L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media nazionali e stranieri
RIVISTA STUDIO
E se le serie tv fossero un tantino sopravvalutate?
"Non parlare mai di sesso, politica e religione.
Non parlare mai di sesso, politica, religione e serie tv.
È il nuovo galateo, e non vale solo con gli sconosciuti.
L’altra sera a cena da amici ho osato dire che True Detective
(comincia da noi su Sky Atlantic questo venerdì, dopo dieci mesi di
torrent e streaming selvaggi) è un thriller un po’ convenzionale: il
padrone di casa non voleva servirmi il dolce. Un passo indietro. Mi dicono da anni: tu sei tipo da cinema, non da serie Tv. Sarà. Ma True Detective è un film o un telefilm? E Top of the Lake? The Honourable Woman? Pure la serialità lunga: House of Cards non è un film? E Orange Is the New Black? E [piazzate un titolo qualsiasi, andrà bene in ogni caso]. Insomma, c’è differenza, oggi, tra cinema e televisione?
Parlerò da profano, da autarchico, da spettatore che – tra una nuova
serie forse figa o forse no (ci vogliono almeno tre-quattro puntate per
capirlo) e l’ennesima boiata cinematografica (per così dire) con Cameron
Diaz – sceglierà ancora di buttare un occhio alla seconda, in streaming
nella finestra accanto al suo documento Word. Non sempre, non più.
«Adesso però non cominciare a parlar male di Hbo o Netflix, non è
proprio il caso», mi dice un’amica invitata come me a quella cena in cui
non volevano servirmi il dolce. Non era (non è) mia intenzione, anche
se nessuno mi credeva. È che oggi dire che la vecchia Hbo, quella che
s’è inventata tutto, quella dei Soprano e di Sex and the City,
mi sembra lontana; dire che l’autoconvincimento collettivo generato dal
benedetto hype è il dato a cui gran parte del pubblico si ferma prima
ancora della fruizione del prodotto stesso; dire che in giro si vedono
troppe cose spacciate per stratosfericissime e in realtà pretestuose (The Leftovers: il pacco di Justin Theroux con la serie attorno); ecco, oggi dire tutto questo è diventato decisamente impopolare.
Come in quello sketch del Saturday Night Live
con Andrew Garfield che lascia intendere “Beyoncé non mi fa impazzire” e
gli ufficiali della Beygency, Nuova Inquisizione col compito di epurare
i non adepti al culto collettivo della popstar, vanno a prelevarlo
direttamente a casa.
«I toni drammatici che stanno accompagnando la pre-produzione della seconda stagione di True Detective hanno raggiunto livelli impensabili pure per gli standard di Hbo», ha scritto qualche giorno fa Variety all’annuncio
dei nuovi protagonisti (Colin Farrell e Vince Vaughn, per i tre che
ancora non lo sanno). La parte femminile principale è stata per
settimane la più contesa a Hollywood (sempre per quei tre che ancora non
lo sanno: l’ha spuntata Rachel McAdams). Per quanto mi riguarda, per True Detective 2 avrebbero potuto pure scritturare Martufello e Er Patata (che comunque, buttali via): in quella frase c’era comunque tutto.
Il benchmark ineguagliabile – e infatti ineguagliato – diventato da
anni egemonia culturale. Hbo ha dettato la linea, gli altri seguono più o
meno pedissequamente. Quel che conta è essere nel flusso inarrestabile
dell’hype, appunto.
C’è una data a cui in molti fanno risalire la definitiva supremazia
della televisione sul cinema. Era il maggio del 2012 quando James
Wolcott di Vanity Fair scrisse
(queste le parole con cui lo riprende oggi): «La Tv – inizialmente
derisa come una scatola idiota – […] è creativamente maturata e si è
fatta le ossa, mettendo il cinema al tappeto della cultura popolare. [Il
cinema vede] i franchise dei blockbuster estivi farsi avanti in legioni
da Comic-Con, mentre i più piccoli, coraggiosi e depressi titoli indie
[…] tengono accese le candele nelle sparute parrocchie della cinefilia.
[Le serie Tv], amplificate da Twitter e Facebook, hanno trasfigurato gli
spettatori e trasformato i critici in evangelici. Per profondità e
dinamiche psicologiche dei personaggi, svolte narrative ingegnose,
sequenze che lasciano a bocca aperta, […] la Tv ha superato i film,
lasciandoli a giocare coi loro robottoni». Quest’anno, Wolcott è tornato
sul luogo del delitto, chiedendosi: «Potrei forse essermi sbagliato?».
La sua posizione cambia, pur restando gattopardescamente identica: «[La
Tv corre] il rischio di diventare troppo consapevole delle sue
possibilità di produrre “arte”. […] Se i principali show-runner si
arrendono a illusioni di grandeur ancora più radicali, il mezzo potrebbe
iniziare a pietrificarsi per eccessiva pretenziosità: […] è la sindrome
di Terrence Malick».
Chissà se a lui glielo avranno servito, il dolce. Poi, lo so, io sono
da anni il primo a contraddire se stesso. All’ultima Mostra del Cinema
(ripeto: del Cinema) di Venezia s’è visto Olive Kitteridge
(a novembre su Hbo, sul nostro Sky Atlantic a gennaio 2015), miniserie
in quattro puntate tratta dal capolavoro di Elizabeth Strout, diretta
dalla Lisa Cholodenko di I ragazzi stanno bene, protagonisti i
favolosi Frances McDormand, Richard Jenkins e Bill Murray. Era meglio
del 90% di cinema (così come siamo abituati a definirlo) visto al Lido
in dieci giorni. Era Cinema a tutti gli effetti, difatti, ma presentato
fuori concorso, perché di Televisione si trattava e la cosa deve aver
mandato in tilt i selezionatori – italiani: l’anno scorso al Festival di
Cannes c’era in concorso il bellissimo Behind the Candelabra,
Tv-movie sulla vita di Liberace diretto da Steven Soderbergh e prodotto
e trasmesso da Hbo; del resto già undici anni fa, sempre a Cannes,
persino La meglio gioventù, che non era esattamente roba Hbo, vinse la sezione Un certain regard. I precedenti ci sono, basta saper cogliere la contemporaneità, bella o brutta che sia. Un passo avanti.
La speranza, da spettatore italiano che vede gli sceneggiatori del
momento (risate del pubblico) firmare serie anacronistiche come Un’altra vita
con Vanessa Incontrada e Loretta Goggi, in onda in queste settimane su
RaiUno, è che la nostra Sky attuale faccia da noi quello che Hbo ha
fatto negli Stati Uniti negli anni ’90. Forse ce la facciamo, a cambiare
due-cose-due del linguaggio cinematografico.
Oggi da noi soltanto in televisione si ricomincia a scommettere sul cinema di genere di alta qualità (Gomorra – La serie) e su film drammatici che cercano di sganciarsi dalle solite due camere e tinello (In Treatment
di Saverio Costanzo, per quanto sia un format già esistente e il suo
regista Saverio Costanzo resti ancora uno dei pochi più bravi a
esprimersi nel classico formato cinema). Tra poco si vedrà il grande
romanzo popolare su Tangentopoli 1992, diretto da Giuseppe Gagliardi, l’anno prossimo arriverà The Young Pope di Paolo Sorrentino, che sulla carta pare decisamente più interessante dei fenicotteri sulla terrazza di Jep Gambardella. Proviamoci. Io ci credo, l’ho detto. E non solo perché sogno cene future in cui nessuno vorrà negarmi il tiramisù". (Mattia Carzaniga)
venerdì 3 ottobre 2014
Etichette:
1992,
Colin Farrell,
Gomorra-La Serie,
House of Cards,
In Treatment,
L'EDICOLA DI LOU,
network,
Orange is the new Black,
Rachel McAdams,
Top of the lake,
True Detective,
Vince Vaughn
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
3 commenti:
Più che sopravvalutate, con la pubblicità che hanno, e di conseguenza l'hype che creano, soppiantano tutte le altre serie che meriterebbero più considerazione. True Detective è una storia che poteva essere intrigante (poi rivelatasi banale), con un ottimo cast, ottimi dialoghi e tanti tempi morti. Un film ce lo potevano fare veramente, se si tolgono le cose non rilevanti alla trama, in due ore si potrebbe riassumere, senza perdere molto. Ma a quel punto sarebbe troppo palese la scarsa originalità della trama. Carino, ma non un capolavoro. Ma meglio quello dei vari The Following, The Blacklist, Gotham, Touch ecc. pompati dalle pubblicità nonostante siano prodotti di pessima qualità (linciatemi pure). Queste appartengono ai canoni delle serie "tradizionali", ma sono comunque scarsissime. Ci vuole una via di mezzo. L'HBO l'aveva trovata un po' di tempo fa (quando ho letto "I Soprano" nell'articolo mi è scesa una lacrimuccia) anche con Boardwalk Empire, Deadwood, Six Feet Under e via dicendo. Sarà un caso, ma sto odiando tutta la nuova roba della FOX, tanto hype e pochi contenuti, e mi sta succedendo la stessa cosa con la HBO, anche se spesso propone roba di qualità superiore. L'attesa, la frenesia, dovrebbero essere dettate dai contenuti, più che da quanto te lo sbattono in faccia tutti i giorni, da prima che cominci, alla fine, ed oltre. In quanti si sono decisi a guardare Breaking Bad quando la serie era già alla terza, quarta, quinta stagione? In pochi (come me, sarà perchè seguo molto tutto quello che esce in lingua originale) se la sono vista dal 2008, arrivata quasi in punta di piedi (rispetto ai canoni odierni) ed ora fenomeno mondiale da quasi due anni. AMC non ha (aveva) i soldi delle emittenti sopracitate, però ha comunque creato Mad Men, Breaking Bad, Hell on Wheels e anche The Walking Dead, nonostante non sia il mio genere. Bisognerebbe scostarci un po' da tutte le news e tutti i giornali che, come in ogni cosa, esagerano e creano aspettative troppo alte rispetto a quello che si rivela il prodotto finale. Le emittenti che, secondo me, stanno trovando il giusto equilibrio negli ultimi anni sono Showtime, AMC, FX e Netflix, quasi una garanzia per me (e per i generi che mi piacciono). A chi non è molto informato sulle emittenti statunitensi, e magari è curioso, consiglio di dare un'occhiata alle serie che stanno sfornando le sopracitate da anni a questa parte, anche le più "trascurate" (vedi Lilyhammer).
Scusate il poema.
Nessuna serie soppianta le altre. L'hype è una grande fesseria da ragazzini eccitati. Così come le inutili analisi sui vari canali che ce le propongono.
La scrittura di una storia, la sceneggiatura, la messa in scena, i dialoghi, la recitazione, la fotografia, le musiche e tutto il resto. Questo è ciò che conta. Quanto meno per chi ha un minimo di cultura generale. Senza nessunissimo bisogno di paragonare serie molto differenti tra loro. La nostra personale visione "nuda e cruda", di fruitori abituali della settima arte - si intende - è quella che vale. True Detective rimane intrigante. Senza alcuna particolare banalità né tempi morti. Ma è davvero difficile da spiegare a chi non accetta la "realtà" messa in scena. (Vedi "The Killing").
Scriverei un poema sull'argomento... ma invece chiedo venia e mi ritiro in un angolo a meditare sugli esseri umani. Grazie per lo spazio! :-)
Yda
True Detective la trovo sopravvalutata e tema di discussione tra hyperisti dalla fregola in calore. Buona serie, ma ce ne sono almeno 10 meglio nelle ultime stagioni. e poi ricordiamoci sempre che fa figo ciò che è elitario, se andasse sulla Rai o su Mediaset sarebbe "pallosa", "sopravvalutata", "niente di che"...ecc.
Posta un commento