giovedì 26 marzo 2015

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"1992", racconto a mosaico tra manierismo e opera meritoria
"Preceduta da un'intelligente e capillare campagna promozionale (il canale 111 di Sky ha programmato solo opere del 1992, un'ideona!), ecco finalmente «1992», la serie sugli anni di Mani Pulite, un affresco storico in dieci puntate su quel fatidico anno che ha spazzato via i tradizionali partiti politici, nel bene come nel male. Ogni puntata racconta un mese del 1992, partendo proprio dall'arresto di Mario Chiesa nel Pio Albergo Trivulzio (17 febbraio) per concludersi il 15 dicembre, con l'avviso di garanzia a Bettino Craxi. Il poderoso racconto intreccia le storie di sei personaggi principali: Leonardo Notte (Stefano Accorsi), un passato extra-parlamentare e un presente votato al marketing più spietato; il poliziotto Luca Pastore (Domenico Diele) in cerca di giustizia; il suo collega Rocco Venturi (Alessandro Roja); Tea Falco nel ruolo di Bibi Mainaghi, figlia di un ricco industriale coinvolto negli scandali; Miriam Leone, disposta a tutto pur di andare a condurre «Domenica In»; e infine Pietro Bosco (Guido Caprino), testa calda che, per aver salvato un leghista da due albanesi, diventa un eroe per la Lega che lo candida in Parlamento. Sono personaggi inventati con nomi di fantasia, ma nella serie non mancano i riferimenti diretti ed espliciti a personaggi reali coinvolti nel periodo più nero della Repubblica Italiana: i magistrati Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), Gherardo Colombo (Pietro Ragusa), Piercamillo Davigo (Natalino Balasso) e i politici Umberto Bossi (Guido Buttarelli), Roberto Maroni (Peppe Voltarelli) e tanti altri («anche se ispirate a fatti realmente accaduti le storie narrate sono frutto della fantasia degli autori», sottolinea prudente la didascalia iniziale). Le storie personali servono a ripopolare davanti ai nostri occhi quella stagione milanese di sbadata tragicità, quasi un paese delle maschere, dove l'arroganza si mescolava all'incoscienza, dove ai numerosi reati di corruzione si contrapponeva una sorta di repulisti morale della Repubblica, in un clima di redenzione e salvezza: gli arresti, gli interrogatori, la fine dell'impunità di politici e imprenditori, il ruolo «salvifico» e politico del magistrati, i suicidi...
«1992» prende le mosse dalla nascita di quella sorta di laboratorio creato da Marcello Dell'Utri (Fabrizio Contri), che mescola Publitalia e Forza Italia, pubblicità e politica, il Paese e Tangentopoli in un difficile equilibrio fatto di intuizioni e spregiudicatezza. Nel momento in cui un sistema politico sembra crollare c'è già chi capisce con prontezza come il crollo possa portare a un nuovo, radicale cambiamento. Almeno nelle prime puntate, la serie cerca di ricostruire l'epica un po' infantile di Mani Pulite e sposa più la tesi «giustizialista» che quella del «golpe giudiziario». I reati furono commessi, eccome, ma certo la magistratura non si sottrasse a una campagna di moralizzazione che mise in discussione l'intero sistema politico italiano. È un racconto a mosaico: alcune tessere sono molto belle e potenti (il realismo del leghista), altre un po' meno, là dove la secchezza del racconto cede al manierismo. Però, dalla prima inquadratura in avanti, è impossibile staccarsene. La serie, prodotta da Wildside, è scritta da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, con la supervisione di Nicola Lusuardi e la regia di Giuseppe Gagliardi. L'idea del progetto è di Stefano Accorsi, che partecipa allo sviluppo creativo della serie (immaginandosi con un certo coraggio come il Don Draper di Mad Men ). Alla grandiosa sfida produttiva non sempre corrisponde un altrettanto elevato ardimento inventivo: il paradosso è che proprio il ruolo di Accorsi sembra il più manierato di tutti.
Rispetto a «Romanzo criminale» e a «Gomorra», «1992» ha una struttura più disarticolata, come se il montaggio fosse più importante della sceneggiatura, come se il lavoro di moviola servisse a dare al racconto qualcosa che manca alla scrittura. Sky fa opera meritoria, ma non sono queste le serie che dovrebbe produrre il Servizio pubblico? O forse no: l'accesso al bene pubblico radiotelevisivo è ormai alla portata di tutti, la pluralità delle istanze politiche, sociali e culturali è assicurata dalla varietà e molteplicità dei canali, dei media, delle fonti. La vera lezione di «1992» è che non basta chiamarsi Servizio pubblico per esserlo". (Aldo Grasso, 25.03.2015)

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