LA VITA E' UNA COSA SERIAL - Carradine, il cyber-funerale di Facebook manda ko i media
Ci sono notizie e notizie. Quelle che colpiscono nel profondo l'immaginario collettivo, quelle da prima pagina "per forza", quelle da insabbiare. Tra le prime, la morte di David Carradine in un hotel a Bangkok, dove l'ex indimenticato interprete di "Kung Fu" e icona rilanciata da "Kill Bill" di Tarantino si trovava per girare un (ultimo) film. Personalmente sono cresciuto con gli insegnamenti televisivi del monaco shaolin Chang Caine in un orecchio e Deejay Television nell'altro. Prima di Caine avevo avuto modo di apprezzare il piccolo schermo dagli occhi a mandorla in un'altra serie - ancora più pulp - qual era "Samurai", dove il protagonista e il figlio carrozzellato a rimorchio massacravano senza pietà chiunque gli si parasse di fronte, senza quasi proferir verbo. Un pò quello che facevo io appena presa la patente, a chi mi tagliava la strada alla guida del mio maggiolone cabriolet. Con Caine s'insidiava un principio di morale zen che struggeva il protagonista - più che altro con i flashback dei suoi trascorsi glabri nel ritiro shaolin - dopo aver consumato vendetta (o giustizia) di spada. Carradine, era perfetto. Imperturbabile ma espressivo. Non come Eastwood, che "sa recitare i due modi: col cappello e senza". Bucava lo schermo. Così come lo ha bucato nel bianco e nero sgranato di "Kill Bill", quando irrompe nella scena madre (madre in tutti i sensi!) in cui Bill incontra la sposa incinta interpretata da Uma Thurman fuori dalla chiesa dove la futura vendicatrice in tuta gialla si sta per sposare (con un altro). Quella sequenza prima del massacro è a mio avviso un capolavoro, con tanto di omaggio alla filosofia di "Kung Fu" (Carradine-Bill soffia nello stesso flauto della serie tv del 1972). Il tutto per dire che la scomparsa dell'attore ha scioccato più d'uno - oltre che per il mistero dell'accaduto nelle prime ore riguardo al suicidio - e Facebook, più che i portali di grande informazione, ne è stato la prova. Nel giro di poche ore la notizia si è impossessata dello status-casella "a cosa stai pensando?", mentre le agenzie di stampa e le home-page dei grandi quotidiani si affannavano di capire come si erano svolti i fatti, rimandando al giorno successivo (sulla copia cartacea) o in tarda serata il commento sulla scomparsa dell'attore. Il TG5 della sera stessa, tanto per dire, evitava clamorosamente di dare la notizia (ma annunciava in pompa magna il contratto in esclusiva di Bonolis fino al 2011!). Tuttavia il "vuoto" lasciato da Carradine negli animi di molti si respirava già dal social network, che ormai è la vera Piazza mediatica che fa da termometro degli umori, gioie e delusioni della società, civile o incivile che sia. E che in questo caso ha celebrato un cyber-funerale sentito, da prima pagina se si dovessero misurare i "contatti" e i commenti personali. Sembrava che fosse scomparso un parente, in taluni casi. E' emerso un humus popolare che si smarca dalle scalette dei telegiornali, che viene prima del discorso sull'Islam di Obama, degli appelli politici prima delle elezioni europee, dell'emergenza inquinamento a Ischia (con tutto il rispetto per gli ischitani). E' un battito emozionale, talvolta poco politically correct, senza ipocrisia, ancor più forte quando tocca qualcuno dei personaggi (ancor prima delle persone) che ti hanno accompagnato giorno dopo giorno, puntata dopo puntata. Sono cresciuti con te. Personalmente ho raggiunto l'apice con la scomparsa di Leroy Johnson (pardon, Gene Anthony Ray) di "Saranno Famosi", finito male qualche anno fa: prima di morire, era stato arrestato per aver rubato una bottiglia di vino alla SMA di Via Padova a Milano. Prima che la sete, l'aveva tradito la "Fame" che lo ha reso popolare e immortale ai nostri occhi. Prima dell'avvento di Facebook e dell'Esselunga. (Articolo di Leo Damerini pubblicato su "Telefilm Magazine" di Luglio)
mercoledì 8 luglio 2009
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6 commenti:
Bellissimo pezzo, approvo dalla prima all'ultima riga (come sempre)
A proposito: lei non può far niente per dire a quelli di Telefilm Magazine di dedicare le copertine a serial non sempre e solo in "promozione"? Mi spiego: la copertina di Patty da molti è stata considerata eccessiva, quella di 90210, poi, è stata dedicata a una serie tolta dal palinsesto subito...Ma dedicare una volta una copertina a un telefilm classico? O a un film tratto dai telefilm? O a un attore o attrice telefilmico che è passato al cinema (tipo Clooney, magari quando ha fatto il cameo in ER)...mi sembra che ultimamente la rivista sia diventata una vetrina delle serie in partenza, senza molti spunti critici (l'unico spazio è quello della Carini, che però loda questo o quel titolo, invece a mio avviso andrebbero anche segnalate le serie "stracotte", tanto per citare il suo Dizionario...). Parere personale che non esige risposta, sia chiaro.
complimenti, scritto benissimo
Cara Gemma,
invia pure i tuoi dubbi e perplessità alla redazione del TF Magazine che ne terranno senz'altro conto (come hai potuto notare nella rubrica Nano-Nano di questo mese, del resto...)
un saluto
SAMURAI era un mito
Questo blog è un mito
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