GOSSIP - Modern Selfie!
sabato 13 agosto 2016
venerdì 12 agosto 2016
NEWS - Clamoroso al Cibali! In arrivo un nuovo fumetto di "Serenity" dalla Dark Horse
Although Joss Whedon’s acclaimed show Buffy the Vampire Slayer lasted for seven seasons, his follow-up — a space western called Firefly — was canceled after barely one. Luckily for fans, the series has lived on in other media, first in the 2005 sequel film Serenity and then in various Dark Horse comic series.
“I think that it’s the characters and their relationships first and foremost that keeps people coming back for more, followed pretty closely by the richness of the setting and the backstory,” comic writer and iZombie co-creator Chris Roberson tells EW. “There’s just so much to explore.”
Roberson is now getting his own chance to explore the world of Serenity with a new comic from Dark Horse, Serenity: No Power in the ‘Verse, illustrated by Georges Jeanty. Jeanty illustrated the previous Serenity comic, Leaves on the Wind, and No Power in the ‘Verse picks up about a year and a half after the conclusion of that storyline.
“The characters have been busy in the meantime,” Roberson teases. “They’re just wrapping up a job when they get a call from an old friend who is in desperate need of their help, and things get complicated pretty quickly.”
The title of the series harks back to one of River’s (Summer Glau) most famous quotes from the original series, that “no power in the ‘verse can stop me.” Roberson says that the reference is no accident, and River (now the pilot of Serenity after Wash’s death in the film) will play a big part in the new series.
“River plays a pretty central role in this story, in more ways than one,” Roberson says. “She’s really come into her own as the pilot of Serenity, for one thing, but now that Zoe’s daughter Emma is toddling around on her own by this point, River is always on hand to help look after her as well. But the Alliance is still hunting for River, which is going to continue to put the rest of the crew in the crosshairs.”
Above and below, check out the cover for the first issue of No Power in the ‘Verse (from a total of six) and an interior page featuring River and Zoe playing with little Emma in Serenity’s recognizable cargo hold. The issue goes on sale Oct. 26.
Although Joss Whedon’s acclaimed show Buffy the Vampire Slayer lasted for seven seasons, his follow-up — a space western called Firefly — was canceled after barely one. Luckily for fans, the series has lived on in other media, first in the 2005 sequel film Serenity and then in various Dark Horse comic series.
“I think that it’s the characters and their relationships first and foremost that keeps people coming back for more, followed pretty closely by the richness of the setting and the backstory,” comic writer and iZombie co-creator Chris Roberson tells EW. “There’s just so much to explore.”
Roberson is now getting his own chance to explore the world of Serenity with a new comic from Dark Horse, Serenity: No Power in the ‘Verse, illustrated by Georges Jeanty. Jeanty illustrated the previous Serenity comic, Leaves on the Wind, and No Power in the ‘Verse picks up about a year and a half after the conclusion of that storyline.
“The characters have been busy in the meantime,” Roberson teases. “They’re just wrapping up a job when they get a call from an old friend who is in desperate need of their help, and things get complicated pretty quickly.”
The title of the series harks back to one of River’s (Summer Glau) most famous quotes from the original series, that “no power in the ‘verse can stop me.” Roberson says that the reference is no accident, and River (now the pilot of Serenity after Wash’s death in the film) will play a big part in the new series.
“River plays a pretty central role in this story, in more ways than one,” Roberson says. “She’s really come into her own as the pilot of Serenity, for one thing, but now that Zoe’s daughter Emma is toddling around on her own by this point, River is always on hand to help look after her as well. But the Alliance is still hunting for River, which is going to continue to put the rest of the crew in the crosshairs.”
Above and below, check out the cover for the first issue of No Power in the ‘Verse (from a total of six) and an interior page featuring River and Zoe playing with little Emma in Serenity’s recognizable cargo hold. The issue goes on sale Oct. 26.
giovedì 11 agosto 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
Ecco perchè "Mad Men" è stato un successo
I professori universitari di tutto il mondo e di qualsiasi materia si somigliano: già l'accensione di un microfono è superiore alla destrezza tecnologica della categoria. Quindi servono istruzioni precise. L'intervento non deve superare i venti minuti, supporti filmati compresi. Siccome i computer portatili hanno difficoltà a connettersi con gli impianti fissi, si raccomanda una chiavetta usb. Meglio se ce n'è una seconda di backup, per ogni sciagurata evenienza. Si ricorda inoltre ai convenuti non americani che gli apparecchi leggono solo dvd con il marchio "Zona 1". Sembra un paragrafo rubato al romanzo di David Lodge "Il professore va al congresso" (dove un accademico in crisi da pagina bianca resta bloccato per giorni su una frase che inizia con "Therefore...", "E dunque..."; verrà salvato da un'epidemia di morbo del legionario che modifica il programma). Sono le istruzioni date ai professori che intendevano partecipare al convegno "Mad Men -The Conference", organizzato lo scorso maggio dalla Middle Tennessee State University (di cui finora ignoravamo l'esistenza) in collaborazione con la University of Salford a Manchester (mai sentita neanche questa, esiste come università dagli anni 50 del Novecento, non possono pretendere). Il luogo preciso era Murfreesboro, poco distante da Nashville in direzione sud, e Nashville era consigliata come gita a fine lavori, con pullman prenotabile alla modica cifra di 20 dollari. In attesa che arrivino gli atti del convegno - i più meritevoli avranno l'onore del supporto cartaceo, l'online viene celebrato a parole ma poi un libro è un libro, anche per i nativi digitali - abbiamo recuperato su The Hollywood Reporter un articolo sulla storia orale di "Mad Men". Uscì quando la serie diede l'addio agli spettatori, con un finale meno originale del congedo immaginato da David Chase per "I Soprano" (una dissolvenza in nero, molti spettatori pensarono che si era guastato il televisore). Ma abbastanza bizzarro da suscitare ipotesi e interpretazioni: è Don Draper che ha trovato la pace con gli hippie in California, oppure i figli dei fiori gli hanno suggerito lo spot più ruffiano nella storia della Coca Cola? Matthew Weiner racconta di aver scritto il primo copione di "Mad Men" in sei giorni: c'erano gli anni 60, l'agenzia di pubblicità, dosi di sigarette e di cocktail Martini da inquietare i dirigenti di ogni rete televisiva. Non c'era ancora l'identità rubata - a un soldato morto nella guerra di Corea - da Don Draper, che in realtà si chiama Dick Whitman. Fu aggiunta quando già la Amc aveva stanziato tre milioni di dollari per il pilot ("Chi diavolo sono questi della Amc?" chiedevano i possibili co-produttori interpellati: era una rete che mandava perlopiù vecchi film americani, la sigla sta per American Movie Classic). A conferma che in materia di capolavori l'ispirazione è sopravvalutata - valgono più la fatica e la casualità - quel pezzo di trama veniva da un'altra sceneggiatura ripescata da un cassetto nello studio di Weiner. Gli aneddoti da set ricordano quel che si raccontava di Luchino Visconti: anche i cassetti dovevano esser riempiti con roba anni Sessanta, e guai se l'insalatiera non era quella giusta. Incredibile ma vero: January Jones (Betty) fece il provino per la parte di Peggy. Ancora più incredibile fu la battaglia per avere Jon Hamm. Spiega Matthew Weiner, (che è bassetto e calvo): "Eravamo nei 2006, gli attori di bell'aspetto finivano in fondo a tutte le liste delle agenzie di casting, in cima stavano i tipi come Seth Rogen e come me". (Mariarosa Mancuso, 20.07.2016)
IL FOGLIO
Ecco perchè "Mad Men" è stato un successo
I professori universitari di tutto il mondo e di qualsiasi materia si somigliano: già l'accensione di un microfono è superiore alla destrezza tecnologica della categoria. Quindi servono istruzioni precise. L'intervento non deve superare i venti minuti, supporti filmati compresi. Siccome i computer portatili hanno difficoltà a connettersi con gli impianti fissi, si raccomanda una chiavetta usb. Meglio se ce n'è una seconda di backup, per ogni sciagurata evenienza. Si ricorda inoltre ai convenuti non americani che gli apparecchi leggono solo dvd con il marchio "Zona 1". Sembra un paragrafo rubato al romanzo di David Lodge "Il professore va al congresso" (dove un accademico in crisi da pagina bianca resta bloccato per giorni su una frase che inizia con "Therefore...", "E dunque..."; verrà salvato da un'epidemia di morbo del legionario che modifica il programma). Sono le istruzioni date ai professori che intendevano partecipare al convegno "Mad Men -The Conference", organizzato lo scorso maggio dalla Middle Tennessee State University (di cui finora ignoravamo l'esistenza) in collaborazione con la University of Salford a Manchester (mai sentita neanche questa, esiste come università dagli anni 50 del Novecento, non possono pretendere). Il luogo preciso era Murfreesboro, poco distante da Nashville in direzione sud, e Nashville era consigliata come gita a fine lavori, con pullman prenotabile alla modica cifra di 20 dollari. In attesa che arrivino gli atti del convegno - i più meritevoli avranno l'onore del supporto cartaceo, l'online viene celebrato a parole ma poi un libro è un libro, anche per i nativi digitali - abbiamo recuperato su The Hollywood Reporter un articolo sulla storia orale di "Mad Men". Uscì quando la serie diede l'addio agli spettatori, con un finale meno originale del congedo immaginato da David Chase per "I Soprano" (una dissolvenza in nero, molti spettatori pensarono che si era guastato il televisore). Ma abbastanza bizzarro da suscitare ipotesi e interpretazioni: è Don Draper che ha trovato la pace con gli hippie in California, oppure i figli dei fiori gli hanno suggerito lo spot più ruffiano nella storia della Coca Cola? Matthew Weiner racconta di aver scritto il primo copione di "Mad Men" in sei giorni: c'erano gli anni 60, l'agenzia di pubblicità, dosi di sigarette e di cocktail Martini da inquietare i dirigenti di ogni rete televisiva. Non c'era ancora l'identità rubata - a un soldato morto nella guerra di Corea - da Don Draper, che in realtà si chiama Dick Whitman. Fu aggiunta quando già la Amc aveva stanziato tre milioni di dollari per il pilot ("Chi diavolo sono questi della Amc?" chiedevano i possibili co-produttori interpellati: era una rete che mandava perlopiù vecchi film americani, la sigla sta per American Movie Classic). A conferma che in materia di capolavori l'ispirazione è sopravvalutata - valgono più la fatica e la casualità - quel pezzo di trama veniva da un'altra sceneggiatura ripescata da un cassetto nello studio di Weiner. Gli aneddoti da set ricordano quel che si raccontava di Luchino Visconti: anche i cassetti dovevano esser riempiti con roba anni Sessanta, e guai se l'insalatiera non era quella giusta. Incredibile ma vero: January Jones (Betty) fece il provino per la parte di Peggy. Ancora più incredibile fu la battaglia per avere Jon Hamm. Spiega Matthew Weiner, (che è bassetto e calvo): "Eravamo nei 2006, gli attori di bell'aspetto finivano in fondo a tutte le liste delle agenzie di casting, in cima stavano i tipi come Seth Rogen e come me". (Mariarosa Mancuso, 20.07.2016)
mercoledì 10 agosto 2016
lunedì 8 agosto 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
AVVENIRE
Serie tv e Religione: un rapporto controverso che non fa fede
"Del controverso rapporto tra serie tv e religione c'è da qualche settimana stampata nella mente di molti telespettatori un'immagine simbolo. È nella parte conclusiva di Gomorra 2, quando Malammore, sicario di fiducia del boss Pietro Savastano, bacia il Crocifisso che porta al collo e poi spara a sangue freddo alla piccola figlia di Ciro Di Marzio. Terrorizzata, la bambina si rannicchia nel sedile posteriore dell'auto. È un'esecuzione spietata nel nome, o quantomeno nella "giustificazione , per assurdo, di Colui che ha dato la vita per la salvezza degli altri. La serie ispirata ai romanzi di Roberto Saviano è piena di simboli religiosi. Lo stesso finale, dopo l'uccisione della ragazzina, avviene con la vendetta di Ciro all'interno del cimitero dove Pietro si è recato per parlare (letteralmente) alla moglie morta. In questi uomini spietati c'è dunque il culto e il ri-spetto dei morti. Pietro, infatti, è andato nella cappella di famiglia per spiegare alla consorte defunta che non ce la fa più a vivere da solo e quindi chiede una sorta di permesso al riaccompagnarsi con un'altra donna. Poco dopo, invece, è costretto ad accettare la morte. Lo farà con dignità, togliendosi gli occhiali e pronunciando la frase: «A' finè ro' juomo sta tutta ca'». Criminalità e quotidianità, anche religiosa, vanno di pari passa I camorristi hanno le case piene di immagini sacre di fronte alle quali si fanno il segno della croce. A tavola non si fuma e si dice la preghiera prima di iniziare a mangiare. In questo senso Gomorra, più che strumentalizzare la religione, cerca di rappresentare un ambiente reale le cui caratteristiche si capiscono bene da quanto narrato dal gesuita padre FabrizioValletti, superiore della comunità di Scampia e responsabile dell'omonimo progetto. «Percorrendo le strade del quartiere si potrebbe pensare - racconta Valletti - che la popolazione viva una diffusa religiosità. In ogni raggruppamento di palazzi si incontrano edicole sacre o sculture con tanto di tempietto sovrastante. Anche nei cortili, negli androni, nei pianerottoli è un susseguirsi di immagini, di altarini, illuminati e sempre decorati con fiori. Se si considera che la maggior parte di queste immagini sacre è stata posta per iniziati-va delle famiglie che controllano le piazze dello spaccio, viene da pensare che ci sia un legame fra la cultura della camorra e questa ostentazione di pietà religiosa». Padre Valletti la individua nell'ipotesi di una «conti-nuità simbolica fra l'affermazione del "pro-tettore" malavitoso e la richiesta di protezione divina». Fatto sta che «la religione impre-gna la camorra»: «Gli uomini d'onore dei clan reinterpretano il messaggio cristiano a loro modo, così che questo, nella loro personalissima concezione, non possa essere considerato in contraddizione con l'attività camorrista». In poche parole «il clan che finalizza le proprie azioni al vantaggio di tutti gli affiliati considera il bene cristiano rispettato e perseguito dall'organizzazione». Rapporto controverso evidente, che la serie televisiva di Gomorra ripropone più che interpretare.
Non è così per altre serie, soprattutto per quelle straniere. Ma anche per altre italiane. Un piccolo, ma significativo esempio, ci viene dal recente Dov'èMario? con Corrado Guzzanti. In questo caso la religione è irrisa con lo sketch volgare sulla suora protagonista della pubblicità dell'ipotetico medicinale Scurè o con la badante di Mario che tira fuori dalla borsa la statuina di una Madonna e la moglie di Mario che spiega come in quella casa non siano molto religiosi, ma se alla donna avesse fatto piacere avrebbero messo un Crocifisso nella sua camera. «Solo Lei - replica la badante
riferendosi alla statua della Madonna-, Lui non lo reggo!». Battuta vicina al blasfemo come peraltro accade, dall'altra parte dell'Oceano, con Jane the virgin dove, fatta salva tutta l'ironia che si vuole, la statua della Madonna canta in chiesa insieme al coro invitando la giovane protagonista a tenere le gambe chiuse e dove la madre di Jane, quando scopre che la figlia è incinta pur essendo vergine, si inginocchia e recita una sorta di Ave Maria con sinonimi più che discutibili. Restando sulle serie americane, ci imbattiamo spesso in quelle che hanno in sé elementi religiosi o pseudo tali come II trono di spade e Dominion. Quest'ultima con tanto di guerra tra due schiere di angeli e l'attesa di un nuovo messia. In entrambi i casi siamo di fronte a uno sorta di fantascienza più portata all'agnosticismo e all'ateismo. Le religioni del futuro sono generalmente
appannaggio di un gruppo dominante che le sfrutta per mantenere il potere. Discorso diverso invece per serie come l'apocalittica (ma non in senso biblico) The walking dead, che è seguita a Lost, o più ancora Outcast con i suoi indemoniati e i conseguenti esorcismi. Anche se qui non c'è il prete cattolico de L'esorcista, bensì un pastore evangelista del West Virginia, fermamente convinto che occorra combattere la dura battaglia contro le forze demoniache nonostante lui non sia proprio un esempio positivo. Indemoniati a sfare an-che nel sanguinolento Penny dreadful, che però è più una generica storia dell'orrore ambientata nella Londra Vittoriana. Da noi deve ancora arrivare The Path, serie televisiva statunitense incentrata sugli appartenenti a un presunto movimento religioso chiamato Meyerismo. Ma anche in questo caso dietro a riti, regole e preghiere si nascondono oscuri segreti. Ed è appunto uno degli elementi che caratterizza molte serie tv: la religione intesa come mistero con la "m" minuscola, come occasione per mettere in scena soprattutto il male. A volte, invece, la fede è un'opzione tra le altre. In ogni caso, la rappresentazione della religione nelle serie televisive (e non solo) è quasi sempre parziale. Se ne coglie, nel bene e nel male, un aspetto. Gli approcci sono diversificati e spesso la cultura religiosa degli autori è scarsa". (Andrea Fagioli, 13.07.2016)
AVVENIRE
Serie tv e Religione: un rapporto controverso che non fa fede
"Del controverso rapporto tra serie tv e religione c'è da qualche settimana stampata nella mente di molti telespettatori un'immagine simbolo. È nella parte conclusiva di Gomorra 2, quando Malammore, sicario di fiducia del boss Pietro Savastano, bacia il Crocifisso che porta al collo e poi spara a sangue freddo alla piccola figlia di Ciro Di Marzio. Terrorizzata, la bambina si rannicchia nel sedile posteriore dell'auto. È un'esecuzione spietata nel nome, o quantomeno nella "giustificazione , per assurdo, di Colui che ha dato la vita per la salvezza degli altri. La serie ispirata ai romanzi di Roberto Saviano è piena di simboli religiosi. Lo stesso finale, dopo l'uccisione della ragazzina, avviene con la vendetta di Ciro all'interno del cimitero dove Pietro si è recato per parlare (letteralmente) alla moglie morta. In questi uomini spietati c'è dunque il culto e il ri-spetto dei morti. Pietro, infatti, è andato nella cappella di famiglia per spiegare alla consorte defunta che non ce la fa più a vivere da solo e quindi chiede una sorta di permesso al riaccompagnarsi con un'altra donna. Poco dopo, invece, è costretto ad accettare la morte. Lo farà con dignità, togliendosi gli occhiali e pronunciando la frase: «A' finè ro' juomo sta tutta ca'». Criminalità e quotidianità, anche religiosa, vanno di pari passa I camorristi hanno le case piene di immagini sacre di fronte alle quali si fanno il segno della croce. A tavola non si fuma e si dice la preghiera prima di iniziare a mangiare. In questo senso Gomorra, più che strumentalizzare la religione, cerca di rappresentare un ambiente reale le cui caratteristiche si capiscono bene da quanto narrato dal gesuita padre FabrizioValletti, superiore della comunità di Scampia e responsabile dell'omonimo progetto. «Percorrendo le strade del quartiere si potrebbe pensare - racconta Valletti - che la popolazione viva una diffusa religiosità. In ogni raggruppamento di palazzi si incontrano edicole sacre o sculture con tanto di tempietto sovrastante. Anche nei cortili, negli androni, nei pianerottoli è un susseguirsi di immagini, di altarini, illuminati e sempre decorati con fiori. Se si considera che la maggior parte di queste immagini sacre è stata posta per iniziati-va delle famiglie che controllano le piazze dello spaccio, viene da pensare che ci sia un legame fra la cultura della camorra e questa ostentazione di pietà religiosa». Padre Valletti la individua nell'ipotesi di una «conti-nuità simbolica fra l'affermazione del "pro-tettore" malavitoso e la richiesta di protezione divina». Fatto sta che «la religione impre-gna la camorra»: «Gli uomini d'onore dei clan reinterpretano il messaggio cristiano a loro modo, così che questo, nella loro personalissima concezione, non possa essere considerato in contraddizione con l'attività camorrista». In poche parole «il clan che finalizza le proprie azioni al vantaggio di tutti gli affiliati considera il bene cristiano rispettato e perseguito dall'organizzazione». Rapporto controverso evidente, che la serie televisiva di Gomorra ripropone più che interpretare.
Non è così per altre serie, soprattutto per quelle straniere. Ma anche per altre italiane. Un piccolo, ma significativo esempio, ci viene dal recente Dov'èMario? con Corrado Guzzanti. In questo caso la religione è irrisa con lo sketch volgare sulla suora protagonista della pubblicità dell'ipotetico medicinale Scurè o con la badante di Mario che tira fuori dalla borsa la statuina di una Madonna e la moglie di Mario che spiega come in quella casa non siano molto religiosi, ma se alla donna avesse fatto piacere avrebbero messo un Crocifisso nella sua camera. «Solo Lei - replica la badante
riferendosi alla statua della Madonna-, Lui non lo reggo!». Battuta vicina al blasfemo come peraltro accade, dall'altra parte dell'Oceano, con Jane the virgin dove, fatta salva tutta l'ironia che si vuole, la statua della Madonna canta in chiesa insieme al coro invitando la giovane protagonista a tenere le gambe chiuse e dove la madre di Jane, quando scopre che la figlia è incinta pur essendo vergine, si inginocchia e recita una sorta di Ave Maria con sinonimi più che discutibili. Restando sulle serie americane, ci imbattiamo spesso in quelle che hanno in sé elementi religiosi o pseudo tali come II trono di spade e Dominion. Quest'ultima con tanto di guerra tra due schiere di angeli e l'attesa di un nuovo messia. In entrambi i casi siamo di fronte a uno sorta di fantascienza più portata all'agnosticismo e all'ateismo. Le religioni del futuro sono generalmente
appannaggio di un gruppo dominante che le sfrutta per mantenere il potere. Discorso diverso invece per serie come l'apocalittica (ma non in senso biblico) The walking dead, che è seguita a Lost, o più ancora Outcast con i suoi indemoniati e i conseguenti esorcismi. Anche se qui non c'è il prete cattolico de L'esorcista, bensì un pastore evangelista del West Virginia, fermamente convinto che occorra combattere la dura battaglia contro le forze demoniache nonostante lui non sia proprio un esempio positivo. Indemoniati a sfare an-che nel sanguinolento Penny dreadful, che però è più una generica storia dell'orrore ambientata nella Londra Vittoriana. Da noi deve ancora arrivare The Path, serie televisiva statunitense incentrata sugli appartenenti a un presunto movimento religioso chiamato Meyerismo. Ma anche in questo caso dietro a riti, regole e preghiere si nascondono oscuri segreti. Ed è appunto uno degli elementi che caratterizza molte serie tv: la religione intesa come mistero con la "m" minuscola, come occasione per mettere in scena soprattutto il male. A volte, invece, la fede è un'opzione tra le altre. In ogni caso, la rappresentazione della religione nelle serie televisive (e non solo) è quasi sempre parziale. Se ne coglie, nel bene e nel male, un aspetto. Gli approcci sono diversificati e spesso la cultura religiosa degli autori è scarsa". (Andrea Fagioli, 13.07.2016)
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venerdì 5 agosto 2016
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
"Stranger Things", macchina del tempo per nostalgici e per millenial che non hanno mai visto "Stand by me"
"La scena imperdibile sta all'inizio del secondo episodio. Una ragazzina piuttosto male in arnese - capelli rapati a zero, un numero tatuato sull'avambraccio - viene accolta in casa da un ragazzino e da due compagnucci che assieme a lui passano i pomeriggi a giocare quella mania d'altri tempi che fu "Dungeons e Dragons". Ha addosso solo una maglietta arancione - una divisa, non è chiaro di quale istituzione - quindi le offrono una tuta. Lei fa la mossa di cambiarsi, i tre in preda al terrore indicano il bagno e pretendono pure la porta chiusa. Siamo nel territorio di Stephen King, geniale osservatore del momento preadolescenziale in cui i maschi preferiscono stare tra loro, le ragazze sono d'impiccio. Dura poco, lo racconta bene anche Wes Anderson in "Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore". Susy e Sam, entrambi dodicenni anche se lei ha gli occhi truccati come Françoise Hardy e lui il cappello di Davy Crockett, scappano insieme. Lui sa che deve darle il primo bacio, si fa così, e pure con la lingua. Lo fa, e poi sputa. In "Inside Out" di Pete Docter, è l'allarme rosso che scatta nella testa: "Aiuto, una ragazza!" (per l'antologia delle scene non basta lo spazio della rubrica, usiamo l'ultima digressione per ricordare che nel romanzo "Mr Mercedes" King raccontava un'auto assassina lanciata su una folla di poveracci in fila per un lavoro). Gli ultimi - per ora - a inoltrarsi nel territorio si chiamano Matt e Ross Duffer, con la serie "Stranger Things" (gli otto episodi della prima stagione sono su Netflix). Per via di "Stand By Me", il regno di Stephen King è presidiato in egual misura da Steven Spielberg, che in proprio contribuisce con "E. T.". Tra i due sì è solidamente inserito J. J. Abrams con "Super 8", prodotto appunto da Spielberg che ne approfitta per dar la sua benedizione (o passare le consegne). Vuol dire che la prima bicicletta con le ruotine entra in scena cinque minuti dopo i titoli di testa (assieme alla prima madre divorziata). E' la serie di cui si chiacchiera, segno che i nostalgici degli anni Ottanta sono una legione, tra spettatori e critici (va aggiunta agli entusiasti una manciata di millennial che si stupiscono di ogni cosa e reagiscono di conseguenza). Gente che a sentire "Demogorgon" prova la stessa reazione di Marcel Proust davanti a una madeleine (è il Principe dei Demoni nel gioco "Dungeons e Dragons", attendiamo un bell'editoriale sul tema "i nostri mostri erano migliori dei vostri Pokémon"). Figuriamoci che succede a vedere un telefono da muro di bakelite giallina, con il filo attorcigliato e il disco con le lettere, oltre che con i numeri. I ragazzini giocatori erano in realtà quattro, altrettanti nerd maltrattati dai bulli - allora essere nerd non era figo come pare oggi che abbiamo visto "The Big Bang Theory". Uno di loro scompare tornando a casa dopo un partitone. Siamo in una cittadina dell'Indiana, L'anno è il 1983, nel prologo (lo chiamiamo così perché i titoli di testa somigliano a copertine di Stephen King e gli episodi sembrano intitolati come capitoli) uno scienziato passa un momentaccio. Nel laboratorio le luci si accendono e si spengono. Lo sceriffo dorme in canottiera sul divano (segno sicuro di un'altra famiglia che non ha funzionato benissimo). E sì, certo, di nascosto dagli adulti si parla con il walkie talkie. Per farsi un giro negli anni Ottanta, "Stranger Things" è una perfetta macchina del tempo, c'è pure Wynona Ryder pettinata come l'operaia Meryl Streep in "Silkwood". Talmente esagerata - e priva di ironia - da sconfinare nella caricatura". (Mariarosa Mancuso, 27.07.2016)
IL FOGLIO
"Stranger Things", macchina del tempo per nostalgici e per millenial che non hanno mai visto "Stand by me"
"La scena imperdibile sta all'inizio del secondo episodio. Una ragazzina piuttosto male in arnese - capelli rapati a zero, un numero tatuato sull'avambraccio - viene accolta in casa da un ragazzino e da due compagnucci che assieme a lui passano i pomeriggi a giocare quella mania d'altri tempi che fu "Dungeons e Dragons". Ha addosso solo una maglietta arancione - una divisa, non è chiaro di quale istituzione - quindi le offrono una tuta. Lei fa la mossa di cambiarsi, i tre in preda al terrore indicano il bagno e pretendono pure la porta chiusa. Siamo nel territorio di Stephen King, geniale osservatore del momento preadolescenziale in cui i maschi preferiscono stare tra loro, le ragazze sono d'impiccio. Dura poco, lo racconta bene anche Wes Anderson in "Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore". Susy e Sam, entrambi dodicenni anche se lei ha gli occhi truccati come Françoise Hardy e lui il cappello di Davy Crockett, scappano insieme. Lui sa che deve darle il primo bacio, si fa così, e pure con la lingua. Lo fa, e poi sputa. In "Inside Out" di Pete Docter, è l'allarme rosso che scatta nella testa: "Aiuto, una ragazza!" (per l'antologia delle scene non basta lo spazio della rubrica, usiamo l'ultima digressione per ricordare che nel romanzo "Mr Mercedes" King raccontava un'auto assassina lanciata su una folla di poveracci in fila per un lavoro). Gli ultimi - per ora - a inoltrarsi nel territorio si chiamano Matt e Ross Duffer, con la serie "Stranger Things" (gli otto episodi della prima stagione sono su Netflix). Per via di "Stand By Me", il regno di Stephen King è presidiato in egual misura da Steven Spielberg, che in proprio contribuisce con "E. T.". Tra i due sì è solidamente inserito J. J. Abrams con "Super 8", prodotto appunto da Spielberg che ne approfitta per dar la sua benedizione (o passare le consegne). Vuol dire che la prima bicicletta con le ruotine entra in scena cinque minuti dopo i titoli di testa (assieme alla prima madre divorziata). E' la serie di cui si chiacchiera, segno che i nostalgici degli anni Ottanta sono una legione, tra spettatori e critici (va aggiunta agli entusiasti una manciata di millennial che si stupiscono di ogni cosa e reagiscono di conseguenza). Gente che a sentire "Demogorgon" prova la stessa reazione di Marcel Proust davanti a una madeleine (è il Principe dei Demoni nel gioco "Dungeons e Dragons", attendiamo un bell'editoriale sul tema "i nostri mostri erano migliori dei vostri Pokémon"). Figuriamoci che succede a vedere un telefono da muro di bakelite giallina, con il filo attorcigliato e il disco con le lettere, oltre che con i numeri. I ragazzini giocatori erano in realtà quattro, altrettanti nerd maltrattati dai bulli - allora essere nerd non era figo come pare oggi che abbiamo visto "The Big Bang Theory". Uno di loro scompare tornando a casa dopo un partitone. Siamo in una cittadina dell'Indiana, L'anno è il 1983, nel prologo (lo chiamiamo così perché i titoli di testa somigliano a copertine di Stephen King e gli episodi sembrano intitolati come capitoli) uno scienziato passa un momentaccio. Nel laboratorio le luci si accendono e si spengono. Lo sceriffo dorme in canottiera sul divano (segno sicuro di un'altra famiglia che non ha funzionato benissimo). E sì, certo, di nascosto dagli adulti si parla con il walkie talkie. Per farsi un giro negli anni Ottanta, "Stranger Things" è una perfetta macchina del tempo, c'è pure Wynona Ryder pettinata come l'operaia Meryl Streep in "Silkwood". Talmente esagerata - e priva di ironia - da sconfinare nella caricatura". (Mariarosa Mancuso, 27.07.2016)
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giovedì 4 agosto 2016
SGUARDO FETISH - Buffy l'AmmazzaPastelli! In arrivo l'album da colorare (per adulti) della cacciatrice di vampiri
News tratta da "Entertainment Weekly"
Drop your Mr. Pointy and pick up some crayons: A “Buffy the Vampire Slayer” adult coloring book is on the way. Dark Horse Books, the publisher behind the upcoming Serenity and Avatar: The Last Airbender adult coloring books, is bringing Buffy the Vampire Slayer universe to the coloring book world, offering Whedonites 45 intricately detailed original illustrations that incorporate moments from the entire series. The pages will feature the “Scooby Gang,” as well as the baddies, including The Master, Glory, Drusilla, and the Trio. The original art was created by Buffy Season 8, 9, and 10 comic book artists Karl Moline, Rebekah Isaacs, Georges Jeanty, Yishan Li, Steve Morris, and Newsha Ghasemi. The “Buffy the Vampire Slayer Adult Coloring Book” is available now for pre-order with an expected release date of Jan. 17, 2017.
News tratta da "Entertainment Weekly"
Drop your Mr. Pointy and pick up some crayons: A “Buffy the Vampire Slayer” adult coloring book is on the way. Dark Horse Books, the publisher behind the upcoming Serenity and Avatar: The Last Airbender adult coloring books, is bringing Buffy the Vampire Slayer universe to the coloring book world, offering Whedonites 45 intricately detailed original illustrations that incorporate moments from the entire series. The pages will feature the “Scooby Gang,” as well as the baddies, including The Master, Glory, Drusilla, and the Trio. The original art was created by Buffy Season 8, 9, and 10 comic book artists Karl Moline, Rebekah Isaacs, Georges Jeanty, Yishan Li, Steve Morris, and Newsha Ghasemi. The “Buffy the Vampire Slayer Adult Coloring Book” is available now for pre-order with an expected release date of Jan. 17, 2017.
mercoledì 3 agosto 2016
NEWS - E adesso Netflix s'inventa Flixtape, le playlist a tema
News tratta da "Vulture"
Netflix knows it's your favorite place to procrastinate. To help you kill more time, it's added a new feature: Flixtape, a playlist function that will enable you to make Netflix-TV-and-movie "mixtapes" — because you don't need to do errands or clean your house, you need to make an "Every Show I Liked in 1999" playlist. (Start with Buffy, proceed with The West Wing ...). If you're looking for inspiration, Netflix has some premade Flixtapes all lined up for you. The "Besties or Frenemies" playlist contains eps of Pretty Little Liars, Unbreakable Kimmy Schmidt, New Girl, and wild-card 1997 film Good Burger, while the "Summertimes" playlist features Wet Hot American Summer: First Day of Camp, Moonrise Kingdom, Grease, and, ahem, High School Musical 2.
Before you commence your Flixtape-ing, remember John Cusack's High Fidelity mixtape advice: “The making of a good compilation tape is a very subtle art. Many dos and don'ts. First of all, you’re using someone else’s poetry to express how you feel. This is a delicate thing.” Truer words were never spoken.
News tratta da "Vulture"
Netflix knows it's your favorite place to procrastinate. To help you kill more time, it's added a new feature: Flixtape, a playlist function that will enable you to make Netflix-TV-and-movie "mixtapes" — because you don't need to do errands or clean your house, you need to make an "Every Show I Liked in 1999" playlist. (Start with Buffy, proceed with The West Wing ...). If you're looking for inspiration, Netflix has some premade Flixtapes all lined up for you. The "Besties or Frenemies" playlist contains eps of Pretty Little Liars, Unbreakable Kimmy Schmidt, New Girl, and wild-card 1997 film Good Burger, while the "Summertimes" playlist features Wet Hot American Summer: First Day of Camp, Moonrise Kingdom, Grease, and, ahem, High School Musical 2.
Before you commence your Flixtape-ing, remember John Cusack's High Fidelity mixtape advice: “The making of a good compilation tape is a very subtle art. Many dos and don'ts. First of all, you’re using someone else’s poetry to express how you feel. This is a delicate thing.” Truer words were never spoken.
lunedì 1 agosto 2016
NEWS - Netflix, è passata la moda? Abbonati in fuga, il titolo crolla...Finirà come Blockbuster?
Articolo tratto da "Italia Oggi"
Netflix piange: incrementa assai meno del previsto il numero dei suoi abbonati e crolla in Borsa. Battuta d'arresto o esplosione di una bolla? E poi: questa crisi è una buona o una cattiva notizia? Per molti versi buona, anzi ottima. Vediamo perché. Netflix, la tv online più celebre e temuta (dai network televisivi tradizionali) del mondo, si è imposta, con 87 milioni di abbonati, grazie a una semplicità di accesso e di ricerca, unita a una vastità di scelte e a un'economicità di prezzo, senza precedenti. Ma il vero boom, la web-tv su cavo l'ha ottenuto meritoriamente indovinando alcune «fiction» che l'hanno consacrata e fatta amare. E qui, direbbe Totò, casca l'asino. I successi imperniati sulla creatività hanno il difetto di essere effimeri e reversibili, perché tale è la natura umana: oggi ci piace l'operetta, e ci andiamo tutti pazzi, domani passa la moda, arriva quella del rock'n roll e l'operetta resta un gusto di pochi. La Metro Goldwin Mayer era la numero uno ed è fallita... Questo gioco dei cicli emotivi fa parte dei nostri archetipi e guai, guai seri, se le tecnologie lo distruggessero: la nostra creatività, che ci distingue dalle bestie, finirebbe tritata da un algoritmo, e non da esso potenziata come lo fu dalla macchina per scrivere o dalla cinepresa. Quindi? Semplice: le serie di maggior cassetta di Netflix «tirano meno», perché tutte le mode passano; e i giocherelli digitali graditi agli abbonati non sono la «killer application» (la «trovata assassina», per usare il solito gergo da fessi) che si pensava. Tutto qui: ed è qui anche la buona notizia, che la creatività fa ancora e sempre la differenza. Piccolo-grande corollario: potersi scegliere in pace, tra infinite opzioni, ciò che si preferisce vedere è bello. Ma non è l'unico modo gradevole di vivere. Scegliere costa fatica, innanzitutto. E limita l'esplorazione almeno quanto appare agevolarla, perché fatalmente si tende a scegliere cose note o almeno fantasticate, ma l'ignoto si tende a scartarlo. I vecchi palinsesti televisivi prescrittivi (alle 20 il tg, alle 20,30 la satira, eccetera) sembrano stantii, ma sono confortevoli, come tutte le abitudini. «Arto', fa' caldo, sto' stanca, vedi che fanno su Raiuno», è e rimarrà un'esigenza anti-scelta. Quindi Netflix non sarà il cianuro dei network televisivi tradizionali, li affiancherà senza soppiantarli. Ce lo ricordiamo Blockbuster? Sottocasa, migliaia di film da scegliere e affittare per poco, e ti compravi pure i pop-corn. E' durato dieci anni. E del resto, per finire con un sacrilegio, anche al colosso Sky, re delle comode tv a pagamento, se togli il calcio e il porno quanto business resta?
Articolo tratto da "Italia Oggi"
Netflix piange: incrementa assai meno del previsto il numero dei suoi abbonati e crolla in Borsa. Battuta d'arresto o esplosione di una bolla? E poi: questa crisi è una buona o una cattiva notizia? Per molti versi buona, anzi ottima. Vediamo perché. Netflix, la tv online più celebre e temuta (dai network televisivi tradizionali) del mondo, si è imposta, con 87 milioni di abbonati, grazie a una semplicità di accesso e di ricerca, unita a una vastità di scelte e a un'economicità di prezzo, senza precedenti. Ma il vero boom, la web-tv su cavo l'ha ottenuto meritoriamente indovinando alcune «fiction» che l'hanno consacrata e fatta amare. E qui, direbbe Totò, casca l'asino. I successi imperniati sulla creatività hanno il difetto di essere effimeri e reversibili, perché tale è la natura umana: oggi ci piace l'operetta, e ci andiamo tutti pazzi, domani passa la moda, arriva quella del rock'n roll e l'operetta resta un gusto di pochi. La Metro Goldwin Mayer era la numero uno ed è fallita... Questo gioco dei cicli emotivi fa parte dei nostri archetipi e guai, guai seri, se le tecnologie lo distruggessero: la nostra creatività, che ci distingue dalle bestie, finirebbe tritata da un algoritmo, e non da esso potenziata come lo fu dalla macchina per scrivere o dalla cinepresa. Quindi? Semplice: le serie di maggior cassetta di Netflix «tirano meno», perché tutte le mode passano; e i giocherelli digitali graditi agli abbonati non sono la «killer application» (la «trovata assassina», per usare il solito gergo da fessi) che si pensava. Tutto qui: ed è qui anche la buona notizia, che la creatività fa ancora e sempre la differenza. Piccolo-grande corollario: potersi scegliere in pace, tra infinite opzioni, ciò che si preferisce vedere è bello. Ma non è l'unico modo gradevole di vivere. Scegliere costa fatica, innanzitutto. E limita l'esplorazione almeno quanto appare agevolarla, perché fatalmente si tende a scegliere cose note o almeno fantasticate, ma l'ignoto si tende a scartarlo. I vecchi palinsesti televisivi prescrittivi (alle 20 il tg, alle 20,30 la satira, eccetera) sembrano stantii, ma sono confortevoli, come tutte le abitudini. «Arto', fa' caldo, sto' stanca, vedi che fanno su Raiuno», è e rimarrà un'esigenza anti-scelta. Quindi Netflix non sarà il cianuro dei network televisivi tradizionali, li affiancherà senza soppiantarli. Ce lo ricordiamo Blockbuster? Sottocasa, migliaia di film da scegliere e affittare per poco, e ti compravi pure i pop-corn. E' durato dieci anni. E del resto, per finire con un sacrilegio, anche al colosso Sky, re delle comode tv a pagamento, se togli il calcio e il porno quanto business resta?
sabato 30 luglio 2016
GOSSIP - Cartoline dal Comicon! Le peggio vestite tranne una...(indovinate chi)
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venerdì 29 luglio 2016
NEWS - Fantastic duo! Supergirl adotta tutor-Superman con il volto (di pietra) di Tyler Hoechlin. La prima immagine (super---photoshoppata)!
News tratta da "TvLine"
Talk about a dynamic duo.
Warner Bros. has released the first photo of newly-christened Superman Tyler Hoechlin alongside onscreen cousin, Supergirl‘s Melissa Benoist, and there’s no denying that they make a pretty (sorry!) super pair. Over the weekend at Comic-Con, Hoechlin told TVLine that he was “looking forward” to slipping into the Man of Steel’s iconic tights and cape (designed here by Supergirl’s costume guru Kiersten Ronning), adding that the whole experience has been “definitely surreal and probably hasn’t sunk in yet, but it will be fun”. Hoechlin will make his debut as Supes in Supergirl‘s Season 2 premiere on Monday, October 10 at 8/7c on The CW.
News tratta da "TvLine"
Talk about a dynamic duo.
Warner Bros. has released the first photo of newly-christened Superman Tyler Hoechlin alongside onscreen cousin, Supergirl‘s Melissa Benoist, and there’s no denying that they make a pretty (sorry!) super pair. Over the weekend at Comic-Con, Hoechlin told TVLine that he was “looking forward” to slipping into the Man of Steel’s iconic tights and cape (designed here by Supergirl’s costume guru Kiersten Ronning), adding that the whole experience has been “definitely surreal and probably hasn’t sunk in yet, but it will be fun”. Hoechlin will make his debut as Supes in Supergirl‘s Season 2 premiere on Monday, October 10 at 8/7c on The CW.
giovedì 28 luglio 2016
NEWS - "It's fucking Negan's world now": Jeffrey Dean Morgan lancia l'epiteto dalla copertina già cult di "Entertainment Weekly"! Daje Negan, uccidili tutti (ne bastano un paio, al massimo...)
The Walking Dead‘s Negan is front and center on the cover of Entertainment Weekly‘s new issue. Jeffrey Dean Morgan – the actor playing the villainous Negan – opened up about the upcoming season in a very Negan-esque way: “It’s a reset on The Walking Dead world. It’s f—ing Negan’s world now". "What you’re going to see in the first half of this season is Negan wreaking havoc,” Jeffrey added. “And some of your characters that you’ve grown to love are not going to be on the show anymore, and it’s going to end badly for them. It’s going to be a whole new beginning for The Walking Dead. Really, we’ve taken the show and just flipped it upside down. It’s a different show now. It’s going to have a different feeling. You’re going to see your favorite characters in a position that they’ve never been in before, which is super vulnerable and victimized”.
The Walking Dead‘s Negan is front and center on the cover of Entertainment Weekly‘s new issue. Jeffrey Dean Morgan – the actor playing the villainous Negan – opened up about the upcoming season in a very Negan-esque way: “It’s a reset on The Walking Dead world. It’s f—ing Negan’s world now". "What you’re going to see in the first half of this season is Negan wreaking havoc,” Jeffrey added. “And some of your characters that you’ve grown to love are not going to be on the show anymore, and it’s going to end badly for them. It’s going to be a whole new beginning for The Walking Dead. Really, we’ve taken the show and just flipped it upside down. It’s a different show now. It’s going to have a different feeling. You’re going to see your favorite characters in a position that they’ve never been in before, which is super vulnerable and victimized”.
mercoledì 27 luglio 2016
NEWS - "Con Vivendi accordo per Premium è vincolante. Se i francesi volevano negoziare non scrivevano una lettera": parla Marco Giordani, direttore finanziario Mediaset sulla retromarcia di Vivendi su acquisizione Premium
Intervista a Marco Giordani, direttore finanziario Mediaset, pubblicata da "MF"
"Un fulmine a ciel sereno». Con queste parole Marco Giordani, direttore finanziario di Mediaset, ha commentato in un'intervista a Class Tv la decisione di Vivendi di non rispettare il contratto vincolante siglato con Mediaset su Premium. Ma promette che il business plan della pay tv non cambierà.
Domanda. Qual è la vostra posizione di fronte alla lettera di Vivendi del 21 giugno e a quella di due giorni fa in cui si comunica questa scelta?
Risposta. L'accordo dell'8 aprile tra Mediaset e Vivendi è vincolante ed è stato preceduto da lunghi mesi di trattative durante i quali la società francese ha potuto aver accesso ai numeri chiave di Premium e chiarire ogni dubbio. Ma soprattutto è un accordo che non prevede modifiche.
D. de Puyfontaine e Vivendi hanno detto in due comunicati che dall'analisi dei risultati di Premium sono emerse differenze significative rispetto alle verifiche effettuate, motivo per cui il gruppo ha inviato una proposta per trovare un nuovo accordo e proseguire le trattative.
R. Vivendi i numeri di Premium li ha visti prima di firmare l'accordo dell'8 di aprile. Se poi tra quella data e il 21 giugno le loro valutazioni sono cambiate, visto che i numeri non sono mutati, se non marginalmente, questo non dipende da noi, anche perché non abbiamo mai ricevuto un claim formale da parte del gruppo francese che faccia riferimento al contratto firmato. Hanno semplicemente cambiato idea. Se veramente Vivendi fosse stata così scontenta dei numeri di Premium non le avrebbe attribuito un valore addirittura più alto in sede di trattativa. Il problema, quindi, non sono i numeri.
D. Fininvest parla di scorrettezza di eccezionale gravità da parte dei francesi e li accusa di voler scalare Mediaset in modo surrettizio. II piano di Vivendi poteva essere questo sin dall'inizio?
R. Nell'accordo dell'8 aprile non si parlava solo di Premium, ma di molti altri progetti, come i contenuti a livello europeo o la creazione di una piattaforma over the top sempre a livello europeo. In questi quattro mesi non c'è mai stato da parte di Vivendi alcun tipo di offerta o proposta, mentre noi di Mediaset stiamo finalizzando il progetto da sottoporre a loro in questi due anni. Proprio per questo la lettera ci ha colti di sorpresa, anche perché comunque ci saremmo aspettati un approccio diverso. Dal 1 di luglio ci sono delle norme molto stringenti sul market abuse ed è evidente che una lettera come quella di due giorni fa non poteva non essere comunicata al mercato. Se volevano negoziare non scrivevano una lettera.
D. Ci sono stati contatti tra Mediaset e Vivendi tra 1'8 aprile, il 21 giugno e il 25 luglio?
R. Certo. Vivendi aveva preso anche delle decisioni su Premium non previste nei nostri piani, che ci hanno portati a rinnovare alcuni contratti con dei canali distribuiti da Premium. Da giugno, però, i rappresentanti di Vivendi hanno incominciato a essere sempre meno attivi e, in termini contrattuali, a non adempiere ai loro obblighi.
D. Ad esempio?
R. Non hanno rispettato i tempi per comunicare il passaggio di controllo all'autorità europea. Avevano l'obbligo di incontrare la Uefa per comunicare il change of control e si sono rifiutati di farlo per ben due volte, creandoci degli imbarazzi. Premium va gestita giorno per giorno, ma Vivendi ci ha fatto rimanere in stallo per lungo tempo. Queste mancanze contrattuali sono state comunicate al gruppo francese venerdì scorso e la risposta è stata la lettera di due giorni fa. A partire dal cda di domani ci difenderemo e torneremo a occuparci di Premium come facevamo prima, realizzando un business plan che è tuttora in piedi.
D. Il contratto dell'8 aprile prevede penali per chi decide di uscire?
R. No, perché non si prevedeva di uscire. C'era la volontà assoluta di chiudere da parte di entrambi. D. È possibile trovare un accordo?
R. Anzitutto dovremo portare in cda la lettera di Vivendi che cambia radicalmente le carte in tavola. Sarà poi il consiglio a prendere le decisioni più opportune a tutela della società. Margini ci sono, ma Vivendi deve proporci un accordo equivalente a quello siglato ad aprile.
D. Di certo si rischia una fase di stallo e di battaglia legale a scapito del business industriale di Premium.
R. Il contratto ci imponeva una gestione molto più amministrativa, che ha comportato dei rallentamenti. Ma la politica commerciale di Premium è già nei negozi, con la Champions League che parte tra un mese e una composizione di squadre italiane che ci soddisfa.
Intervista a Marco Giordani, direttore finanziario Mediaset, pubblicata da "MF"
"Un fulmine a ciel sereno». Con queste parole Marco Giordani, direttore finanziario di Mediaset, ha commentato in un'intervista a Class Tv la decisione di Vivendi di non rispettare il contratto vincolante siglato con Mediaset su Premium. Ma promette che il business plan della pay tv non cambierà.
Domanda. Qual è la vostra posizione di fronte alla lettera di Vivendi del 21 giugno e a quella di due giorni fa in cui si comunica questa scelta?
Risposta. L'accordo dell'8 aprile tra Mediaset e Vivendi è vincolante ed è stato preceduto da lunghi mesi di trattative durante i quali la società francese ha potuto aver accesso ai numeri chiave di Premium e chiarire ogni dubbio. Ma soprattutto è un accordo che non prevede modifiche.
D. de Puyfontaine e Vivendi hanno detto in due comunicati che dall'analisi dei risultati di Premium sono emerse differenze significative rispetto alle verifiche effettuate, motivo per cui il gruppo ha inviato una proposta per trovare un nuovo accordo e proseguire le trattative.
R. Vivendi i numeri di Premium li ha visti prima di firmare l'accordo dell'8 di aprile. Se poi tra quella data e il 21 giugno le loro valutazioni sono cambiate, visto che i numeri non sono mutati, se non marginalmente, questo non dipende da noi, anche perché non abbiamo mai ricevuto un claim formale da parte del gruppo francese che faccia riferimento al contratto firmato. Hanno semplicemente cambiato idea. Se veramente Vivendi fosse stata così scontenta dei numeri di Premium non le avrebbe attribuito un valore addirittura più alto in sede di trattativa. Il problema, quindi, non sono i numeri.
D. Fininvest parla di scorrettezza di eccezionale gravità da parte dei francesi e li accusa di voler scalare Mediaset in modo surrettizio. II piano di Vivendi poteva essere questo sin dall'inizio?
R. Nell'accordo dell'8 aprile non si parlava solo di Premium, ma di molti altri progetti, come i contenuti a livello europeo o la creazione di una piattaforma over the top sempre a livello europeo. In questi quattro mesi non c'è mai stato da parte di Vivendi alcun tipo di offerta o proposta, mentre noi di Mediaset stiamo finalizzando il progetto da sottoporre a loro in questi due anni. Proprio per questo la lettera ci ha colti di sorpresa, anche perché comunque ci saremmo aspettati un approccio diverso. Dal 1 di luglio ci sono delle norme molto stringenti sul market abuse ed è evidente che una lettera come quella di due giorni fa non poteva non essere comunicata al mercato. Se volevano negoziare non scrivevano una lettera.
D. Ci sono stati contatti tra Mediaset e Vivendi tra 1'8 aprile, il 21 giugno e il 25 luglio?
R. Certo. Vivendi aveva preso anche delle decisioni su Premium non previste nei nostri piani, che ci hanno portati a rinnovare alcuni contratti con dei canali distribuiti da Premium. Da giugno, però, i rappresentanti di Vivendi hanno incominciato a essere sempre meno attivi e, in termini contrattuali, a non adempiere ai loro obblighi.
D. Ad esempio?
R. Non hanno rispettato i tempi per comunicare il passaggio di controllo all'autorità europea. Avevano l'obbligo di incontrare la Uefa per comunicare il change of control e si sono rifiutati di farlo per ben due volte, creandoci degli imbarazzi. Premium va gestita giorno per giorno, ma Vivendi ci ha fatto rimanere in stallo per lungo tempo. Queste mancanze contrattuali sono state comunicate al gruppo francese venerdì scorso e la risposta è stata la lettera di due giorni fa. A partire dal cda di domani ci difenderemo e torneremo a occuparci di Premium come facevamo prima, realizzando un business plan che è tuttora in piedi.
D. Il contratto dell'8 aprile prevede penali per chi decide di uscire?
R. No, perché non si prevedeva di uscire. C'era la volontà assoluta di chiudere da parte di entrambi. D. È possibile trovare un accordo?
R. Anzitutto dovremo portare in cda la lettera di Vivendi che cambia radicalmente le carte in tavola. Sarà poi il consiglio a prendere le decisioni più opportune a tutela della società. Margini ci sono, ma Vivendi deve proporci un accordo equivalente a quello siglato ad aprile.
D. Di certo si rischia una fase di stallo e di battaglia legale a scapito del business industriale di Premium.
R. Il contratto ci imponeva una gestione molto più amministrativa, che ha comportato dei rallentamenti. Ma la politica commerciale di Premium è già nei negozi, con la Champions League che parte tra un mese e una composizione di squadre italiane che ci soddisfa.
martedì 26 luglio 2016
NEWS - Clamorosissimo al Cibalissimo! Quell'accordo non s'ha (più) da fare! Vivendi fa retromarsh nell'acquisizione Premium
(ANSA) - Dietrofront di Vivendi sull'acquisto del 100% di Mediaset Premium, e il titolo del Biscione crolla in borsa. Mediaset ha fatto sapere che il gruppo francese intende ora 'acquistare solo il 20% del capitale di Mediaset Premium', invece che il 100% come stipulato, e 'non intende comunque onorare il contratto'. A Mediaset - che fa sapere di essere pronta a far valere i propri diritti - replica il gruppo di Bollore', parlando di 'divergenze significative' di valutazione su Premium e informa di aver fatto una nuova proposta per trovare un accordo su Premium. Titolo Mediaset soffre in Borsa. "Non vogliamo il controllo". Lo ha detto l'amministratore delegato di Vivendi Arnaud De Puyfontaine in una conferenza stampa a Milano. L'Ad non ha voluto commentare o precisare i termini delle trattative con Mediaset ma ha ribadito che "l'obiettivo non cambia, e' quello di creare un grande gruppo; cambia il modo per raggiungerlo". "Stiamo discutendo - ha aggiunto - e vogliamo una soluzione che sia soddisfacente per entrambi". Fininvest denuncia "l'eccezionale gravita' e l'assoluta scorrettezza del comportamento di Vivendi" sulla vicenda Mediaset Premium. Lo afferma in un comunicato la societa' cui fa capo il 34,738% di Mediaset. "L'atteggiamento di Vivendi - prosegue Fininvest - lascia chiaramente intuire che il suo vero, non dichiarato obiettivo fosse in realta' quello di costituirsi in modo surrettizio e inaccettabile una posizione di estremo rilievo nell'azionariato di Mediaset". "Non c'e' nessuna negoziazione in corso tra Mediaset e Vivendi". Lo si legge in una nuova nota di Mediaset in cui il Gruppo precisa che "la negoziazione e' gia' avvenuta e si e' conclusa con il contratto regolarmente firmato tra le parti l'8 aprile 2016". Mediaset aggiunge che "l'analisi dei risultati di Premium e' ovviamente avvenuta prima della firma, come accade prima di ogni assunzione di impegni". Infine Mediaset conferma "di non aver mai ricevuto alcuna contestazione formale sulla validita' o i contenuti del contratto".
(ANSA) - Dietrofront di Vivendi sull'acquisto del 100% di Mediaset Premium, e il titolo del Biscione crolla in borsa. Mediaset ha fatto sapere che il gruppo francese intende ora 'acquistare solo il 20% del capitale di Mediaset Premium', invece che il 100% come stipulato, e 'non intende comunque onorare il contratto'. A Mediaset - che fa sapere di essere pronta a far valere i propri diritti - replica il gruppo di Bollore', parlando di 'divergenze significative' di valutazione su Premium e informa di aver fatto una nuova proposta per trovare un accordo su Premium. Titolo Mediaset soffre in Borsa. "Non vogliamo il controllo". Lo ha detto l'amministratore delegato di Vivendi Arnaud De Puyfontaine in una conferenza stampa a Milano. L'Ad non ha voluto commentare o precisare i termini delle trattative con Mediaset ma ha ribadito che "l'obiettivo non cambia, e' quello di creare un grande gruppo; cambia il modo per raggiungerlo". "Stiamo discutendo - ha aggiunto - e vogliamo una soluzione che sia soddisfacente per entrambi". Fininvest denuncia "l'eccezionale gravita' e l'assoluta scorrettezza del comportamento di Vivendi" sulla vicenda Mediaset Premium. Lo afferma in un comunicato la societa' cui fa capo il 34,738% di Mediaset. "L'atteggiamento di Vivendi - prosegue Fininvest - lascia chiaramente intuire che il suo vero, non dichiarato obiettivo fosse in realta' quello di costituirsi in modo surrettizio e inaccettabile una posizione di estremo rilievo nell'azionariato di Mediaset". "Non c'e' nessuna negoziazione in corso tra Mediaset e Vivendi". Lo si legge in una nuova nota di Mediaset in cui il Gruppo precisa che "la negoziazione e' gia' avvenuta e si e' conclusa con il contratto regolarmente firmato tra le parti l'8 aprile 2016". Mediaset aggiunge che "l'analisi dei risultati di Premium e' ovviamente avvenuta prima della firma, come accade prima di ogni assunzione di impegni". Infine Mediaset conferma "di non aver mai ricevuto alcuna contestazione formale sulla validita' o i contenuti del contratto".
lunedì 25 luglio 2016
NEWS - Clamoroso al Cibali! Sky perderà il 36% di valore nei prossimi 5 anni, la concorrenza della neonata Vivendi-Premium e Netflix destinata a erodere quote di mercato
Articolo di Claudio Plazzotta su "Italia Oggi"
Bank of America Merrill Lynch ha prodotto un interessante report sul mondo Sky plc, con attenzione al mercato britannico, tedesco e italiano. Il tutto confezionando il documento con una certa creatività, come una serie tv all'interno di un Box set di Sky, con tanto di «prima stagione», 13 episodi (all'Italia è dedicato il 13esimo), gran finale ed «episodio bonus». Eloquente il titolo affibbiato alla serie: The boiling frog, ovvero la rana in bollitura, che fa riferimento a una situazione in cui piccoli cambiamenti (come quelli cui è sottoposta una rana immersa in acqua tiepida in una pentola sul fuoco) possono però portare gradualmente a una situazione di crisi (nel caso della rana, alla bollitura e di conseguenza alla morte). Per la banca d'affari, quindi, il gruppo Sky, in Europa, si troverebbe in un contesto di lento declino, magari impercettibile ma inesorabile, e destinato a erodere drasticamente le quote di mercato e i margini. Quanto all'Italia, è presto detto: per Merrill Lynch la società guidata dall'amministratore delegato Andrea Zappia perderà il 36% del valore nei prossimi cinque anni, passando da 2,5 miliardi di sterline del 2014 (importo versato a Fox da Sky per l'acquisto di Sky Italia) a 1,6 mld nel 2020. I motivi di questo deprezzamento sono molti. Di sicuro il mercato degli abbonati alla pay tv in senso largo crescerà in Italia, passando dai circa 7 milioni di clienti nel 2016 ai 9,5 milioni del 2020. Cambierà, però, la composizione: se nel 2016, in base alle stime di Merrill Lynch, ci sono 4,775 mln di abbonati Sky, 2,255 mln di abbonati Mediaset Premium (escluse le pre-pagate) e 182 mila abbonati ad altre offerte, nel 2020 gli abbonati di Sky cresceranno a 5,164 milioni, ma soprattutto grazie alle offerte di Now Tv (la pay tv in streaming), quelli di Mediaset Premium a 3,240 milioni e gli «altri» esploderanno a 1,386 milioni. In sostanza tutta la crescita sarà intercettata dalle offerte di pay tv in streaming, un modello di business che, secondo la banca d'affari, rappresenta il futuro della cosiddetta tv a pagamento. Il miglioramento delle infrastrutture di rete, banda larga, fibra in Italia ha infatti rimosso le barriere all'ingresso per tanti soggetti. E Sky, dice il report, dovrà confrontarsi con nuovi competitor: sia Discovery, sia le offerte in Ott come Netflix o Vivendi-Mediaset. E, in particolare, queste offerte hanno «business models più efficienti poiché lavorano in stretta sinergia con le Telco. Vivendi sta per acquisire Mediaset Premium, che era un competitor debole per Sky Italia. Ma con Vivendi diventerà probabilmente un competitor molto più forte, con vantaggi nella distribuzione, nei contenuti, nel marketing, facendo forte leva sulla base di clienti di Telecom Italia», di cui Vivendi è il principale azionista. L'ingresso di Vivendi nel mercato della pay tv in Italia determinerà «per Sky una quota di mercato più bassa e costi più alti per l'acquisto dei diritti tv». In effetti, secondo le analisi di Bank of America Merrill Lynch, la quota di mercato di Sky Italia passerà dal 70% del 2014, al 68% del 2016, fino al 54% del 2020, mentre Mediaset Premium salirà dal 32% del 2016 al 34% del 2020. Concentrandoci su Sky, gli abbonati tv alle offerte non sportive resteranno stabili: 1,125 milioni nel 2016 come nel 2020. Quelli alle offerte sportive, invece, caleranno dell'1,4% passando da 3,5 milioni del 2016 a 3,449 milioni del 2020. Il boom ci sarà, invece, per gli abbonati a Now Tv: dai 150 mila del 2016 ai 590 mila del 2020.Non ci sarà un grande sviluppo dei ricavi pubblicitari di Sky Italia, che secondo Merrill Lynch rimarranno piatti: 234 milioni di euro nel 2016 come nel 2020. Per determinare la crescita, quindi, Sky dovrà lavorare su due fronti: spingere su Now Tv, che passerà dai 17 min di ricavi 2016 ai 79 milioni del 2020; aumentare i prezzi degli abbonamenti, in particolar modo per i pacchetti dello sport. L'arpu (ricavi medi mensili per abbonato) tra il 2016 e il 2020 salirà infatti da 35 a 37 euro per le offerte non sportive, da 45 a 50 euro per quelle sportive, e da 11 a 13 euro per Now tv. Con queste dinamiche, si potrà affrontare bene anche il probabile aumento dei costi per l'acquisto dei diritti sportivi in tv. Merrill Lynch prevede che i costi Sky per la Serie A di calcio passeranno dagli attuali 572 milioni all'anno a 681 min ( 19%), e quelli della Formula Uno da 77 a 100 min ( 30%). E così anche l'ebit di Sky Italia verrà tutelato: 72 milioni di euro nel 2016, e poi 115 nel 2017, e, ancora 121 milioni nel 2018, fino ai 146 milioni del 2020.
Articolo di Claudio Plazzotta su "Italia Oggi"
Bank of America Merrill Lynch ha prodotto un interessante report sul mondo Sky plc, con attenzione al mercato britannico, tedesco e italiano. Il tutto confezionando il documento con una certa creatività, come una serie tv all'interno di un Box set di Sky, con tanto di «prima stagione», 13 episodi (all'Italia è dedicato il 13esimo), gran finale ed «episodio bonus». Eloquente il titolo affibbiato alla serie: The boiling frog, ovvero la rana in bollitura, che fa riferimento a una situazione in cui piccoli cambiamenti (come quelli cui è sottoposta una rana immersa in acqua tiepida in una pentola sul fuoco) possono però portare gradualmente a una situazione di crisi (nel caso della rana, alla bollitura e di conseguenza alla morte). Per la banca d'affari, quindi, il gruppo Sky, in Europa, si troverebbe in un contesto di lento declino, magari impercettibile ma inesorabile, e destinato a erodere drasticamente le quote di mercato e i margini. Quanto all'Italia, è presto detto: per Merrill Lynch la società guidata dall'amministratore delegato Andrea Zappia perderà il 36% del valore nei prossimi cinque anni, passando da 2,5 miliardi di sterline del 2014 (importo versato a Fox da Sky per l'acquisto di Sky Italia) a 1,6 mld nel 2020. I motivi di questo deprezzamento sono molti. Di sicuro il mercato degli abbonati alla pay tv in senso largo crescerà in Italia, passando dai circa 7 milioni di clienti nel 2016 ai 9,5 milioni del 2020. Cambierà, però, la composizione: se nel 2016, in base alle stime di Merrill Lynch, ci sono 4,775 mln di abbonati Sky, 2,255 mln di abbonati Mediaset Premium (escluse le pre-pagate) e 182 mila abbonati ad altre offerte, nel 2020 gli abbonati di Sky cresceranno a 5,164 milioni, ma soprattutto grazie alle offerte di Now Tv (la pay tv in streaming), quelli di Mediaset Premium a 3,240 milioni e gli «altri» esploderanno a 1,386 milioni. In sostanza tutta la crescita sarà intercettata dalle offerte di pay tv in streaming, un modello di business che, secondo la banca d'affari, rappresenta il futuro della cosiddetta tv a pagamento. Il miglioramento delle infrastrutture di rete, banda larga, fibra in Italia ha infatti rimosso le barriere all'ingresso per tanti soggetti. E Sky, dice il report, dovrà confrontarsi con nuovi competitor: sia Discovery, sia le offerte in Ott come Netflix o Vivendi-Mediaset. E, in particolare, queste offerte hanno «business models più efficienti poiché lavorano in stretta sinergia con le Telco. Vivendi sta per acquisire Mediaset Premium, che era un competitor debole per Sky Italia. Ma con Vivendi diventerà probabilmente un competitor molto più forte, con vantaggi nella distribuzione, nei contenuti, nel marketing, facendo forte leva sulla base di clienti di Telecom Italia», di cui Vivendi è il principale azionista. L'ingresso di Vivendi nel mercato della pay tv in Italia determinerà «per Sky una quota di mercato più bassa e costi più alti per l'acquisto dei diritti tv». In effetti, secondo le analisi di Bank of America Merrill Lynch, la quota di mercato di Sky Italia passerà dal 70% del 2014, al 68% del 2016, fino al 54% del 2020, mentre Mediaset Premium salirà dal 32% del 2016 al 34% del 2020. Concentrandoci su Sky, gli abbonati tv alle offerte non sportive resteranno stabili: 1,125 milioni nel 2016 come nel 2020. Quelli alle offerte sportive, invece, caleranno dell'1,4% passando da 3,5 milioni del 2016 a 3,449 milioni del 2020. Il boom ci sarà, invece, per gli abbonati a Now Tv: dai 150 mila del 2016 ai 590 mila del 2020.Non ci sarà un grande sviluppo dei ricavi pubblicitari di Sky Italia, che secondo Merrill Lynch rimarranno piatti: 234 milioni di euro nel 2016 come nel 2020. Per determinare la crescita, quindi, Sky dovrà lavorare su due fronti: spingere su Now Tv, che passerà dai 17 min di ricavi 2016 ai 79 milioni del 2020; aumentare i prezzi degli abbonamenti, in particolar modo per i pacchetti dello sport. L'arpu (ricavi medi mensili per abbonato) tra il 2016 e il 2020 salirà infatti da 35 a 37 euro per le offerte non sportive, da 45 a 50 euro per quelle sportive, e da 11 a 13 euro per Now tv. Con queste dinamiche, si potrà affrontare bene anche il probabile aumento dei costi per l'acquisto dei diritti sportivi in tv. Merrill Lynch prevede che i costi Sky per la Serie A di calcio passeranno dagli attuali 572 milioni all'anno a 681 min ( 19%), e quelli della Formula Uno da 77 a 100 min ( 30%). E così anche l'ebit di Sky Italia verrà tutelato: 72 milioni di euro nel 2016, e poi 115 nel 2017, e, ancora 121 milioni nel 2018, fino ai 146 milioni del 2020.
News: #TheVampireDiaries Ending After Season 8.https://t.co/pUIhaYAZCl via @TVLine #TVD
— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 23 luglio 2016
sabato 23 luglio 2016
venerdì 22 luglio 2016
NBC’s new super series Powerless has unveiled their Comic-Con poster – which reveals a brand new cast member! In the first comedy series set in the universe of DC Comics, Vanessa Hudgens plays Emily, a spunky young insurance adjuster specializing in regular-people coverage against damage caused by the crime-fighting superheroes. It’s when she stands up to one of these larger-than-life figures (after an epic battle messes with her commute) that she accidentally becomes a cult “hero” in her own right… even if it’s just to her group of lovably quirky co-workers. Now, while she navigates her normal, everyday life against an explosive backdrop, Emily might just discover that being a hero doesn’t always require superpowers. Undateable star Ron Funches has joined the cast as Ron, an IT guy who works at RetCon Insurance Co. Ron is a sweet and innocent guy who, unlike his co-workers, has not lost his childlike enthusiasm for all things superhero. Alan Tudyk, Danny Pudi and Christina Kirk also star. Ben Queen will write and executive-produce with director Michael Patrick Jann. The poster, designed by DC artist Neal Adams, will be available at the WB booth at Comic-Con. Powerless will debut midseason on NBC.
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