domenica 20 novembre 2016
GOSSIP - Lauren Cohan fa rivoltare nella tomba il povero Glenn su "Health Magazine"!
Lauren Cohan of "The Walking Dead" shows off her amazing and toned figure, covering the December issue of Women's Health magazine. In the issue, the actress revealed how she manages to stay fit and what people may be surprised to learn about her. Cohan admitted that she does all different types of activities to get herself in shape. "I try to follow the 10,000 steps, which is not difficult if I'm busy working, and Pilates, and ballet, and dancing. Anything that I have fun doing," Cohan told the mag. "For me staying healthy is so often just about me being happy, and a workout that makes me happy. Staying invigorated trying new things. If it's outdoors, it's dancing, I'm set." According to the magazine, Cohan never imagined that she would be playing Maggie Greene in "The Walking Dead." In fact, the actress believed she would be starring in comedic roles. However, the actress has fallen in love with the show. She also stated that she loves living in Georgia (where the show is filmed), reports Women's Health. The 32-year-old admitted that what people may be surprised to know about her is that she feels happiest listening to a piano and visiting churches in the state. "The things that make me the happiest are just standing around a piano. That's one thing I like about Georgia, I feel like I've met a lot of people with really old-fashioned hobbies ... I go to a gospel church here –– I actually go to a lot of different churches here just to sing. It's been such a great experience in the south. Basically anything that involves a piano, singing, jazz, reading ... I could be in 1800 and be really happy," Cohan admitted. In the December issue which is on stands now, the actress also revealed her admiration for Tilda Swinton. "I've always just thought she is so brave and so inspiring –– trailblazing. She doesn't follow any rules and it doesn't seem that she adheres to anything in life but what her heart and soul tell her to do," Cohan said. "I think that's just always what I'd like to check in with every day –– that that's how I'm conducting myself and conducting my life."
venerdì 18 novembre 2016
NEWS - Achtung, compagni! Il più grande oscuramento di siti illegali di serie tv di settimana scorsa è solo l'inizio: la Guardia di Finanza vuole scovare i pirati del web (reato penale e multe oltre i 2000 euro) e rintracciare chi scarica e i fornitori (i provider mantengono i dati di flusso). In Francia a chi viene beccato tagliano internet come fosse un'evirazione...
Chi invece lo fa con scopi di lucro, va incontro a un procedimento che prevede la reclusione; è questa la categoria verso cui si concentrano maggiormente le azioni della Guardia di Finanza, per ridurre appunto l'afflusso di questi contenuti.
Articolo tratto da Vice.com
La scorsa settimana la Guardia di Finanza, su disposizione del gip del Tribunale di Roma, ha effettuato il più grande oscuramento congiunto di siti illegali che offrono contenuti in streaming e download. In poche ore è stato impedito l'accesso a più siti internet che nei tre anni precedenti, ma non è soltanto il numero a far pensare che ci sia stato un giro di vite significativo nella lotta alla pirateria online. Le nuove misure, infatti, cercano di risalire a ritroso la china del denaro ottenuto da questi siti per rintracciare gli individui che vi si nascondo dietro. Questo cambiamento di strategia sarà realmente in grado di mettere fine all'epoca in cui ogni singolo contenuto video era reperibile gratis online con estrema facilità? E al di là di questo, le conseguenze riguarderanno solamente i fornitori di questi servizi illegali? Cosa rischia effettivamente chi scarica un film illegalmente—e magari lo ricondivide in sistemi di peer-to-peer—o lo guarda direttamente in streaming?
Per capirlo ho contattato l'avvocato Fulvio Sarzana, esperto in diritto delle nuove tecnologie, che da anni cura un blog in cui si occupa di questi temi. Ho cercato di riassumere quello che mi ha detto in una serie di punti principali, in modo da sintetizzare la situazione della pirateria online e dei rischi reali che si corrono utilizzandola in Italia.
Innanzitutto si deve distinguere il tipo di comportamento degli utenti che utilizzano questi contenuti: "la norma approvata nel 2005 in materia, che ha introdotto sostanzialmente nel nostro ordinamento le fattispecie di downloading e uploading di materiale protetto dal diritto d'autore su internet, pone una differenza sostanziale," mi ha detto l'avvocato Sarzana. Di fatto, chi guarda film o serie tv in streaming, o compie un download per utilizzo personale e singolo, non rischia praticamente niente. E questo anche per una semplice questione pratica: "le forze dell'ordine sono principalmente concentrate nell'individuazione di coloro che offrono questi servizi—tentare di perseguire migliaia di utenti sarebbe veramente complicato—ed è quindi l'upload a rappresentare la differenza sostanziale per il rischio di essere individuati."
Visto che l'utente che compie download non risponde, se non con delle sanzioni amministrative abbastanza blande, il tipo di servizio che utilizza non fa alcuna differenza. Sia che utilizzi un sito illegale per guardare una partita di Champions in streaming, sia che scarichi la prima stagione di Narcos. Per come stanno le cose, insomma, fruire di questi contenuti senza condividerli su internet allontana realmente ogni potenziale ritorsione legale, anche se in teoria si sta comunque compiendo un illecito che prevederebbe una sanzione amministrativa. "In altri paesi, invece, come la Francia, si arriva anche a tagliare la rete internet a chi scarica".
Se è l'upload a fare la differenza, resta comunque da capire cosa rischiano tutti gli utenti che partecipano ai circuiti di peer-to-peer. In questo caso, è la finalità dell'upload a essere discriminante.
"Chi immette su sistemi di file-sharing contenuti protetti dal diritto d'autore, senza scopi di lucro, rischia una sanzione penale. Ma è una sanzione di tipo pecuniario—fino a 2065 euro—che non prevede la reclusione."
I provider che ci danno accesso a internet conservano tutti i nostri dati di navigazione, e questo teoricamente potrebbe essere un fattore importante.
"Questi dati vengono utilizzati dalle grandi major per monitorare, più o meno legalmente, il compimento di determinati comportamenti. In realtà sarebbero dati protetti dalla privacy, però si discute da tempo—senza che qualcuno abbia mai portato prove reali—sul fatto che alcune società riescano a sapere quali sono gli utenti che scaricano."
Il Caso Peppermint, da questo punto di vista, è abbastanza significativo: l'etichetta discografica tedesca nel 2006 accusò più di 3.600 utenti per aver illegalmente condiviso file su cui esercitava il diritto d'autore, con la complicità dei loro provider. Il Garante della privacy, però, stabilì l'illegalità dei dati raccolti.
Per quanto riguarda invece l'ipotetico pericolo che qualcuno utilizzi una rete wi-fi pubblica—oppure sottraendo la password a un privato—per scaricare file protetti da diritto d'autore o per gestire il proprio sito di sharing, la normativa non prevede sanzioni a carico di coloro che posseggono la linea. "La responsabilità del provider si riferisce all'hosting, e quindi colui che risponde dell'infrazione è l'utente".
Al di là della mole di siti sequestrati, quest'ultima operazione della Guardia di Finanza prevede anche un salto di qualità nel tipo di procedimento utilizzato per perseguire coloro che lucrano grazie a questi siti.
"Le Forze dell'Ordine vogliono innanzitutto riuscire a identificare chi opera dietro questi siti grazie ai flussi di denaro, e dimostrare che spesso questi individui si trovano in Italia. Per poi contestargli una serie di reati congiunti."
Questo tipo di provvedimenti potrebbe insomma portare alla fine del meccanismo secondo il quale un sito sequestrato viene riaperto dopo poche ore utilizzando un altro url, perché finalmente si arriverebbe a individuare i responsabili. Con l'inasprimento delle conseguenze, poi, ci sarebbe probabilmente una diminuzione netta dell'offerta. In realtà, però, non si può essere così netti nel decretare l'imminente morte del fenomeno.
Secondo Sarzana, però, lo sviluppo della questione coinvolge anche altre dinamiche. "Uno dei problemi reali che alimenta la pirateria online, però, rimane intatto: ovvero l'inadeguatezza dei servizi legali. Se non cambieranno questi servizi—rendendoli cioè più accessibili, funzionali, ed economici—sarà difficile arginare totalmente il fenomeno."giovedì 17 novembre 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA STAMPA
Con "Westworld" conta più l'atmosfera che il resto
"L'ultimo giocattolo della tv si spinge in una zona d'ombra difficile da decifrare. Westworld, ambiziosa serie della Hbo in onda in contemporanea negli Stati Uniti e in Italia, porta nel titolo, «Dove tutto è concesso», le istruzioni per l'uso. Solo che la mappa è molto meno chiara di quanto possa sembrare. L'elaborato parco dei divertimenti a tema western si trasforma ogni dieci minuti in un bagno di sangue festeggiato con stupri e violenze. E il limite non esiste perché tutta questa brutalità, venata di vago romanticismo e interrotta solo da lunghe occhiate languide, non si sfoga contro degli esseri umani ma contro delle sofisticate macchine. Quindi, appunto, vale tutto. Molti personaggi non fanno che ripeterlo ad amici più timidi: «E disegnato apposta per farti divertire, lasciati andare, non è reale» ed è pure girato per non essere mai neanche vagamente verosimile. Non esiste nemmeno una realtà contemporanea da contrapporre alla mattanza del vecchio west, si vedono solo gli uomini che vivono dietro al parco e lo controllano e nulla si sa dell'epoca e del luogo in cui si muovono. Gli androidi dalle sembianze perfettamente umane stanno quasi tutto il tempo nudi, in officina, dove una serie di programmatori psicologi, tutti fuori controllo, impartiscono ordini surreali del tipo: «Togli la parte emotiva». E poi cancellano ogni giornata dalla memoria dei cyborg. È un fumetto e la responsabilità non trova radici, scivola, perde di senso. Eppure la domanda di fondo torna: ma davvero avrebbe senso pagare quasi 40 mila euro al giorno per poi sparare a tutto quello che si muove e violentare quel che resta in piedi? Preoccupati che il quesito contagi l'audience, gli attori iniziano a rivelare trame e dettagli per chiarire che nulla è gratuito e del resto pure il copione rispecchia l'idea perché segue letteralmente il percorso di un labirinto che appare fra le mani di diversi ospiti. Trovare un senso nel disegno della fiction avrebbe poco senso: da Twin Peaks a Lost ormai si è capito che conta l'atmosfera, l'idea di fondo. L'evoluzione della storia non è poi così importante in molta parte delle serie contemporanee. Però, in una scenografia dove il fondale cambia, le intenzioni pure, i protagonisti si perdono e le menti dietro il progetto sono logorate dai segreti, dare un peso a quel che è giusto diventa complicatissimo. Il padre del baccanale, interpretato da Anthony Hopkins, non aiuta. Tanto memo il visitatore seriale con la faccia di Ed Harris e nemmeno un nome a disposizione. Per sciogliere qualche nodo e capire se il fascino supera l'imbarazzo o viceversa bisogna andare alle radici dell'idea. Westworld è figlio di una visione più arcaica già diventata film nel 1973 grazie alla regia di Michael Crichton che ha scritto il soggetto originale. La realizzazione non lo aveva soddisfatto e in realtà lui si era tolto lo sfizio di un parco degenerato con JurassicPark, diciassette anni dopo. Gli avevano proposto un remake di Westworld, ha rifiutato. II primo a cui hanno offerto la direzione del remake è stato Quentin Tarantino e pure lui ha deciso di stare alla larga. Più raffinati diventavano i mezzi e più rischioso si faceva il programma. C'erano tutti gli elementi del fiasco e invece la serie ha successo. Esordio sopra le aspettative, nessun rimpianto per Game of Thrones, che ha creato persino casi di inspiegabile dipendenza, seconda stagione più o meno concordata nonostante i costi. Il giocattolone perverso funziona, il sangue finto è catartico, peccato che alla quinta puntata ormai sia chiaro che le intelligenze artificiali hanno imparato pure a provare emozioni e anche quando vengono resettate mantengono psichedelici ricordi. Quindi prenderle a pistolettate e trascinarle per i capelli torna a essere un reato. Non proprio, la sceneggiatura ci risparmia il voyerismo illecito. Gli ospiti non sanno che le macchine stanno assimilando sentimenti, se la godono. Con quel che costa il soggiorno. Il pubblico è adulto e consenziente ed è lo stesso che chatta on line raccontando frottole in cambio di sesso virtuale. Il senso di colpa per quel che non è reale lo ha perso almeno da una generazione". (Giulia Zonca, 31.10.2016)
LA STAMPA
Con "Westworld" conta più l'atmosfera che il resto
"L'ultimo giocattolo della tv si spinge in una zona d'ombra difficile da decifrare. Westworld, ambiziosa serie della Hbo in onda in contemporanea negli Stati Uniti e in Italia, porta nel titolo, «Dove tutto è concesso», le istruzioni per l'uso. Solo che la mappa è molto meno chiara di quanto possa sembrare. L'elaborato parco dei divertimenti a tema western si trasforma ogni dieci minuti in un bagno di sangue festeggiato con stupri e violenze. E il limite non esiste perché tutta questa brutalità, venata di vago romanticismo e interrotta solo da lunghe occhiate languide, non si sfoga contro degli esseri umani ma contro delle sofisticate macchine. Quindi, appunto, vale tutto. Molti personaggi non fanno che ripeterlo ad amici più timidi: «E disegnato apposta per farti divertire, lasciati andare, non è reale» ed è pure girato per non essere mai neanche vagamente verosimile. Non esiste nemmeno una realtà contemporanea da contrapporre alla mattanza del vecchio west, si vedono solo gli uomini che vivono dietro al parco e lo controllano e nulla si sa dell'epoca e del luogo in cui si muovono. Gli androidi dalle sembianze perfettamente umane stanno quasi tutto il tempo nudi, in officina, dove una serie di programmatori psicologi, tutti fuori controllo, impartiscono ordini surreali del tipo: «Togli la parte emotiva». E poi cancellano ogni giornata dalla memoria dei cyborg. È un fumetto e la responsabilità non trova radici, scivola, perde di senso. Eppure la domanda di fondo torna: ma davvero avrebbe senso pagare quasi 40 mila euro al giorno per poi sparare a tutto quello che si muove e violentare quel che resta in piedi? Preoccupati che il quesito contagi l'audience, gli attori iniziano a rivelare trame e dettagli per chiarire che nulla è gratuito e del resto pure il copione rispecchia l'idea perché segue letteralmente il percorso di un labirinto che appare fra le mani di diversi ospiti. Trovare un senso nel disegno della fiction avrebbe poco senso: da Twin Peaks a Lost ormai si è capito che conta l'atmosfera, l'idea di fondo. L'evoluzione della storia non è poi così importante in molta parte delle serie contemporanee. Però, in una scenografia dove il fondale cambia, le intenzioni pure, i protagonisti si perdono e le menti dietro il progetto sono logorate dai segreti, dare un peso a quel che è giusto diventa complicatissimo. Il padre del baccanale, interpretato da Anthony Hopkins, non aiuta. Tanto memo il visitatore seriale con la faccia di Ed Harris e nemmeno un nome a disposizione. Per sciogliere qualche nodo e capire se il fascino supera l'imbarazzo o viceversa bisogna andare alle radici dell'idea. Westworld è figlio di una visione più arcaica già diventata film nel 1973 grazie alla regia di Michael Crichton che ha scritto il soggetto originale. La realizzazione non lo aveva soddisfatto e in realtà lui si era tolto lo sfizio di un parco degenerato con JurassicPark, diciassette anni dopo. Gli avevano proposto un remake di Westworld, ha rifiutato. II primo a cui hanno offerto la direzione del remake è stato Quentin Tarantino e pure lui ha deciso di stare alla larga. Più raffinati diventavano i mezzi e più rischioso si faceva il programma. C'erano tutti gli elementi del fiasco e invece la serie ha successo. Esordio sopra le aspettative, nessun rimpianto per Game of Thrones, che ha creato persino casi di inspiegabile dipendenza, seconda stagione più o meno concordata nonostante i costi. Il giocattolone perverso funziona, il sangue finto è catartico, peccato che alla quinta puntata ormai sia chiaro che le intelligenze artificiali hanno imparato pure a provare emozioni e anche quando vengono resettate mantengono psichedelici ricordi. Quindi prenderle a pistolettate e trascinarle per i capelli torna a essere un reato. Non proprio, la sceneggiatura ci risparmia il voyerismo illecito. Gli ospiti non sanno che le macchine stanno assimilando sentimenti, se la godono. Con quel che costa il soggiorno. Il pubblico è adulto e consenziente ed è lo stesso che chatta on line raccontando frottole in cambio di sesso virtuale. Il senso di colpa per quel che non è reale lo ha perso almeno da una generazione". (Giulia Zonca, 31.10.2016)
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martedì 15 novembre 2016
lunedì 14 novembre 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Game of Silence", il primo adattamento Usa di una serie turca
"Quattro ragazzini (Jackson, Gil, Shawn e Boots), cresciuti nel sobborgo di Brennan, vicino a Houston, trascorrono insieme le loro estati: è il 1988, e in seguito a un incidente fatto con un'auto che non avrebbero dovuto guidare, le loro vite cambieranno per sempre. Quasi trent'anni dopo, Jackson (David Lyons) è un avvocato di successo a Houston, che sta per sposarsi e diventare socio del suo studio legale. Ed ecco che all'improvviso quel passato ritorna, con Gil (Michael Raymond-James) e Shawn (Larenz Tate) che chiedono il suo aiuto per far uscire Boots (Derek Phillips) dal carcere. «Game of Silence» (Premium Stories, mercoledì, ore 21.10) è il racconto del lento riemergere, per Jackson, di brutti ricordi che sembravano sepolti ma in realtà erano lì sotto la superficie, del dolore e della violenza vissuti da adolescenti, della ricerca tardiva di vendetta. Accompagnati dalla voce fuori campo, scopriamo così che dopo l'incidente i 4 ragazzini sono stati mandati, «come agnelli al massacro», nell'istituto penale minorile di Quitman, un luogo infernale dove la legge è sospesa, gli abusi all'ordine del giorno, il traffico di droga e gli intrecci con la politica tutt'altro che chiari. In una continua sovrapposizione di piani, tra passato e presente, rivediamo quei fatti negli occhi e nelle azioni degli adulti, alla ricerca di una giustizia che richiederà altra fatica, altri segreti e altra violenza. Al di là della fattura della serie, che alterna parti di maniera e scene capaci di costruire vera tensione, «Game of Silence» è il primo adattamento americano di una serie originale turca, «Suskunlar». Come racconta uno speciale di Link. Idee per la tv, la Turchia è un distretto sempre più rilevante nei mercati W globali, forte nell'esportazione di fiction, e il remake per un network americano è stato un atto simbolico forte. Anche se è durato solo il tempo di una stagione". (Aldo Grasso, 21.10.2016)
CORRIERE DELLA SERA
"Game of Silence", il primo adattamento Usa di una serie turca
"Quattro ragazzini (Jackson, Gil, Shawn e Boots), cresciuti nel sobborgo di Brennan, vicino a Houston, trascorrono insieme le loro estati: è il 1988, e in seguito a un incidente fatto con un'auto che non avrebbero dovuto guidare, le loro vite cambieranno per sempre. Quasi trent'anni dopo, Jackson (David Lyons) è un avvocato di successo a Houston, che sta per sposarsi e diventare socio del suo studio legale. Ed ecco che all'improvviso quel passato ritorna, con Gil (Michael Raymond-James) e Shawn (Larenz Tate) che chiedono il suo aiuto per far uscire Boots (Derek Phillips) dal carcere. «Game of Silence» (Premium Stories, mercoledì, ore 21.10) è il racconto del lento riemergere, per Jackson, di brutti ricordi che sembravano sepolti ma in realtà erano lì sotto la superficie, del dolore e della violenza vissuti da adolescenti, della ricerca tardiva di vendetta. Accompagnati dalla voce fuori campo, scopriamo così che dopo l'incidente i 4 ragazzini sono stati mandati, «come agnelli al massacro», nell'istituto penale minorile di Quitman, un luogo infernale dove la legge è sospesa, gli abusi all'ordine del giorno, il traffico di droga e gli intrecci con la politica tutt'altro che chiari. In una continua sovrapposizione di piani, tra passato e presente, rivediamo quei fatti negli occhi e nelle azioni degli adulti, alla ricerca di una giustizia che richiederà altra fatica, altri segreti e altra violenza. Al di là della fattura della serie, che alterna parti di maniera e scene capaci di costruire vera tensione, «Game of Silence» è il primo adattamento americano di una serie originale turca, «Suskunlar». Come racconta uno speciale di Link. Idee per la tv, la Turchia è un distretto sempre più rilevante nei mercati W globali, forte nell'esportazione di fiction, e il remake per un network americano è stato un atto simbolico forte. Anche se è durato solo il tempo di una stagione". (Aldo Grasso, 21.10.2016)
sabato 12 novembre 2016
NEWS - We can be all SuperHeroes, just for one cover!
Articolo e cover tratti da "Entertainment Weekly"
On an early October afternoon, the casts of The CW’s “Arrowverse” serials gathered in an airport hangar on the outskirts of Vancouver B.C. for a historic event. From Arrow, there was Stephen Amell (Oliver Queen, aka the show’s emerald archer), David Ramsey (Diggle/Spartan), Willa Holland (Thea Queen/Speedy) and Emily Bett Rickards (Felicity Smoak). From The Flash, there was Grant Gustin (Barry Allen, aka the show’s scarlet speedster), Candice Patton (Iris West), Tom Cavanagh (H.R. Wells), Danielle Panabaker (Dr. Caitlin Snow) and Carlos Valdes (Cisco/Vibe). From Legends of Tomorrow, there was Brandon Routh (Ray Palmer/The Atom), Caity Lotz (Sara Lance/White Canary), Dominic Purcell (Mick Rory/Heat Wave), Franz Drameh (Jax, one half of Firestorm), Victor Garber (Dr. Martin Stein, the other half of Firestorm). And from Supergirl, there was the maiden of might herself, Melissa Benoist, the only actor dressed in their caped crusader colors. (Must be dry cleaning day at the Hall of Justice).
Articolo e cover tratti da "Entertainment Weekly"
On an early October afternoon, the casts of The CW’s “Arrowverse” serials gathered in an airport hangar on the outskirts of Vancouver B.C. for a historic event. From Arrow, there was Stephen Amell (Oliver Queen, aka the show’s emerald archer), David Ramsey (Diggle/Spartan), Willa Holland (Thea Queen/Speedy) and Emily Bett Rickards (Felicity Smoak). From The Flash, there was Grant Gustin (Barry Allen, aka the show’s scarlet speedster), Candice Patton (Iris West), Tom Cavanagh (H.R. Wells), Danielle Panabaker (Dr. Caitlin Snow) and Carlos Valdes (Cisco/Vibe). From Legends of Tomorrow, there was Brandon Routh (Ray Palmer/The Atom), Caity Lotz (Sara Lance/White Canary), Dominic Purcell (Mick Rory/Heat Wave), Franz Drameh (Jax, one half of Firestorm), Victor Garber (Dr. Martin Stein, the other half of Firestorm). And from Supergirl, there was the maiden of might herself, Melissa Benoist, the only actor dressed in their caped crusader colors. (Must be dry cleaning day at the Hall of Justice).
Calling this unprecedented all-star squadron of comic book stars to order, director Dermott Downs instructed them to perform a very important heroic duty: Surprising Benoist with a “Happy Birthday” serenade. “That was overwhelming,” says the actress, who turned 28 on the day in question. “I think that will be the first and only time I will be sung to by a group of superheroes.” Of course, Benoist and all of her Super-Friends had to actually work on her birthday; not even the girl of steel gets a day off for turning another year older. The occasion of this massive team-up: filming a four-show crossover event, which begins in the final scene of the Nov. 28 episode of Supergirl and unfolds over the next three nights in episodes of The Flash, Arrow and Legends. Entertainment Weekly visited the set of the massive undertaking and brings you a report in our new issue, on sale this week. We got to see Supergirl fly, The Flash and Cisco tear a hole in the fabric of space-time (or pretend to), and even saw someone get shot. No, we can’t tell you who, but we can tell you the threat that set the sprawling plot in motion: The Dominators, mind-controlling extraterrestrials threatened by Earth’s surging population of metahumans. If you’re wondering if “mind-control” = “we’re totally going to see these superheroes fight each other,” then you’re absolutely [REDACTED].
The “Arrowverse” has an alternate moniker, the “Berlantiverse,” named after the super-producer who presides over it, and he has some feelings about the term. “I object to it, to be honest. There are just so many people that are also part of this,” says Greg Berlanti, 44, whose prodigious, eclectic output began with Everwood in 2002 and currently includes Blindspot on NBC. “Plus, you never want anything named after you that people could be upset or angry about.” Produced in collaboration with Marc Guggenheim and Andrew Kreisberg, Berlanti’s small screen treatment of Warner Bros.’ DC Comics properties offers an alternative – some might argue correction – the studio’s big screen superhero pop, including the apocalyptic heavy metal of Zack Snyder’s Man of Steel flicks and the bubblegum nihilism of David Ayer’s Suicide Squad. The Arrowverse actually likes superheroes, believes in superheroes, and knows how to have fun with them – and critique them – without deconstructing them to smithereens. They possess the levity of Marvel’s cinematic universe (still the genre’s gold standard), and the progressiveness of Marvel’s best TV offerings (Jessica Jones, Luke Cage), but with a more carefree embrace of melodrama and whimsy.
“These shows have to work on multiple levels,” says Berlanti. “You want them to be fun and enjoyable. But if they’re not about something, why are you showing up to work every day and asking everybody to pour their heart and soul into a story if it’s only about the Flash fighting a villain of the week?”
To read more on Berlantiverse, pick up the new issue of Entertainment Weekly on stands Friday, or buy it here now – and subscribe for more exclusive interviews and photos, only in EW.
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giovedì 10 novembre 2016
NEWS - Creed(eteci)! Netflix stringe accordo con Ubisoft per far diventare serie tv i suoi videogames
News tratta da SlashFilm.com
News tratta da SlashFilm.com
Nobody outside of Netflix knows exactly how many people watch anything on everyone’s default streaming service, but the numbers are high enough for everyone involved to keep investing in original shows and movies. They’re also large enough to attract major talents. Netflix is responsible for an upcoming Will Smith movie. A Will Smith movie! Which brings us to today’s little morsel of news: Ubisoft, the video game publisher responsible for its fair share of popular titles, is looking to get into the Netflix business. With a Ubisoft Netflix tv series possibly in the works, which video game property might they be looking at for a small screen tv show? The news comes our way in a brief Reuters article that offers no details beyond Ubisoft being “in talks with Netflix over a series.” These discussions arrive a little over a month before Assassin’s Creed, the first film produced by the company’s film division, hits theaters. Ubisoft first started dipping its toe in the movie and television pool back in 2011 with the creation of Ubisoft Motion Pictures, a division of the company dedicated to bringing their various titles out of the video game world and into other mediums. Their first project, the animated series Rabbids Invasion (based on characters from the Raving Rabbids series), premiered in 2013 and is currently airing its third season. So let’s go ahead and assume that the Rabbids characters and Assassin’s Creed are both off the table for whatever Ubisoft is cooking up with Netflix. What series could justify an ongoing show on Netflix? We know that film adaptations ofSplinter Cell, The Division, Far Cry, Ghost Recon, and Watch Dogs are all being developed, but it’s easy to imagine one of those breaking away and getting the television treatment. After all, an action and espionage story like Splinter Cell would work quite well as a serialized story, and we haven’t heard much about the film adaptation starring Tom Hardy for quite some time. Right now, all eyes are surely on Assassin’s Creed, a movie that could (maybe, hopefully, possibly) shatter the video game movie curse. The combination of star Michael Fassbender and director Justin Kurzel is a step or three above the regular video game adaptation. It could buck the trend and be, you know, a good movie. If it’s a hit, I certainly wouldn’t put it past Ubisoft to create a companion series that further explores this world. Especially since they annualized the Assassin’s Creed games and made sure a new chapter was released every year like clockwork for a while.
mercoledì 9 novembre 2016
NEWS - The Winner is... Altro che Trump, il vero vincitore è Tony Soprano! La sua serie eletta la "migliore di tutti i tempi" in un numero antologico di "Rolling Stone"
Rolling Stone is out, with the magazine’s list of “The 100 Greatest TV Shows of All Time” on the cover. (No. 1? Hardly a spoiler alert needed – it’s HBO’s “The Sopranos”).
It’s not an easy task, even though Rolling Stone helpfully supplied a long list of potential candidates, sorted by decade, to help jog the memory.The final results, which included input from the magazine’s staff, have been intelligently corralled and summarized by Rob Sheffield, Rolling Stone’s TV critic and in-house pop culture guru. The list contains a few surprises and, naturally, some choices that could be eternally quibbled over. The whole list is worth a read. After “The Sopranos,” the rest of their Top 10 goes like this: (2) “The Wire”; (3) “Breaking Bad”; (4) “Mad Men”; (5) “Seinfeld”; (6) “The Simpsons"; (7) “The Twilight Zone”; (8) “Saturday Night Live”; (9) “All in the Family”; and (10) “The Daily Show”.martedì 8 novembre 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Happy Valley", una delle serie più interessanti della stagione (di cui si parla poco)
"Una delle serie più interessanti di questa stagione è disponibile da qualche tempo su Netflix: si intitola «Happy Valley» ed è una produzione inglese di Bbc, un poliziesco plumbeo e duro ambientato nell'Inghilterra profonda, rurale ed economicamente depressa, solcata da pesanti tensioni (molti dei protagonisti hanno alle spalle vicende di droga e alcolismo). Quella del titolo è solo una compassionevole antifrasi: la vallata che fa da sfondo al racconto non è per niente felice, ma livida di rabbia, brulicante di esistenze vissute ai margini della società che impiegano poco a prendere la strada della violenza e della delinquenza. «Happy Valley» è in fondo una versione televisiva moderna della teoria del «paesaggio stato d'animo», dove decadenza psicologica e ambientale procedono sempre di pari passo. In «Happy Valley» il realismo è tutto ma non è abbastanza per spiegare la riuscita della serie: molto del suo fascino è dovuto al personaggio principale, Catherine Cawood (interpretata magistralmente da Sarah Lancashire), sergente di polizia di mezza età, con una famiglia disastrata alle spalle e una tempra indomita. Quando Becky, sua figlia poco più che adolescente, si toglie la vita dopo aver dato alla luce un bambino, il dolore sembra insopportabile: ma se poi lo sbandato che ha indotto Becky al suicidio riappare all'improvviso, collegato a un caso di rapimento sul quale Catherine sta indagando, i livelli di sofferenza, rabbia e frustrazione si moltiplicano all'infinito. È l'avvio di un giallo stringente che si sviluppa lungo il corso di due stagioni, proseguendo in modo quasi sempre convincente. Nella «nuova ondata» di personaggi femminili protagonisti delle serie tv, Catherine è un caso diverso da tutti gli altri, fuori da ogni stereotipo estetico e caratteriale: inflessibile e risoluta (a volte anche oltre gli standard comuni), umana e calorosa, dà vita a un ritratto umano di rara intensità". (Aldo Grasso, 19.10.2016)
lunedì 7 novembre 2016
NEWS - Clamorosissimo al Cibalissimo! "Breaking Bad" sarebbe il prequel di "The Walking Dead"!
News tratta da Mic.com
On the surface, there's nothing that connects Breaking Bad to The Walking Dead, aside from massive popularity and their shared network, AMC. But what if Breaking Bad and its "Mr. Chips to Scarface" story of Walter White was simultaneously a window into the zombie outbreak on The Walking Dead? Netflix, of all places, broke down the already established "Breaking Dead" theory. Netflix points to a few hints from The Walking Dead that ostensibly link the shows, starting with the blue meth that put Heisenberg on the map. In the zombie series' first season, Daryl's brother Merle has a hidden stash of drugs, which includes the signature blue tint of Heisenbergs' product. Then there's the red and black Dodge Challenger that Walter buys for his son, Walt Jr., in season four. It's badass, but Skyler asks Walter to return the sports car to the dealership and its manager, whose name is Glenn. Walt doesn't want to pay a $700 fee for returning the car, so instead he blows it up. But that same Challenger shows up in The Walking Dead when Glenn drives out of Atlanta. Could he be the car dealer from Breaking Bad? Further hints include the drug dealer Daryl refers to as a "janky little white guy" who says "bitch," which is Jesse Pinkman's favorite word in the English language, as well as Gus Frings' gruesome, zombie-like death in season four. Could Walter White's meth be the agent for the zombie outbreak, with Fring being one of the first zombies seen on-screen (the man does fix his tie after losing half his face). While the theory is cute, and interesting, we're going to have to call B.S. on this one. The Walking Dead's Glenn, for instance, wasn't a car dealer before the zombie outbreak: He delivered pizzas. He also delivered pizza in Atlanta, whereas Breaking Bad takes place in New Mexico. Plus, if Fring really was a zombie, the outbreak would've been nearly instantaneous — we have Fear The Walking Dead's first season in Los Angeles as the proof. Any seeming hints to Breaking Bad were most likely AMC's clever way of inserting Easter eggs into its other shows. The blue meth from The Walking Dead's first season and the car Glenn drives, are pretty good proof to this. To Netflix's credit, they gave the theory a 5 out of 10 for believability. We agree, much like their 9 out of 10 for its entertainment value.
News tratta da Mic.com
On the surface, there's nothing that connects Breaking Bad to The Walking Dead, aside from massive popularity and their shared network, AMC. But what if Breaking Bad and its "Mr. Chips to Scarface" story of Walter White was simultaneously a window into the zombie outbreak on The Walking Dead? Netflix, of all places, broke down the already established "Breaking Dead" theory. Netflix points to a few hints from The Walking Dead that ostensibly link the shows, starting with the blue meth that put Heisenberg on the map. In the zombie series' first season, Daryl's brother Merle has a hidden stash of drugs, which includes the signature blue tint of Heisenbergs' product. Then there's the red and black Dodge Challenger that Walter buys for his son, Walt Jr., in season four. It's badass, but Skyler asks Walter to return the sports car to the dealership and its manager, whose name is Glenn. Walt doesn't want to pay a $700 fee for returning the car, so instead he blows it up. But that same Challenger shows up in The Walking Dead when Glenn drives out of Atlanta. Could he be the car dealer from Breaking Bad? Further hints include the drug dealer Daryl refers to as a "janky little white guy" who says "bitch," which is Jesse Pinkman's favorite word in the English language, as well as Gus Frings' gruesome, zombie-like death in season four. Could Walter White's meth be the agent for the zombie outbreak, with Fring being one of the first zombies seen on-screen (the man does fix his tie after losing half his face). While the theory is cute, and interesting, we're going to have to call B.S. on this one. The Walking Dead's Glenn, for instance, wasn't a car dealer before the zombie outbreak: He delivered pizzas. He also delivered pizza in Atlanta, whereas Breaking Bad takes place in New Mexico. Plus, if Fring really was a zombie, the outbreak would've been nearly instantaneous — we have Fear The Walking Dead's first season in Los Angeles as the proof. Any seeming hints to Breaking Bad were most likely AMC's clever way of inserting Easter eggs into its other shows. The blue meth from The Walking Dead's first season and the car Glenn drives, are pretty good proof to this. To Netflix's credit, they gave the theory a 5 out of 10 for believability. We agree, much like their 9 out of 10 for its entertainment value.
sabato 5 novembre 2016
PICCOLO GRANDE SCHERMO - Di Malek in meglio! Il protagonista di "Mr. Robot" interpreterà Freddie Mercury nel biopic sul leader dei Queen
News tratta da "Variety"
“Mr. Robot” star Rami Malek is attached to play Freddie Mercury in long-development biopic “Bohemian Rhapsody” from GK Films with Bryan Singer in talks to direct. New Regency and Fox are coming aboard to co-produce the film with Graham King producing as well.
News tratta da "Variety"
“Mr. Robot” star Rami Malek is attached to play Freddie Mercury in long-development biopic “Bohemian Rhapsody” from GK Films with Bryan Singer in talks to direct. New Regency and Fox are coming aboard to co-produce the film with Graham King producing as well.
“The Theory Of Everything” scribe Anthony McCarten penned the script.
Singer confirmed the news on Instagram with a photo of
the group confirming his involvement as well as Malek’s. King has been
trying to get the project off the ground for sometime
having originally set it up at Sony with Sacha Baron Cohen
at one point set to star. When Cohen dropped out, King began
shopping the project elsewhere while looking for a new director
and front-man to star in the pic.
Jim Beach is also producing with Denis O’Sullivan exec producing.
Original Queen bandmembers Brian May and Roger Taylor
will serve as music producers.
Malek, 35, recently won the best actor Emmy for USA’s
hit cyber series “Mr. Robot”.
King, who won an Oscar for “The Departed”, has Allied bowing on Nov. 23.
the group confirming his involvement as well as Malek’s. King has been
trying to get the project off the ground for sometime
having originally set it up at Sony with Sacha Baron Cohen
at one point set to star. When Cohen dropped out, King began
shopping the project elsewhere while looking for a new director
and front-man to star in the pic.
Jim Beach is also producing with Denis O’Sullivan exec producing.
Original Queen bandmembers Brian May and Roger Taylor
will serve as music producers.
Malek, 35, recently won the best actor Emmy for USA’s
hit cyber series “Mr. Robot”.
King, who won an Oscar for “The Departed”, has Allied bowing on Nov. 23.
venerdì 4 novembre 2016
GOSSIP - Ruth a ruota libera! "Con 'The Affair' ho pensato di non potercela fare!"
Ruth Wilson looks stunning on the new December 2016 Marie Claire Uk. Here’s what the 34-year-old The Affair had to share with the mag.
On marriage: “I hate the thought of walking down the aisle in a white dress – I think it’s just a horrible idea. And I’m just not that excited by the idea of a wedding day, or of a ring on my finger. I’m not even interested in jewellery”.
On relationships: “I think my dad just wants me to be looked after, you know? I tell him that I am pretty good at looking after myself, but I get it… [she adds] I think, if you’ve got a great family, you fear they will be more disappointed by your choices than they probably will be in reality”.
On filming The Affair: “The first season was relentless and draining. I’m not someone who can ever do something half-arsed, but at points, I did think, ‘Oh my god I can’t go any deeper.’ I didn’t know if I could sustain it”.
Ruth Wilson looks stunning on the new December 2016 Marie Claire Uk. Here’s what the 34-year-old The Affair had to share with the mag.
On marriage: “I hate the thought of walking down the aisle in a white dress – I think it’s just a horrible idea. And I’m just not that excited by the idea of a wedding day, or of a ring on my finger. I’m not even interested in jewellery”.
On relationships: “I think my dad just wants me to be looked after, you know? I tell him that I am pretty good at looking after myself, but I get it… [she adds] I think, if you’ve got a great family, you fear they will be more disappointed by your choices than they probably will be in reality”.
On filming The Affair: “The first season was relentless and draining. I’m not someone who can ever do something half-arsed, but at points, I did think, ‘Oh my god I can’t go any deeper.’ I didn’t know if I could sustain it”.
giovedì 3 novembre 2016
PICCOLO GRANDE SCHERMO - Gira e Re-Gere, sempre di reboot si parla...adesso tocca a "American Gigolo"!
News tratta da TvLine.com
Ladies, get your spending money ready: American Gigolo is getting a TV reboot on Showtime. The 1980 film that made Richard Gere a star is being developed into a drama series, according to our sister site Deadline. Paramount TV and Jerry Bruckheimer, who produced the original Gigolo film, are behind the reboot; playwright Neil LaBute will write the pilot. (The film’s writer/director, Paul Schrader, is on board as an executive consultant.)
American Gigolo starred Gere as high-end male escort Julian Kaye, who enjoys the superficial L.A. lifestyle before getting entangled with a politician’s wife (Lauren Hutton) — and a murder case. The film put Gere on the Hollywood map two years before An Officer and a Gentleman… and featured a notorious shot of full-frontal male nudity. (And since the reboot is on pay-cable, we might be seeing more of that.)
News tratta da TvLine.com
Ladies, get your spending money ready: American Gigolo is getting a TV reboot on Showtime. The 1980 film that made Richard Gere a star is being developed into a drama series, according to our sister site Deadline. Paramount TV and Jerry Bruckheimer, who produced the original Gigolo film, are behind the reboot; playwright Neil LaBute will write the pilot. (The film’s writer/director, Paul Schrader, is on board as an executive consultant.)
American Gigolo starred Gere as high-end male escort Julian Kaye, who enjoys the superficial L.A. lifestyle before getting entangled with a politician’s wife (Lauren Hutton) — and a murder case. The film put Gere on the Hollywood map two years before An Officer and a Gentleman… and featured a notorious shot of full-frontal male nudity. (And since the reboot is on pay-cable, we might be seeing more of that.)
Gigolo is the latest movie-to-TV reboot for Paramount TV and Bruckheimer; ABC snatched up their remake of the Will Smith movie Enemy of the State last month.
mercoledì 2 novembre 2016
NEWS - Netflix, numeri ok nel 4° trimestre (+ 3.57 milioni di utenti fuori dagli Usa) ma si parla sempre di una vendita della società
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Sarà stato merito di Pablo Escobar o delle inquietanti avventure degli adolescenti di «Stranger Things», fatto sta che Netflix è riuscita a sorprendere (positivamente) non solo il pubblico, ma anche i mercati e soprattutto gli azionisti. I risultati del quarto trimestre hanno decisamente battuto le attese degli analisti, forti anche del notevole incremento di utenti: 3,57 milioni in più (fuori dagli Stati Uniti) contro le attese che parlavano invece di 2,3 milioni. Ora la creatura di Reed Hastings può contare su una platea virtuale di 83,3 milioni di utenti paganti e 91,9 milioni di iscritti. I numeri in incremento difficilmente immaginabile lo scorso trimestre quando gli azionisti avevano comunicato i loro malumori al fondatore di Netflix accusandolo di investire troppo (800 milioni in tecnologia e sviluppo e 5 miliardi per le nuove produzioni per poco meno di 2 miliardi di fatturato) e pensare poco al dividendo. Hastings ha avuto ragione e si è preso la sua piccola vendetta in occasione della presentazione dei conti: «è ormai evidente — ha detto Hastings — che io debba scusarmi ancora una volta per la volatilità del titolo», salito del 20% dopo aver perso fino al 13% nei mesi precedenti, fatto per cui Hastings si era scusato una prima volta durante la precedente assemblea degli azionisti. Al Wall Street Journal martedì scorso l'analista di MoffettNathanson Michael Nathanson aveva dichiarato, a proposito dei numeri di Netflix:
«È un anno strano questo. In un certo senso siamo stati incapaci di prevedere cosa potesse offrire un mercato nuovo». Una lezione che Netflix ha imparato bene dato che il mercato domestico degli Stati Uniti è cresciuto meno dello scorso anno quando aveva raggiunto 1880.000 nuovi abbonati. La società ha comunque superato le attese negli Usa, aggiungendo 370 mila nuovi utenti invece che 300 mila, complice anche la concorrenza di Amazon che sta rosicchiando percentuali di mercato sempre più importanti grazie a serie autoprodotte come Mozart in the Jungle. Parlando di cifre, invece, nel terzo trimestre il fatturato di Netflix ha superato, per la prima volta, i 2 miliardi di dollari ( 36% anno su anno), aiutato, per l'appunto, dagli ultimi titoli sfornati: Stranger Things e la seconda stagione di Narcos. Hastings, però, consiglia cautela, forte sia dell'altalena del titolo, sia della considerazione che, nonostante i (quasi) 100 milioni di abbonati nel mondo, «Facebook e YouTube hanno un miliardo di utenti attivi al giorno». Come a dire, «non ci fermeremo certo qui». Da un lato la crescita continuerà grazie alle produzioni originali, parallelamente proseguirà anche l'espansione su nuovi mercati. A settembre Netflix è stato lanciato in Polonia e Turchia: il servizio di streaming ha iniziato ad accettare il pagamento in valuta locale e ha aggiunto un'interfaccia utente, sottotitoli e doppiaggio in lingua locale, oltre ad alcuni contenuti locali. Discorso diverso, invece, per la Cina, un mercato che lo stesso Hastings si è augurato di riuscire a conquistare. Il sistema, dato il complesso contesto normativo per i servizi di contenuti digitali stranieri, potrebbe essere lo stesso utilizzo (anche se per ragioni differenti) in Italia. Ossia, dare ai fornitori di servizi online già esistenti in Cina i contenuti in licenza, invece di lanciare il proprio servizio nel Paese nel breve periodo. Non ci si aspettano grandi numeri per il momento da questa operazione, ma l'obiettivo è «lanciare in modo diretto il nostro servizio al popolo cinese». Le criticità del sistema Netflix, però, non mancano, nonostante la crescita, al punto che da inizio mese si parla di una possibile vendita della stessa società. Nel mirino c'è innanzi tutto la sostenibilità del business che deve fare i conti con una concorrenza notevole. Senza scordare che gli ultimi grandi numeri sono il risultato di due serie azzeccate: ne basterebbe solo una mal fatta per affossare conti e titolo. Tra i nomi degli eventuali acquisitori sono stati fatti quelli di Apple e di Disney, senza però farsi turbare dai recenti e fallimentari tentativi di Twitter che ha una storia (e un bilancio) decisamente differente. La società di Cupertino, forte dei propri numeri, punterebbe a un rilancio di iTunes, piattaforma Ott (Over The Top) che al momento subisce la concorrenza di Netflix. Per Disney si tratterebbe invece di consolidare una partnership già avviata con la produzione e la distribuzione di serie legate ai personaggi Marvel. Altro nome possibile è quello di Amazon, che andrebbe in questo modo ad arricchire la sua offerta E il mercato italiano? Cifre ufficiali non sono mai state fornite. Alcune stime parlano di circa 200 mila abbonati mai confermati dal gruppo californiano. Numeri comunque più bassi delle attese, ma realizzati in pochi mesi e che devono confrontarsi con gli utenti di realtà ben più radicate con offerte più complete. Non bisogna dimenticare che quando Neflix è arrivata in Italia a ottobre aveva già concesso i diritti di «House of Cards» e «Orange is The New Black», serie cult in onda su Sky e Premium. La partita è ancora aperta.
Articolo tratto da "Corriere Economia"
Sarà stato merito di Pablo Escobar o delle inquietanti avventure degli adolescenti di «Stranger Things», fatto sta che Netflix è riuscita a sorprendere (positivamente) non solo il pubblico, ma anche i mercati e soprattutto gli azionisti. I risultati del quarto trimestre hanno decisamente battuto le attese degli analisti, forti anche del notevole incremento di utenti: 3,57 milioni in più (fuori dagli Stati Uniti) contro le attese che parlavano invece di 2,3 milioni. Ora la creatura di Reed Hastings può contare su una platea virtuale di 83,3 milioni di utenti paganti e 91,9 milioni di iscritti. I numeri in incremento difficilmente immaginabile lo scorso trimestre quando gli azionisti avevano comunicato i loro malumori al fondatore di Netflix accusandolo di investire troppo (800 milioni in tecnologia e sviluppo e 5 miliardi per le nuove produzioni per poco meno di 2 miliardi di fatturato) e pensare poco al dividendo. Hastings ha avuto ragione e si è preso la sua piccola vendetta in occasione della presentazione dei conti: «è ormai evidente — ha detto Hastings — che io debba scusarmi ancora una volta per la volatilità del titolo», salito del 20% dopo aver perso fino al 13% nei mesi precedenti, fatto per cui Hastings si era scusato una prima volta durante la precedente assemblea degli azionisti. Al Wall Street Journal martedì scorso l'analista di MoffettNathanson Michael Nathanson aveva dichiarato, a proposito dei numeri di Netflix:
«È un anno strano questo. In un certo senso siamo stati incapaci di prevedere cosa potesse offrire un mercato nuovo». Una lezione che Netflix ha imparato bene dato che il mercato domestico degli Stati Uniti è cresciuto meno dello scorso anno quando aveva raggiunto 1880.000 nuovi abbonati. La società ha comunque superato le attese negli Usa, aggiungendo 370 mila nuovi utenti invece che 300 mila, complice anche la concorrenza di Amazon che sta rosicchiando percentuali di mercato sempre più importanti grazie a serie autoprodotte come Mozart in the Jungle. Parlando di cifre, invece, nel terzo trimestre il fatturato di Netflix ha superato, per la prima volta, i 2 miliardi di dollari ( 36% anno su anno), aiutato, per l'appunto, dagli ultimi titoli sfornati: Stranger Things e la seconda stagione di Narcos. Hastings, però, consiglia cautela, forte sia dell'altalena del titolo, sia della considerazione che, nonostante i (quasi) 100 milioni di abbonati nel mondo, «Facebook e YouTube hanno un miliardo di utenti attivi al giorno». Come a dire, «non ci fermeremo certo qui». Da un lato la crescita continuerà grazie alle produzioni originali, parallelamente proseguirà anche l'espansione su nuovi mercati. A settembre Netflix è stato lanciato in Polonia e Turchia: il servizio di streaming ha iniziato ad accettare il pagamento in valuta locale e ha aggiunto un'interfaccia utente, sottotitoli e doppiaggio in lingua locale, oltre ad alcuni contenuti locali. Discorso diverso, invece, per la Cina, un mercato che lo stesso Hastings si è augurato di riuscire a conquistare. Il sistema, dato il complesso contesto normativo per i servizi di contenuti digitali stranieri, potrebbe essere lo stesso utilizzo (anche se per ragioni differenti) in Italia. Ossia, dare ai fornitori di servizi online già esistenti in Cina i contenuti in licenza, invece di lanciare il proprio servizio nel Paese nel breve periodo. Non ci si aspettano grandi numeri per il momento da questa operazione, ma l'obiettivo è «lanciare in modo diretto il nostro servizio al popolo cinese». Le criticità del sistema Netflix, però, non mancano, nonostante la crescita, al punto che da inizio mese si parla di una possibile vendita della stessa società. Nel mirino c'è innanzi tutto la sostenibilità del business che deve fare i conti con una concorrenza notevole. Senza scordare che gli ultimi grandi numeri sono il risultato di due serie azzeccate: ne basterebbe solo una mal fatta per affossare conti e titolo. Tra i nomi degli eventuali acquisitori sono stati fatti quelli di Apple e di Disney, senza però farsi turbare dai recenti e fallimentari tentativi di Twitter che ha una storia (e un bilancio) decisamente differente. La società di Cupertino, forte dei propri numeri, punterebbe a un rilancio di iTunes, piattaforma Ott (Over The Top) che al momento subisce la concorrenza di Netflix. Per Disney si tratterebbe invece di consolidare una partnership già avviata con la produzione e la distribuzione di serie legate ai personaggi Marvel. Altro nome possibile è quello di Amazon, che andrebbe in questo modo ad arricchire la sua offerta E il mercato italiano? Cifre ufficiali non sono mai state fornite. Alcune stime parlano di circa 200 mila abbonati mai confermati dal gruppo californiano. Numeri comunque più bassi delle attese, ma realizzati in pochi mesi e che devono confrontarsi con gli utenti di realtà ben più radicate con offerte più complete. Non bisogna dimenticare che quando Neflix è arrivata in Italia a ottobre aveva già concesso i diritti di «House of Cards» e «Orange is The New Black», serie cult in onda su Sky e Premium. La partita è ancora aperta.
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martedì 1 novembre 2016
GOSSIP - I mejo (o pejo) travestimenti di Halloween tra i volti seriali! Se li riconoscete...
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lunedì 31 ottobre 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
Con la violenza di "The Walking Dead" i vivi sono più pericolosi dei morti
"Sono tornati gli zombie di «The Walking Dead». Con l'atteso inizio della nuova stagione, la settima, sono tornati su Fox i «non morti» di una delle serie più viste e amate degli ultimi anni, oltre che delle più g metaforizzate (lunedì, ore 21, canale Fox di Sky). II contagio epidemico come paura sottile che attraversa la civiltà occidentale, lo scenario post apocalittico come simbolo della fragilità delle istituzioni umane sociali e politiche, il personaggio di Rick Grimes come incarnazione della figura del leader carismatico alla ricerca di legittimazione: sono solo alcuni dei significati simbolici che sono stati associati alla serie. Nel susseguirsi delle stagioni, «The Walking Dead» ha acquisito ammiratori (molti), ma anche alcuni detrattori, che ne hanno sottolineato la ripetitività, il giocare su meccanismi sempre identici: ormai a ogni puntata si fa la conta dei morti e si scommette sulla perdita dei personaggi più amati tra il manipolo di sopravvissuti. Certo il forte legame con i racconti a fumetti di Robert Kirkman, da cui è tratta la serie, è senz'altro un fattore che ne vincola non poco il passo narrativo. La settima stagione si è riaperta sul cliffhanger che aveva chiuso la sesta: Rick e i suoi stanno fronteggiando il gruppo di sbandati capeggiato da Negan (Jeffrey Dean Morgan), un violento psicopatico che terrorizza le sue vittime con la forza bruta quanto con la manipolazione mentale. Raramente si è visto rappresentato in televisione, e in modo così esplicito (forse troppo?), un simile carico di violenza fisica e psicologica, di tormento e sofferenza, che ha portato all'addio di personaggi ormai storici scontentando molto i fan della prima ora. Abbiamo imparato a capire che, nel mondo al disfacimento di «The Walking Dead», spesso i «non morti» non sono le entità più temibili. L'essere umano può essere ben più pericoloso dell'orda priva di coscienza degli zombie". (Aldo Grasso, 31.10.2016)
CORRIERE DELLA SERA
Con la violenza di "The Walking Dead" i vivi sono più pericolosi dei morti
"Sono tornati gli zombie di «The Walking Dead». Con l'atteso inizio della nuova stagione, la settima, sono tornati su Fox i «non morti» di una delle serie più viste e amate degli ultimi anni, oltre che delle più g metaforizzate (lunedì, ore 21, canale Fox di Sky). II contagio epidemico come paura sottile che attraversa la civiltà occidentale, lo scenario post apocalittico come simbolo della fragilità delle istituzioni umane sociali e politiche, il personaggio di Rick Grimes come incarnazione della figura del leader carismatico alla ricerca di legittimazione: sono solo alcuni dei significati simbolici che sono stati associati alla serie. Nel susseguirsi delle stagioni, «The Walking Dead» ha acquisito ammiratori (molti), ma anche alcuni detrattori, che ne hanno sottolineato la ripetitività, il giocare su meccanismi sempre identici: ormai a ogni puntata si fa la conta dei morti e si scommette sulla perdita dei personaggi più amati tra il manipolo di sopravvissuti. Certo il forte legame con i racconti a fumetti di Robert Kirkman, da cui è tratta la serie, è senz'altro un fattore che ne vincola non poco il passo narrativo. La settima stagione si è riaperta sul cliffhanger che aveva chiuso la sesta: Rick e i suoi stanno fronteggiando il gruppo di sbandati capeggiato da Negan (Jeffrey Dean Morgan), un violento psicopatico che terrorizza le sue vittime con la forza bruta quanto con la manipolazione mentale. Raramente si è visto rappresentato in televisione, e in modo così esplicito (forse troppo?), un simile carico di violenza fisica e psicologica, di tormento e sofferenza, che ha portato all'addio di personaggi ormai storici scontentando molto i fan della prima ora. Abbiamo imparato a capire che, nel mondo al disfacimento di «The Walking Dead», spesso i «non morti» non sono le entità più temibili. L'essere umano può essere ben più pericoloso dell'orda priva di coscienza degli zombie". (Aldo Grasso, 31.10.2016)
venerdì 28 ottobre 2016
NEWS - Fermi tutti! In una scena alternativa delle mazzate di Negan in "TWD" doveva morire Maggie...(hanno girato 11 omicidi diversi, in realtà, i furbacchioni del marketing). Vedi video (e poi muori)!
News tratta da Mic.com
News tratta da Mic.com
One of the most absurd stories that came out of The Walking Dead's filming of season seven was the lengths to which AMC wanted to keep the show's big secret: Negan's victim from that absurd season six cliffhanger. There were 11 potential victims, and so the series reportedly filmed all 11 characters being beaten to death by Negan and his beloved barbed wire-covered baseball bat, Lucille.
Of course, anyone who watched the season seven premiere knows
who's on the end of Negan's bat: Abraham, followed by Glenn when Daryl
makes the mistake of punching — punching! — Negan in the face after the
villain warned the group not to interrupt his unsettling entrance.
However, some leaked footage has made it online that
seemingly shows another victim meeting the end of Negan's bat: Maggie.
It appears her death would've ostensibly happened in place of that of
her husband, Glenn — who, in this clip, is instead knocked out in the
video after protesting his wife's gruesome fate.
To be clear, if The Walking Dead went this route, it would've been disastrous. There's a disturbing element to the show fetishizing Negan's kills — and there's nothing to like about what happened to Glenn and Abraham. But why would The Walking Dead want to dole out that fate to a pregnant woman?
It would've been the most indicting instance of violence against women on television since Sansa Stark's controversial rape scene in Game of Thrones' fifth season. Fans of The Walking Dead have suggested they'd boycott the show after the season six cliffhanger (which, based on the premiere's stellar ratings, was a bit of a stretch), but something that calamitous could've actually caused them to lose some viewers.
The good news, however, is that AMC didn't opt for a Maggie
death, and there's a decent explanation as to how this footage came to
light. While Rick is processing what happened in the premiere, he
envisions Negan's bat making contact with all the members of the group —
including his son, Carl, as well as Maggie.
It's the show's attempt to visualize the trauma Rick just
went through at the hands of Negan. (Though in reality, it's also just a
way for them to justify spending time on all those alternate death
takes.)
NEWS - Clamoroso al Cibali! L'accoppiata natalizia "Stranger Things" + Peanuts brilla sotto l'Albero!
News tratta da "The Hollywood Reporter"
"That's what happiness is all about in the end — the people who truly care about you. The folks who would do anything to get you out of a creepy parallel swamp universe."
As far as X-meets-Y viral videos go, Merry Christmas Will Byers is pretty tough to resist. The new three-minute short, created by Leigh Lahav and Oren Mendez, envisions the kids from the Netflix breakout sci-fi series Stranger Things as characters in the animated Peanuts universe, set (of course) to the Vince Guaraldi score from A Charlie Brown Christmas.
In the clip, a post-first-season Will Byers attempts to get to the source of his continued anxiety since being saved from the Upside Down, seeking psychiatric counsel from an unhelpful Eleven and receiving a typically unintelligible wah-wah response when asking his mom, Joyce, for help. Eventually, he realizes that his friends have aided him simply by being there for him — unlike poor Barb, who stays being eaten alive by maggots. ("Good... grief.") And before you ask: Yes, there is a dance number set to the show's now-iconic synth-goth theme song.
All that's missing is a scene were Eleven telekinetically pulls the football away as Will tries to kick it. Watch below.
News tratta da "The Hollywood Reporter"
"That's what happiness is all about in the end — the people who truly care about you. The folks who would do anything to get you out of a creepy parallel swamp universe."
As far as X-meets-Y viral videos go, Merry Christmas Will Byers is pretty tough to resist. The new three-minute short, created by Leigh Lahav and Oren Mendez, envisions the kids from the Netflix breakout sci-fi series Stranger Things as characters in the animated Peanuts universe, set (of course) to the Vince Guaraldi score from A Charlie Brown Christmas.
In the clip, a post-first-season Will Byers attempts to get to the source of his continued anxiety since being saved from the Upside Down, seeking psychiatric counsel from an unhelpful Eleven and receiving a typically unintelligible wah-wah response when asking his mom, Joyce, for help. Eventually, he realizes that his friends have aided him simply by being there for him — unlike poor Barb, who stays being eaten alive by maggots. ("Good... grief.") And before you ask: Yes, there is a dance number set to the show's now-iconic synth-goth theme song.
All that's missing is a scene were Eleven telekinetically pulls the football away as Will tries to kick it. Watch below.
News: 'Will & Grace' Revival in the Works at #NBC.https://t.co/nBbpfyDIAU via @thr
— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 27 ottobre 2016
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