sabato 11 febbraio 2012

Stracult e Stracotti - …ovvero la serie che questa settimana va su e quella che inevitabilmente va giù. Parola di Stargirl


Per i due nuovi show  di cui sto per parlarvi è bastato l'episodio pilota per scatenare gli appassionati “seriali” di tutto il mondo, qualcuno grida al capolavoro, qualcuno al flop.
Quale si rivelerà uno Stracult e quale uno Stracotto secondo voi?

Somewhere over the rainbow, skies are blue and the dreams that you dare to dream, really do come true” cantava Judy Garland, sul finire degli anni Trenta, ne Il Mago di Oz, e proprio sulle note di questa canzone inizia Smash, la nuova serie della Nbc che ha debuttato il 6 febbraio. Sullo sfondo di un’incantevole New York, tra le case in mattoncini rossi del Meatpacking District di giorno e le “mille luci di Broadway” di notte, la strada di attori in erba o presunti tali, cameriere dall’ugola d’oro e ballerine in cerca di gloria, incrocia quella di produttori e attori teatrali, alla ricerca di un successo in grado di lasciare il segno nel panorama artistico della Grande Mela.
A dar voce a questo gruppo di artisti, un rinomato cast di attori: da Debra Messing, indimenticabile Grace in Will&Grace, nei panni dell’autrice di musical Julia Houston, a Christian Borle in quelle del suo partner professionale Tom Leavitt, dal premio Oscar Anjelica Houston nelle vesti di Eileen Rand, stoica e cinica produttrice di Broadway.
Al centro di tutto, lei, l’unica e sola, Marilyn Monroe e il ricordo indelebile che è riuscita a lasciare in eredità al mondo intero. Oggi più che mai, cinquant’anni dopo la sua scomparsa, la memoria della stella di A qualcuno piace caldo meravigliosa commedia di Billy Wilder del 1959, viene ricordata in una splendida serie che racconta la realizzazione di un musical su Norma Jane, alias Marilyn, l’attrice più famosa del cinema di tutti i tempi. 
Punti cardine di Smash, oltre a location e cast, una sceneggiatura ben strutturata e scandita da splendidi dialoghi e una regia (Michael Mayer) da far invidia al grande schermo, coadiuvata da una fotografia di tutto rispetto e da una scenografia degna delle migliori pellicole hollywoodiane.
Il giusto connubio di brani storici e coreografie impeccabili, ci guidano nel cuore di un vero e proprio musical, più autentico e verosimile rispetto a quelli cui siamo stati abituati sul piccolo schermo, su tutti il Glee di Ryan Murphy.




Comincia con la leggenda cinese del Filo Rosso del Destino Touch, la nuova serie di Tim Kring (Heroes, Crossing Jordan) con un insolito Kiefer Sutherland, che messi via i panni di “eroe americano” veste ora quelli di un uomo qualunque, Martin, padre di un bambino autistico, vedovo in seguito agli attentati dell’11 settembre.
In Touch il corso degli eventi e dell’intero universo è scandito con precisione e regolarità dagli schemi numerici che regolano i rapporti tra le persone, per far sì che tutto si sviluppi secondo i piani che il destino ha in serbo per noi. Decifrare questi rapporti matematici significa rintracciare sul cammino quel filo rosso, imbatterci negli individui che siamo destinati a incontrare e comprendere da quali scelte dipenda la sorte di ognuno di noi. A scovare queste misteriose connessioni tra le persone, in Touch, è il piccolo Jake (
David Mazouz), figlio di Sutherland, un bambino affetto da un grave deficit mentale che gli impedisce di comunicare con l’esterno e di riuscire invece a esprimersi solo ed esclusivamente attraverso relazioni matematiche. Sarà proprio la possibilità di riuscire a entrare “in contatto” con il figlio attraverso la risoluzione dei suoi enigmi numerici, che permetterà a Martin di incrociare la strada di altre persone e di intervenire sugli eventi poco prima che essi si concretizzino. Il tempo, il destino, i sei gradi di separazione e i legami numerici: queste le affascinanti tematiche affrontate dalle serie che, dopo il preair del 25 gennaio, debutterà negli States il prossimo 19 marzo e che nel corso dell’anteprima ha registrato ben 12 milioni di spettatori. Touch è una vera e propria perla, toccante, avvincente e intrigante. Il rischio è che il plot finisca per mordersi la coda all'interno di un circolo vizioso di situazioni cicliche e ripetitive, in cui Jake prevede le catastrofi e Martin cerca di risolverle. I pregi però sono molti: la serie tocca le corde giuste, la regia è impeccabile, commuove senza necessariamente degenerare nel qualunquismo, e ultimo, ma non meno importante, ha fatto sì che per un intero episodio, nessuno di noi pensasse a Jack Bauer. E questo non è poco.

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