News: #ABC Renews ‘Grey’s Anatomy,’ ‘Scandal’ and ‘How To Get Away With Murder’ for New Seasons.https://t.co/9Ykw0gxtYY via @variety
— AccademiaTelefilm (@AcademyTelefilm) 10 febbraio 2017
sabato 11 febbraio 2017
venerdì 10 febbraio 2017
giovedì 9 febbraio 2017
News: #Amazon Boards TV Crime Series From Nicolas Winding Refn (EXCLUSIVE).https://t.co/Euaa9fY7NE via @variety
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L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
Basta un foulard per innamorarsi di "Legion"
"Giusto contrappasso, visti il sussiego e la serietà — oltre alla quantità — con cui arrivano sugli schermi. D'accordo, c'è stato un momento in cui i vendicatori mascherati raccontavano qualcosa del mondo, e un altro in cui i registi sfoderavano idee brillanti. Tempo scaduto: appena arriva qualcosa di originale, per esempio il mercenario parolaio "Deadpool" di Tim Miller, spunta una candidatura ai Golden Globe. L'ultimo Batman è un pupazzetto Lego (nel film "Lego Batman" di Chris McKay, esce giovedì prossimo). Vive in rancorosa solitudine mangiando aragosta e sfoggiando gli addominali (nove, l'uomo pipistrello ne ha uno più del dovuto). Superman organizza feste nel suo nascondiglio e non lo invita mai. Affidata alle cure di Noah Hawley — showrunner della serie "Fargo": finora due stagioni che rendono omaggio ai fratelli Coen con grande originalità — la metamorfosi del supereroe chiamato Legion è ancora più clamorosa. La serie è partita negli Usa (per gli spettatori italiani sarà su Fox dal 13 febbraio). Il protagonista è imparentato con gli X-Men: suo padre Charles Xavier, colui che nell'universo Marvel riunisce e protegge i mutanti, lo ha avuto in Israele da una sopravvissuta all'Olocausto. Tutti i supereroi sono ebrei, non solo le supereroine Masada e Sabra — lo sostiene Simcha Weinstein nel suo saggio "Up Up and Oy Vey: How Jewish History, Culture and Values Shaped The Comic Book Superhero". Legion è più ebreo degli altri. Vi diranno "Personalità multipla", e vi verrà la voglia di scappare (come è venuta a noi, anche perché eravamo reduci, con danni, dal "Split" di M. Night Shyamalan). Restate, almeno fino a quando compare il Clockworks Psichiatric Hospital. "A Clockworks Orange" — un'arancia a orologeria — era il titolo del romanzo scritto nel 1962 da Anthony Burgess (lo scrittore ha sempre odiato "Arancia meccanica", il film diretto Stanley Kubrick dieci anni dopo). Segno che Noah Hawley non ha visto solo serie tv, e neppure soltanto film dei fratelli Coen. Segno che l'orizzonte si allarga — perlomeno — ai condizionamenti e al libero arbitrio. Legion nasce con il nome di David Haller. Lo vediamo nelle prime scene moccioso in culla e poi bambinetto e poi adolescente, mentre cominciano a manifestarsi i superpoteri che ne faranno un reietto e un ricercato. L'ospedale psichiatrico fornisce ai ricoverati felpe arancione Guantanamo (solo un po' sbiadito, devono essere i troppi lavaggi). Ritroviamo la classica scena manicomiale, gente catatonica o agitatissima attorno al nuovo paziente, in un'edizione a metà tra l'hipster e il retrò. Ammiriamo il lavoro dello scenografo, del direttore della fotografia, del costumista che spengono i colori e li illividiscono (i supereroi di solito hanno tute fiammanti in colori saturi). Il giovane David ha già capito come funziona il Comma 22 psichiatrico: "Se dico sto bene' pensano che sono matto; se dico sono matto' aumentano il dosaggio delle medicine". I supereroi hanno di solito il volto mascherato. Qui godiamo ogni sfumatura sul volto di Dan Stevens (era Matthew in "Downton Abbey": lasciò la serie perché voleva provare ruoli diversi, lo fecero morire in un incidente d'auto), già candidato al titolo di schizofrenico più sexy mai visto su uno schermo. Soprattutto quando si innamora di Syd (di cognome le hanno messo Barrett, come il fondatore dei Pink Floyd che lasciò nel 1968 il gruppo perché fuori di testa). Lei non vuole essere toccata. Si tengono per mano afferrando le estremità dello stesso foulard. Basta per innamorarsi della serie". (Mariarosa Mancuso)
IL FOGLIO
Basta un foulard per innamorarsi di "Legion"
"Giusto contrappasso, visti il sussiego e la serietà — oltre alla quantità — con cui arrivano sugli schermi. D'accordo, c'è stato un momento in cui i vendicatori mascherati raccontavano qualcosa del mondo, e un altro in cui i registi sfoderavano idee brillanti. Tempo scaduto: appena arriva qualcosa di originale, per esempio il mercenario parolaio "Deadpool" di Tim Miller, spunta una candidatura ai Golden Globe. L'ultimo Batman è un pupazzetto Lego (nel film "Lego Batman" di Chris McKay, esce giovedì prossimo). Vive in rancorosa solitudine mangiando aragosta e sfoggiando gli addominali (nove, l'uomo pipistrello ne ha uno più del dovuto). Superman organizza feste nel suo nascondiglio e non lo invita mai. Affidata alle cure di Noah Hawley — showrunner della serie "Fargo": finora due stagioni che rendono omaggio ai fratelli Coen con grande originalità — la metamorfosi del supereroe chiamato Legion è ancora più clamorosa. La serie è partita negli Usa (per gli spettatori italiani sarà su Fox dal 13 febbraio). Il protagonista è imparentato con gli X-Men: suo padre Charles Xavier, colui che nell'universo Marvel riunisce e protegge i mutanti, lo ha avuto in Israele da una sopravvissuta all'Olocausto. Tutti i supereroi sono ebrei, non solo le supereroine Masada e Sabra — lo sostiene Simcha Weinstein nel suo saggio "Up Up and Oy Vey: How Jewish History, Culture and Values Shaped The Comic Book Superhero". Legion è più ebreo degli altri. Vi diranno "Personalità multipla", e vi verrà la voglia di scappare (come è venuta a noi, anche perché eravamo reduci, con danni, dal "Split" di M. Night Shyamalan). Restate, almeno fino a quando compare il Clockworks Psichiatric Hospital. "A Clockworks Orange" — un'arancia a orologeria — era il titolo del romanzo scritto nel 1962 da Anthony Burgess (lo scrittore ha sempre odiato "Arancia meccanica", il film diretto Stanley Kubrick dieci anni dopo). Segno che Noah Hawley non ha visto solo serie tv, e neppure soltanto film dei fratelli Coen. Segno che l'orizzonte si allarga — perlomeno — ai condizionamenti e al libero arbitrio. Legion nasce con il nome di David Haller. Lo vediamo nelle prime scene moccioso in culla e poi bambinetto e poi adolescente, mentre cominciano a manifestarsi i superpoteri che ne faranno un reietto e un ricercato. L'ospedale psichiatrico fornisce ai ricoverati felpe arancione Guantanamo (solo un po' sbiadito, devono essere i troppi lavaggi). Ritroviamo la classica scena manicomiale, gente catatonica o agitatissima attorno al nuovo paziente, in un'edizione a metà tra l'hipster e il retrò. Ammiriamo il lavoro dello scenografo, del direttore della fotografia, del costumista che spengono i colori e li illividiscono (i supereroi di solito hanno tute fiammanti in colori saturi). Il giovane David ha già capito come funziona il Comma 22 psichiatrico: "Se dico sto bene' pensano che sono matto; se dico sono matto' aumentano il dosaggio delle medicine". I supereroi hanno di solito il volto mascherato. Qui godiamo ogni sfumatura sul volto di Dan Stevens (era Matthew in "Downton Abbey": lasciò la serie perché voleva provare ruoli diversi, lo fecero morire in un incidente d'auto), già candidato al titolo di schizofrenico più sexy mai visto su uno schermo. Soprattutto quando si innamora di Syd (di cognome le hanno messo Barrett, come il fondatore dei Pink Floyd che lasciò nel 1968 il gruppo perché fuori di testa). Lei non vuole essere toccata. Si tengono per mano afferrando le estremità dello stesso foulard. Basta per innamorarsi della serie". (Mariarosa Mancuso)
mercoledì 8 febbraio 2017
News: #TheBigBangTheory Star Johnny Galecki’s #LivingBiblically Pilot Ordered at #CBS.https://t.co/P2Gzabv0Ki via @variety #TBBT
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martedì 7 febbraio 2017
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Roadies", sfortunata storia per iniziati del backstage
"Durante i preparativi per il concerto della Staton-House Band, Kelly Ann annuncia alla squadra che lascerà il lavoro per andare a frequentare una scuola di cinema a New York. Reg, un consulente finanziario mandato dalla direzione, creerà terrore. Mentre comunica un po' goffamente ai ragazzi che sono necessari tagli alle spese, Kelly Ann lo attacca pesantemente. Intanto Bill e Shell battibeccano di continuo, come fanno certi innamorati. Questi alcuni spunti narrativi di una serie che prometteva molto, ma che non è riuscita a mantenere le tante attese. Sto parlando di 'Roadies' creata da Cameron Crowe (il suo 'Almost Famous' resta un capolavoro) e coprodotta con un altro mito, J.J. Abrams. Purtroppo gli ascolti sono stati poco lusinghieri e Showtime ha deciso di cancellare dopo una sola stagione la comedy-drama (Premium Stories, lunedì, 21.15). Un vero peccato, forse la serie è per iniziati, scritta per chi ama la musica «dal di dentro». Roadies racconta il backstage di un tour musicale attraverso l'intreccio di storie personali. I «roadies» sono gli addetti al lavori, quelli che da noi portano sul retro della t-shirt la scritta staff: percorrono migliaia di km all'anno, in perenne trasloco da una città all'altra, devono in poco tempo montare palco e attrezzature sonore, spesso sono costretti a sopportarsi (non è gente facile), specie quando il «posto di lavoro» diventa una seconda famiglia. Eppure il pilot, Life is a Carnival, è interessante, sorretto anche da una colonna sonora molto sofisticata. Il lavoro frenetico, la precarietà, la strada, una vita in perenne fuga. A Kelly Ann, Cameron Crowe ha assegnato il compito più impegnativo: incarnare la «filosofia» dei roadies. Da cinefila, ha preparato un piccolo film dove ha raccolto le scene più famose della storia del cinema che hanno per soggetto una fuga. Come diceva Jimi Hendrix, «se sono libero è perché sono sempre in fuga»". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
"Roadies", sfortunata storia per iniziati del backstage
"Durante i preparativi per il concerto della Staton-House Band, Kelly Ann annuncia alla squadra che lascerà il lavoro per andare a frequentare una scuola di cinema a New York. Reg, un consulente finanziario mandato dalla direzione, creerà terrore. Mentre comunica un po' goffamente ai ragazzi che sono necessari tagli alle spese, Kelly Ann lo attacca pesantemente. Intanto Bill e Shell battibeccano di continuo, come fanno certi innamorati. Questi alcuni spunti narrativi di una serie che prometteva molto, ma che non è riuscita a mantenere le tante attese. Sto parlando di 'Roadies' creata da Cameron Crowe (il suo 'Almost Famous' resta un capolavoro) e coprodotta con un altro mito, J.J. Abrams. Purtroppo gli ascolti sono stati poco lusinghieri e Showtime ha deciso di cancellare dopo una sola stagione la comedy-drama (Premium Stories, lunedì, 21.15). Un vero peccato, forse la serie è per iniziati, scritta per chi ama la musica «dal di dentro». Roadies racconta il backstage di un tour musicale attraverso l'intreccio di storie personali. I «roadies» sono gli addetti al lavori, quelli che da noi portano sul retro della t-shirt la scritta staff: percorrono migliaia di km all'anno, in perenne trasloco da una città all'altra, devono in poco tempo montare palco e attrezzature sonore, spesso sono costretti a sopportarsi (non è gente facile), specie quando il «posto di lavoro» diventa una seconda famiglia. Eppure il pilot, Life is a Carnival, è interessante, sorretto anche da una colonna sonora molto sofisticata. Il lavoro frenetico, la precarietà, la strada, una vita in perenne fuga. A Kelly Ann, Cameron Crowe ha assegnato il compito più impegnativo: incarnare la «filosofia» dei roadies. Da cinefila, ha preparato un piccolo film dove ha raccolto le scene più famose della storia del cinema che hanno per soggetto una fuga. Come diceva Jimi Hendrix, «se sono libero è perché sono sempre in fuga»". (Aldo Grasso)
lunedì 6 febbraio 2017
NEWS - Gone "Girls"! Addio alla serie tv cult dove "la gente fatica a distinguere i personaggi e le attrici che li interpretano" (Lena Dunham dixit)
The cast of Girls gets dressed up ahead of the final season in this new cover story for The Hollywood Reporter.
Stars Lena Dunham, Allison Williams, Jemima Kirke, Adam Driver, Zosia Mamet, Alex Karpovsky, and Andrew Rannells opened up to the mag:
Lena on Adam: ”Look, Adam is something unusual that Hollywood was waiting for, and he has ‘movie star’ written all over his face in both an old-fashioned and a modern way. But I do think that — and I experience it, too — it can be harder for people to separate female TV characters from the actors playing them.
Allison on not wanting to do nudity: “So instead, they bent me over a counter with someone’s face to my butt. [Marnie's music partner and love interest Desi performs analingus during season four.] It’s funny because my character actually had the vast majority of sex on the show, but it just doesn’t stick to me. People are like,’ ‘So you’ve never had sex in the show, have you?’ I’m like, what do I have to do? I’ve literally had someone in my butt.”‘(Laughs.) And with that scene, the headlines were all, ‘Brian Williams’ daughter gets her salad tossed.’ Well, no, not to reveal too much, but that is definitely not something I’m interested in, and it’s definitely never happened to me in real life. But the media often decides when to believe us as characters and when to just portray us as ourselves.
Adam on getting cast: “I was doing a play at the time, so I was feeling very self-righteous. I thought that that was what I should be doing, and TV was for evil people, and I didn’t want to be part of any system or corporation. (Laughs.) But because it was HBO, it seemed different. And then the writing was so good, and I thought it would be fun to play someone who does these things that are morally questionable.”
The cast of Girls gets dressed up ahead of the final season in this new cover story for The Hollywood Reporter.
Stars Lena Dunham, Allison Williams, Jemima Kirke, Adam Driver, Zosia Mamet, Alex Karpovsky, and Andrew Rannells opened up to the mag:
Lena on Adam: ”Look, Adam is something unusual that Hollywood was waiting for, and he has ‘movie star’ written all over his face in both an old-fashioned and a modern way. But I do think that — and I experience it, too — it can be harder for people to separate female TV characters from the actors playing them.
Allison on not wanting to do nudity: “So instead, they bent me over a counter with someone’s face to my butt. [Marnie's music partner and love interest Desi performs analingus during season four.] It’s funny because my character actually had the vast majority of sex on the show, but it just doesn’t stick to me. People are like,’ ‘So you’ve never had sex in the show, have you?’ I’m like, what do I have to do? I’ve literally had someone in my butt.”‘(Laughs.) And with that scene, the headlines were all, ‘Brian Williams’ daughter gets her salad tossed.’ Well, no, not to reveal too much, but that is definitely not something I’m interested in, and it’s definitely never happened to me in real life. But the media often decides when to believe us as characters and when to just portray us as ourselves.
Adam on getting cast: “I was doing a play at the time, so I was feeling very self-righteous. I thought that that was what I should be doing, and TV was for evil people, and I didn’t want to be part of any system or corporation. (Laughs.) But because it was HBO, it seemed different. And then the writing was so good, and I thought it would be fun to play someone who does these things that are morally questionable.”
venerdì 3 febbraio 2017
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
Con "Le Bureau" spy-story tesa e stringente
CORRIERE DELLA SERA
Con "Le Bureau" spy-story tesa e stringente
"Il titolo francese della serie «Le Bureau des Légendes» evoca un particolare ufficio della Dsge francese (Direction générale de la sécurité extérieure, la Cia francese) composto da agenti cui viene assegnata una falsa identità e che per lungo tempo vivono in Paesi stranieri con l'obiettivo di trovare fonti affidabili. Basata su testimonianze reali di ex spie francesi e ispirato a eventi contemporanei, la serie racconta la storia di un uomo, Guillaume «Malotru» Debailly (interpretato da Mathieu Kassovitz) funzionario dell'intelligence che torna a Parigi dopo sei anni vissuti a Damasco sotto copertura (Sky Atlantic, lunedì, ore 21.15). Con «Le Bureau — Sotto Copertura», anche i francesi scoprono il fascino della lunga serialità. Con un budget ridotto rispetto agli americani, ma con tutte le caratteristiche produttive che l'impresa richiede: ruolo dello showrunner, sceneggiatura internazionale (piccolo particolare: sui computer si vedono le scritte in inglese: un colpo al cuore allo sciovinismo d'Oltralpe), estrema accuratezza della ricostruzione e della recitazione. Per la cronaca, in Francia siamo già alla seconda stagione. Non so francamente quanto regga il paragone con «Homeland», ma anche qui l'intreccio fra la psicologia dei protagonisti e la spy story è il nucleo centrale attorno a cui ruota tutta la narrazione. Al suo rientro a Parigi, «Malotru» si trova a dover fare i conti con la normalità, con il suo passato (un passato abitato da una figlia e da un'ex moglie), soprattutto con il suo presente (l'inserimento nell'ufficio e la relazione con una bella e sfuggente amante siriana). La parte più interessante è proprio questa. Abituato a vivere sotto copertura, sotto mentite spoglie (la sindrome dell'infiltrato), Guillaume «Malotru» fatica a ritrovare la propria identità, a spogliarsi di una sorta di «legge dell'onnipotenza». Il racconto è teso, ricco e stringente insieme". (Aldo Grasso)
giovedì 2 febbraio 2017
PICCOLO GRANDE SCHERMO - Twin Pic(s)ture! Per il nuovo "Twin Peaks" meglio ripassare la pellicola-prequel sottovalutata "Fuoco, cammina con me!"
News tratta da TvLine
Twin Peaks: Fire Walk With Me, the tepidly received 1992 movie prequel to the cult classic ABC series, is set to air on Showtime Wednesday, March 1, at 8/7c — perhaps offering a tiny hint of what’s at stake when the 18-episode Twin Peaks revival hits the premium cabler later this spring.
News tratta da TvLine
Twin Peaks: Fire Walk With Me, the tepidly received 1992 movie prequel to the cult classic ABC series, is set to air on Showtime Wednesday, March 1, at 8/7c — perhaps offering a tiny hint of what’s at stake when the 18-episode Twin Peaks revival hits the premium cabler later this spring.
Appearing at the Television Critics Association winter press tour last month, perhaps the most that series auteur David Lynch “revealed” about the super-secret follow-up is that Fire Walk With Me may be required reading of sorts. Detailing as it does “the story of Laura Palmer’s last seven days,” the entertainingly cryptic Lynch acknowledged that the prequel movie is “very much important for this.”
Coupled with the first two seasons of Twin Peaks, which are already available on Showtime’s assorted platforms, Fire Walk With Me affords subscribers the change to binge the entirety of the original series ahead of the new episodes’ arrival on Sunday, May 21.
As previously reported, the Twin Peaks revival kicks off that Sunday at 9 pm with the first two hours; immediately afterwards, Showtime subscribers will have access to the third and fourth parts. The following Sunday, May 28, Showtime will air Episodes 3 and 4 back-to-back.
mercoledì 1 febbraio 2017
NEWS - Spazio, ultimo trailer! Il nuovo promo di "Star Trek: Discovery" è un omaggio-link con le serie precedenti
News tratta da Comingsoon.net
News tratta da Comingsoon.net
CBS All Access has debuted a new Star Trek: Discovery promo that announces the start of production and gives you a first-hand look at the new captain’s chair. Check it out below!
The cast includes Sonequa Martin-Green (The Walking Dead) as the show’s central Lieutenant Commander, with Doug Jones (Pan’s Labyrinth) as Lt. Saru and Anthony Rapp (Rent) as Lt. Stamets. Michelle Yeoh, meanwhile, is playing Captain Georgiou, in command of another Starfleet vessel. James Frain (Orphan Black) will play Salek, father of Mister Spock. The Klingon cast includes Juilliard-trained actress Mary Chieffo, Penny Dreadful‘s Shazad Latif and Chris Obi, who also stars on Bryan Fuller‘s upcoming STARZ series, American Gods.
The cast includes Sonequa Martin-Green (The Walking Dead) as the show’s central Lieutenant Commander, with Doug Jones (Pan’s Labyrinth) as Lt. Saru and Anthony Rapp (Rent) as Lt. Stamets. Michelle Yeoh, meanwhile, is playing Captain Georgiou, in command of another Starfleet vessel. James Frain (Orphan Black) will play Salek, father of Mister Spock. The Klingon cast includes Juilliard-trained actress Mary Chieffo, Penny Dreadful‘s Shazad Latif and Chris Obi, who also stars on Bryan Fuller‘s upcoming STARZ series, American Gods.
martedì 31 gennaio 2017
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA STAMPA
"Taboo", cinismo estremo déjà vu
"Nella televisione inglese ci sono alcune storie, alcune idee, che ritornano sempre: l'800 pre-vittoriano, per esempio, oppure un protagonista geniale à la Sherlock Holmes; o anche il tema sempreverde della vendetta. In Taboo, la serie tv creata da Tom Hardy e Steven Knight (Peaky Blinders, Locke), questi elementi ci sono tutti. Il protagonista, James Keziah Delaney, è un ex-caporale della Compagnia delle Indie, figliol prodigo e straordinario avventuriero, interpretato da un Tom Hardy massiccio e tenebroso, i capelli rasati, la barba rada e il viso sfregiato. James torna a casa dopo aver saputo che suo padre sta male. Il viaggio dall'Africa - dove si trovava - al Regno Unito, pero, è più lungo del previsto, e James non riesce a incontrare il genitore prima che sia troppo tardi. Incontra, invece, la sorellastra Zilpha Geary, interpretata da Oona Chaplin, e Stuart Strange, il nuovo comandante della Compagnia delle Indie, faccia e voce di Jonathan Pryce. Di Zilpha, James è chiaramente infatuato: il primo momento in cui sono soli tornano a galla ricordi e antiche passioni. Con Stuart, invece, James ha un altro tipo di rapporto: quando era giovane ed era arruolato nella marina, era il suo comandante. E i colpi di scena non finiscono qui. Alla linearità di una narrazione prevedibile, infatti, in Taboo è stato preferito un racconto più sincopato, con i suoi alti e i suoi bassi, che trova i suoi punti di forza nei lunghi primi piani di Tom Hardy, o nelle inquadrature quasi statiche dei due registi, Kristoffer Nyholm e Anders Engstrom. La sceneggiatura è costruita rigidamente, lasciando poco spazio all'improvvisazione ambientale e alle parole. La recitazione dello stesso Tom Hardy soffre di troppa fisicità: il suo James, benché uomo geniale e molto simile al succitato Sherlock Holmes, o all'Heathcliff di Cime Tempestose, spesso si limita a grugnire, o a irrigidirsi o a minacciare il suo interlocutore. Ecco, se Taboo ha un problema è proprio questo: l'eccessiva arroganza del protagonista, che ricorda troppo, e troppo da vicino, quella di altri personaggi televisivi che in questi anni hanno fatto fortuna con il loro cinismo estremo. Il reparto tecnico, e quindi la messa in scena, la fotografia, le scelte di scenografia e quelle, pure apprezzabilissime, dei costumi (per una volta, è un Ottocento vero, sporco e infangato), è - insieme ad Hardy, protagonista dell'intero show - l'aspetto decisamente più interessante di Taboo". (Gianmaria Tammaro)
LA STAMPA
"Taboo", cinismo estremo déjà vu
"Nella televisione inglese ci sono alcune storie, alcune idee, che ritornano sempre: l'800 pre-vittoriano, per esempio, oppure un protagonista geniale à la Sherlock Holmes; o anche il tema sempreverde della vendetta. In Taboo, la serie tv creata da Tom Hardy e Steven Knight (Peaky Blinders, Locke), questi elementi ci sono tutti. Il protagonista, James Keziah Delaney, è un ex-caporale della Compagnia delle Indie, figliol prodigo e straordinario avventuriero, interpretato da un Tom Hardy massiccio e tenebroso, i capelli rasati, la barba rada e il viso sfregiato. James torna a casa dopo aver saputo che suo padre sta male. Il viaggio dall'Africa - dove si trovava - al Regno Unito, pero, è più lungo del previsto, e James non riesce a incontrare il genitore prima che sia troppo tardi. Incontra, invece, la sorellastra Zilpha Geary, interpretata da Oona Chaplin, e Stuart Strange, il nuovo comandante della Compagnia delle Indie, faccia e voce di Jonathan Pryce. Di Zilpha, James è chiaramente infatuato: il primo momento in cui sono soli tornano a galla ricordi e antiche passioni. Con Stuart, invece, James ha un altro tipo di rapporto: quando era giovane ed era arruolato nella marina, era il suo comandante. E i colpi di scena non finiscono qui. Alla linearità di una narrazione prevedibile, infatti, in Taboo è stato preferito un racconto più sincopato, con i suoi alti e i suoi bassi, che trova i suoi punti di forza nei lunghi primi piani di Tom Hardy, o nelle inquadrature quasi statiche dei due registi, Kristoffer Nyholm e Anders Engstrom. La sceneggiatura è costruita rigidamente, lasciando poco spazio all'improvvisazione ambientale e alle parole. La recitazione dello stesso Tom Hardy soffre di troppa fisicità: il suo James, benché uomo geniale e molto simile al succitato Sherlock Holmes, o all'Heathcliff di Cime Tempestose, spesso si limita a grugnire, o a irrigidirsi o a minacciare il suo interlocutore. Ecco, se Taboo ha un problema è proprio questo: l'eccessiva arroganza del protagonista, che ricorda troppo, e troppo da vicino, quella di altri personaggi televisivi che in questi anni hanno fatto fortuna con il loro cinismo estremo. Il reparto tecnico, e quindi la messa in scena, la fotografia, le scelte di scenografia e quelle, pure apprezzabilissime, dei costumi (per una volta, è un Ottocento vero, sporco e infangato), è - insieme ad Hardy, protagonista dell'intero show - l'aspetto decisamente più interessante di Taboo". (Gianmaria Tammaro)
domenica 29 gennaio 2017
GOSSIP - Clamoroso al Cibali! Mischa Barton di "The OC" internata per segni di squilibrio appena uscita dall'ospedale rivela: "mi hanno messo una droga nel cocktail! Attente donne a chi frequentate!". I vicini l'hanno vista vagare con addosso solo una camicetta e una cravatta urlando che sua madre è una strega e il mondo stava per finire...
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sabato 28 gennaio 2017
giovedì 26 gennaio 2017
LA VITA E' UNA COSA SERIAL - Addio a Mary Tyler Moore, la regina delle comedy. E' stata l'apripista per "Sex and The City", "Desperate Housewives", "Ally McBeal"...
Diciamocelo, senza di lei Carrie Bradshaw di 'Sex and the City' sarebbe nata più tardi. E anche la più spregiudicata Samantha Jones. Le 'Desperate Housewives' sono andate a ripetizione da lei, così come 'Ally McBeal' le deve molto dei suoi tic e manie a puntate. La scomparsa di Mary Tyler Moore, regina delle comedy come solo Lucille Ball, lascia nel contempo un vuoto e molte eredi. Seriali, s'intende. Vincitrice di ben 6 Emmy Awards, oltre che candidata all'Oscar per il film "Gente comune" di Robert Redford, Moore ha lasciato il segno nella tv americana (e non solo) grazie alla sit-come intitolata in suo onore, 'Mary Tyler Moore Show', in onda dal 1970. Sì, perché era lei l'istrionica attrice che dava vita alla rivoluzionaria protagonista proto-femminista senza sapere di esserlo - e per questo insicura quanto sussultante di orgoglio - perennemente single insoddisfatta a Minneapolis. Mary Richards lavorava come assistente produttore al telegiornale di una rete privata frequentata da gente strana (un gelido produttore, un nevrotico redattore, un meteorologo fuori di testa, tra gli altri). Ma era lei, Moore-Richards, a dettare tempi e battute. I riflettori erano tutti suoi, tant'è che l'attrice oltre ad esserne interprete, firmava la sit-com vincitrice di 29 Emmy Awards (di cui 6 a lei) con la sua casa di produzione, la MTM (iniziali del suo nome). Quando la CBS accettò di mandarla in onda dovette firmare un contratto in cui si lasciava piena indipendenza alla Moore (e al marito Grant Tinker, co-intestatario della casa di produzione) sull'ideazione, sceneggiature, scelta del cast (solo attori sconosciuti) e sul budget. Se la bibbia tv Usa 'Entertainment Weekly' ha eletto 'MTMS' quale 'show di prima serata più importante della storia della tv americana' lo si deve al fatto che Mary Richards è diventata un'icona indimenticabile, ancor oggi imitata e inimitabile. Non più giovanissima, si trovava ad affrontare la vita da sola in un mondo che alle donne concedeva ben poco (un tema ricorrente della tv anni '70); il suo atteggiamento era fiducioso, ottimista, gentile, accomodante, disponibile; il suo unico desiderio era non contraddire gli altri, non creare complicazioni, adattarsi; diceva di essere 'una che prima di andare dal parrucchiere si fa lo shampoo'; da un lato era come l'uomo avrebbe voluto la donna dopo il trauma del femminismo, dall'altro accettava l'indipendenza che la società le imponeva e si sforzava di farla diventare parte del proprio carattere. Combattuta come pochi personaggi femminili fino ad allora, Mary viveva sulla propria pelle le contraddizioni del periodo. La sua figura non era propriamente comica. 'Il mio forte non è essere buffa', diceva Mary Richards, 'è reagire in modo buffo alle cose che mi stanno attorno'. Un episodio della serie è stato scelto come il migliore di tutti i tempi in una Top 100 redatta dal popolare 'Tv Guide': nella puntata si deve commemorare la morte di un clown che faceva show per la tv; né il produttore che il redattore colleghi di Richards riescono a trattenersi dal fare battute sarcastiche e macabre sulla sua morte (il clown era travestito da nocciolina ed era stato schiacciato da un elefante), con grande imbarazzo di Mary; durante il funerale, tuttavia, è proprio quest'ultima che si mette istericamente a ridere; il prete la consola dicendo che probabilmente era proprio così che il pagliaccio avrebbe voluto essere ricordato; a questo punto Mary scoppia in un piano irrefrenabile…Addio Mary, convinti che lassù un clown travestito da arachide ti allieterà la dipartita. (Leo Damerini)
Diciamocelo, senza di lei Carrie Bradshaw di 'Sex and the City' sarebbe nata più tardi. E anche la più spregiudicata Samantha Jones. Le 'Desperate Housewives' sono andate a ripetizione da lei, così come 'Ally McBeal' le deve molto dei suoi tic e manie a puntate. La scomparsa di Mary Tyler Moore, regina delle comedy come solo Lucille Ball, lascia nel contempo un vuoto e molte eredi. Seriali, s'intende. Vincitrice di ben 6 Emmy Awards, oltre che candidata all'Oscar per il film "Gente comune" di Robert Redford, Moore ha lasciato il segno nella tv americana (e non solo) grazie alla sit-come intitolata in suo onore, 'Mary Tyler Moore Show', in onda dal 1970. Sì, perché era lei l'istrionica attrice che dava vita alla rivoluzionaria protagonista proto-femminista senza sapere di esserlo - e per questo insicura quanto sussultante di orgoglio - perennemente single insoddisfatta a Minneapolis. Mary Richards lavorava come assistente produttore al telegiornale di una rete privata frequentata da gente strana (un gelido produttore, un nevrotico redattore, un meteorologo fuori di testa, tra gli altri). Ma era lei, Moore-Richards, a dettare tempi e battute. I riflettori erano tutti suoi, tant'è che l'attrice oltre ad esserne interprete, firmava la sit-com vincitrice di 29 Emmy Awards (di cui 6 a lei) con la sua casa di produzione, la MTM (iniziali del suo nome). Quando la CBS accettò di mandarla in onda dovette firmare un contratto in cui si lasciava piena indipendenza alla Moore (e al marito Grant Tinker, co-intestatario della casa di produzione) sull'ideazione, sceneggiature, scelta del cast (solo attori sconosciuti) e sul budget. Se la bibbia tv Usa 'Entertainment Weekly' ha eletto 'MTMS' quale 'show di prima serata più importante della storia della tv americana' lo si deve al fatto che Mary Richards è diventata un'icona indimenticabile, ancor oggi imitata e inimitabile. Non più giovanissima, si trovava ad affrontare la vita da sola in un mondo che alle donne concedeva ben poco (un tema ricorrente della tv anni '70); il suo atteggiamento era fiducioso, ottimista, gentile, accomodante, disponibile; il suo unico desiderio era non contraddire gli altri, non creare complicazioni, adattarsi; diceva di essere 'una che prima di andare dal parrucchiere si fa lo shampoo'; da un lato era come l'uomo avrebbe voluto la donna dopo il trauma del femminismo, dall'altro accettava l'indipendenza che la società le imponeva e si sforzava di farla diventare parte del proprio carattere. Combattuta come pochi personaggi femminili fino ad allora, Mary viveva sulla propria pelle le contraddizioni del periodo. La sua figura non era propriamente comica. 'Il mio forte non è essere buffa', diceva Mary Richards, 'è reagire in modo buffo alle cose che mi stanno attorno'. Un episodio della serie è stato scelto come il migliore di tutti i tempi in una Top 100 redatta dal popolare 'Tv Guide': nella puntata si deve commemorare la morte di un clown che faceva show per la tv; né il produttore che il redattore colleghi di Richards riescono a trattenersi dal fare battute sarcastiche e macabre sulla sua morte (il clown era travestito da nocciolina ed era stato schiacciato da un elefante), con grande imbarazzo di Mary; durante il funerale, tuttavia, è proprio quest'ultima che si mette istericamente a ridere; il prete la consola dicendo che probabilmente era proprio così che il pagliaccio avrebbe voluto essere ricordato; a questo punto Mary scoppia in un piano irrefrenabile…Addio Mary, convinti che lassù un clown travestito da arachide ti allieterà la dipartita. (Leo Damerini)
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mercoledì 25 gennaio 2017
NEWS - Breaking Good! Aaron Paul sarà di nuovo Jesse Pinkman nella 3° stagione di "Better Call Saul"!
News tratta da TvLine
Say it with us now, Breaking Bad fans: Yeah, bitch! Based on a clip from Tuesday’s Ellen, it seems like there’s a good chance Jesse Pinkman will show his face in the third season of Bad‘s prequel, Better Call Saul. “God, I hope so,” Bad star Aaron Paul responds when host Ellen DeGeneres asks him whether the feckless drug dealer will ever show up on the spinoff. “Maybe I already shot it. We just — or they just — wrapped the [latest] season.” Because Saul mostly takes place before the events of Breaking Bad, Pinkman — who was recently out of high school in the original series — might be too young to show up anywhere except for the series’ flashforwards, where Saul is known as “Gene” and is working at a Cinnabon. And if that’s true, then we’ll get an update on what happened after Jesse chose not to kill his mentor/tormentor Walter White and then escaped the meth lab where he was being held against his will. If Jesse surfaces on the series, he’ll join several other Bad characters who’ve made Saul appearances, including Tuco (Raymond Cruz), Hector (Mark Margolis), Krazy-8 (Max Arciniega) and the recently announced Gus (Giancarlo Esposito), who’ll grace the upcoming third season.
News tratta da TvLine
Say it with us now, Breaking Bad fans: Yeah, bitch! Based on a clip from Tuesday’s Ellen, it seems like there’s a good chance Jesse Pinkman will show his face in the third season of Bad‘s prequel, Better Call Saul. “God, I hope so,” Bad star Aaron Paul responds when host Ellen DeGeneres asks him whether the feckless drug dealer will ever show up on the spinoff. “Maybe I already shot it. We just — or they just — wrapped the [latest] season.” Because Saul mostly takes place before the events of Breaking Bad, Pinkman — who was recently out of high school in the original series — might be too young to show up anywhere except for the series’ flashforwards, where Saul is known as “Gene” and is working at a Cinnabon. And if that’s true, then we’ll get an update on what happened after Jesse chose not to kill his mentor/tormentor Walter White and then escaped the meth lab where he was being held against his will. If Jesse surfaces on the series, he’ll join several other Bad characters who’ve made Saul appearances, including Tuco (Raymond Cruz), Hector (Mark Margolis), Krazy-8 (Max Arciniega) and the recently announced Gus (Giancarlo Esposito), who’ll grace the upcoming third season.
martedì 24 gennaio 2017
lunedì 23 gennaio 2017
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Atlanta", tra denuncia e umorismo tagliente
"Atlanta non è solo la citta delle pesche, di Via col Vento («After all, tomorrow is another day»), delle Olimpiadi del 1996 ma è anche, a quanto pare, il cuore pulsante della scena hip hop americana. Così almeno racconta «Atlanta» la serie creata da Donald Glover, che ne è anche protagonista (Fox, canale 112 di Sky, giovedì, ore 23). In 10 episodi da 25 minuti, seguiamo le vicende di un rapper indipendente (Alfred, in arte Paper Boi) che vende droga per campare e finanziarsi, e di suo cugino Earn (Glover) che vorrebbe fargli da manager, senza troppo successo. Tra l'altro, i suoi genitori non lo vogliono più vedere e anche con la compagna non se la passa tanto bene. C'è un terzo personaggio, Darius, braccio destro del rapper ma costantemente «fumato» e inaffidabile. A far emergere la speranza dai sobborghi della città in cui vengono ambientate le storie dei giovani ragazzi è proprio l'hip hop, visto come l'unica via di fuga per le maggiori comunità afroamericane del Paese. Lo scenario in cui si muovono i protagonisti sono le cosiddette trap house, case semi-abbandonate o occupate abusivamente adibite alla produzione o smercio di droghe in un intricato labirinto di piccoli vicoli, ideali per le attività illegali. La serie è interessante perché mescola generi diversi. In apparenza sembra quasi un'opera di denuncia (miseria, degrado, razzismo, brutalità delle forze dell'ordine...), ma i dialoghi sono così surreali e pieni di humour da contraddire ogni intento di denuncia. Gli americani chiamano questa commistione «dramedy», la fusione tra drama e comedy, un registro molto difficile da praticare. E un umorismo tagliente quello di Donald Glover, sotteso in ogni inquadratura come uno strumento di interpretazione insostituibile, con il quale ci si può destreggiare anche fra le miserie della vita. Dopotutto, ad Atlanta, domani è sempre un altro giorno". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
"Atlanta", tra denuncia e umorismo tagliente
"Atlanta non è solo la citta delle pesche, di Via col Vento («After all, tomorrow is another day»), delle Olimpiadi del 1996 ma è anche, a quanto pare, il cuore pulsante della scena hip hop americana. Così almeno racconta «Atlanta» la serie creata da Donald Glover, che ne è anche protagonista (Fox, canale 112 di Sky, giovedì, ore 23). In 10 episodi da 25 minuti, seguiamo le vicende di un rapper indipendente (Alfred, in arte Paper Boi) che vende droga per campare e finanziarsi, e di suo cugino Earn (Glover) che vorrebbe fargli da manager, senza troppo successo. Tra l'altro, i suoi genitori non lo vogliono più vedere e anche con la compagna non se la passa tanto bene. C'è un terzo personaggio, Darius, braccio destro del rapper ma costantemente «fumato» e inaffidabile. A far emergere la speranza dai sobborghi della città in cui vengono ambientate le storie dei giovani ragazzi è proprio l'hip hop, visto come l'unica via di fuga per le maggiori comunità afroamericane del Paese. Lo scenario in cui si muovono i protagonisti sono le cosiddette trap house, case semi-abbandonate o occupate abusivamente adibite alla produzione o smercio di droghe in un intricato labirinto di piccoli vicoli, ideali per le attività illegali. La serie è interessante perché mescola generi diversi. In apparenza sembra quasi un'opera di denuncia (miseria, degrado, razzismo, brutalità delle forze dell'ordine...), ma i dialoghi sono così surreali e pieni di humour da contraddire ogni intento di denuncia. Gli americani chiamano questa commistione «dramedy», la fusione tra drama e comedy, un registro molto difficile da praticare. E un umorismo tagliente quello di Donald Glover, sotteso in ogni inquadratura come uno strumento di interpretazione insostituibile, con il quale ci si può destreggiare anche fra le miserie della vita. Dopotutto, ad Atlanta, domani è sempre un altro giorno". (Aldo Grasso)
domenica 22 gennaio 2017
GOSSIP - Lena Dunham in procinto dell'addio a "Girls": "non rifarei una serie con 4 donne bianche!"
Lena Dunham takes the cover of Nylon magazine’s February 2017 issue.
Here’s what the 30-year-old Girls actress had to share with the mag:
On what she’d change about Girls: “I wouldn’t do another show that starred four white girls…When I wrote the pilot I was 23…I was not trying to write the experience of somebody I didn’t know, and not trying to stick a black girl in without understanding the nuance of what her experience of hipster Brooklyn was.”
On Donald Trump: “It’s going to be interesting promoting this show right after Trump is inaugurated. The final season definitely tackles some topics that are complicated and wouldn’t be beloved by the incoming administration. Hopefully it’ll bring up important conversations, and not just become the worst Twitter abuse storm in history—or it will.”
On public criticism: “I used to think the worst thing in the world could be for someone to have a thought about you that you didn’t have yourself. Now I’m like, ‘Have at it, guys!’”
For more from Lena, visit Nylon.com.
Lena Dunham takes the cover of Nylon magazine’s February 2017 issue.
Here’s what the 30-year-old Girls actress had to share with the mag:
On what she’d change about Girls: “I wouldn’t do another show that starred four white girls…When I wrote the pilot I was 23…I was not trying to write the experience of somebody I didn’t know, and not trying to stick a black girl in without understanding the nuance of what her experience of hipster Brooklyn was.”
On Donald Trump: “It’s going to be interesting promoting this show right after Trump is inaugurated. The final season definitely tackles some topics that are complicated and wouldn’t be beloved by the incoming administration. Hopefully it’ll bring up important conversations, and not just become the worst Twitter abuse storm in history—or it will.”
On public criticism: “I used to think the worst thing in the world could be for someone to have a thought about you that you didn’t have yourself. Now I’m like, ‘Have at it, guys!’”
For more from Lena, visit Nylon.com.
venerdì 20 gennaio 2017
NEWS - Netflix, la resa dei conti: 93,8 milioni di abbonati nel mondo, utili pari a 186 milioni di dollari ma business in perdita fuori dagli Usa (maxi-investimento di 6 miliardi di dollari nel 2017)
Articolo tratto da "Italia Oggi"
Ciascuno dei 3.500 dipendenti di Netflix vale ricavi per quasi 2,4 milioni di euro all'anno. E anche in questa correlazione, che conferma il basso utilizzo di capitale umano (a Sky Italia, per esempio, ciascun dipendente vale 750 mila euro di ricavi all'anno), sta uno dei punti di forza dell'azienda americana di streaming online a pagamento che ha nel mondo, e non in una sola nazione, il suo mercato. Ha chiuso il 2016 con ricavi complessivi pari a 8,830 miliardi di dollari (8,324 mld di euro), 30,2% sul 2015, un risultato operativo di 379 milioni di dollari (24,2%) e utili pari a 186 milioni di dollari (175,3 min di euro). Complessivamente Netflix ha 93,8 milioni di abbonati nel mondo, di cui 49,4 milioni negli Usa (10,5% sul 2015) e 44,3 milioni negli altri paesi (47,6% sul 2015). A livello di ricavi, circa 5,1 miliardi di dollari (4,8 mld di euro) arrivano dagli abbonati Usa (il business è parecchio profittevole, con un primo margine positivo per 1,8 miliardi di dollari), circa 3,2 miliardi di dollari (3 miliardi di euro) dagli abbonati fuori dagli Stati Uniti (business ancora in perdita, con un primo margine di contribuzione negativo per 308 milioni di dollari), e 542 milioni di dollari dal noleggio e vendita di dvd (il business da cui Netflix è nata), anch'esso ancora molto profittevole (279 min di dollari di primo margine).
Articolo tratto da "Italia Oggi"
Ciascuno dei 3.500 dipendenti di Netflix vale ricavi per quasi 2,4 milioni di euro all'anno. E anche in questa correlazione, che conferma il basso utilizzo di capitale umano (a Sky Italia, per esempio, ciascun dipendente vale 750 mila euro di ricavi all'anno), sta uno dei punti di forza dell'azienda americana di streaming online a pagamento che ha nel mondo, e non in una sola nazione, il suo mercato. Ha chiuso il 2016 con ricavi complessivi pari a 8,830 miliardi di dollari (8,324 mld di euro), 30,2% sul 2015, un risultato operativo di 379 milioni di dollari (24,2%) e utili pari a 186 milioni di dollari (175,3 min di euro). Complessivamente Netflix ha 93,8 milioni di abbonati nel mondo, di cui 49,4 milioni negli Usa (10,5% sul 2015) e 44,3 milioni negli altri paesi (47,6% sul 2015). A livello di ricavi, circa 5,1 miliardi di dollari (4,8 mld di euro) arrivano dagli abbonati Usa (il business è parecchio profittevole, con un primo margine positivo per 1,8 miliardi di dollari), circa 3,2 miliardi di dollari (3 miliardi di euro) dagli abbonati fuori dagli Stati Uniti (business ancora in perdita, con un primo margine di contribuzione negativo per 308 milioni di dollari), e 542 milioni di dollari dal noleggio e vendita di dvd (il business da cui Netflix è nata), anch'esso ancora molto profittevole (279 min di dollari di primo margine).
Nel 2017 il gruppo si prepara a un investimento monstre da 6 miliardi di dollari (5,65 mld di euro) nella produzione di nuovi contenuti, dopo i 4,7 mld di euro investiti nel 2016. E nel portfolio di Netflix ci sono serie come The Crown, Stranger Things, Luke Cage, Black Mirror, Gilmore girls, The OA, Trollhunters, oltre ai classici Orange is the new black, Narcos o House of cards, le cui riprese della quinta stagione inizieranno nel secondo trimestre 2017.
Quanto a investimenti in contenuti locali, il gruppo di streaming tv a pagamento ha appena siglato un accordo a lungo termine con la casa di produzione Red Chillies entertainment dell'attore indiano Shah Rukh Khan, considerato la più grande star mondiale del cinema e i cui film e produzioni, da qui in poi, saranno esclusive Netflix. Mai come ora la società fondata e presieduta da Reed Hastings è fiduciosa che, a dieci anni di distanza dal debutto nella tv in streaming a pagamento, sia proprio il consumo di video sul web il business del futuro in grado di soppiantare la classica tv lineare: «Amazon Prime Video di recente si è sviluppata molto, ricalcando sostanzialmente la nostra presenza nei mercati mondiali», spiegano da Netflix, «mentre il consumo di video è sempre maggiore, in termini di minuti, su YouTube e inizia a decollare pure su Facebook. La stessa Apple, in base ad alcune indiscrezioni, dovrebbe aggiungere i video ai suoi servizi musicali, mentre le tv satellitari, un po' in tutto il mondo, si stanno specializzando pure nel business della distribuzione multi-channel di video su Internet. Ci sono poi operatori nuovi come Molotov tv in Francia o Hulu che stanno realizzando una loro interfaccia nativa digitale per pacchetti legati invece ai network tv classici. I quali, peraltro, iniziano a privilegiare il web alla tv lineare per il debutto di serie o programmi. Per esempio la Cbs sta producendo la serie Star Trek esclusivamente per la sua piattaforma di video on demand in abbonamento, mentre la Bbc ha già annunciato alcune nuove stagioni di serie tv che saranno disponibili prima in streaming on demand e solo successivamente sulla tv lineare. Hbo, probabilmente, farà la stessa cosa»
Quanto a investimenti in contenuti locali, il gruppo di streaming tv a pagamento ha appena siglato un accordo a lungo termine con la casa di produzione Red Chillies entertainment dell'attore indiano Shah Rukh Khan, considerato la più grande star mondiale del cinema e i cui film e produzioni, da qui in poi, saranno esclusive Netflix. Mai come ora la società fondata e presieduta da Reed Hastings è fiduciosa che, a dieci anni di distanza dal debutto nella tv in streaming a pagamento, sia proprio il consumo di video sul web il business del futuro in grado di soppiantare la classica tv lineare: «Amazon Prime Video di recente si è sviluppata molto, ricalcando sostanzialmente la nostra presenza nei mercati mondiali», spiegano da Netflix, «mentre il consumo di video è sempre maggiore, in termini di minuti, su YouTube e inizia a decollare pure su Facebook. La stessa Apple, in base ad alcune indiscrezioni, dovrebbe aggiungere i video ai suoi servizi musicali, mentre le tv satellitari, un po' in tutto il mondo, si stanno specializzando pure nel business della distribuzione multi-channel di video su Internet. Ci sono poi operatori nuovi come Molotov tv in Francia o Hulu che stanno realizzando una loro interfaccia nativa digitale per pacchetti legati invece ai network tv classici. I quali, peraltro, iniziano a privilegiare il web alla tv lineare per il debutto di serie o programmi. Per esempio la Cbs sta producendo la serie Star Trek esclusivamente per la sua piattaforma di video on demand in abbonamento, mentre la Bbc ha già annunciato alcune nuove stagioni di serie tv che saranno disponibili prima in streaming on demand e solo successivamente sulla tv lineare. Hbo, probabilmente, farà la stessa cosa»
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