CORRIERE DELLA SERA
Le ingenuità e gli stereotipi di "Baby"
"'Per noi la vita è semplice, vogliamo sentirci onnipotenti, divertirci e fare cazzate. E se non riusciamo a farlo alla luce del giorno ci rifugiamo in qualcosa che è solo nostro. La cosa bella è avere una vita segreta...». Adolescenti inquieti e genitori egocentrici, perdizione e rispettabilità borghese, Parioli e borgate: liberamente ispirata alla vicenda delle «baby-squillo» minorenni che segnò la «Roma bene» nel 2013, la serie «Baby» (Netflix) se ne discosta ampiamente, senza troppo cedere alla pressione della cronaca. Dopo «Suburra», il colosso globale dello streaming conferma la Capitale come ambientazione privilegiata per le proprie produzioni locali italiane; una Roma di nuovo scandagliata nei suoi bassifondi morali, ma osservata stavolta nei suoi spazi urbani più elitari e distintivi e mediata tramite un universo giovanile a rischio d'implosione. A raccontare la storia dell'amicizia tra Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani), delle loro frequentazioni pericolose e della loro solitudine familiare, così diversa ma in fondo simile (il formalismo di genitori «separati in casa» nel caso di Chiara, l'assenza del padre e la presenza di una madre assalita da patologie adolescenziali nel caso di Ludovica), è la scrittura del collettivo Grams, un insieme di giovani autori romani, pressoché coetanei dei protagonisti della serie, e forse proprio per questo titolati a imprimere agli snodi della trama scarti un po' ingenui e a forzare i diversi piani di conflitto e di contrapposizione con soluzioni stereotipate (o prese a prestito dal nuovi §cenaci del teen trama, tipo la serie spagnola Elite). L'operazione va, tuttavia, nella direzione di immaginare anche un pubblico largo. II cast attinge dai giovani attori di Braccialetti rossi ad adulti come Pandolfi, Isabella Ferrari, Calabresi". (Aldo Grasso)
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