lunedì 10 novembre 2008

L’EDICOLA DI LOU - Stralci e commenti sui telefilm dai giornali italiani e stranieri
A cura di: Leo “Grant” Damerini

CORRIERE DELLA SERA
"Boris": Avati, marsh!
"La fiction italiana non propone alcun modello vero e credo che la diffusione di questo modo di raccontare tutto edulcorato ed omogeneizzato abbia molto a che fare con il decadimento etico che stiamo vivendo. E non solo in Italia: è un male di tutto l'Occidente. C'è un'unica fiction divertente su Sky, che è 'Boris', ovvero una parodia del genere. E' l'unica che io vedo".
(Pupi Avati, 01.09.2008)

VANITY FAIR
Duchovny, chiudi i SeX-Files!
"Le scene di sesso in 'Californication' sono ridicole. In fondo il desiderio di hank è di ritrovare l'amore della moglie. Per quanto riguarda il film di 'X-Files', io ho sempre pensato che tra Mulder e Scully ci fosse una storia d'amore, non tradizionale nei modi, ma un legame fortissimo. Tuttavia il sesso tra di loro non è il tema del film...".
(David Duchovny, 10.09.2008)

A - ANNA
Che "The L Word" sia con voi!
"Quando io e Portia (n.d.r.: de Rossi) ci siamo incontrate non eravamo due adolescenti...Avevamo alle spalle le nostre vite, i nostri incontri, i ricordi delle nostre giovinezze non sempre facili. Tra me e lei c'è stata subito grande affinità per un progetto di vita in comune. La seduzione tra noi è stata immediata e reciproca. Non ci sono segreti, pagine oscure, promiscuità nelle nostre vite".
(Ellen DeGeneres, 04.09.2008)

CORRIERE DELLA SERA
La falsa Italia delle nostre fiction

"Come si vede in questi giorni a Venezia il cinema italiano continua a mostrarsi ricco di idee e di talenti, vitale e competitivo. L’Italia però non sembra accorgersene, non sa che farsene: solo così si spiega come mai da noi impazzi da anni quella particolare rappresentazione cinematografica che si chiama fiction, la quale ha nella televisione pubblica e privata la sua produttrice e consumatrice esclusiva, e quindi può contare su milioni di spettatori ogni sera. La fiction televisiva è l’esatto opposto del cinema italiano, una specie di sua adulterazione permanente. Meglio: una sua caricatura. Il cinema ha raccontato l’Italia agli italiani e al mondo, e facendolo non solo ha contribuito a formare come nessun altro la coscienza vera del Paese, ma ha saputo spesso esprimere significati morali ed estetici di valore universale. Ancora oggi registi come Pupi Avati, Giuseppe Tornatore, Gabriele Muccino, Marco Tullio Giordana, raccontano con il timbro della verità e della poesia storie che parlano di noi, che riguardano il nostro passato e il nostro presente. Esattamente l’opposto di quanto si vede sugli schermi televisivi: non per nulla tranne eccezioni rarissime nessuno dei registi di nome del nostro cinema viene chiamato a dirigere la fiction che va in televisione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Sempre fatte salve le solite eccezioni (dalla lontanissima «Piovra » ai più recenti «La meglio gioventù» o «Montalbano ») la fiction sia della Rai che di Mediaset è una cosa da brividi: dialoghi surreali, scenografie e location posticce, interpreti regolarmente mal scelti e una recitazione sempre sgangherata, fuori tono, in genere troppo enfatica (anche bravi attori come Virna Lisi, Diego Abatantuono o Giancarlo Giannini sono costretti a recitare battute improbabili in ruoli che non stanno assolutamente in piedi). Ma sono le trame e le sceneggiature che soprattutto gridano vendetta. Qui è il trionfo dell’inautentico, dell’implausibile, del finto. Finti, fintissimi, i carabinieri, i distretti di polizia, la gente di mare, i posti al sole, i medici, e tutto il resto che popola le serate degli italiani. Finte pure le foibe, i don Bosco, i De Gasperi. Ma non la grande finzione delle favole, bensì il povero finto delle stoffe dei magliari. Si capisce a prima vista, ad esempio, che tutti sono alla ricerca del nazional- popolare, del «semplice ma avvincente e profondo», epperò ogni volta il risultato è il patetico, il falso, la tirata retorica, la lacrima e il grido che sanno unicamente di artificio. Alla fine, così, restano solo e sempre, anche quando fischiano le pallottole e ululano le sirene, scialbi, scialbissimi fumettoni piccolo-borghesi dove nulla riesce ad apparire ciò che vorrebbe essere. Il difetto è nel manico, dice chi se ne intende. E cioè che nel caso della televisione italiana il ruolo del regista è sempre sostanzialmente marginale mentre invece il potere vero è nelle mani dei vertici delle direzioni aziendali, ormai divenuti i veri grandi boss della produzione. Da tempo sono ormai questi a decidere delle trame, degli sceneggiatori, degli attori, di tutto. Quasi sempre però— e questo è il punto decisivo— tenendo conto soprattutto del proprio personale tornaconto, spessissimo di propri personali legami con interessi esterni, anziché di parametri qualitativi degni di questo nome. È anche in questo modo, umiliando il proprio cinema, restringendo il campo d’azione dei suoi uomini e donne migliori e dunque perdendo la capacità di raccontarsi, che un Paese non riesce più ad essere se stesso, a ritrovare la propria identità. E se quel Paese è l’Italia, la cosa forse ci riguarda da vicino".
(Ernesto Galli Della Loggia, 31.08.2008)

LA STAMPA
La tv è vecchia come il suo pubblico
"Lei se lo comprerebbe un fax? Immagino di no, visto che esiste la posta elettronica. Ecco, diciamo che la tivù generalista è obsoleta come un fax. La tivù vecchia delle carrambate non è - come si dice spesso - colpa dei pubblicitari che temerebbero l'innovazione per tenere al sicuro i loro spot. E' funzionale al pubblico che alla tivù è rimasto attaccato: gli over 60. Coccolati da un sistema che teme di lasciarsi per strada pure quelli. Gli unici a salvarsi e che guardo sono i telefilm: 'Soprano', 'Desperate Housewives', 'Heroes', 'Boston Legal', 'Dr. House'...però tutte su dvd, così sono in grado di scegliere quando e dove vederle. E se potessi scaricarle legalmente su Internet, come si fa con la musica, pagherei volentieri".
(Annamaria Testa, 07.10.2008)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Galli ha ragione in pieno

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