L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA STAMPA
In "Outcast" e "TWD" i mostri siamo noi
"Tra le tante frasi che Tiziano Sclavi, papà ed ex-curatore di Dylan Dog, stella della scuderia della Sergio Bonelli Editore, ha pronunciato nel corso della sua carriera, ce ne è una che, con buone probabilità, non passerà mai di moda. Dice: «I mostri siamo noi». E' una frase che spiega tante cose, sotto tanti punti di vista. Innanzitutto, quello di Dylan Dog, l'Indagatore dell'Incubo, che spesso e volentieri è molto più amico e vicino ai freak, ai mostri, che alle persone «normali». Quindi apre a un certo modo di vedere il mondo e la società in cui viviamo, piena di pregiudizi e stereotipi, profondamente - e insensatamente - maligna e ipocrita. Robert Kirkman, che è un altro autore di fumetti e che viene dagli Stati Uniti, parte da una premessa molto simile. Sia nel suo The Walking Dead (best seller tra i comics e grande successo sul piccolo schermo) sia in Outcast, sembra voler sottolineare, proprio come ha fatto Sclavi, la natura profondamente mostruosa - diabolica, addirittura - dell'essere umano. I cattivi, così, non sono gli zombie. E nemmeno i posseduti. O, figurarsi, i demoni. I cattivi sono gli altri, quelli che hanno paura, quelli che vivono, respirano, giudicano. Sono gli uomini e le donne. Macché demoni e posseduti. I veri mostri siamo noi anziani, e - parola terribile e mediocre - i normali. In Outcast (in onda ogni lunedì su Fox Italia) al gioco delle parti, uomini contro demoni, esorcizzati versus esorcisti, si aggiunge un altro tassello, fondamentale: una corrispondenza metodica, anzi quasi scientifica, tra ricordo e possessione, tra paura e realtà; tra passato e presente. L'inspiegabile spiegato con la presenza del demonio, del soprannaturale, dell'immateriale. Kyle Barnes, il protagonista interpretato da Patrick Fugit, si trova davanti a un bivio: spirituale e, in un certo senso, fisico. Deve decidere se cedere oppure combattere, se essere sconfitto oppure sconfiggere. In un racconto che si diverte a citare luoghi comuni e simbolismi (la città in cui la storia è ambientata si chiama Rome, West Virginia; e immediatamente alla mente viene un'altra Roma, quella italiana e capitale dello Stivale, sede della Città del Vaticano), lo spettatore si ritrova spaesato e terrorizzato. I mostri, i veri mostri. Più li cerchi e più scopri che hanno una faccia simile a quella del tuo vicino, o del tuo migliore amico; o del passante che hai incontrato in metropolitana andando a lavoro. Restano i dubbi e le incertezze; resta il grigiore di un racconto che - molto sclavianamente - prende posizioni più sugli uomini che sui nonuomini". (Gianmaria Tammaro)
martedì 18 aprile 2017
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento