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venerdì 19 aprile 2019

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
L'importanza di Bernadette in "Game of Thrones"
"La donna che sussurrava a Jamie Lannister. L'attore Nikolaj Koster-Waldau era sull'orlo di una crisi di nervi, sul set di "Game of Thrones". Problemi personali, subito disinnescati da Bernadette Caulfied, produttrice esecutiva della serie (sì, ha lo stesso cognome del giovane Holden di Salinger, ma non sono parenti; il leggendario adolescente già odiava Hollywood, figuriamoci cosa penserebbe di Hbo). "La persona migliore che poteva capitarci", hanno scritto in una mail gli showrunner David Benioff e DB. Weiss. Il cast non è da meno, a cominciare dalla regina dei draghi Daenerys Targaryen — saldamente nel nostro cuore dalla prima notte di nozze con il Khan Drogo, quando insegnò al fascinoso bruto un po' di kamasutra. "Produttore esecutivo" non è un mestiere che fa sognare, in un paese di artisti e di aspiranti registi, già la sceneggiatura da noi viene considerata poco o nulla. Ma in un'impresa titanica come "Game of Thrones" — l'ultima stagione ha fatto il record di spettatori, negli Stati Uniti e in Italia dove va in onda su Sky Atlantic — è chi rende possibili le cose, trasportandole dalla pagina allo schermo. George R. R. Martin, che ha scritto la saga "Cronache del ghiaccio e del fuoco" all'origine della serie, non ha questi problemi. Scrive "draghi volanti sputafuoco" con la stessa facilità con cui l'abbiamo scritto noi, e lo stesso vale per i combattimenti con gli orsi, o per le scene di massa. Bernadette Caulflied deve trovare l'orso, convincere l'attrice a recitare con lui, far disegnare i dragoni (che non sono mica tutti uguali, qui sono particolarmente eleganti, si capiva dalle uova), ordinarne la costruzione nel reparto effetti speciali o inserirli in post produzione, dopo che la scena è stata girata con un segnaposto per il drago feroce. Deve organizzare fino a cinque unità di regia, al lavoro in Spagna, in Croazia, in Islanda sotto la tempesta di ghiaccio. Deve organizzare migliaia di comparse. Deve sussurrare all'orecchio degli attori, magari alle tre del mattino, dopo mesi di lavoro al freddo della notte: "Ci sarebbe da discutere la prossima battuta in lingua dothraki". Lo racconta Emilia Clarke al New York Times, che in vista dell'evento — oltre al solito riassunto delle puntata precedenti, alla guida per chi ha smarrito la trama, alle scommesse su chi alla fine conquisterà il Trono di Spade — dedica un ritratto "alla più grande produttrice vivente". Chi ha visto il primo episodio dell'ultima stagione sa già che almeno una delle ipotesi è caduta sotto il peso di una rivelazione. E sa cosa mangiano i draghi. Mangiano quel che vogliono, ma al momento stanno un po' a stecchetto. Sta per arrivare il momento in cui bisognerà scegliere tra un drago pasciuto e un esercito numeroso. Però volano, e Jon Snow ne approfitta per una romantica cavalcata, aggrappato alle scaglie. Per il titolo "serie che ha cambiato la storia della tv" gareggiano molte concorrenti. Di sicuro, dalla prima puntata di "Game of Thrones" (era il 2011) la storia della televisione è cambiata per conto suo, non solo per l'eccelsa qualità di certi prodotti. "House of Cards" di Beau Williamson (con Kevin Spacey, ne hanno cancellato anche la memoria) arriva su Netflix nel 2013 e butta all'aria la scansione settimanale — con il carico di ragionamenti e interpretazioni che avevano fatto la fortuna di "Lost". L'ottava stagione di "Game of Thrones" potrebbe essere l'ultimo appuntamento collettivo. Vale la pena di godersela, prima di tornare a chiudersi nella bolla dell'algoritmo". (Mariarosa Mancuso)

venerdì 9 novembre 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
Senza Spacey "House of Cards" vacilla
"'Detesto "Signora". Suona come se gestissi un bordello e non una nazione' risponde Claire Underwood al giovane soldato impacciato e incerto su come rivolgersi al presidente. E, subito dopo, di fronte a un'altra recluta che dubita del suo piano strategico militare, si rivolge così: «Me lo avrebbe chiesto se fossi stata un uomo?». La sesta e ultima stagione di House of Cards (Sky Atlantic) si apre nel segno di una donna alla guida degli Stati Uniti e tradisce una doppia impronta: la rivendicazione orgogliosa del primo presidente americano di sesso femminile, e quell'inestirpabile senso di subalternità di genere che spesso popola i luoghi del potere. L'ultimo atto del political drama più riuscito e apprezzato degli ultimi anni vive e prolifica sul mito dell'assenza: Kevin Spacey-Frank Underwood non c'è più, scopriamo che è morto nel letto accanto alla moglie, eppure incombe nei ricordi dei protagonisti, nelle vecchie e nuove trame della politica americana. Tolto di mezzo Spacey per le vicende di molestie, la sesta stagione consacra la figura di Claire, nella sempre impeccabile interpretazione di Robin Wright; si carica sulle spalle non solo il governo degli Usa e il vuoto lasciato dal marito ma cerca di tenere viva e accesa l'intera serie, a rischio di sbandamento. Ed è proprio lei, la glaciale Claire, la più decisa a liberarsi del peso ingombrante del marito, a non voler apparire come una vedova illustre. E quando si rivolge al pubblico, in quell'espediente narrativo shakespeariano, lo fa per smarcarsi dal fantasma del marito («Vi ricorda Francis?», «Io non farò come lui, io ho intenzione di dirvi la verità»). Ma l'unica verità, a ben vedere, è che senza Spacey l'intero impianto rischia seriamente di vacillare e la sua assenza percepita e cosi costantemente esibita è in realtà l'unico modo per tenerlo dentro la storia, per farci credere che non sia cambiato nulla". (Aldo Grasso)

venerdì 2 novembre 2018

NEWS - Che derby rosa! Da stasera la first lady Robin Wright ("House of Cards") sfida la deb Julia Roberts ("Homecoming"). E Netflix gode tra le due litiganti con le teen "Baby" (dal 30) in un novembre seriale cult


Articolo tratto da "La Gazzetta dello Sport"
Uno scontro titanico apre un novembre rovente in tv per quanto riguarda le serie. Rivedremo le due attrici americane da oggi, in due titoli diversi: una alle prese con un finale di stagione, l'altra al debutto in una nuova serie. Robin Wright torna infatti ad essere la protagonista degli intrighi politici di House of Cards 6, su Sky Atlantic, mentre Julia Roberts è alla sua prima prova in una produzione seriale nel thriller psicologico Homecoming, su Amazon Prime Video.
La Roberts è Heidi, assistente sociale in un centro che aiuta i veterani a reinserirsi nella vita civile. Ma sono dubbie le motivazioni della struttura nella quale lavora. La serie è diretta da Sam Esmail (lo stesso regista di Mr. Robot) e arriva in originale: la versione doppiata sarà disponibile a partire dal 2019. Per quanto riguarda gli Underwood, la scelta di fare morire il marito Frank dipende dal licenziamento di Kevin Spacey a causa dello scandalo sessuale nel quale è rimasto coinvolto. Claire adesso è la presidente e la protagonista di questa stagione. Accanto a lei, arrivano alcuni personaggi nuovi interpretati da Diane Lane e Greg Kinnear nei panni di due fratelli lobbisti. Gli episodi della serie Netflix sono otto.
E proprio su Netflix debutta alla fine del mese la terza serie italiana della piattaforma di streaming; dopo Suburra e prima di Luna nera, il 30 arriva Baby, vicenda liberamente ispirata al giro di squillo minorenni dei Parioli, diretta da Andrea De Sica e Anna Negri. Due settimane prima, il 16, è la volta di Narcos: Messico, costola di Narcos, scritta dagli stessi autori, ambientata negli Anni 80. Stesso giorno di debutto per una commedia, Il metodo Kominsky, serie ideata da Chuck Lorre (quello di The Big Bang Theory) con due interpreti come Michael Douglas e Alan Arkin: il protagonista è un ex attore di successo che insegna recitazione a Hollywood. Torna in tv anche Jim Carrey con Kidding - Il fantastico mondo di Mr. Pickles, serie diretta da Michel Gondry già regista di Se mi lasci ti cancello (2004), in onda su Sky Atlantic dal 7 novembre. Carrey impersona un personaggio all'apparenza di successo, e dai grandi interessi economici, ma la cui vita privata va sgretolandosi. Due giorni dopo su Prime esordisce la seconda stagione di Patriot, con l'agente segreto John Tavner, interpretato da Michael Dorman, costretto a lavorare sotto copertura in un'impresa di tubature del Midwest. In arrivo su Rai 1 (la data di debutto ancora non confermata è il 19), Nero a metà, commedia poliziesca in sei puntate con Claudio Amendola.

martedì 10 luglio 2018

GOSSIP - Mrs. Wright and Mr. Wrong. La protagonista assoluta per epurazione di partner di "House of Cards" fa tanto la paladina dei diritti umani ma non se la sente di accusare Kevin Spacey: "l'ho conosciuto tra un ciak e l'altro, non so come sia come uomo..."
Robin Wright is opening up about her former House of Cards co-star Kevin Spacey, who was removed by Netflix from the narrative of the hit series following accusations of sexual misconduct on the set before the show’s upcoming final season. The actress opened up in an interview on Today, which airs on Monday (July 9). “Was there any kind of red flag, or anything that would have made you think this was possible?” asked Savannah GuthrieKevin and I knew each other between action and cut, and in between setups where we would giggle. I didn’t really– I didn’t know the man. I knew the incredible craftsman that he is,” she explained.

lunedì 9 aprile 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Trust" vola tra riferimenti alti e cadute soap
"La notte del 10 luglio 1973 scompare a Roma John Paul Getty III, nipote del ricchissimo petroliere inglese. John Paul ha 16 Janni, è un ragazzo con i capelli lunghi e l'aspetto trasandato. I giornali dell'epoca lo descrivono come un hippie che frequenta nightclub e manifestazioni di sinistra. Per guadagnarsi da vivere, vende per strada piccoli gioielli, dipinti creati da lui e fa la comparsa a Cinecittà. E un caso che per cinque mesi rimane sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e culmina in un gesto macabro: i rapitori tagliano l'orecchio destro dell'ostaggio e lo inviano a un giornale per convincere la famiglia a pagare il riscatto. II nonno del giovane è ricchissimo, si dice che potrebbe pagare le tasse degli ultimi dieci anni di tutti gli italiani. I suoi averi sono valutati 1.000 miliardi di lire e il patrimonio delle sue compagnie petrolifere è di 3.000 miliardi. Creata da Simon Beaufoy, Danny Boyle e Christian Colson (i tre di The Millionaire), la serie Trust. Il rapimento ripercorre queste vicende nei toni della saga familiare, tra riferimenti alti (non può mancare Shakespeare) e cadute soap (giusto pensare a Dallas e a Dynasty, ma non a una storia rappresentata «in maniera barocca e volutamente volgare come fosse una telenovela anni Settanta», come goffamente è stato scritto). A dirigere i primi tre episodi lo stesso Danny Boyle, mentre la regia di uno degli episodi ambientati nel nostro Paese è stata affidata a Emanuele Crialese (Sky Atlantic, mercoledì, 21.15). Tra lezioni di old economy ed esercitazioni bunga bunga ante litteram, il «vecchio» Donald Sutherland si dimostra in grande forma: «I Getty e la regina d'Inghilterra non hanno mai contante». Curiosamente, Trust esce a pochi mesi di distanza da Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott basato sulla medesima vicenda, con Christopher Plummer ingaggiato all'ultimo per sostituire Kevin Spacey". (Aldo Grasso)

mercoledì 24 gennaio 2018

NEWS - Underwood, abbiamo un problema! Dopo lo scandalo sessuale di Kevin Spacey, Netflix ci ha rimesso 39 milioni di dollari
News tratta da "Uproxx"
Netflix reportedly took a $39 million write-down for its fiscal fourth quarter due to the cancellation of two Kevin Spacey projects, Deadline reports. CFO David Wells revealed the company’s write-down during an earnings interview, but did not outright say the money lost was because of Spacey’s ongoing sexual harassment scandals. Sources close to the issue have told Deadline, however, said the money was indeed tied up in the final episodes of House of Cards and Spacey’s Gore Vidal biopic, Gore. On the call, Wells explained that write-downs were a normal part of the business, Netflix just “hadn’t had one of this magnitude.” Wells said the decision “related to the societal reset around sexual harassment, so it was somewhat unusual in that respect.” According to Variety, the period biopic on writer Gore Vidal had already wrapped and is now seemingly shelved indefinitely. The final season of House of Cards has been moved from its usual order of 13 episodes to eight. Additionally, it’s possible that some of the losses Netflix is soaking up were put into a canceled Louis C.K. special after the comedian admitted to multiple instances of sexual misconduct last fall. As The Hollywood Reporter points out, the removal of Danny Masterson from The Ranch after multiple women accused him of sexual assault would not have contributed to this loss.

venerdì 19 gennaio 2018

NEWS - Ci sono 3 motivi per cui Netflix è risultata la rete / piattaforma più amata in Italia (e non solo) nel 2017. Leggi Link.

domenica 5 novembre 2017

sabato 4 novembre 2017

mercoledì 1 novembre 2017

martedì 31 ottobre 2017

GOSSIP - Senti che Rapp! L'attore di "Star Trek Discovery" accusa Kevin Spacey, fresco di coming out, di averlo molestato a 14 anni. L'interprete di Underwood si scusa. Lo showrunner di "House of Cards"chiosa senza mezzi termini: "molto preoccupante"
(Ansa) - Nuove rivelazioni a sfondo sessuale dalle star di Holliwood. A finire in prima pagina oggi è Kevin Spacey che ha fatto coming out. La star di House of Cards lo ha rivelato con un post, dopo essere stato accusato qualche ora prima da Anthony Rapp - l'attore che dà il volto a Paul Stamets in Star Trek Discovery - di averlo molestato sessualmente nel 1986. All'epoca Rapp aveva 14 anni, Spacey 26. Attraverso un lungo tweet, ha prima chiesto scusa a Rapp per la sua condotta riprovevole e ha poi deciso di fare chiarezza sul suo orientamento sessuale. "Ho molto rispetto e ammirazione per Anthony Rapp come attore. Mi ha fatto orrore sentire la sua storia. Sinceramente non ricordo quell'episodio che risale a più di 30 anni fa e che è frutto di un comportamento inappropriato legato ai fumi dell'alcol. Ma se mi sono comportato come lui dice, gli faccio le mie più sincere scuse (…) Questa storia mi stimola a raccontare di più sulla mia persona. Nella mia vita ho avuto relazioni sia con donne sia con uomini. Ho amato e avuto incontri romantici con diversi uomini nel corso della mia vita e ora ho deciso di vivere da uomo gay. Voglio affrontare la cosa onestamente e apertamente".

lunedì 16 ottobre 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

"Rivista Studio"
Perché "Suburra" non piace a tutti?
"In poco più di una settimana, Netflix ha sconquassato il mondo della serialità italiana, dico serialità perché lì la parola fiction è vietata. Fino ad ora. Adesso ci si trova Don Matteo e altra roba di produzione Rai, e sui social è venuto giù un pieno: non paghiamo 9,99 euro al mese (la tariffa aumenterà) per vedere Terence Hill in HD! È il grande equivoco di una piattaforma digitale nata a fortissima caratterizzazione social: per molti utenti non dev’essere un network che offre contenuti a una platea sempre più vasta (se no uno il network cosa lo apre a fare), ma un luogo di riconoscibilità individuale, dove ognuno deve trovare ciò che parla solo a lui. Da qui viene anche la frase che ultimamente si sente ripetere più spesso: «Su Netflix non c’è niente». Esaurite in poche sere le due-tre cose che interessano a te, il resto è come se non esistesse. Ma si aprirebbe un discorso troppo lungo. Torniamo alla settimana decisiva di cui sopra. È appena esplosa la bomba Don Matteo ed ecco che arriva Suburra, la prima serie italiana che Netflix ha proprio deciso di produrre, pensa te. All’ultima Mostra di Venezia, dove sono stati presentati i primi due episodi, si è assistito al primo caso di oggetto non identificato, fatto da cinematografari romani ma pensato per un bacino che si spinge ben oltre Roma Nord: i numeri di Netflix dicono più di 100 milioni di abbonati nel mondo. Faceva un certo effetto ricevere comunicati stampa dove leggevi nomi come Claudia Gerini e Michele Placido da parte di grossi PR internazionali. I giornalisti italiani in cerca dei soliti amici da buffet ci sono rimasti malissimo: e mo come facciamo? Con chi parliamo? La serie è piaciuta. Agli italiani, che sentivano l’attenzione della stampa internazionale, non si può vivere del resto di solo Sorrentino. E pure agli stranieri, che hanno ritrovato nel nuovo prodotto l’unico cinema (e Tv) ultimamente esportato oltre confine: Romanzo criminale, Gomorra e, sì, Sorrentino. Ora che Suburra è a disposizione di tutti, a certi critici incrociati alla festa veneziana non piace più (l’open bar gentilmente offerto da Netflix è ormai un lontano ricordo), la stampa storce un po’ il naso, sul pubblico non esistono dati di share, si intuiscono reazioni opposte ma è giusto così, il tempo di guardarla in pochi giorni e poi il solito ritornello: «Su Netflix non c’è niente». Il dato interessante è un altro. Per la sua prima produzione italiana, Netflix ha puntato sul nuovo immaginario che ormai riconosciamo (e in cui ci riconosciamo) anche noialtri: Suburra sembra Romanzo criminale, sì; sembra Gomorra, sì. E grazie al cazzo (scusate). Stavolta Stefano Sollima non figura tra i registi, stava girando il sequel di Sicario di Denis Villeneuve, a sua volta impegnato con quel piccolo film che è Blade Runner 2049: non mi sembra una cattiva promozione per nessuno dei due. Ma è proprio con Sollima, autore principale delle versioni televisive di Romanzo criminale e Gomorra, che è partita questa idea di nuovo racconto popolare, pop e paraculo, locale e globale, con «dramatic instinct and visual verve» (dalla recensione di Screen a Suburra il film). Poi è venuto l’imprescindibile innesto sorrentiniano, nella prima sequenza della serie c’è ovviamente un prete, non ce ne libereremo mai, ma ormai siamo persino disposti ad accettarlo. Racconto popolare, dicevo. I miei amici di Facebook si lamentano delle didascalie “Roma centro” sopra le inquadrature del cupolone di San Pietro: certo, c’avete ragione, ma forse non sono messe a caso. Né sono messi a caso gli spiegoni di Mafia Capitale for dummies, i siparietti coatti a Ostia Lido per chi Ostia Lido non sa cosa sia, le coincidenze forzate tra ammore e malavita, tra borgatari e vescovi, tra consiglieri comunali e tesorieri vaticani. Non sono un fan né di Suburra né di House of Cards, per dire, ma di quest’ultima siete arrivati alla quinta stagione senza lamentarvi troppo, e dire che era diventato inguardabile già all’inizio della seconda. Vi anticipo: non sto mettendo a confronto Alessandro Borghi con Kevin Spacey. È che siamo così, dolcemente esterofili: quando guardiamo le cose nostre non ci va bene mai, vogliono avere ragione sia quelli che «c’è troppa poca monnezza per essere Roma» sia quelli che «dà una pessima immagine del nostro Paese», (ancora) non va bene Don Matteo ma non va bene manco una cosa girata meglio, scritta meglio, recitata meglio (io vedo un casting semplice semplice come quello dei tre protagonisti Borghi-Ferrara-Valdarnini e mi sembra comunque miracoloso) e che però vuole continuare ad essere popolare, appunto. No: il vostro sogno è passare da Don Matteo a The Wire nel giro di una stagione, anzi mezza, una stagione intera è troppo. Poi c’è un altro problema. E cioè che il racconto popolare ce lo scriviamo da soli tutti i giorni da anni, dunque la finzione, seppur verosimile, ci lascia sempre e comunque insoddisfatti. Con un sindaco (pardon: una sindaca) come Virginia Raggi che scrive tutti i giorni sceneggiature degne di un film di Dino Risi, quelle delle serie non saranno mai all’altezza. Lo capisco, succede anche a me. Eravamo l’unico Paese al mondo in cui gli stand-up dell’attualità politica andavano più veloci del loro possibile adattamento cinematografico, meno male che oggi di là è arrivato Trump. Di fronte a Virgy contro l’Atac, per citare giusto uno dei format di maggior successo, nessuno showrunner potrà mai inventare qualcosa di meglio". (Mattia Carzaniga)

mercoledì 24 maggio 2017

GOSSIP - Robin Wright shock: "ho iniziato facendo la modella a Parigi mostrando le tette e sentendomi dire che erano troppo piccole...adesso pretendo lo stesso salario di Kevin Spacey in 'House of Cards!"
Robin Wright is on the cover of Net-a-Porter’s The Edit
Here’s what the 51-year-old House of Cards actress had to share:
On not getting equal pay on House of Cards“I was told that I was getting equal pay and I believed them, and I found out recently that it’s not true….Yes, so that’s something to investigate. Claire and Francis are equivalent as far as their power, their union and the plot. I may not have as many scenes or words as Francis, but Claire doesn’t need to verbalize as much. Francis is an orator, a poet, a demonstrator. Claire is an [ego] that sits in the back and directs him, but they are partners on the same plane.”
On the nightmare of modeling when she was young: “[I modelled] to make money, so I could stay in Paris, because I was broke. That was a nightmare: you go into a go-see, lift up your shirt, then [someone says], ‘Her boobs aren’t big enough,’ and you’re out… I put together a semi-book; dancing pictures of me in leotards. Like soft porn with legwarmers. So pathetic. In Paris, they were like, ‘This is not a book.’ It was so cheeseball. I interviewed with every agency. They said, ‘You’re never going to be tall enough to sign with Wilhelmina and IMG; you can do bathing suits, beauty, lingerie.’”
On fame: “[I] Never wanted [fame], never sought it, never thought about it. I didn’t know what to do with it. I turned down doing the cover of Vanity Fair because I was so petrified of sharing myself. I was married to Sean [Penn] at the time, and I knew that all they wanted to know was what color underwear he wore.” Visit The Edit for more from Robin!

martedì 12 aprile 2016

NEWS - Guerra tv senza frontiere nell'Europa latina! Da settembre fuochi d'artificio a tutto campo dopo l'allenaza Vivendi-Premium che punta anche alle serie autoprodotte con standard americani (anche con star Usa)
Articolo tratto da "La Stampa"
Film e serie televisive in stile Usa. Ma anche le fiction più adatte all’Europa del Sud, con puntate più lunghe, che gli americani non producono. E c’è perfino l’ambizione di coinvolgere star a stelle e strisce. A tutto questo punta il tandem Vivendi-Mediaset con il suo Netflix europeo (a Vincent Bolloré piace tantissimo chiamarlo «latino»). Una piattaforma di contenut i on dem and e disponibile online, proprio come Netflix, dovrebbe nascere già in settembre e potrebbe da subito coinvolgere Telefonica in Spagna. Oltre a questo mercato, comunque, e alla Francia e all’Italia, Bolloré e Berlusconi puntano alla Germania. Si darà vita a un’unica società produttiva di contenuti, da rendere disponibili sulla piattaforma. Non solo: come indicato dal quotidiano le «Figaro», Vivendi e Mediaset sarebbero in trattative con alcune major americane, in particolare Fox e Warner, così da inserirle nella società. Ma per produrre cosa? Come indica una fonte vicina al dossier, «sono tre tipi di prodotti: i film, europei ma con standard americani e anche con star Usa, come Brad Pitt o Kevin Spacey. Poi le serie tv, con un numero elevato di puntate (una quarantina) ed episodi sui 40 minuti di durata. Infine, le fiction con una decina di puntate, ognuna lunga fino a due ore». Sono quelle sul modello di «Montalbano» o di «Task Force», novità di Mediaset con Raul Bova. Tra serie e fiction, ne potrebbero essere già messe in cantiere una decina da qui a 4-5 anni. La prima tappa, mettere sulla piattaforma di vendita dei contenuti, è abbastanza facile e non richiede grossi investimenti. Bisogna innanzitutto accorpare le attività simili dei nuovi partner. Vivendi ha CanalPlay in Francia e Whatchever in Germania. Da sottolineare: CanalPlay va male. Ha perso negli ultimi mesi circa 300 mila abbonati, scendendo sotto i 600 mila, anche per la concorrenza di Netflix. Sempre per la distribuzione di contenuti on demand su Internet, Mediaset dispone di Infinity in Italia. Poi in Spagna Telefonica (Vivendi ha l’1% del capitale di questo gruppo) ha creato Yomvi, che è una filiale di Movistar+, la pay tv dell’operatore telefonico. Tutte queste società per il momento possono contare (mettendo dentro anche Yomvi di Telefonica) su appena 2,5 milioni di abbonati. Insomma, poca cosa rispetto ai 75 di Netflix (32 fuori dagli Usa). Ma l’obiettivo è mettere il piede sull’acceleratore, attingendo a nche al bacino degli utenti delle pay tv di Vivendi, Mediaset e in più di Telefonica (12 milio ni in tutto ). Sul fronte della produzione, Vivendi e Mediaset, che è presente in Spagna mediante il 41% di Telecinco, metterebbero insieme le loro risorse. Si assocerebbero poi i media di Telefonica e forse, come abbiamo visto, una major americana. Inoltre, in quest’ottica vanno considerati certi recenti investimenti di Vivendi. La sua filiale StudioCanal ha preso delle partecipazioni nella spagnola Bambu Productions, famosa per le serie Velvet e Grand Hotel. E anche in due società inglesi del settore, Urban Myth Films e Sunny March Tv. Infine, Vivendi ha acquisito il 26% di Banijay, numero tre mondiale della produzione audiovisiva. Sì, Bolloré stava preparando il colpo da tempo.

mercoledì 16 marzo 2016

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
Il cedimento al maniersimo e alla soap di "House of Cards"
"E' tornata la serie «House of Cards» con tutto il suo carico di ambiguità, con le sue lezioni sul potere, con le sue riflessioni sulla grandezza e la debolezza dell'essere umano condensate in aforismi memorabili. Avevamo lasciato Frank Underwood (Kevin Spacey) in una posizione precaria, esposto come di consueto ai rovesci della fortuna e alle macchinazioni della politica: raggiunto l'agognato obiettivo della presidenza grazie a un tecnicismo, gli resta il compito più difficile, quello di confermare l'incarico attraverso le urne elettorali. L'attesa per la partenza della serie era alta anche perché Netflix ha puntato negli scorsi mesi su una promozione molto interessante, fatta di spot per la campagna elettorale di Underwood che strizzavano inevitabilmente l'occhio a quello che stava succedendo nell'arena politica reale, con il confronto tra Clinton e Trump. I primi due episodi, trasmessi in Italia da Sky Atlantic, hanno confermato che il tema portante della serie è, in fondo, il matrimonio (venerdì scorso gli episodi in lingua originale, mercoledì alle 21.10 doppiati in italiano). Cosa può succedere se Claire (Robin Wright), anima nera della power couple Underwood, volta le spalle a Frank, desiderosa di perseguire la sua propria carriera politica, forse anche di riaffermare il suo privilegio di nascita a scapito del marito (è figlia di una ricca dinastia texana, mentre Frank è di umili origini)? L'impressione è che il racconto di questa stagione abbia in diversi punti ceduto volentieri al manierismo, eccedendo nel sovraccaricare e virare in chiave soap alcuni aspetti. Ma restano alcune perle, alcuni momenti di grande raffinatezza narrativa. Come il confronto serrato tra Frank e la suocera che non ha mai approvato la provenienza popolare del genero, figlio di un coltivatore di pesche, che il presidente chiude così: «Sono rimasto spazzatura bianca, ma questa spazzatura ora vive alla Casa Bianca»". (Aldo Grasso, 08.03.2016)

martedì 8 marzo 2016

NEWS - Clamoroso al Cibali! Netflix tenta di strappare (il suo) "House of Cards" a Sky...(via twitter, per ora)

Articolo di Gian Maria Tammaro per "La Stampa"
"Da una parte c'è Sky, con una macchina solida e oliata, capace di offrire al pubblico tutto quello che vuole - intrattenimento, tv, sport, informazione - e dall'altra c'è Netflix, l'ultima arrivata, forte di una campagna marketing e comunicativa da grandi numeri. Nessuno ne parla, ma uno scontro - ancora agli inizi e difficile da mettere a fuoco - c'è. Sky sta investendo sull'online e sull'on demand, ha lanciato la nuova offerta di Box Sets (tutte le serie tv disponibili online, ciclicamente) e si prepara al ritorno di due dei suoi prodotti più forti: II trono di spade e Gomorra. Netflix, invece, continua a sondare il terreno, nel tentativo di capire effettivamente di che pubblico dispone (sarà anche per questo che non ci sono stati ancora proclami ufficiali sul numero di abbonati). L'ultimo atto di questa battaglia si è svolta su Twitter, dopo che una fan di House of Cards ha chiesto al profilo ufficiale Netflix quando la serie sarebbe arrivata in Italia come in tutti gli altri Paesi. Le ha «risposto» il Presidente Frank Underwood, il personaggio interpretato da Kevin Spacey, con una finta lettera ufficiale in cui assicura «di stare lavorando senza sosta per riuscirci». Dentro e fuori la finzione, con un click. Sky non ha rilanciato, preferendo continuare con la policy di sobrietà e pacatezza. E venerdì ha mandato in onda i primi due episodi della quarta stagione di House of Cards, di cui ha ancora l'esclusiva. Non sta cambiando solo il pubblico, ma anche il sistema. La televisione è troppo piccola per ospitare tanta offerta. La domanda, ora, non è chi la spunterà tra Netflix e Sky, ma come lo scontro modificherà l'intrattenimento. Si punterà finalmente sui prodotti online, per tutti, sempre disponibili? O si continuerà a trincerarci dietro vecchi palinsesti, capaci ancora di grandi numeri ma non di rinnovarsi?

mercoledì 24 febbraio 2016

NEWS - House of Promotion. Kevin Spacey all'anteprima come un (vero) presidente. E mostra pubblicamente il proprio ritratto presidenziale
New York, 24 feb. (askanews) - "House of Cards" apre la quarta stagione. E lo fa con stile. Lunedì sera, il protagonista della serie prodotta da Netflix, Kevin Spacey, è arrivato alla National Portrait Gallery di Washington a bordo di una limousine nera, molto simile a quella utilizzata dal (vero) presidente degli Stati Uniti. L'attore, interpretando lo spietato personaggio del presidente Francis Underwood, è entrato nella galleria - riporta il Washington Post - e si è presentato davanti al pubblico, accorso per l'anteprima della quarta stagione della serie. Spacey ha quindi mostrato pubblicamente un proprio ritratto in stile presidenziale. Un esempio di meta-televisione dal risultato particolarmente efficace. All'evento hanno preso parte numerosi esponenti del circuito mediatico ma anche rappresentanti dell'universo politico (come il consigliere presidenziale, Valerie Jarrett).

sabato 14 novembre 2015

NEWS - #ParisAttacks, i volti seriali reagiscono all'attacco subito dalla capitale francese

lunedì 7 settembre 2015

NEWS - Netflix, lo sbarco in Italia il 16 ottobre!

Articolo tratto da "Corriere Economia"
"Entreremo in quattro case su dieci": ecco il piano di Netflix, il big della Web tv, presente in 50 Paesi e pronto allo sbarco in Italia nelle prossime settimane. Con 8 euro al mese farà concorrenza a Sky e Mediaset. Negli Stati Uniti ha già tolto 2 milioni di spettatori ai rivali. E da noi...Oltre 650 mila americani hanno «tagliato la corda» nella prima metà di quest anno. Hanno cioè disdetto il loro abbonamento alla tv a pagamento, che negli Stati Uniti è il mezzo più comune di accedere ai canali televisivi. Se si aggiunge il numero di nuovi nuclei famigliari che si sono formati nello stesso periodo e non si sono mai collegati, si arriva a due milioni di clienti persi per le aziende del settore, che comprendono le grandi tele-com come Verizon, gli operatori via cavo come Time Warner Cable e quelli via satellite come DirectTv. È un tracollo storico, senza precedenti, spinto dal nuovo modo di guardare film, telefilm e altri show a cui si è abituato il pubblico grazie ai servizi online di video: non più solo sul «vecchio» piccolo schermo negli orari prefissati, ma in ogni momento, in modo semplice e personalizzato, su qualsiasi apparecchio connesso a Internet, dalla smart tv al pc, dalla console di gioco allo smartphone e tablet. Il protagonista numero uno di questa rivoluzione, Netflix, sta per sbarcare in Italia e, visto il suo impatto sul mercato americano — dove il 36% delle case è abbonato al suo servizio —, si può immaginare quanto siano preoccupati i due principali operatori di tv a pagamento nostrani, Mediaset e Sky. «Non abbiamo ancora fissato il giorno preciso in cui lanceremo il nostro servizio per i clienti italiani», dice a Corriere Economia Joris Evers, il portavoce di Netflix per l'Europa, dal suo ufficio ad Amsterdam, l'unica città del Vecchio continente dove l'azienda americana è presente con i suoi uomini. La data potrebbe però essere il 16 ottobre, quando debutterà — contemporaneamente nelle sale cinematografiche Usa e online — il primo film originale prodotto da Netflix: Beast of no nation, presentato la settimana scorsa al Festival di Venezia, girato da Cary Fukunaga, lo stesso regista della prima stagione della fortunata serie tv True detective. «Siamo ottimisti, in Italia ora c'è più banda larga sui dispositivi mobili». La produzione in proprio di contenuti originali è la strategia per fidelizzare i propri abbonati che Netflix ha inaugurato quattro anni fa con la serie House of cards, il thriller politico con protagonista Kevin Spacey premiato nel 2013 dagli Emmy awards, gli Oscar della tv americana. Era la prima volta che una Internet tv otteneva un simile riconoscimento. E ha aperto la corsa alla creazione di show solo per il pubblico online in cui si sono lanciati anche Amazon.com, Yahoo! e Google (con YouTube). Paradossalmente proprio House of cards e l'altro programma popolare di Netflix, Orange is the new black, non saranno disponibili agli abbonati italiani, perché i loro diritti erano stati ceduti rispettivamente a Sky Atlantic (della NewsCorp di Rupert Murdoch) e a Mediaset (il gruppo di Silvio Berlusconi), sulle cui reti continueranno a essere trasmessi. «Il successo di queste due serie è per noi una pubblicità gratuita — sostiene Evers —, perché ha abituato gli italiani ad associare programmi tv di qualità al nostro marchio». Ma certo la mancanza di due titoli famosi nel catalogo Netflix non contribuisce all'appeal del servizio. In conpenso gli spettatori italiani potranno vedere — sia doppiati in italiano sia in lingua originale (con o senza sottotitoli), al prezzo probabile di 7,99 euro al mese — altre serie tv originali Netflix  come Marco Polo — girata in parte a Venezia con gli attori Lorenzo Richelmy e Pierfrancesco Favino, e Narcos (la storia del traffico di droga del cartello di Pablo Escobar), oltre a film e documentari come Chefs Table. «Siamo molto ottimisti sulla crescita dell'Internet tv in tutto il mondo, Italia compresa — dice Evers — Negli Usa dopo otto anni dal lancio siamo arrivati a una penetrazione del 30-40% nelle case e speriamo di avere la stessa traiettoria in Italia, dove adesso cè una buona disponibilità della banda larga (Internet veloce), anche attraverso gli apparecchi mobili». L'obbiettivo dichiarato da Reed Hastings, il fondatore e amministratore delegato di Netflix è raggiungere tutto il mondo entro il 2017. Al momento la società americana è operativa in 50 Paesi e ha 65 milioni di abbonati, la maggioranza (42 milioni) negli Usa. Dove il suo marchio è così famoso, che un americano su cinque pensa che rimpiazzerà del tutto i tradizionali servizi televisivi (secondo un recente sondaggio a cura delle società di ricerca iModerate e Luminoso). «La tv del futuro sarà un grande iPad con le app al posto dei canali», ha detto Hastings. Una visione che sembra sempre più vicina alla realtà e con cui i tradizionali operatori come Mediaset e Sky devono fare i conti.

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