venerdì 14 aprile 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
Dieci anni di "Boris", cult mancato (e sopravvalutato)
"Dieci anni fa, il 16 aprile 2007, andava in onda su Fox una serie italiana che molto ha fatto parlare di sé, «Boris». Prodotta dalla «vecchia» Wilder di Lorenzo Mieli, la serie era nata da un'idea di Luca Manzi e Carlo Mazzotta e firmata da Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che ne era anche il regista; di Elio e le Storie Tese la sigla. Fra gli interpreti Antonio Catania, Alessandro Tiberi, Caterina Guzzanti, Francesco Pannofino, Carolina Crescentini e Pietro Sermonti. «Boris» (è il nome di un pesciolino rosso portafortuna) si offriva come un inesorabile, buffonesco atto d'accusa contro la cialtroneria di molta serialità italiana. Oggi, nel ricordo, c'è forse un po' di enfasi celebrativa e si usa quella terribile parola che andrebbe bandita per alcuni anni, «cult». Un neofita convertito come Steve Della Casa ha detto che «Boris è avanguardia divenuta cultura dominante, ha avuto lo stesso impatto che il Futurismo ebbe sulla comunicazione degli anni 20». Ma dove? Ma quando? Esagero ma nen, dicono nella sua Torino. Basterebbe confrontare «Boris» con «30 Rock» di Tina Fey (2006), che affronta lo stesso argomento con altra complessità metaforica e linguistica, per regolare meglio la prospettiva. «Boris» è una fiction parodica che al suo interno contiene un'altra fiction, «Gli occhi del cuore», soap strappalacrime che però fa molto ascolto. «Boris» è una fiction tutta italiana che prova a riflettere su un diffuso stato d'animo della fiction italiana: il cinismo. Ridendo e scherzando, si mettono così a nudo i non pochi difetti della serialità italiana: la tolleranza estetica, l'arte di arrangiarsi, la scarsa professionalità, ecc. Questo il suo merito maggiore. Che non è poco, anzi. Troppo spesso, però, ha preferito indulgere alla caricatura, alla canzonatura, rinunciando alla battuta sferzante, al graffio, al fremito nervoso. Come poi ha dimostrato la versione cinematografica". (Aldo Grasso)

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