NEWS - Fermi tutti! Il vero nemico di Netflix è...la D'Urso! La creatura di Reed Hastings ha il fiato corto, come le altre pay tv, per colpa della tv generalista (100 canali solo in Italia!). Nuove strategie per sopravvivere: telefonia o morte...
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Non
è bastato a Vincent Bolloré quel 14,35% per convincere gli altri
azionisti di Vivendi che l'affaire Mediaset Premium fosse una buona
idea. Tra accuse, lettere, e tribunali la querelle tra le due società ha
tenuto banco per tutta l'estate e le conseguenze, soprattutto per il
gruppo francese, ancora non sono chiare. Una questione pert) è emersa
con forza: in questo Paese non cë posto per due pay tv. Del resto ad
accendere la miccia nell'anomalo mondo televisivo italiano ci aveva già
pensato Reed Hastings quando a ottobre era arrivato in Italia con la sua
creatura. Netflix, mitologica entità «on demand» che prometteva di
scardinare il sistema gerarchico dei media, ma che, dati alla mano sta
facendo fatica. Per lo meno sul mercato italiano. Non bisogna
dimenticare, tra l'altro, che nelle intenzioni di Bolloré c'era
l'ambizioso progetto di investire in contenuti per costruire un gruppo
media Sud europeo, con partner chiave delle telecomunicazioni per creare
una piattaforma di contenuti video on demand simile a Netflix. Dati
ufficiali per quanto riguarda gli utenti Netlix nel nostro Paese non ci
sono: voci di mercato parlano di 250/300 mila unità, anche se, proprio
per il business di Netflix, è difficile arrivare a una cifra univoca.
Dipende, banalmente, da cosa propone di mese in mese il portfolio a
livello di film e (soprattutto) di serie.
Con questi numeri è difficile che i «big» si sentano
minacciati. In Italia come in Francia, dove Netflix è arrivato nel 2014,
un anno prima rispetto a noi, e dove non riesce a spostarsi dai 750
mila utenti. Oltralpe il gruppo di Hastings è in perdita, al punto che
ha deciso di chiudere i propri uffici e spostare le attività in toto ad
Amsterdam. E in Francia non sta brillando nemmeno Canal Plus, la pay tv
di Vivendi. Dopo un semestre finanziariamente difficile, con un
risultato operativo negativo per oltre 100 milioni, il gruppo ha
annunciato un taglio dei costi, da 300 milioni da qui al 2018
per le attività francesi del gruppo. Non solo. Lo scorso giugno
l'antitrust francese ha bloccato l'accordo con la qatariota BeIn Sports,
un brutto colpo per Vincent Bolloré, che aveva puntato molto su un
accordo con la società del Qatar per far tomare a crescere i conti di
Canal Plus. Senza dimenticare che a luglio Vivendi ha annunciato la
chiusura di Watchever, il servizio di streaming attivo in Germania e
controllato dal gruppo francese. Una decisione motivata senza dubbio dai
numeri bassi della piattaforma svod, ma che stupisce proprio per la
volontà di Bolloré di creare il super polo europeo «anti Netflix». Per
quanto sia stato poco fair, il «corsaro» Bolloré (definizione del
premier francese Hollande, «senza ira e senza malizia», avrebbe detto
Tacito) ha capito che l'unica soluzione per la tv, in Francia come
in Italia, è quella di concentrare il business, diversificando i
canali, per quanto
paradossale possa sembrare. Ecco perché ora starebbe
puntando, dopo l'alleanza con Orange siglata a fine luglio, su una
collaborazione con Free, l'operatore tic del gruppo Iliad di Xavier Niel
(che dovrebbe arrivare anche in Italia in caso di fusione Wind-3) per
puntare su una strategia di moltiplicazione dei canali di distribuzione
che sembra scelta dal management della pay-tv francese per salvare le
proprie sorti. Anche in Italia gli operatori di telefonia, che per il momento
non si sono mai messi in gioco, avranno un ruolo importante e da non
sottovalutare nel cambiamento del mercato pay. La Spagna ha vissuto il
caso di Telefonica, l'operatore spagnolo che aveva fondato Via Digital,
poi diventata Canal dopo la fusione nel 2003 con Canal Satélite
Digital. Vittorio Colao, numero uno di Vodafone nel 2014 ha acquisito, per 7,2
miliardi, Ono, operatore via cavo spagnolo, scegliendo di puntare
sull'integrazione dei servizi mobili con l'offerta a banda larga fissa e
pay tv del provider iberico. Per il momento il vero nemico della pay
made in Italy è la tv generalista. Data per morta in realtà è quella che
appare più in salute. A fronte dei 55 canali gratis nel Regno Unito,
dei 35 in Spagna e dei 28 in Francia (per la Germania il conteggio è più
complesso con canali satellitari in chiaro a livello nazionale e
regionale), l'Italia conta circa un centinaio di canali.
Pay contro free.
Secondo Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente e
amministratore delegato di Mediaset, «la tv generalista è quella del
futuro». Come dargli torto? Dal suo punto di vista, visti i numeri tra
audience e incassi, è così: il Biscione difende tranquillamente il
proprio dominio sul telecomando, forte di una programmazione vicina al
«nazionalpopolare» che attira più pubblicità dei concorrenti. Lo stesso
vale per Sky Italia che ha visto negli ultimi mesi una crescita
sensibile di audience e incassi pubblicitari anche grazie alla tv in
chiaro posizionata sul tasto 8, acquisita a fine luglio del 2015. Del
resto il gruppo guidato da Zappia ha deciso da tempo di puntare sui
contenuti, sia pay sia in chiaro, unico vero ago della bilancia che
decide le sorti dei media, con 40 milioni di euro investiti in nuove
produzioni (contro i 5 miliardi previsti da Netflix). Ma dalla sua Sky
non sconta i 690 milioni spesi, invece, da Mediaset Premium per i
diritti della Champions Leauge. Diritti che non hanno mai fatto
lievitare il numero degli abbonati.
lunedì 5 settembre 2016
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