L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"1992", racconto a mosaico tra manierismo e opera meritoria
"Preceduta da un'intelligente e capillare campagna promozionale (il canale 111 di Sky ha programmato solo opere del 1992, un'ideona!), ecco finalmente «1992»,
la serie sugli anni di Mani Pulite, un affresco storico in dieci
puntate su quel fatidico anno che ha spazzato via i tradizionali partiti
politici, nel bene come nel male. Ogni puntata racconta un mese del 1992,
partendo proprio dall'arresto di Mario Chiesa nel Pio Albergo Trivulzio
(17 febbraio) per concludersi il 15 dicembre, con l'avviso di garanzia a
Bettino Craxi. Il poderoso racconto intreccia le storie di sei
personaggi principali: Leonardo Notte (Stefano Accorsi), un passato
extra-parlamentare e un presente votato al marketing più spietato; il
poliziotto Luca Pastore (Domenico Diele) in cerca di giustizia; il suo
collega Rocco Venturi (Alessandro Roja); Tea Falco nel ruolo di Bibi
Mainaghi, figlia di un ricco industriale coinvolto negli scandali;
Miriam Leone, disposta a tutto pur di andare a condurre «Domenica In»; e
infine Pietro Bosco (Guido Caprino), testa calda che, per aver salvato
un leghista da due albanesi, diventa un eroe per la Lega che lo candida
in Parlamento. Sono personaggi inventati con nomi di fantasia,
ma nella serie non mancano i riferimenti diretti ed espliciti a
personaggi reali coinvolti nel periodo più nero della Repubblica
Italiana: i magistrati Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), Gherardo
Colombo (Pietro Ragusa), Piercamillo Davigo (Natalino Balasso) e i
politici Umberto Bossi (Guido Buttarelli), Roberto Maroni (Peppe
Voltarelli) e tanti altri («anche se ispirate a fatti realmente accaduti
le storie narrate sono frutto della fantasia degli autori», sottolinea
prudente la didascalia iniziale). Le storie personali servono a
ripopolare davanti ai nostri occhi quella stagione milanese di sbadata
tragicità, quasi un paese delle maschere, dove l'arroganza si mescolava
all'incoscienza, dove ai numerosi reati di corruzione si contrapponeva
una sorta di repulisti morale della Repubblica, in un clima di
redenzione e salvezza: gli arresti, gli interrogatori, la fine
dell'impunità di politici e imprenditori, il ruolo «salvifico» e
politico del magistrati, i suicidi...
«1992» prende le mosse dalla nascita di quella sorta di laboratorio creato da Marcello Dell'Utri (Fabrizio Contri), che mescola Publitalia
e Forza Italia, pubblicità e politica, il Paese e Tangentopoli in un
difficile equilibrio fatto di intuizioni e spregiudicatezza. Nel momento
in cui un sistema politico sembra crollare c'è già chi capisce con
prontezza come il crollo possa portare a un nuovo, radicale cambiamento.
Almeno nelle prime puntate, la serie cerca di ricostruire l'epica un
po' infantile di Mani Pulite e sposa più la tesi «giustizialista» che
quella del «golpe giudiziario». I reati furono commessi, eccome, ma
certo la magistratura non si sottrasse a una campagna di moralizzazione
che mise in discussione l'intero sistema politico italiano. È un
racconto a mosaico: alcune tessere sono molto belle e potenti (il
realismo del leghista), altre un po' meno, là dove la secchezza del
racconto cede al manierismo. Però, dalla prima inquadratura in avanti, è
impossibile staccarsene. La serie, prodotta da Wildside, è scritta da
Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, con la
supervisione di Nicola Lusuardi e la regia di Giuseppe Gagliardi. L'idea
del progetto è di Stefano Accorsi, che partecipa allo sviluppo creativo
della serie (immaginandosi con un certo coraggio come il Don Draper di
Mad Men ). Alla grandiosa sfida produttiva non sempre corrisponde un
altrettanto elevato ardimento inventivo: il paradosso è che proprio il
ruolo di Accorsi sembra il più manierato di tutti.
Rispetto a «Romanzo criminale» e a «Gomorra», «1992»
ha una struttura più disarticolata, come se il montaggio fosse più
importante della sceneggiatura, come se il lavoro di moviola servisse a
dare al racconto qualcosa che manca alla scrittura. Sky fa
opera meritoria, ma non sono queste le serie che dovrebbe produrre il
Servizio pubblico? O forse no: l'accesso al bene pubblico
radiotelevisivo è ormai alla portata di tutti, la pluralità delle
istanze politiche, sociali e culturali è assicurata dalla varietà e
molteplicità dei canali, dei media, delle fonti. La vera lezione di «1992» è che non basta chiamarsi Servizio pubblico per esserlo". (Aldo Grasso, 25.03.2015)
giovedì 26 marzo 2015
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