sabato 18 marzo 2017

GOSSIP - "Starsky&Hutch" per sempre! La favola bella dei due interpreti del poliziesco cult, ancora insieme nelle sofferenze

Articolo tratto dal "Corriere della Sera"

"Erano i poliziotti più simpatici della tv anni Settanta e sgommavano sulle strade della California. Oggi Starsky (Paul Michael Glaser) e Hutch (David Soul) hanno 73 anni, ma sono rimasti amici. Fratelli, dicono loro: così amici che la loro foto a Liverpool per una convention di fan risulta emozionante. Hutch sulla sedia a rotelle, Starsky a spingerlo. In Inghilterra I due attori 70enni erano insieme a Liverpool invitati a una convention di fan. I capelli di Starsky sono ancora ricci come una volta, ma grigi e un po' radi. Il ciuffo biondo di Hutch non c'è più, ma dei tempi belli gli è rimasto almeno il giubbetto scamosciato anche se è costretto sulla sedia a rotelle ed è sparito sotto il peso degli anni e delle medicine anche il sorriso smargiasso che riservava ai testimoni bugiardi come alle ragazze carine di Bay City. Quando i due poliziotti più simpatici della tv Anni 7o sgommavano per le strade della California sulla loro Ford Gran Torino rossa con la striscia bianca e ai ragazzini d'America — e del resto del mondo, la serie fu un sorprendente successo globale — sembrava dal salotto di casa di sentire l'odore di quei pneumatici sull'asfalto. Oggi Starsky e Hutch hanno 73 anni e non sono più quelli di una volta ma neanche noi lo siamo: l'ultimo episodio del loro telefilm è andato in onda nella primavera del 1979, ma sono rimasti amici o, come dicono loro, «fratelli». Ecco perché la foto degli attori Paul Michael Glaser (Starsky) e David Soul (Hutch) a Liverpool per una convention di fan è così emozionante per chi ricorda le loro avventure. Il loro fascino è arrivato nell'era di Internet anche se sulle tv a alta definizione 4K di oggi risulta parecchio sgranato e con l'audio mono un po' gracchiante. In Italia «Starsky e Hutch» debuttarono nel 1979, sulla Rai, quando in America il telefilm era praticamente finito ma qui non lo sapeva nessuno (altri tempi, analogici), e furono molto amati dal pubblico nei bui Anni 70 dominati da una parte dal sanguinario Ispettore Callaghan e dall'altra da Serpico che lottava contro poliziotti corrotti più cattivi dei criminali senza divisa. Starsky e Hutch erano due poliziotti un po' hippie, simpatici e democratici, che non amavano sparare ma preferivano gli inseguimenti in auto e a piedi, e al limite ai cattivi rifilavano qualche sganassone invece di una pistolettata. Due poliziotti-amici che — nel mondo del telefilm era l'assoluta normalità ma in quei tempi fu una rivoluzione — prendevano ordini da un nero, il burbero ma buono (e goloso) capitano Dobey al quale nascondevano gli amati bomboloni. Glaser e Soul in questi quarant'anni: hanno visto il loro telefilm diventare un cult, hanno doppiato i loro personaggi per un videogioco e hanno visto il remake cinematografico di qualche anno fa, con Ben Stiller-Starsky e Owen Wilson-Hutch arrivare nelle sale e uscirne senza far innamorare nessuno: perché, molto semplicemente, si vedeva che loro due erano due amici che sul set si divertivano, Stiller e Wilson erano due attori famosi che recitavano un copione prima di andare a casa ognuno per conto suo. A Liverpool, con Hutch in sedia a rotelle e Starsky a spingerlo, c'era anche Huggy Bear, l'informatore al quale chiedevano sempre una mano: l'attore Antonio Fargas che di Glaser e Soul è rimasto amico, tre moschettieri di un successo di tanto tempo fa (i ragazzi americani conoscono un altro Fargas, Justin: ex giocatore di football, figlio di Antonio). Chi, in questi anni, ha seguito sui giornali e su Internet la carriera dei tre amici — non hanno più avuto un successo così, ma di trionfo, come diceva sempre Orson Welles che dell'ingratitudine di Hollywood se ne intendeva, «ne basta solo uno» per essere ricordati — sa che Soul, che da qualche anno vive in Inghilterra, è malato ma la sorte più terribile è toccata all'amico: Paul Michael Glaser ha visto la prima moglie, la dolcissima Elizabeth, morire nel 1994 per l'Aids contratto nel 1981 da una trasfusione effettuata durante il parto della piccola Ariel, che venne infettata durante l'allattamento e morì a soli sette anni. Chi ha visto tanti episodi di «Starsky e Hutch» fatica a indicare il più bello ma per quello più commovente è facile: un sicario spara alla fidanzata di Starsky e lei, prima di morire, lascia a Hutch il suo orsacchiotto: «Prenditi cura di lui, e diStarsky».

venerdì 17 marzo 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
In "Big Little Lies" viaggio nell'abisso dell'inganno

"Meno male che la serialità americana era finita, vittima dell'inflazione, ormai in piena crisi creativa e con forti segnali di stanchezza. Meno male che bisognava tornare alla pagina scritta... Poi arriva «Big Little Lies», non più casalinghe ma milionarie disperate, non più i sobborghi residenziali di Wisteria Lane ma l'assolata e snob Monterey, in California, un paesaggio che sembra nascere dalle dismisure sociali di chi lo abita, dai loro eccessi formali di donne che appartengono all'uppermiddle-class (Sky Atlantic, mercoledì, ore 21.15). La serie Hbo è tratta dall'omonimo romanzo di Liane Moriarty ed è stata ideata dal grande David E. Kelly (quello di «The Practice», «Ally McBeal», «LA Law»...). Tutto prende le mosse da un omicidio che si consuma durante una festa e in parallelo alla storia principale (tre amiche e madri alle prese con la vita privata e professionale) ci sono i flashforward degli interrogatori della polizia che commentano l'accaduto, quasi a rappresentare un coro da tragedia. Un coro di malignità, di invidie, di bugie, appunto. Reese Witherspoon interpreta Madeline Martha Mckenzie, ricca ma con problemi con i figli e il giovane secondo marito; Nicole Kidman è la sua amica Celeste Wright, apparentemente ben sposata e felice; e Jane Chapman è una madre single, appena arrivata in città, un elemento di disturbo, visto che il figlioletto Ziggy viene accusato di aver voluto strozzare una compagna di scuola. Ci saranno svolte inaspettate lungo il cammino ma intanto, dalle prime puntate siamo invischiati in un caotico puzzle culturale, fatto di affermazioni sociali e illusioni emotive, di paradossi e ripugnanze. Il pregio maggiore di «Big Little Lies» consiste nel tratteggiare un affresco psicologico di grande complessità capace di squarciare il lusso esibito, le ville sul mare, le famiglie da sogno per sondare l'abisso di chi, ingannato, si rallegra mestamente dell'inganno". (Aldo Grasso)

giovedì 16 marzo 2017

NEWS - Silenzio in sala! Il compositore di "Game of Thrones" ha suonato le musiche della serie al Madison Square Garden (visto il successo, toccherà a quelle di "Westworld", sempre da lui composte?)

News tratta da "Vulture"
For the biggest Game of Thrones fans, televised episodes just aren’t enough — especially when it comes to the show’s music. Viewers might hear a snippet of a piece that could be a full song, and scenes might return to certain musical themes, but it’s rarer to hear a number all the way through. Composer Ramin Djawadi’s solution? He decided to launch a live concert tour, which touched down at Madison Square Garden last Tuesday, providing a musical portal from New York to the Seven Kingdoms. “I feel like we have so much going on,” Djawadi told Vulture before the show. “We have all this movement and color, and you’ll be like, ‘Oh, wait! What’s happening on the left? What’s happening on the right?’ Because it will be happening all around you.” He wasn’t exaggerating: Red leaves shed from weirwood trees that grow out of the stage; confetti falls from the ceiling, lit from behind to look like a drifting snowstorm; and smoke and fire shoot out of pyrotechnics rigs at different angles and colors, like reddish-orange for dragon fire or green for wildfire. Scenes from the show play on tiered screens, encompassing each particular character’s theme. And then there’s the music itself — played by a full orchestra, sung by a choir and soloists, with expanded arrangements and lyrics that are somehow more vivid, more tense, more heart-wrenching, and recontextualized quite a few famous Thrones moments, especially the deaths of beloved characters. (Hodor!) “There are certainly a lot of spoilers,” Djawadi laughed. “This is a crash course.” While an eight-piece band remains the same for every stop on the tour, Djawadi refreshes the show in each city with a new orchestra and choir, using local musicians, which requires extra rehearsal time. Some of the other tweaks he made along the way were to nix a screen that was supposed to come down all the way to a runway stage and separate the audience like the Wall, as well as keeping the soloists on the move between different satellite stages. “It’s physically exhausting,” he said. “But it looks so cool when we use the whole space.” Although the tour has a few weeks left to go, Djawadi is already dreaming up a sequel to follow season seven, as well as the possibility of launching a live concert tour for the other HBO show he composes, Westworld“A lot of people have said, ‘Do a Westworld tour!’” he said. “I definitely have ideas, because we could do a whole concert from just the first season. The player piano plays such a huge role in that one, so it’s a must-have as a centerpiece. And imagine the possibilities for guest stars! I would love it if anyone like Radiohead or Trent Reznor wanted to be involved. It would be such a blast.”
NEWS - Amate le serie tv? State in Campan(i)a! Un campus universitario a Fisciano (Salerno) vi spiega i linguaggi e i consumi della serialità

News tratta da "Il Mattino"
Tutto è serialità. Siamo invasi, affascinati, sedotti e(alla fine della serie) abbandonati. Totalmente immersi in un processo di creatività e narrazione audiovisiva che sembra ogni cosa sfiorare e ogni cosa reinventare. In principio furono gli sceneggiati televisivi, poi giunse l'epopea infinita delle soap opera, le generazionali sit-com fino ad arrivare al nostro contemporaneo dove il processo seriale è di grande forza e diffusione, tanto da influenzare perfino il cinema. «I linguaggi utilizzati sono all'insegnadiunapotente innovazione. E la costruzione dell'immaginario seriale è magico intreccio: televisivi e post-televisivi siamo intinti in un cortocircuito inesauribile di trame, visioni, azzardo», spiega Alfonso Amendola. Il prof di Sociologia degli audiovisivi sperimentali all'università di Salerno è l'anima, con Linda Barone e Maurizio Calbi, del convegno internazionale, promosso da Unknown Pleasures, «To be continued. Il dispositivo seriale tra narrazioni, linguaggi, traduzioni e consumi» in agenda da oggi a domani (10-18) al Campus di Fisciano. Per molti la vera dimensione seriale ha inizio con «Ai confini della realtà» per altri con «Star Trek». Quel che è evidente è che ogni serie è storia a sé. Dal circuito spazio-temporale di «Lost» all'effetto nostalgia di «Stranger things»; dal visionario «Westworld» all'epico «Trono di spade». E, ancora, i medical drama, le commedie, lo straordinario capitolo made in Italy di «Boris», «Romanzo criminale», «Gomorra» e «The Young Pope». Nella cultura seriale c'è ditutto di più, in una riuscita miscela di tradizione, sperimentazione, innovazione e convenzionalità. Ne parleranno 30 relatori, riflettendo anche sul radicale cambiamento socio-culturale in atto, le nuove professionalità, le problematiche legate alla linguistica, le dinamiche di ricezione, il rapporto tra autorialità e consumo di massa. Lectio magistralis di Jordi Ballo (università Pompeu Fabra di Barcellona) e Douglas Lanier (università del New Hampshire) sulla centralità di William Shakespeare nel fiabesco seriale contemporaneo.

mercoledì 15 marzo 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL - Magazine de Il Sole 24 ore
Ecco perché "Big Little Lies" è la serie dell'anno
"Big Little Lies è come l’incidente sulla carreggiata opposta: sei sempre lì a guardarlo ma non sai perché. A ben vedere motivi ce ne sarebbero eccome, a cominciare dal livello interpretativo di un cast notevole. C’è un’intensa Nicole Kidman, madre di gemellini-Ken e moglie sbertucciata di banchiere milionario nonché formidabile performer a chiamata su Skype; un’ancor più formidabile Reese Witherspoon nella parte del personaggio che più di tutti lombrosianamente pare assomigliarle, una grintosa piccoletta dai desideri più grandi – e sconci – della propria estensione alare, un’instancabile parlatrice a tacco dodici diurno, una madre apprensiva, una moglie così. Sono madri anche la terza e quarta protagoniste femminili: la milionaria Renata (pronuncia “r’na’duu”), appena entrata nel board di PayPal e fiera proprietaria di casa scarfaceiana vista oceano e – qui un po’ meno fiera – di marito barbudo mezzo scemo del tipo che fuma di nascosto un tiro di sigaretta all’anno e si fa pure beccare; e Jane, la madre “chi vive in baracca”, costretta a tirar su da sola un ragazzetto dal volto ceruleo di nome Ziggy. Sono tutte madri perché la miniserie – sette puntate in onda su Hbo a partire dal 19 febbraio e su Sky Atlantic dal 15 marzo – si sviluppa intorno a una scuola elementare fighetta di Monterey, la prima capitale della California, già in stato di semi-abbandono negli anni 90 prima che i denari della Silicon Valley la ripopolassero ai principi del millennio. La vicenda – che è poi tratta dall’omonimo romanzo aussie di Liane Moriarty, adattato per la tv da quel David E. Kelley già ampiamente raccontato su queste pagine a partire dal recente Goliath in giù (The Practice, Ally McBeal, LA Law) – dipana da qui, dalla classe dei bimbi, per poi allargare a comprendere tutto un insieme di insta-classics montereyani: i grandi terrazzamenti privati sull’onda del Pacifico che si infrange un metro sotto, il bar sul molo per i discorsi tra ragazze post liberazione da pargolo, i capienti Suv molto ben assettati aerodinamicamente che accarezzano le curve a picco sulla scogliera che proprio qui comincia quell’increspatura che sublimerà nel resto del Pacific Northwest. C’è chi ci ha visto anche altri tic ricorrenti: il fiorire della domotica, una musica generalmente superlativa – a partire dalla sigla dove suona quel capolavoro assoluto che è Cold Little Heart di Michael Kiwanuka – e la messa in Costituzione via Kravitz (nel senso di Zoe) dell’organic/yoga/sensitive/strong moral compass. A frazionare periodicamente la pace visiva e sonora spuntano flashforward polizieschi che ci annunciano lo snodo della storia: qualcuno morirà, e sarà per via violenta. A questo punto parte il toto-truffa del chi-è-chi (truffa perché se si legge il libro eccetera), ma non è una roba trascendentale. Cioè interessa, sì, ma fino a un certo punto. Lo spettatore non fremerà dal desiderio di conoscere il tragico accadimento, tutt’altro. Infatti, lo spettatore si sorprenderà di quanto poco gli interessi chi vada giù dalla scogliera preso com’è dalle movimentate – seppur in fondo immobili – vicende di quest’America ultraliberal di servizio, che nella sfera pubblica ha fatto il proprio dovere votando come si conviene alle ultime presidenziali ma che sa perfettamente che le regole del gioco sono cambiate, e che tutto il meglio va trattenuto a sé, nell’interiorità, tra la villa e il mare".

martedì 14 marzo 2017

GOSSIP - Singing Queen. Dopo l'addio a "Scream Queens" e a Ryan Murphy, Lea Michele torna in scena da cantante (nuovo disco e nuovo tour)
Lea Michele has unveiled the cover artwork for her new album Places and also revealed when it will be released! The album will hit stores and digital retailers on April 28.
Lea‘s album will be available for pre-order starting TONIGHT (March 13) at midnight ET/9pm PT. 
Fans who go to see Lea on her upcoming mini-tour will be able to memorize all of the new songs before they see her as the dates all are after the album drops!
Make sure to listen to “Love Is Alive,” the first single from Places.

lunedì 13 marzo 2017

NEWS - Clamoroso al Cibali! In Italia il 60% degli spettatori di "The Walking Dead" (500.000) lo guarda on demand (non live)

News tratta dal "Corriere della Sera"
Resta la serie televisiva più amata fra quelle prodotte dalla tv a pagamento (la «basic cable» Ame) e gli ascolti americani continuano a essere fra i più elevati della settimana (10,4 milioni di spettatori per l'ultimo episodio), anche se il calo per questa stagione è notevole, da oltre diciassette milioni della première ai dici milioni attuali. Stiamo parlando di «The Walking Dead», uno dei fenomeni televisivi più importanti dell'ultimo decennio. Caso rilevante negli Stati Uniti, il Paese d'origine di questa saga nata nei fumetti di Robert Kirkman e diventata un «franchise transmediale», ma anche negli oltre cento Paesi in cui viene distribuita, creando culto e comunità di fan. L'ascolto delle sette stagioni finora realizzate non è nuovo agli alti e bassi: anche lo scorso anno ci furono momenti di stanca, poi la serie si è ripresa. In Italia — uno dei tanti «territori» in cui Twd è trasmessa, a pochi giorni dalla messa in onda americana, grazie alla cura telefila di Fox Italia — l'andamento è più regolare, caratterizzato da una consistente comunità di appassionati, quantificabili in poco meno di mezzo milione. Negli anni gli spettatori del "live» del lunedì sono rimasti abbastanza stabili (tra i 230.000 della prima stagione e i 278.000 della settima), ma sono cresciuti gli spettatori «non lineari» (quelli che guardano le puntante on-demand). Per le ultime due stagioni, Twd ha accumulato un ascolto non-lineare del 60%, toccando il mezzo milione di spettatori, un risultato straordinario per una serie complessa, cruda, dalla serialità fortemente orizzontale (che richiede, dunque, notevole fedeltà). Gli spettatori di Twd sono giovani o giovani-adulti (età media 40 anni), con buoni livelli d'istruzione. Attraverso zombie e uomini resi mostruosi dall'Apocalisse vediamo rispecchiate le nostre odierne paure e insicurezze. (Aldo Grasso in collaborazione con Massimo Scaglioni, elaborazione su dati Auditel)

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