondo, Italia in primis (si veda: http://oldsubbuteo.forumfree.net/). C’è in giro voglia di leggerezza tipica di quegli anni, ma anche di quella creatività che ha caratterizzato la decade dell’era Thatcher. Il vento mediatico di FoxRetro spira in questo senso. Non è stata tanto una geniale invenzione di marketing, quanto la capacità di intercettare la moda del momento. Voglia di fermarsi, più che di guardarci indietro con la lacrima pronta. E’ come se ci volessimo prendere una pausa in una piazza di sosta per uno spuntino, per poi ripartire più veloci di prima. E’ come quando da bambino non vedi l’ora di arrivare all’autogrill costruito come un ponte, per gustarti i maccheroni al sugo guardando le macchine che passano sotto: dopo l’iniziale stupore che ti distoglie dal piatto fumante, fissi nella memoria una macchina o un camion per vedere se dopo il pranzo ormai freddo li risorpasserai. Scorgi la Ford Torino di Starsky e Hutch o le Ferrari di Magnum P.I. e Sonny Crockett: non vedi l’ora di tornare in macchina e fiondarti nella loro scia. Telefilmicamente, siamo alla finestra, con la faccia incollata al vetro. La sensazione è che viviamo una versione anni ’80 di “Life on Mars”. Le storie dei nuovi titoli d’Oltreoceano sembrano voler raccontare meno la realtà quotidiana, quella sociale e quella politica, per farle semmai emergere dai volti dei protagonisti, dalle loro vicende personali. A piccole dosi, di sguincio. In passato, nel recente passato, si è sfiorato l’eccesso. Poi il reflusso: l’inizio dell’uso (smodato) dei flashback, titoli “a ritroso” come, appunto, “Life on Mars” (inglese non a caso: è in Europa che questa spinta al passato tipicamente Ottanta è risultata più propulsiva), “The Class”, “Everybody hates Chris”. Con il recente “Dollhouse” è come se si volesse impedire che qualcuno ci cancelli tutta la memoria: abbiamo diritto al ricordo, seppure di “strange days” ed emozioni non sempre piacevoli…E’ come se si volesse costruire un ponte (come quello dell’autogrill) per vedere passare sotto i personaggi: taluni decisi, altri disperati, altri ancora storditi. Non si sa in quale direzione s’incamminino: c’è la carreggiata che li teletrasporta al futuro e quella che li riporta al passato. Tu con loro. Dipende da dove ti siedi a gustarti i maccheroni. (Articolo di Leo Damerini pubblicato su "Telefilm Magazine" di Ottobre)

giovedì 8 ottobre 2009

L'EDICOLA DI LOU - Stralci e commenti sui telefilm dai giornali italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
“Dollhouse”, memorabile a metà
“Il punto di partenza di ‘Dollhouse’, la serie creata dal padre di ‘Buffy’ e ‘Angel’, è molto interessante, meno il punto di arrivo. Il punto di partenza è questo: finora non è ancora stata inventata una macchina per dimenticare. Com’è noto esistono tecniche per ricordare (è il vasto territorio della mnemotecnica), ma non esiste un’arte della dimenticanza, non esistono artifici volontari per l’oblio. Ce ne sono alcuni per ricordare male, tipo ubriachezza, droga, lesione cerebrale, amnesia. Per questo è stato istituito un luogo, la casa delle bambole, dove alcune persone consegnano la loro personalità a una società segreta, il cui compito è azzerare le memorie di questi volontari, chiamati ‘attivi’, per noleggiarle a facoltosi clienti bisognosi di azioni speciali. Ogni missione è l’occasione per narrare un’avventura di genere diverso: azione, romanticherie, comicità, thrilling, spy-story, ecc. ‘Dollhouse’ si sviluppa seguendo il risveglio della protagonista Echo (che porta il nome della ninfa rifiutata da Narciso, consumata dall’amore, nascosta nei boschi per restare solo una eco lontana), la rinascita della sua coscienza e dei suoi sentimenti, ed il desiderio di riscoprire la sua vera identità. Proprio questa parte rischia di essere la più debole, un formato ridotto di missioni impossibili”.
(Aldo Grasso, 05.09.2009)

LA STAMPA
Ricompriamoci l’anima
“Fra tutte le generazioni sconfitte del Novecento, la nostra, dei giovani tra Sessantotto e Settantasette - tra Carlo e Groucho Marx, tra Starsky e Hutch - e' la piu' sconfitta, la piu' disperata e ridicola. La Lost Generation andava a Parigi e scriveva Festa mobile, la Beat Generation andava a Frisco e scriveva Urlo: ma la piu' sconfitta delle generazioni sconfitte non ha piu' posti dove andare, ne' libri da scrivere (neppure da leggere, per dirsela tutta); solo una memoria lontana e cattiva. Cosi' la nostra generazione disperata e ridicola s'aggrappa all'unico suo ideale superstite - il denaro - e s'immagina di esorcizzare un futuro che fa paura, e un presente persin peggiore, ricomprandosi l'anima e l'eta' dell'innocenza, quando eravamo realistici, chiedevamo l'impossibile e nell'attesa d'ottenerlo guardavamo Mork & Mindy in tivu'. Poiche' oggi dell'impossibile manco se ne parla, per recuperare la nostra age d'or ci riduciamo a pagare un canale tv che ci fa rivedere quei telefilm deliziosamente idioti. Il commercio delle anime non l'ha inventato Faust, e' florido da sempre. Oggi piu' che mai: nel recente passato molte anime sono state sventatamente svendute, con inevitabili, tardivi rimpianti, e conseguenti smanie di riacquisto. Il Mercato-Mefistofele prospera: al limite, incorre in qualche errore di marketing, come quando la Volkswagen, per lanciare il «nuovo Maggiolino», punto' sullo slogan «Se negli Anni 70 ti sei venduto l'anima, adesso puoi ricomprartela»; ignorando o fingendo d'ignorare che l'anima e' anima solo se originale. Difatti, il «nuovo Maggiolino» Vw non convinse; mentre io mi sono ricomprato il mio Maggiolino, modello '64. Cosi' sia per i telefilm: perche' accontentarsi dei remake, se puoi avere l'originale, e allo stesso prezzo? Siamo sconfitti, ma conserviamo un minimo di dignita': abbiamo abiurato su questioni cruciali, dal Vietnam alla Spiritualita', ma non avremo mai altro Fonzie all'infuori che Henry Winkler. Ehy!”.
(Gabriele Ferraris, 04.08.2009)

DUELLANTI
Una critica …sul campo
“’La nuova squadra’, era fortemente agganciata alla realtà di Napoli che non è mai stata tutta bianca, ma nemmeno tutta nera. Adesso è un campionario di luoghi comuni e incongruenza che difficilmente si poteva riuscire a concentrare in un' opera che, seppur di fantasia, ha (o per meglio dire aveva) la pretesa di ritrarre un ambiente e un territorio complesso come la Napoli odierna».
(Raffaele Marino, procura di Torre Annunziata, 27.08.2009)

TIME OUT (NY)
Le disgrazie della “beautiful life” di Mischa (colpa di mammà)
“Prima delle riprese di ‘The Beautiful Life’ ho subito una terribile operazione ai denti, me ne hanno tolti 4! E’ stato un incubo. Non avevo mai subito alcun intervento chirurgico prima. E’ andato tutto storto e ne ho dovuto subire un altro, che ha posticipato il giorno delle riprese, cosa che mi ha resa nervosa per il fatto di non essere puntuale sul set. I dottori mi hanno detto che sono stata fortunata a non perdere l’uso delle labbra e dei muscoli facciali. E’ stata mia madre a convicermi che l’operazione andava fatta prima delle riprese della serie, ma adesso posso dire che è stata la decisione peggiore. Così con l’angoscia dell’operazione, del viaggio da Los Angeles a New York e di non essere puntuale…è stato un inferno! A volte devi sbattere la testa contro le cose che ti rendono stressata per farti sentire meglio. E’ quello che ho fatto, anche se ho perso il controllo. Ma adesso sto bene. Non so esattamente cosa sia successo, ho un amico che è stato vittima di una crisi nervosa, ma non penso si tratti della stessa cosa. Non è durato molto. Comunque se tutto questo fosse successo a New York, a nessuno sarebbe importato niente…A New York puoi essere quello che sei senza problemi. La gente non ti giudica. E adesso sono così felice di esserci”.
(Mischa Barton, 27.08.2009)

VARIETY
“Mad Men”, giudizio sospeso
“La seconda stagione di ‘Mad Men’ s’illumina solo sporadicamente come la prima. E così l’attesa della terza è diventata gravida di domande. La serie ruota a vari livelli, specialmente sull’aspetto nostalgico di un’America propensa alla cultura della guerra, rivelando anche il punto di vista femminile sul Vietnam, innestando oltremodo il piano dei grandi affari e quello delle vicende familiari. Davvero difficile recensire una serie come questa, se non nella sua interezza. Verrebbe voglia di passare la mano a Don Draper: magari troverebbe uno slogan adatto”.
(Brian Lowry, 07.08.2009)

LIBERO
“Glee”, la tv che prende in giro i talent-show
“Quando è troppo è troppo. Dopo anni di acuti strazianti e piroette convulsive, la tv si fa l’esame di coscienza e prende le distanze dal trash che poco ha a che fare con l’idea di talento. Da questa forma di autocritica, nascono nuovi telefilm che prendono in giro le sedicenti ‘accademie’, esasperandone gli aspetti più comici e isterici. E’ esattamente in questo filone che si colloca ‘Glee’”.
(Giovanni Luca Montanino, 24.08.2009)

venerdì 6 luglio 2007

NEWS - Rivoluzione "Minisodes", i telefilm sintetizzati in pochi minuti
Quanto dura normalmente l’episodio di un telefilm? Venti minuti, quaranta, un'ora? Su Internet, non più di sei minuti. Nell’era della “snack generation”, dei micro-filmati su YouTube, della nano-comunicazione su Twitter e via sms, delle duecento email a cui rispondere in un giorno, Sony e Honda si sono inventate un’iniziativa promozionale che sposa gli antichi miti della tv con le esigenze e la frenesia del Web: i “minisodes”. Raccolti nel Minisode Network, un canale apposito interno a MySpace, i “minisodes” sono versioni liofilizzate di vecchi e gloriosi telefilm come “Starsky & Hutch”, “Arnold”, “TJ Hooker”, “Charlie’s Angels”. Serie e personaggi che faranno battere il cuore a non pochi ragazzi degli anni Settanta e Ottanta. Dai titoli di testa a quelli di coda, ogni episodio non dura più di sei minuti. Una lunghezza tale che permette di fare un tuffo nella nostalgia e rivedere un episodio completo anche in ufficio, durante la pausa caffè o semplicemente quando il capo è girato dall’altra parte. Annunciato dal New York Times a fine aprile, il Minisode Network ha aperto ufficialmente i battenti a giugno. Sul sito sono già disponibili decine di episodi (per ora, tutti nella versione originale in inglese) e l’archivio viene arricchito quotidianamente. Le operazioni di montaggio e potatura sono effettuate dagli specialisti della Sony Pictures, che detiene i diritti sulle serie. La Honda sponsorizza il canale e inserisce degli spot (ovviamente brevissimi) in apertura di ogni episodio. Dal punto di vista del linguaggio televisivo, è una piccola grande rivoluzione taylorista. Tutte le sequenze di contorno, i panorami e i momenti di riflessione vengono tagliati via. Quello che rimane sono gli snodi narrativi essenziali. In un “minisode” di “Hooker” (telefilm poliziesco con William Shatner nel ruolo del protagonista) assistiamo a una rapina in un supermercato, a un inseguimento riuscito solo a metà, al ritrovamento di un anello legato alla rapina, a un altro inseguimento che questa volta culmina con l’arresto del colpevole. Il tutto in trecento secondi, senza fronzoli: il grado zero della narrazione.Il Minisode Network conferma un paio di tendenze-chiave della moderna società digitale. Innanzitutto, il gusto per il remix, la mutazione, la metamorfosi di qualsiasi materiale preesistente (canzoni che si fondono tra loro, trailer apocrifi che modificano la natura dei film, collage di immagini e sequenze tratte da fonti diverse). E’ un fenomeno senza confini, che ci permette di rielaborare un film horror come "Shining" in una commedia per famiglie , di ripercorrere cinque secoli di storia dell’arte in tre minuti, di sentire i Beatles che cantano assieme ai Nine Inch Nails. Anche i “minisodes”, a modo loro, propongono una versione diversa di qualcosa che già conoscevamo.In quanto alla seconda tendenza, è sotto gli occhi di tutti: con la decisiva complicità di Internet, ormai abbiamo a disposizione infiniti contenuti multimediali e troppo poco tempo per consumarli tutti. Per questo, non rimane che comprimerli. Lo fanno i produttori riducendo la lunghezza dei loro prodotti e lo facciamo noi consumatori limitando drasticamente la nostra attenzione. Ecco quindi che nella musica gli album lasciano spazio alle singole canzoni, ancora meglio se distribuite in minuscoli file MP3. E nel mondo dei video online dilaga la regola dei tre o sei minuti, tempo massimo che l’utente medio concede a un filmato. Da qui, la nascita dei bignamini del Minisode Network. Dopo il fast food, uno dei primi esempi concreti di fast tv.
(Articolo di Luca Castelli tratto da LaStampa.it)

venerdì 12 gennaio 2007

FLASHBACK - Bentornati a "Twin Peaks"!
"Telefilm Cult" compie un viaggio settimanale indietro nel tempo, naturalmente a puntate, nel mito tele-visionario firmato da David Lynch. E su come è stato...venduto.
A cura di Elena Palin

INTRODUZIONE
A partire dagli anni novanta le serie televisive si sono affermate spesso come forme di “testualità di culto”, destinate a generare “consumi di fandom” ovvero forme di fruizione intense, appassionate, addirittura performative. La televisione, soprattutto nella forma dei telefilm di produzione americana, è stata in grado di dare luogo a ”fenomeni di culto”, che potremmo anche definire di telefilia.[1] Il fenomeno della “cultualità “ contemporanea abbraccia ambiti variegati e piuttosto differenti: riguarda oggetti non mediali, secondo un meccanismo di “feticizzazione della merce”[2], ma comprende soprattutto prodotti mediali, e la sua origine è da ricercarsi nel cinema e in alcune sue specifiche modalità di consumo. In particolare, la serialità televisiva americana ha definito forme peculiari di cultualità. Soprattutto a partire dagli anni novanta, la narrazione televisiva di fiction di produzione USA ha assunto la forma della serie serializzata[3]: anche forme seriali costruite per episodi conchiusi (le serie) hanno sviluppato linee narrative di continuità, sulla modalità del serial, incrociando in vario modo chiusura (in episodi) e apertura (in puntate).La televisione seriale di culto si situa all’interno di generi che potremmo definire fantastici: la fantascienza, l’horror o altre forme ibride. Questa caratteristica della cult-testualità televisiva contemporanea è un elemento centrale per la sua stessa definizione, perché essa va ad identificarsi, più che con forme testuali chiuse, con universi diegetici altamente complessi ed infinitamente rimaneggiabili dagli stessi spettatori[4]. La produzione televisiva americana di fiction ha iniziato, soprattutto a partire dagli anni novanta, a prevedere forme di fruizione diversificate, tese ad andare oltre il semplice consumo distratto e, al contrario, a generare modalità di consumo appassionate, affettive, produttive e performative. Si è passati cioè, da una programmazione prevalentemente “di flusso” a una costruzione dei palinsesti per appuntamenti essenziali” ed “eventi imperdibili”.[5] L’emergere di una cult-testualità televisiva interessa soprattutto per le sue caratteristiche simboliche, per i suoi meccanismi linguistici e per la sua relazione con il pubblico. Jankovich e Lyons[6] ne datano l’origine all’inizio degli anni novanta con la distribuzione di due serie televisive rivoluzionarie: Twin Peaks di David Lynch e X-Files di Chris Carter. Queste due serie sono state fondamentali nel ripensare il rapporto con il pubblico e la rigida divisione in generi che fino ad allora veniva teorizzata. Si tratta di particolari forme testuali che scavalcano i confini del testo e prevedono forme di fruizione di fandom, di serie televisive prodotte e distribuite sul mercato per incrementare non semplicemente spettatori regolari ma anche una notevole proporzione di fan.[7] Serie come Twin Peaks e X-Files adottano una varietà di meccanismi testuali e narrativi che attivano pratiche di visione immersive, interpretative e interattive. Di conseguenza, mutano sia le forme testuali sia il loro rapporto con il pubblico, due aspetti strettamente correlati. Ciò a cui la cult-testualità dà risposta non è semplicemente il desiderio di essere intrattenuti, quanto piuttosto la necessità di essere coinvolti in un universo immaginario. Essa cerca di raccogliere un significativo seguito di fan così devoti da non guardare semplicemente ogni episodio, ma da registrarli ed archiviarli tutti, da comprare le pubblicazioni ufficiali di cassette o dvd, da acquistare un’ampia serie di prodotti spin-off e da promuovere e supportare la serie in un numero infinito di modi.[8] La cult-testualità, quindi, non è più limitabile entro i confini del testo ma, piuttosto, si declina in universi immaginari che non si limitano nemmeno a vivere in un unico medium, anzi, si distendono lungo differenti media e differenti testi che non sono connessi tra loro da un unico, lineare racconto principale, ma che contribuiscono a creare mondi possibili, i quali, più che da consumare, sono da attraversare. Da qui, e dalla centralità di una serie come Twin Peaks per la nascita di un fenomeno di questo tipo, intende partire la mia riflessione, tesa ad esemplificare come una fiction televisiva di soli ventinove episodi possa essere presentata come evento imperdibile del palinsesto di rete e arrivare a monopolizzare l’attenzione dei più autorevoli quotidiani ad essa contemporanei.Per quanto destinato ad esaurirsi in breve tempo e a rappresentare una meteora nella storia del tubo catodico, Twin Peaks ha costituito uno degli eventi televisivi di questi ultimissimi anni.[9]Evento, non solo per il notevole successo di pubblico (oltre ai clamorosi ascolti negli Stati Uniti, la serie ha raccolto in Italia oltre 11 milioni di telespettatori per la prima puntata e si è stabilita su una media di 9 milioni per le puntate successive) ma soprattutto per l’eleganza e l’innovazione che lo contraddistingue. Prodotto e distribuito come serial di prime time, la sua realizzazione è risultata allo stesso tempo una ottimizzazione e una decostruzione del genere-programma. Presentato come un giallo basato sulla detection, cioè sull’ìinvestigazione, si è rivelato come un compendio dei generi della fiction televisiva e loro sovversione. [10] Tale operazione sui generi costituisce già una sorta di rivoluzione rispetto a ciò a cui il pubblico televisivo degli anni Novanta era abituato. Se gli anni Settanta segnano il prepotente ritorno dei telefilm polizieschi (The street of San Francisco, Starsky & Hutch, Charlie’s Angel) concludendosi con la parabola di una famiglia ossessionata dal potere (il feulleiton texano Dallas), e gli anni Ottanta iniziano a mettere da parte l’ottimismo made in Usa tramite telefilm di rottura come Hill Street Blues e Miami Vice, gli anni Novanta fanno a pezzi l’unità di genere che comunque permaneva nelle operazioni precedenti. Twin Peaks si caratterizza infatti per un’eterogeneità di generi e di registri discorsivi che comporta da parte del telespettatore l’attivazione di una molteplicità di competenze. Per quanto concerne il consumo televisivo lo spettatore non è per nulla facilitato ma la cospicua richiesta di cooperazione interpretativa a lui richiesta è controbilanciata da un’efficacia di un testo ricco di soluzioni narrative e procedure di patemizzazione ad hoc. Infatti, il principio organizzatore del serial lynchano sono le passioni[11]. La circolazione del sapere si riduce a dispositivo modale al servizio dei programmi passionali (ovvero il fare patemico ha per programma d’uso un fare cognitivo); la predominanza delle procedure di patemizzazione trova la sua attuazione nella produzione di effetti passionali locali specifici dovuti alle procedure di messa in discorso del materiale narrativo. Lynch mette in risalto questi ultimi attraverso specifiche procedure discorsive di accentuazione: servendosi di ruoli patemici sedimentati nella cultura, che istalla nel discorso come stereotipi, sceglie di disseminarli provocatoriamente calcandone i tratti fino al parossismo. La stessa identità attoriale dei personaggi si deflagra nell’assunzione di ruoli patemici stridenti tra loro[12]. Mentre da un lato l’insistenza sulle procedure di petemizzazione implica un non accontentarsi della sensibilizzazione culturalizzata di catene modali, con la conseguenza di un suo potenziamento a livello di sintassi discorsiva, dall’altro arriva a ritrattare tale sensibilizzazione deformandola e sovvertendola.[13] Di conseguenza, da una parte tale centralità delle passioni facilita la nascita di forme di fruizione appassionate, affettive e performative rispondendo alla necessità di immersione in una serie di mondi possibili, e contribuisce ad un debordare del testo lungo differenti media permettendone anche un’ampia opera di discorsivizzazione; dall’altra l’interposizione e l’incassamento dei generi, per mezzo di un gioco di attivazioni e disinneschi delle passioni di genere, provoca una passione del sovvertimento della norma e della continua possibilità di una sua riaffermazione che non permette una precisa definizione del prodotto e che, quindi, difficilmente si presta a poter essere sfruttata a livello di marketing. Se quindi Twin Peaks, all’epoca della sua uscita, non è stata contenuta entro i confini del mezzo televisivo, ma anzi, in quanto evento imperdibile, è stata sottoposta ad una copertura mediatica a tutto tondo, ciò è stato fatto con i dovuti accorgimenti e con le dovute strategie di presentazione a seconda del paese di riferimento, arrivando, in certi casi, perfino ad un parziale snaturamento del prodotto. Dopo una breve descrizione del serial lynchano, il mio studio si focalizzerà, in particolare, sulle modalità di vendita di quest’ultimo al pubblico italiano degli anni Novanta, proprio in virtù del suo essere un prodotto di rottura. Inizierò quindi con un’analisi delle matrici e di alcune scene o scelte stilistiche funzionali a giustificare precise scelte di marketing e modalità di discorsivizzazione da parte della stampa. Passando per la storia della messa in onda in Italia, concluderò con un’analisi dei promo e degli speciali a cura dalla rete emittente così da dare una visione a tutto tondo di quel che è stato un vero e proprio “evento mediale”.
(Continua la prossima settimana)

[1] Massimo Scaglioni, “Nuove forme di serialità e di consumi giovanili: il fandom”, da: “La linea d’ombra della tv: i giovani e i telefilm americani” 3^parte, “Vita e Pensiero1”, 2005
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] M. Jankovich, J. Lyons, “Quality Popular Television”, London 2003
[7] Sara Gwenllian Jones, “Quality Popular television”, London 2003
[8] Ibidem
[9] Roberto Pastore, “Sulle strade della fiction. Le serie poliziesche americane nella storia della tv”, Lindau 2002
[10] P. L. Basso, O. calabrese, F. Marsciani, O.Mattioli, “Le passioni nel serial televisivo”, VQPT[11] Ibidem
[12] Ibidem
[13] Ibidem

mercoledì 27 settembre 2006

L’EDICOLA DI LOU - Stralci e commenti sui telefilm dai giornali italiani e stranieri
Pagina a cura di Leo “Grant” Damerini, tratta dal "Telefilm Magazine" di Settembre

ITALIA OGGI
I telefilm sono per le fanzine (non per "Vanity Fair")
Domanda: Perchè vi occupate poco di telefilm?
Risposta: "Bisogna distinguere tra quello che la gente guarda e quello che vuole leggere. Noi non vogliamo portare 'Vanity Fair' in una nicchia, non vogliamo trasformarlo in una fanzine. Non trattiamo lettori e lettrici come se fossero in un ghetto".
(Luca Dini, direttore di "Vanity Fair", 26.05.2006)

CORRIERE DELLA SERA
"Prison break", suspense alla Hitchcock
"Instaurare il meccanismo hitchcockiano della suspense in un telefilm è impresa più che ardua, eppure 'Prison Break' ci riesce benissimo, tanto da lasciare lo spettatore con il fiato sospeso, settimana dopo settimana. La scadenza, che funziona da metronomo all' interno della prigione di Fox River, è l' esecuzione capitale di un condannato accusato di aver ucciso il fratello del vicepresidente degli Stati Uniti. Ma forse è tutta una montatura, un perverso complotto. Il tentativo di evasione si gioca su due scenari estremamente complicati e imprevedibili: quello tecnico (come fuggire, secondo la grande lezione di Fuga da Alcatraz) e quello u mano (con chi allearsi all' interno del carcere, con i bianchi o con gli afroamericani, con il direttore o con il compagno di cella?). È un telefilm che apparentemente sembra costruito con una certa rudezza, le psicologie scolpite con l' ascia, ma che invece si rivela attento ai dettagli più insignificanti, guidato da una perfetta macchina narrativa, ed è ingiustamente punito dalla collocazione di Italia 1".
(Aldo Grasso, 18.06.2006)

IO DONNA
Maestro Starsky
"Sono cresciuta con i telefilm americani. Il mio preferito era 'Starsky&Hutch': ero così fanatica che giravo sempre con un cardigan di lana simile al suo e mi facevo chiamare Starsky. I miei mi portarono da uno psichiatra".
(Mia Maestro, 17.06.2006)

CORRIERE DELLA SERA
Lorelai, mamma da fiaba
"Forse per scongiurare uno dei più grandi disastri dell'educazione familiare (la mamma per amica o il papà per amico), l'America ha da tempo serializzato la complessità dei rapporti parentali. L'aspetto più interessante della serie non è certo rappresentato dalla parte formativa (le sceneggiature sono vidimate da associazioni di tutela della famiglia) ma dai dialoghi: sempre brillanti e tanto più belli quanto più irreali".
(Aldo Grasso, 16.06.2006)

LIBERO
"Joey", pallone gonfiato di "Friends"
"Ho letto che la sit-com 'Joey' è stata realizzata pensando a coloro che avevano amato 'Friends'. Evidentemente perchè, avendo già amato abbastanza quella, ora possono tranquillamente permettersi di odiare questa. E in effetti già ad una prima annusatina preliminare l'odore di 'Friends' si avverte forte e acre. Le battute. I tempi comici. Le situazioni. Se mi fossi messo in visione senza sapere nulla in merito al programma proposto, certamente avrei pensato di assistere al frammento di un episodio della serie precedente. E manco mi sarei sbagliato di tanto. Perchè in 'Joey' si è prelevato un protagonista di 'Friends' e lo si è gonfiato a dismisura fino a renderlo del tutto autonomo. Che poi fosse il personaggio più intrigante, o simpatico, o amato, resta da stabilire. Personalmente, dovendo selezionarne uno, difficilmente avrei effettuato la medesima scelta, ma costui era disponibile e con tale soggetto occorre fare i conti. Che giammai potrebbero tornare avendo la produzione ripresentato l'identico menù, rinnovato solo attraverso la cancellazione di alcune portate. Così il congegno che, dopo essersi fatto apprezzare negli anni, aveva ormai rivelato gravi problemi di usura, ci viene di nuovo tristemente offerto. E quella varietà di caratteri che lo rendevano ancora in qualche misura accettabile, scompaiono. Lasciando il protagonista in balia di una situazione a metà tra la noia ereditata e quella di nuova concezione".
(Alessandro Rostagno, 21.06.2006)

LA STAMPA
Le banalità di "What about Brian"
"Se 'What about Brian' fosse stata un'occasione di crescita professionale avrei continuato. Non mi è sembrato: dialoghi banali, situazioni scontate, ovvietà".
(Raoul Bova, 06.07.06)

sabato 24 giugno 2006

NEWS - Ultima ora, è morto Aaron Spelling, il papà dei telefilm. Ha firmato cult come "Starsky&Hutch", "Charlie's Angels", "Beverly Hills", "Love Boat"...
(AGI/AFP/REUTERS) - Washington, 24 giu. - L'uomo che ha rivoluzionato il mondo dei telefilm e' morto. Aaron Spelling, il piu' prolifico produttore della storia e al quale si devono pietre miliari dell'intrattenimento televisivo come 'Starsky e Hutch', 'Dynasty' e 'Charlie's Angels', si e' spento a 83 anni nella sua casa di Beverly Hills. Lo scorso fine settimana era stato ricoverato per un ictus. Per la tv, Aaron Spelling e' l'uomo dei record. Piu' di cinquemila ore di programmi televisivi, 300 ore di film-tv e una decine di film gli sono valsi l'iscrizione nel Guinnes dei primati. Per non parlare della sua casa, considerata la piu' grande della California: 123 stanze costruite su rulli (per reggere alle scosse sismiche), un intero piano per gli armadi e uno studio dedicato solo alla preparazione di pacchetti regalo. Ma la vita stessa di Spelling appartiene alla mitologia americana. Nato in Texas da una famiglia di immigrati ebrei russo-polacchi poveri in canna, quando aveva otto anni Aaron fu costretto a casa da un crollo nervoso causato dalle continue angherie razziste dei compagni di classe. Un periodo in cui - ha raccontato nella sua autobiografia - si dedico' con passione alla lettura di quei romanzi d'amore che hanno profondamente influenzato il suo lavoro. Prima di entrare nel mondo dello spettacolo, Spelling conobbe la guerra: tra il 1942 e il 1945 servi' nell'aviazione e si guadagno' una croce di bronzo e il 'Purple Heart', la decorazione dei feriti in combattimento. I primi passi nel mondo del cinema furono davanti alla macchina da presa: Hollywood gli assegnava parti di cattivo o di perdente come nel western tv 'Gunsmoke' del 1953. Ma un perdente Spelling non lo era davvero. Dieci anni piu' tardi capi' che il suo posto era lontano dalla cinepresa, li' dove tv e cinema venivano pensati e scritti. Il suo primo successo come autore fu la serie tv su un ricchissimo detective, 'Burkes' Law', che gli permise di sbarcare alla 'Abc' dove presto i suoi programmi finirono per dominare il palinsesto. Al punto che nell'ambiente l'emittente oggi di proprieta' della Disney veniva chiamata 'Aaron Broadcasting Company'. Tra la fine degli anni '60 e la meta' degli anni '80 vennero trionfi come 'Charlie's Angels', 'Cuore e batticuore', 'Starsky e Hutch', 'Love Boat', 'Fantasy Island' e la supersoap 'Dynasty'. Tutte serie con un unico denominatore comune: personaggi ricchi - o quanto meno belli - appartenenti a un mondo lontano mille miglia dalla realta' e straordinariamente privi di spessore. Un'accusa che gli venne spesso mossa dai critici e alla quale Spelling rispose producendo la serie drammatica 'Family' che vinse quattro premi Emmy. Dopo un breve periodo di calo alla fine degli anni '80, Spelling decise di puntare sui teenager e costrui' un successo come 'Beverly Hills 90210' in cui fece recitare anche la figlia, Tori, divenuta una star nei panni della virginale Donna. Sull'onda del successo dei giovani-belli-ricchi del quartiere piu' esclusivo di Los Angeles nacque poi 'Melrose Place'. Anche la vita privata di Spelling e' ricca di aneddoti. In pochi, ad esempio, ricordano che la sua prima moglie - sposata nel 1953 - fu Carolyn Jones, divenuta poi la sensuale Morticia della serie 'La famiglia Addams'. Il matrimonio duro' una decina d'anni e nel 1968, Spelling sposo' Candy, dalla quale ebbe Tori e Randy - oggi 27enne interprete di 'Sunset Beach' - e che gli era accanto alle 18,25 di venerdi', quando la mente piu' prolifica della tv ha smesso di creare.

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