venerdì 31 maggio 2019
GOSSIP - Fonda a fondo. La co-protagonista di "Grace & Frankie" confessa: "durante il serial ho sofferto di una crisi nervosa!"
Jane Fonda went through a difficult time while filming the first season of Grace & Frankie. The 81-year-old actress opened up in an interview with The Hollywood Reporter published on Wednesday (May 29). “It took me a long time to figure out [my relationship to this character]. I had a nervous breakdown during the first season, and I discovered it’s because the very first episode our husbands tell us that they are going to leave us after 40 years and marry each other and that triggered abandonment,” she explained. “It was a big trigger, and I didn’t realize that a character in a comedy could actually trigger something very profound. And so I love her, and I learned to invite her into the room.” She also opened up about her similarities and differences to her character on the hit Netflix series.
Jane Fonda went through a difficult time while filming the first season of Grace & Frankie. The 81-year-old actress opened up in an interview with The Hollywood Reporter published on Wednesday (May 29). “It took me a long time to figure out [my relationship to this character]. I had a nervous breakdown during the first season, and I discovered it’s because the very first episode our husbands tell us that they are going to leave us after 40 years and marry each other and that triggered abandonment,” she explained. “It was a big trigger, and I didn’t realize that a character in a comedy could actually trigger something very profound. And so I love her, and I learned to invite her into the room.” She also opened up about her similarities and differences to her character on the hit Netflix series.
martedì 28 maggio 2019
NEWS - Drive me crazy! Dal 14 giugno su Amazon il serial già cult "Too old to die young" del visionario Refn. Un nuovo "Banshee" al neon?
Articolo tratto da "La Repubblica"
"'Troppo vecchio per morire giovane'. E' programmatico il titolo della serie Amazon firmata dal regista Nicolas Winding Refn presentata in anteprima a Cannes. Dai tempi di Drive (2011) è stato proprio il festival francese a trasformare Refn in un controverso protagonista del cinema d'autore, adorato o irriso dai critici per l'ultra violenza estetizzante e la narrazione rarefatta. Proprio Drive, per dire, era stato apprezzato all'epoca dal Presidente della Repubblica cinefilo Giorgio Napolitano. Non è stata proprio una sorpresa che il regista, da sempre affascinato dalle nuove piattaforme, i cui film sono spesso al confine con la videoarte, abbia realizzato per Amazon Too old to die young, disponibile dal 14 giugno. La serie è composta di 10 episodi da 70 minuti ciascuno, in teoria fruibili in ordine sparso: alla rassegna francese sono stati presentati i numeri 4 e 5, molto diversi tra loro. «Per me è un film di 13 ore. Ho tagliato e separato in ogni punto in cui mi sentivo di farlo. È stato come dipingere su una tela enorme, spezzarla in piccoli pezzi per mostrarla agli spettatori», spiega l'autore pallido, camicia bianca e giacca nera tarantiniana. «L'idea è nata quando ho presentato Solo dio perdona. Mi aveva colpito il nuovo modello di lancio di Netflix che metteva a disposizione tutti gli episodi insieme. Ho capito che la televisione si era evoluta e quello sarebbe diventato il grande mercato, ma anche un formidabile bacino artistico. Mi ha contattato Amazon, che aveva distribuito Neon demon: ho pensato a qualcosa legato alla morte e alla religione ed è arrivato il titolo. Mi è stata lasciata libertà totale. Ho parlato con Ed Brubaker (sceneggiatore per Marvel e DC, ndr), abbiamo iniziato a scrivere insieme». Al centro della serie c'è un poliziotto dalla doppia vita, interpretato da Miles Teller (Whiplash, Divergent, 1 fantastici 4), che di giorno fa terapia di gruppo contro la rabbia e di notte uccide — per una setta di vendicatori e un po' per la malavita — solo i criminali più abbietti. Sul fronte romantico ha una relazione con una studentessa modello, ex attrice bambina (Jena Malone), sullo sfondo politico c'è un'America fascista, piena di rimandi all'era Trump. L'episodio 4 ha un andamento lento e propone molte riflessioni filosofiche su un mondo in piena decadenza, il 5 è una discesa agli inferi della pornografia violenta. Non manca il feticismo tipico di Refn: un uomo che deterge, veste e mette lo smalto a una donna-bambola. In tutto questo Miles Teller è l'eroe romantico quanto laconico che finora nella filmografia di Refn aveva avuto il volto di Ryan Gosling. «Ci siamo incontrati, abbiamo parlato e mi è restato in mente: non potevo credere alla sua incredibile somiglianza con Elvis Presley. Ho pensato che fare un film con Elvis sarebbe stato bellissimo». Stavolta non c'è solo un protagonista maschile. «La serie — racconta Refn — si è evoluta in corsa, scrivevo di notte e giravo di giorno. Ho avuto l'approvazione dopo i primi tre episodi e non avevo ancora scritto gli altri. Avevo già sviscerato abbastanza il dilemma morale del protagonista e così ho iniziato a esplorare i personaggi femminili, che avranno un grandissimo spazio nella seconda parte. In pratica tu parti conoscendo l'uomo, poi incontri le donne e continui il viaggio con loro». A cambiare non sarà solo il punto di vista, ma anche la lingua: «Ci sono episodi girati interamente in spagnolo: ho cercato di aprire la storia a molte sensibilità diverse, per parlare alle generazioni più giovani. Viviamo in una società multietnica, variegata anche dal punto di vista sessuale e culturale. Ho tenuto dritta la barra della creatività anche in un progetto così gigantesco». Refn ha impresso il marchio indelebile su un'operazione mediatica che sa governare come pochi. A partire dalla firma che è anche la sua piattaforma personale byNWR. Non è un regista nostalgico del grande schermo, anzi cavalca la ricerca di nuovi linguaggi visivi. «Mi sono trasferito con i miei a New York che ero un ragazzino, ho scoperto il mondo guardando la tv. A Copenaghen c'era un solo canale, all'epoca. All'improvviso ho sperimentato mille realtà diverse attraverso il tasto del telecomando. La mia introduzione al cinema è arrivata per via digitale: è stato un vantaggio, per come il mondo si è trasformato ora. C'è grande fermento e tanta concorrenza, questo fa bene alla creatività. Mi è capitato spesso di essere stroncato, succede quando sei nel giusto». Nella serie c'è anche la sua visione filosofica e morale del mondo, il racconto di un'Apocalisse tra Shakespeare e Sergio Leone: «Racconto di uomini e donne che sono stati dimenticati, lasciati indietro dall'interesse generale, dai politici che conosciamo, dall'ineguaglianza di massa, dal risorgere del fascismo. Cose che sappiamo e che ci fanno venir voglia di bruciare tutto e ricominciare da capo». La turbolenza artistica di Refn è bilanciata da una vita personale da favola, una moglie e due figlie con cui vive a Copenaghen: «Una vita tranquilla, in un paese in cui purtroppo la destra tenta di risollevare la testa». Alla moglie Liv Corfixen, attrice (per Susanne Bier, anche nei primi film del marito) e documentarista, deve tanto: «È l'unica donna che ho avuto, è straordinaria. II documentario che ha girato su di me sul set di Solo Dio perdona, My life directed by Nicolas Winding Refn, era oggettivo, sa essere molto dura con me». Il pallido, glaciale autore si scioglie, cerca sul telefono delle foto con la moglie e le figlie di quindici e nove anni: «La più grande non è interessata ai film, la piccola è una cinefila, insieme guardiamo cartoni e classici in bianco e nero». Refn si alza in piedi: «Vuoi venire con me?», esce nel terrazzo assolato per farci conoscere la moglie. Come succederà nella sua serie tv, la conversazione prosegue con una protagonista femminile.
Articolo tratto da "La Repubblica"

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lunedì 27 maggio 2019
In #Catch22 Clooney rispolvera le lezioni dei fratelli Coen in una serie con copione già scritto (ennesima serie "tratta da"). Puro esercizio di (buono) stile, nulla più. Il protagonista non buca. Voto: 5⃣
— Leo Damerini (@LeoDamerini) 27 maggio 2019
domenica 26 maggio 2019
venerdì 24 maggio 2019
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
CORRIERE DELLA SERA
"Catch 22" convince col paradosso anti-militarista
"'Il dolore è utile, è un avvertimento dei pericoli che minacciano il corpo'. Il paradosso, le contraddizioni, l'infinito ed estenuante tentativo di trovare un senso e una logica là dove il senso e la logica latitano e sfuggono. Sono questi i veri protagonisti, gli ingredienti base di Catch 22, la nuova miniserie che vede l'esordio di George Clooney come regista di serialità. Il prodotto, messo in onda sulla piattaforma Hulu e disponibile ora in Italia su Sky Atlantic, è un adattamento del celebre romanzo del 1961 di Joseph Heller, uno dei pilastri della letteratura antimilitarista, già rivisitato dal cinema nel 1970. Catch 22 è un'opera sull'assurdità della guerra, sui suoi rituali, su una disciplina propagandata e sfiancante da risultare persino grottesca. Tra il nucleo di aviatori americani di stanza nel sud Italia, solo il soldato Yo-Yo (Christopher Abbott) sembra accorgersi di tanta bestialità, in un crescendo di ossessioni e rigetti che mettono a nudo il potere, la gerarchia, la sopraffazione impersonati dallo stesso Clooney nei panni del tenente Scheisskopf. La serie si inserisce pienamente nel genere della dark comedy, in cui un tema tabù viene messo in scena nelle sue forme più estremizzate e parodistiche, strappando un sorriso che non è mai compiaciuto, ma fendente, non assolutorio, ma sferzante. L'impianto della serie, girata pressoché interamente in Italia, regge e convince su più fronti, dall'intreccio delle linee (la facciata delle parate, «fatte solo per umiliare», e l'intimità del protagonista) alla fotografia, dal ritmo incalzante delle scene di guerra al valido cast fino all'equilibrio riuscito tra registro ironico e drammatico. Il comma 22 del titolo, quello per cui «chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo», rappresenta l'archetipo dell' insensatezza che si fa burocrazia". (Aldo Grasso)
CORRIERE DELLA SERA
"Catch 22" convince col paradosso anti-militarista
"'Il dolore è utile, è un avvertimento dei pericoli che minacciano il corpo'. Il paradosso, le contraddizioni, l'infinito ed estenuante tentativo di trovare un senso e una logica là dove il senso e la logica latitano e sfuggono. Sono questi i veri protagonisti, gli ingredienti base di Catch 22, la nuova miniserie che vede l'esordio di George Clooney come regista di serialità. Il prodotto, messo in onda sulla piattaforma Hulu e disponibile ora in Italia su Sky Atlantic, è un adattamento del celebre romanzo del 1961 di Joseph Heller, uno dei pilastri della letteratura antimilitarista, già rivisitato dal cinema nel 1970. Catch 22 è un'opera sull'assurdità della guerra, sui suoi rituali, su una disciplina propagandata e sfiancante da risultare persino grottesca. Tra il nucleo di aviatori americani di stanza nel sud Italia, solo il soldato Yo-Yo (Christopher Abbott) sembra accorgersi di tanta bestialità, in un crescendo di ossessioni e rigetti che mettono a nudo il potere, la gerarchia, la sopraffazione impersonati dallo stesso Clooney nei panni del tenente Scheisskopf. La serie si inserisce pienamente nel genere della dark comedy, in cui un tema tabù viene messo in scena nelle sue forme più estremizzate e parodistiche, strappando un sorriso che non è mai compiaciuto, ma fendente, non assolutorio, ma sferzante. L'impianto della serie, girata pressoché interamente in Italia, regge e convince su più fronti, dall'intreccio delle linee (la facciata delle parate, «fatte solo per umiliare», e l'intimità del protagonista) alla fotografia, dal ritmo incalzante delle scene di guerra al valido cast fino all'equilibrio riuscito tra registro ironico e drammatico. Il comma 22 del titolo, quello per cui «chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo», rappresenta l'archetipo dell' insensatezza che si fa burocrazia". (Aldo Grasso)
giovedì 23 maggio 2019
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
IL FOGLIO
"Ai confini della realtà" rivisto e corretto
"'Un penny per i tuoi pensieri'. Era un episodio della serie "Ai confini della realtà", andato in onda sulla Cbs nel 1961. La serie originaria era firmata e introdotta da Rod Serling, la parola showrunner ancora non esisteva. Imitata e aggiornata molte volte, anche nel film diretto da Joe Dante nel 1983. Nella serie televisiva del 2002 il narratore era Forrest Whitaker. Nell'ultima - ribattezzata "reboot", ovvero "nuovo inizio", ora usa così - il narratore è Jordan Peele di "Noi". Non l'abbiamo ancora vista, la venerazione che abbiamo per "The Twilight Zone" ha vinto sull'amore che portiamo a Jordan Peele (comunque la Cbs ha già ordinato una seconda stagione). "Un penny per i tuoi pensieri" parte da una moneta che invece di ricadere su una delle due facce ("testa o croce?") rimane in bilico. Da quel momento l'impiegato di banca Mr Poole sente i pensieri della gente attorno a lui, pronunciati con voce forte e chiara. Il capoufficio sposato che organizza il fine settimana con l'amante, il cliente che chiede un prestito per giocarselo alle corse e rimettere in cassa i soldi sottratti alla ditta, il collega che progetta una rapina alla propria banca. Dopo una serie di disastri, Mr Poole capisce che non sempre le persone fanno quel che pensano, e neppure pensano quel che faranno - con buona pace di film tratti da Philip Dick come lo spielberghiano "Minority Report": bisogna arrestare i criminali prima che commettano i delitti, non quando li hanno commessi. Dice tutto quel che gli passa per la testa Ricky Gervais in "After Life", miniserie - "miniserie finora", bisogna sempre precisarlo alla maniera di Homer Simpson - da lui scritta, interpretata e prodotta (su Netflix). Lo ha deciso dopo la morte della moglie Lisa, che bontà sua lo trovava "inetto e adorabile", e gli ha lasciato un video con consigli e incoraggiamenti del tipo "fai mangiare il cane due volte al giorno, metti i piatti sporchi subito nella lavastoviglie sennò si incrostano". Le crediamo sulla parola, quel che vediamo della loro vita coniugale è lui che la sveglia mentre dorme, o la distrae quando dipinge, con la pallina di gomma del cane. Ricky Gervais è arrabbiato, molto arrabbiato. Ed è triste, molto triste. Come il vedovo Jim Carrey nella miniserie "Kidding" diretta da Michel Gondry. Di mestiere fa un programma tv per bambini, mentre Ricky Gervais lavora in un giornale locale gratuito, dove un vecchietto che ha ricevuto cinque cartoline di compleanno identiche è materia da prima pagina. Nel disastroso accoppiamento di ognuno con il proprio lavoro sta metà dell'una e dell'altra serie. L'altra metà riguarda l'elaborazione del lutto: tema doloroso e degnissimo, con sfumature di grottesco - Ricky Gervais sta nel bagno con una lametta in mano, il cane entra per giocare. Jim Carrey è molto più bravo: ha un più forte senso dello spettacolo e sa giocare meglio con i contrasti. Netflix ha lasciato a Mr Gervais le briglie lunghe - come rifiutare qualcosa all'attore, autore, regista di "The Office"? - e il risultato non è brillante. Dovrebbe avere il ritmo della sit-com (oppure, a scelta, fornire personaggi e non macchiette). Invece Ricky Gervais fa sparire chiunque possa metterlo in ombra, non è così che si costruiscono le serie appassionanti. Ci siamo segnati soltanto lo psicoanalista che invece di sbadigliare classicamente mentre il paziente parla litiga su twitter. E la vecchietta che chiacchiera con il marito morto, e teme la pazzia. Ricky Gervais la rassicura: "E' matta solo lui se risponde". (Mariarosa Mancuso)
IL FOGLIO
"Ai confini della realtà" rivisto e corretto

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martedì 21 maggio 2019
PICCOLO GRANDE SCHERMO - Clamoroso al Cibali! "True Lies" diventerà una serie tv firmata da McG ("The OC", "Nikita", "Chuck"), Schwarzenegger possibile nel cast. Eliza Dushku promossa a protagonista?
News tratta da Slashfilm.com
McG, director of the Charlie’s Angels films, Terminator: Salvation and more, is set to turn James Cameron’s 1994 action-comedy True Lies into a TV series for Disney+. Yes, really. While a True Lies series may not seem like an obvious choice for Disney’s streaming service, the House of Mouse owns the title now, and damn it, they’re going to make use of it. And in case you were wondering, yes, James Cameron is aware of this, and gave McG his blessing. More on the True Lies TV series below. True Lies is one of James Cameron’s best movies. A funny, action-packed showcase for both Arnold Schwarzenegger and Jamie Lee Curtis, it told the story of a man leading a double-life. Harry Tasker (Schwarzenegger) seems like a boring (but muscular) dweeb to his wife (Curtis) and daughter (Eliza Dushku). But he’s actually an ass-kicking secret agent. Eventually, Harry’s family ends up learning who he really is. Jokes, explosions and striptease scenes follow. This concept of a spy leading a double life lends itself perfectly to TV, and has been used as the premise for shows before – most recently The Americans. Enter McG, who tells Collider (via The Playlist) that he’s in the process of adapting Cameron’s movie into a new series for Disney+. “So, True Lies at Disney+, which is exciting,” McG says. “I’m writing that one, which is very exciting, because I’m so passionate about that story where you think you know your partner but you don’t.”
News tratta da Slashfilm.com
McG, director of the Charlie’s Angels films, Terminator: Salvation and more, is set to turn James Cameron’s 1994 action-comedy True Lies into a TV series for Disney+. Yes, really. While a True Lies series may not seem like an obvious choice for Disney’s streaming service, the House of Mouse owns the title now, and damn it, they’re going to make use of it. And in case you were wondering, yes, James Cameron is aware of this, and gave McG his blessing. More on the True Lies TV series below. True Lies is one of James Cameron’s best movies. A funny, action-packed showcase for both Arnold Schwarzenegger and Jamie Lee Curtis, it told the story of a man leading a double-life. Harry Tasker (Schwarzenegger) seems like a boring (but muscular) dweeb to his wife (Curtis) and daughter (Eliza Dushku). But he’s actually an ass-kicking secret agent. Eventually, Harry’s family ends up learning who he really is. Jokes, explosions and striptease scenes follow. This concept of a spy leading a double life lends itself perfectly to TV, and has been used as the premise for shows before – most recently The Americans. Enter McG, who tells Collider (via The Playlist) that he’s in the process of adapting Cameron’s movie into a new series for Disney+. “So, True Lies at Disney+, which is exciting,” McG says. “I’m writing that one, which is very exciting, because I’m so passionate about that story where you think you know your partner but you don’t.”
McG also added that he got James Cameron’s blessing on the project. At one point, Cameron was hoping to make a True Lies sequel, but later cancelled the idea after the September 11th terrorist attacks. As for the new TV series, McG says he’ll be spending the summer writing the show. The director has some history with spy TV. He was the executive producer of Chuck, about a computer whiz who inadvertently ends up working for the CIA. McG also doesn’t rule out the idea of Arnold Schwarzenegger popping-up in the show. “There’s talk of that,” the filmmaker says. “It’s largely rebooted but there may be a spot there, we’ll see.” I have a feeling a Schwarzenegger cameo is unlikely, but you never know. This isn’t the first time word of a possible True Lies TV series has surfaced. Back in 2017, Fox was developing a True Lies TV series of their own, with McG attached to direct the pilot. That didn’t pan out, obviously.
domenica 19 maggio 2019
NEWS - Clamoroso al Cibali! Monta la protesta sul finale di "Game of Thrones": "va riscritto!"
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
L' ottava stagione di Trono di spade va riscritta da scrittori competenti. Questo l'ordine imperioso trasmesso a Hbo, tramite la piattaforma di petizioni online Change.org, dai fan. In quasi un milione hanno firmato l'appello che chiede un finale diverso per una delle serie tv più amate di sempre. A dare fuoco alle polveri della rivolta social è stato l'agguerrito Dylan D. da Fort Worth, Texas. Che qualche giorno dopo la messa in onda del quarto episodio (in prima tv Usa il 5 maggio, da noi trasmesso il 13), non ci ha più visto. «Ero deluso e arrabbiato» ha spiegato in un lungo post su Change.org: di qui la decisione di chiedere le «teste» degli sceneggiatori. «David Benioff e D.B. Weiss» si è sfogato Dylan D. su Change.org «hanno dimostrato di essere degli scrittori miseramente incompetenti in mancanza di materiale di riferimento», alludendo agli ultimi due romanzi inediti («Winds of Winter» e «Dream of Spring») di George R.R. Martin, il «padre» di Trono di spade. Insomma: senza i libri, sostengono i fan, Benioff e Weiss hanno «floppato». «Gli episodi sono scritti in modo approssimativo», «I colpi di scena non sono stati adeguatamente impostati», «Le motivazioni dei personaggi non sembrano plausibili» le lamentele più ricorrenti tra i firmatari della petizione. «Questa stagione — sintetizza un utente — ha demolito tutto ciò che è stato costruito durante la serie, come conseguenza di una narrazione raffazzonata, di uno scarso sviluppo dei personaggi e di una generale sciatteria». «Hanno rovinato la serie tv più bella di sempre. Questi due non devono nemmeno avvicinarsi a Star Wars», ha rincarato la dose uno dei «rivoltosi» riferendosi al fatto che Benioff e Weiss cureranno la sceneggiatura della prossima trilogia di Guerre Stellari (a onore di cronaca va ricordato che nemmeno i film del franchise creato da George Lucas sono estranei a proteste: dopo l'uscita di Star Wars: L'ultimo Jedi, fu lanciata una petizione per rimuovere l'episodio dal canone ufficiale, sostenuta da u6.945 firmatari; certo, un'inezia di fronte all'armata del milione sollevata da Dylan D.). Dato il costo di ciascun episodio — circa 15 milioni di dollari (13,4 milioni di euro) — è molto improbabile che Hbo ceda alle richieste dei fan. Ne è consapevole Dylan D. per primo: «Ma, come dice il Joker di Heath Ledger, "Non si tratta di soldi, si tratta di inviare un messaggio"». D'altro canto, non si può non considerare che il suasi milione di firmatari non e che una piccola parte di quei 18,4 milioni di spettatori che, secondo i dati diffusi da Hbo, hanno seguito gli episodi incriminati. Tra chi li difende, per esempio, c'è Stephen King: «A me l'ultima stagione è piaciuta molto», scrive su Twitter. «C'è stata molta negatività, ma credo che sia perché la gente non vuole che Trono di spade finisca». Né, del resto, «quei due», Benioff e Weiss, potevano ignorare la bufera social. «Una buona storia non è tale se non ha un buon finale» hanno detto a Entertainment Weekly. «Certo che siamo preoccupati». Hbo non ha fino a oggi rilasciato alcun commento. Forse per il canale parlerà l'ultimo episodio, in onda stasera negli Usa (domani in Italia).
Articolo tratto dal "Corriere della Sera"
L' ottava stagione di Trono di spade va riscritta da scrittori competenti. Questo l'ordine imperioso trasmesso a Hbo, tramite la piattaforma di petizioni online Change.org, dai fan. In quasi un milione hanno firmato l'appello che chiede un finale diverso per una delle serie tv più amate di sempre. A dare fuoco alle polveri della rivolta social è stato l'agguerrito Dylan D. da Fort Worth, Texas. Che qualche giorno dopo la messa in onda del quarto episodio (in prima tv Usa il 5 maggio, da noi trasmesso il 13), non ci ha più visto. «Ero deluso e arrabbiato» ha spiegato in un lungo post su Change.org: di qui la decisione di chiedere le «teste» degli sceneggiatori. «David Benioff e D.B. Weiss» si è sfogato Dylan D. su Change.org «hanno dimostrato di essere degli scrittori miseramente incompetenti in mancanza di materiale di riferimento», alludendo agli ultimi due romanzi inediti («Winds of Winter» e «Dream of Spring») di George R.R. Martin, il «padre» di Trono di spade. Insomma: senza i libri, sostengono i fan, Benioff e Weiss hanno «floppato». «Gli episodi sono scritti in modo approssimativo», «I colpi di scena non sono stati adeguatamente impostati», «Le motivazioni dei personaggi non sembrano plausibili» le lamentele più ricorrenti tra i firmatari della petizione. «Questa stagione — sintetizza un utente — ha demolito tutto ciò che è stato costruito durante la serie, come conseguenza di una narrazione raffazzonata, di uno scarso sviluppo dei personaggi e di una generale sciatteria». «Hanno rovinato la serie tv più bella di sempre. Questi due non devono nemmeno avvicinarsi a Star Wars», ha rincarato la dose uno dei «rivoltosi» riferendosi al fatto che Benioff e Weiss cureranno la sceneggiatura della prossima trilogia di Guerre Stellari (a onore di cronaca va ricordato che nemmeno i film del franchise creato da George Lucas sono estranei a proteste: dopo l'uscita di Star Wars: L'ultimo Jedi, fu lanciata una petizione per rimuovere l'episodio dal canone ufficiale, sostenuta da u6.945 firmatari; certo, un'inezia di fronte all'armata del milione sollevata da Dylan D.). Dato il costo di ciascun episodio — circa 15 milioni di dollari (13,4 milioni di euro) — è molto improbabile che Hbo ceda alle richieste dei fan. Ne è consapevole Dylan D. per primo: «Ma, come dice il Joker di Heath Ledger, "Non si tratta di soldi, si tratta di inviare un messaggio"». D'altro canto, non si può non considerare che il suasi milione di firmatari non e che una piccola parte di quei 18,4 milioni di spettatori che, secondo i dati diffusi da Hbo, hanno seguito gli episodi incriminati. Tra chi li difende, per esempio, c'è Stephen King: «A me l'ultima stagione è piaciuta molto», scrive su Twitter. «C'è stata molta negatività, ma credo che sia perché la gente non vuole che Trono di spade finisca». Né, del resto, «quei due», Benioff e Weiss, potevano ignorare la bufera social. «Una buona storia non è tale se non ha un buon finale» hanno detto a Entertainment Weekly. «Certo che siamo preoccupati». Hbo non ha fino a oggi rilasciato alcun commento. Forse per il canale parlerà l'ultimo episodio, in onda stasera negli Usa (domani in Italia).
sabato 18 maggio 2019
giovedì 16 maggio 2019
L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA STAMPA
Da "Lost a "Game Of Thrones", quei finali a rischio delusione delle serie tv
"Otto stagioni. Cento milioni di budget a stagione. Quattordici uccisioni in media a puntata. Settantadue episodi fino a oggi. L'ultimo, il numero 73, andrà in onda in Usa il 19 maggio e il 20 in Italia: scritto e diretto da David Benioff e Dan Weiss durerà 80 minuti e metterà la parola fine a Game of Thrones, una delle serie più amate, seguite e discusse della storia della televisione. Ipotesi su come finiranno le avventure degli abitanti di Westeros tante. Certezze poche, anzi una: l'ultimo episodio lascerà alcuni fan insoddisfatti, frustrati, arrabbiati. Quanti non si sa, ma a giudicare dalle reazioni al penultimo episodio, quello andato in onda lunedì sera, tanti, anche se non scendiamo in particolari per evitare spoiler a chi la deve ancora vedere. E ora si teme per il gran finale: otto anni dietro a una storia per poi rimanere delusi. Eppure è inevitabile, un po' perché si tratta di elaborazione del lutto e a nessuno piace separarsi da personaggi che per quanto fittizi ci hanno fatto provare emozioni. Un po' perché accontentare tutti non è possibile, ci sarà sempre qualcuno che si lamenta. Non è la prima volta che succede. A guardare indietro sono pochi i casi in cui alla parola fine tutti gridano al capolavoro. Più spesso ci sono critiche, incredibilità, accuse agli sceneggiatori di non essere stati capaci di trovare una alternativa narrativa migliore. I fan de I Soprano ancora non si danno pace per quello schermo nero ritenuto universalmente come uno dei fmali più controversi mai trasmessi. All'epoca, le accuse a Davide Chase furono di essere stato criptico, di aver lasciato troppo spazio all'interpretazione, di fatto fuggendo alla sua responsabilità, tanto che aventi anni da quell'episodio, ancora si discute se Tony Soprano sia mono oppure no (lo è, ha confermato Chase due mesi fa). Critiche simili furono mosse per Lost. Quando, nel 2000, andò in onda l'ultima puntata in molti si sentirono presi in giro per la mancanza di risposte alle troppe domande lasciate aperte. Più recentemente è toccato a Dexter, a The Americans, persino a una sitcom leggera come E alla fine arriva mamma: quasi un decennio per farci incontrare la donna dei sogni del protagonista e dieci minuti per farla morire di una misteriosa malattia? Ma come si permettono? Se c'è una cosa che accomuna gli spettatori delusi è la sensazione di essere stati traditi, che quel rapporto di fiducia tra chi segue da casa e investe tempo e emozioni e chi quelle emozioni dovrebbe gestirle al meglio si è rotto. Lo sa bene George RR Martin, autore dei libri da cui è tratto Trono di Spade. Fan di Lost, persino lui dichiarò di essersi sentito ingannato da quell'ultimo, deludente episodio". (Simona Siri)
LA STAMPA
Da "Lost a "Game Of Thrones", quei finali a rischio delusione delle serie tv
"Otto stagioni. Cento milioni di budget a stagione. Quattordici uccisioni in media a puntata. Settantadue episodi fino a oggi. L'ultimo, il numero 73, andrà in onda in Usa il 19 maggio e il 20 in Italia: scritto e diretto da David Benioff e Dan Weiss durerà 80 minuti e metterà la parola fine a Game of Thrones, una delle serie più amate, seguite e discusse della storia della televisione. Ipotesi su come finiranno le avventure degli abitanti di Westeros tante. Certezze poche, anzi una: l'ultimo episodio lascerà alcuni fan insoddisfatti, frustrati, arrabbiati. Quanti non si sa, ma a giudicare dalle reazioni al penultimo episodio, quello andato in onda lunedì sera, tanti, anche se non scendiamo in particolari per evitare spoiler a chi la deve ancora vedere. E ora si teme per il gran finale: otto anni dietro a una storia per poi rimanere delusi. Eppure è inevitabile, un po' perché si tratta di elaborazione del lutto e a nessuno piace separarsi da personaggi che per quanto fittizi ci hanno fatto provare emozioni. Un po' perché accontentare tutti non è possibile, ci sarà sempre qualcuno che si lamenta. Non è la prima volta che succede. A guardare indietro sono pochi i casi in cui alla parola fine tutti gridano al capolavoro. Più spesso ci sono critiche, incredibilità, accuse agli sceneggiatori di non essere stati capaci di trovare una alternativa narrativa migliore. I fan de I Soprano ancora non si danno pace per quello schermo nero ritenuto universalmente come uno dei fmali più controversi mai trasmessi. All'epoca, le accuse a Davide Chase furono di essere stato criptico, di aver lasciato troppo spazio all'interpretazione, di fatto fuggendo alla sua responsabilità, tanto che aventi anni da quell'episodio, ancora si discute se Tony Soprano sia mono oppure no (lo è, ha confermato Chase due mesi fa). Critiche simili furono mosse per Lost. Quando, nel 2000, andò in onda l'ultima puntata in molti si sentirono presi in giro per la mancanza di risposte alle troppe domande lasciate aperte. Più recentemente è toccato a Dexter, a The Americans, persino a una sitcom leggera come E alla fine arriva mamma: quasi un decennio per farci incontrare la donna dei sogni del protagonista e dieci minuti per farla morire di una misteriosa malattia? Ma come si permettono? Se c'è una cosa che accomuna gli spettatori delusi è la sensazione di essere stati traditi, che quel rapporto di fiducia tra chi segue da casa e investe tempo e emozioni e chi quelle emozioni dovrebbe gestirle al meglio si è rotto. Lo sa bene George RR Martin, autore dei libri da cui è tratto Trono di Spade. Fan di Lost, persino lui dichiarò di essersi sentito ingannato da quell'ultimo, deludente episodio". (Simona Siri)
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martedì 14 maggio 2019
NEWS - Clamoroso al Cibali! "Game of Thrones" non finirà mai: smentite voci di ultimi due capitoli letterari di George R.R. Martin
News tratta da "Just Jared"
News tratta da "Just Jared"
Game of Thrones author George R.R. Martin is speaking out about rumors surrounding his final two novels. According to GOT actor Ian McElhinney, George had already finished The Winds of Winter and A Dream of Spring but was waiting for the HBO series to conclude before publishing them. “It boggles me that anyone would believe this story, even for an instant. It makes not a whit of sense. Why would I sit for years on completed novels?” George wrote on his blog.
He continue, “I will, however, say for the record — no, The Winds of Winter and A Dream of Spring are not finished. Dream is not even begun; I am not going to start writing volume seven until I finish volume six. No, the books are not done. HBO did not ask me to delay them. Nor did David [Benioff] & Dan [Weiss]. There is no ‘deal’ to hold back on the books.”
George‘s most recent book in the series, A Dance with Dragons, was published in 2011.
HBO used the first five GOT books to create the series and were given an outline about how George planned to end the final two novels.
domenica 12 maggio 2019
sabato 11 maggio 2019
mercoledì 8 maggio 2019
PICCOLO GRANDE SCHERMO - Un'altra serie italiana "tratta da": si riciccia sul serial "Le Fate Ignoranti"
News tratta dal "Corriere della Sera"
Diciotto anni dopo il grande successo di Le fate ignoranti, il film del regista Ferzan Ozpetek con protagonisti Stefano Accorsi e Margherita Buy, diventa una serie tv. Lo ha confermato ieri Fox Networks Group Italy, dopo l'anticipazione data dallo stesso Ozpetek da Palermo, dove ha ricevuto la laurea ad honorem e la cittadinanza onoraria. «Il film del 2001 ha conquistato il pubblico raccontando in modo originale il nuovo mondo delle relazioni — ha detto Alessandro Saba, vice president entertainment di Fox Italia —. Con il regista stiamo immaginando una serie tv che parta proprio da quel mondo e lo cali nella realta contemporanea. Una serie sull'accoglienza, sulla comunanza umanistica, sull'amicizia»
News tratta dal "Corriere della Sera"
Diciotto anni dopo il grande successo di Le fate ignoranti, il film del regista Ferzan Ozpetek con protagonisti Stefano Accorsi e Margherita Buy, diventa una serie tv. Lo ha confermato ieri Fox Networks Group Italy, dopo l'anticipazione data dallo stesso Ozpetek da Palermo, dove ha ricevuto la laurea ad honorem e la cittadinanza onoraria. «Il film del 2001 ha conquistato il pubblico raccontando in modo originale il nuovo mondo delle relazioni — ha detto Alessandro Saba, vice president entertainment di Fox Italia —. Con il regista stiamo immaginando una serie tv che parta proprio da quel mondo e lo cali nella realta contemporanea. Una serie sull'accoglienza, sulla comunanza umanistica, sull'amicizia»
martedì 7 maggio 2019
lunedì 6 maggio 2019
NEWS - Clamoroso al Cibali! Stop all'esclusiva delle serie tv Warner e Universal su Premium, Sky pronta a metterci le mani: Mediaset sempre più fuori dalla lotta pay tv
News tratta da "Italia Oggi"
Iniziato il conto alla rovescia per Premium di Mediaset. Il 31 maggio, come è noto, si spegnerà il segnale degli otto canali tv ancora presenti nell'offerta a pagamento sul digitale terrestre. Gli abbonati, ormai scesi ben sotto quota 500 mila unità, avranno tempo fino al 31 giugno per disdire l'abbonamento senza penali. La disdetta si potrà effettuare attraverso raccomandata, telefonicamente o dall'area clienti del sito Premium. Chi non disdice, invece, vedrà l'offerta dei canali lineari Premium e dell'on demand di Premium Play traslocare sulla piattaforma di Infinity (quindi solo in streaming), e riceverà le credenziali per l'accesso alla nuova offerta «Premium su Infinity» di Mediaset entro la fine di maggio a un costo complessivo di 7,99 euro al mese. Dal 1° al 10 giugno gli abbonati avranno comunque a disposizione 10 giorni di prova gratuita di Infinity, per capire se l'offerta interessa e, soprattutto, se sono dotati di televisori smart o dispositivi connessi in grado di accedere a quella app. Dal 1° giugno termina anche la promozione che offriva l'abbonamento congiunto a Dazn a tutti gli abbonati Premium con smart tv che in passato erano stati anche clienti di Premium Calcio. Da giugno, quindi, sarà necessario un nuovo contratto per accedere ai contenuti di Dazn, che non saranno inclusi per chi sottoscriverà un contratto Premium su Infinity. C'è poi un discorso più ampio da fare sul senso editoriale dei canali Premium nei prossimi mesi: per anni hanno avuto in esclusiva tutti i contenuti Universal e Warner, con film e serie tv molto caratterizzanti. I contratti in esclusiva con le due major, tuttavia, non verranno rinnovati. E Universal, peraltro, è di proprietà di Comcast, ovvero il nuovo azionista di maggioranza di Sky. I canali Premium, quindi, nei prossimi mesi perderanno buona parte dei contenuti esclusivi, col rischio di risultare un po' troppo generici e indistinti. A Sky, perciò, potrebbero non interessare più sulla pregiata piattaforma satellitare (che ha già molti canali di film e serie tv), mentre potrebbero conservare Universal e Warner un appeal per l'offerta più scarna e a buon prezzo che Sky ha apparecchiato per il digitale terrestre. Perché un conto è avere i canali di Fox, che adesso appartengono a Disney e quindi danno contenuti che, altrimenti, Sky non avrebbe. Un conto è invece ospitare i canali di Premium che di esclusivo, ormai, non hanno molto. Il processo di disimpegno di Mediaset dalla pay tv è iniziato nell'agosto del 2018, quando sono stati chiusi i canali Premium Sport e Premium Calcio; dal 1° gennaio 2019 si è spento Studio Universal; lo scorso 28 febbraio sono stati rescissi i contratti con Discovery Italia per i due canali di Eurosport e ID-Investigation Discovery; e, come detto, non verranno rinnovati i contratti in esclusiva con Warner e Universal che consegnavano alla piattaforma pay di Mediaset tanto prodotto di qualità. I ricavi di Premium nel 2018 si sono fermati a 407,3 milioni di euro, con costi a quota 450,3 milioni, di cui 175,4 milioni di ammortamenti e svalutazioni. Il risultato operativo, quindi, è stato negativo per 43 milioni di euro. Con un rosso parzialmente ridotto, poi, grazie a proventi da partecipazioni (10 milioni) e da attività finanziarie (7,6 milioni), per una perdita finale di 24,4 milioni di euro.
News tratta da "Italia Oggi"
Iniziato il conto alla rovescia per Premium di Mediaset. Il 31 maggio, come è noto, si spegnerà il segnale degli otto canali tv ancora presenti nell'offerta a pagamento sul digitale terrestre. Gli abbonati, ormai scesi ben sotto quota 500 mila unità, avranno tempo fino al 31 giugno per disdire l'abbonamento senza penali. La disdetta si potrà effettuare attraverso raccomandata, telefonicamente o dall'area clienti del sito Premium. Chi non disdice, invece, vedrà l'offerta dei canali lineari Premium e dell'on demand di Premium Play traslocare sulla piattaforma di Infinity (quindi solo in streaming), e riceverà le credenziali per l'accesso alla nuova offerta «Premium su Infinity» di Mediaset entro la fine di maggio a un costo complessivo di 7,99 euro al mese. Dal 1° al 10 giugno gli abbonati avranno comunque a disposizione 10 giorni di prova gratuita di Infinity, per capire se l'offerta interessa e, soprattutto, se sono dotati di televisori smart o dispositivi connessi in grado di accedere a quella app. Dal 1° giugno termina anche la promozione che offriva l'abbonamento congiunto a Dazn a tutti gli abbonati Premium con smart tv che in passato erano stati anche clienti di Premium Calcio. Da giugno, quindi, sarà necessario un nuovo contratto per accedere ai contenuti di Dazn, che non saranno inclusi per chi sottoscriverà un contratto Premium su Infinity. C'è poi un discorso più ampio da fare sul senso editoriale dei canali Premium nei prossimi mesi: per anni hanno avuto in esclusiva tutti i contenuti Universal e Warner, con film e serie tv molto caratterizzanti. I contratti in esclusiva con le due major, tuttavia, non verranno rinnovati. E Universal, peraltro, è di proprietà di Comcast, ovvero il nuovo azionista di maggioranza di Sky. I canali Premium, quindi, nei prossimi mesi perderanno buona parte dei contenuti esclusivi, col rischio di risultare un po' troppo generici e indistinti. A Sky, perciò, potrebbero non interessare più sulla pregiata piattaforma satellitare (che ha già molti canali di film e serie tv), mentre potrebbero conservare Universal e Warner un appeal per l'offerta più scarna e a buon prezzo che Sky ha apparecchiato per il digitale terrestre. Perché un conto è avere i canali di Fox, che adesso appartengono a Disney e quindi danno contenuti che, altrimenti, Sky non avrebbe. Un conto è invece ospitare i canali di Premium che di esclusivo, ormai, non hanno molto. Il processo di disimpegno di Mediaset dalla pay tv è iniziato nell'agosto del 2018, quando sono stati chiusi i canali Premium Sport e Premium Calcio; dal 1° gennaio 2019 si è spento Studio Universal; lo scorso 28 febbraio sono stati rescissi i contratti con Discovery Italia per i due canali di Eurosport e ID-Investigation Discovery; e, come detto, non verranno rinnovati i contratti in esclusiva con Warner e Universal che consegnavano alla piattaforma pay di Mediaset tanto prodotto di qualità. I ricavi di Premium nel 2018 si sono fermati a 407,3 milioni di euro, con costi a quota 450,3 milioni, di cui 175,4 milioni di ammortamenti e svalutazioni. Il risultato operativo, quindi, è stato negativo per 43 milioni di euro. Con un rosso parzialmente ridotto, poi, grazie a proventi da partecipazioni (10 milioni) e da attività finanziarie (7,6 milioni), per una perdita finale di 24,4 milioni di euro.
venerdì 3 maggio 2019
SGUARDO FETISH - Achtung, compagni! Se non scopate è colpa di Netflix!
Articolo tratto da "Il Foglio"
Nell'imbarazzato tentativo di spiegarci, senza offendere nessuno, perché il sesso nelle vite adulte ondeggi tra l'ossessione e il sottoscala del nostro interesse, e nel bisogno di romanzare la pigrizia demografica e la prudenza procreativa, andiamo sempre alla ricerca di un soggetto esterno a cui addossare la responsabilità di quel che accade ai nostri desideri sopra i nostri divani. Quindi adesso ecco a voi il maggiore indiziato in colpevolezza da stanchezza erotica e da esagerato successo nel controllo delle nascite: Netflix. La comodità e anche l'appagamento offerto da serie tivù senza interruzioni pubblicitarie (pare che le interruzioni pubblicitarie incitino al movimento, al dialogo, al bicchiere di vino, a manovre di avvicinamento fra esseri umani liberi e consenzienti), e anche quel meraviglioso senso di quasi infinito offerto dalla possibilità di accedere alla puntata successiva senza più lo sconforto e l'eccitazione data dall'attesa, la soddisfazione insomma, la varietà di scelta, la concentrazione, la solitudine ma anche eventualmente la condivisione dello spettacolo con la persona giusta (o sbagliata, non importa) creano una tale catena di intimità e vitalità che poi ci si addormenta senza alcun senso di omissione. Oppure si corre a casa, carichi di buone intenzioni, ma alla frase: "Stasera finiamo la terza stagione di Chiami il mio agente!", non si può resistere, e ci sarà sempre un'altra sera, e ci sarà sempre una nuova puntata di qualcosa anche di vecchio, ci sarà un documentario su Osho che finalmente ci aprirà gli occhi su Osho, sempre con l'euforizzante consapevolezza che non c'è soltanto Netflix. Sono stata al cinema tre volte in questa settimana, compreso il giorno di Pasquetta con la solita pioggia fuori, sono arrivata quasi in ritardo con la paura di trovare solo i posti in prima fila che mi fanno venire il torcicollo, e ogni volta in sala non eravamo più di quindici, tutti seduti vicinissimi a causa dei posti assegnati dal computer, e ci guardavamo sospettosi: non saremo dei pericolosi maniaci? Il pensiero successivo è stato: ma dove sono finiti tutti? A casa, sdraiati da qualche parte con Netflix in vena e in totale castità, è la risposta che danno i sondaggisti del Wall Street Journal, sempre nel tentativo di scovare un colpevole. Dei cinema deserti, delle culle vuote, dell'insonnia. Del resto, l'amministratore delegato di Netflix ha detto che uno dei suoi principali concorrenti, nel desiderio di occupare ogni momento libero dei suoi centoquarantanove milioni di abbonati, è il sonno. Non ha parlato di sesso, non ha parlato di vita: sa che non si possono fare due cose contemporaneamente. E' un problema, questo, che riguarda da sempre soprattutto i maschi. I sondaggisti non si sono ancora occupati dei pericolosi sconvolgimenti famigliari, coniugali e sentimentali di quando salta il wifi. Quando il film si blocca. Quando scopri che si è bloccato non per il wifi ma perché la ex del tuo fidanzato ha ancora le password di Netflix e le sta offrendo in giro per vendicarsi. In quei casi estremi può succedere di tutto, sesso compreso, tutto tranne la disdetta dell'abbonamento, che verrà più probabilmente allargato ai quattro schermi in contemporanea. Utili anche in caso di divorzio senza spargimento di sangue.
Articolo tratto da "Il Foglio"
Nell'imbarazzato tentativo di spiegarci, senza offendere nessuno, perché il sesso nelle vite adulte ondeggi tra l'ossessione e il sottoscala del nostro interesse, e nel bisogno di romanzare la pigrizia demografica e la prudenza procreativa, andiamo sempre alla ricerca di un soggetto esterno a cui addossare la responsabilità di quel che accade ai nostri desideri sopra i nostri divani. Quindi adesso ecco a voi il maggiore indiziato in colpevolezza da stanchezza erotica e da esagerato successo nel controllo delle nascite: Netflix. La comodità e anche l'appagamento offerto da serie tivù senza interruzioni pubblicitarie (pare che le interruzioni pubblicitarie incitino al movimento, al dialogo, al bicchiere di vino, a manovre di avvicinamento fra esseri umani liberi e consenzienti), e anche quel meraviglioso senso di quasi infinito offerto dalla possibilità di accedere alla puntata successiva senza più lo sconforto e l'eccitazione data dall'attesa, la soddisfazione insomma, la varietà di scelta, la concentrazione, la solitudine ma anche eventualmente la condivisione dello spettacolo con la persona giusta (o sbagliata, non importa) creano una tale catena di intimità e vitalità che poi ci si addormenta senza alcun senso di omissione. Oppure si corre a casa, carichi di buone intenzioni, ma alla frase: "Stasera finiamo la terza stagione di Chiami il mio agente!", non si può resistere, e ci sarà sempre un'altra sera, e ci sarà sempre una nuova puntata di qualcosa anche di vecchio, ci sarà un documentario su Osho che finalmente ci aprirà gli occhi su Osho, sempre con l'euforizzante consapevolezza che non c'è soltanto Netflix. Sono stata al cinema tre volte in questa settimana, compreso il giorno di Pasquetta con la solita pioggia fuori, sono arrivata quasi in ritardo con la paura di trovare solo i posti in prima fila che mi fanno venire il torcicollo, e ogni volta in sala non eravamo più di quindici, tutti seduti vicinissimi a causa dei posti assegnati dal computer, e ci guardavamo sospettosi: non saremo dei pericolosi maniaci? Il pensiero successivo è stato: ma dove sono finiti tutti? A casa, sdraiati da qualche parte con Netflix in vena e in totale castità, è la risposta che danno i sondaggisti del Wall Street Journal, sempre nel tentativo di scovare un colpevole. Dei cinema deserti, delle culle vuote, dell'insonnia. Del resto, l'amministratore delegato di Netflix ha detto che uno dei suoi principali concorrenti, nel desiderio di occupare ogni momento libero dei suoi centoquarantanove milioni di abbonati, è il sonno. Non ha parlato di sesso, non ha parlato di vita: sa che non si possono fare due cose contemporaneamente. E' un problema, questo, che riguarda da sempre soprattutto i maschi. I sondaggisti non si sono ancora occupati dei pericolosi sconvolgimenti famigliari, coniugali e sentimentali di quando salta il wifi. Quando il film si blocca. Quando scopri che si è bloccato non per il wifi ma perché la ex del tuo fidanzato ha ancora le password di Netflix e le sta offrendo in giro per vendicarsi. In quei casi estremi può succedere di tutto, sesso compreso, tutto tranne la disdetta dell'abbonamento, che verrà più probabilmente allargato ai quattro schermi in contemporanea. Utili anche in caso di divorzio senza spargimento di sangue.
martedì 30 aprile 2019
NEWS - Er Pupone sul serial! Se HBO gira un telefilm su Belushi, Sky mette in cantiere una serie tv su Totti! (Adani guest star e Ilary Blasi nei panni di se stessa?)
News tratta da "La Gazzetta dello Sport"
Metti una sera a cena in una elegante casa del centro di Roma. Metti che ad un certo punto uno dei commensali si alzi, si metta al pianoforte e gli altri comincino a ridere (e non certo perché suoni male, anzi). Metti che dopo una serata del genere un progetto cominci a prendere forma più strutturata. Ecco, prendete tutti insieme questi elementi, shakerateli e avrete un'idea del magico mondo in cui ormai galleggiano Francesco Totti e sua moglie llary. L'anfitrione della serata, infatti, era Pietro Valsecchi, uno dei più celebri produttori internazionali e proprio per questo mentore di uno dei maggiori talenti del cinema italiano contemporaneo, cioè quel Luca Pasquale Medici, al secolo dell'intrattenimento meglio noto come Checco Zalone. E allora avete capito: al pianoforte quella sera c'era proprio lui. I1 piatto forte, però, deve ancora arrivare. Dopo una lunga trattativa, infatti, è virtualmente concluso l'acquisto dei diritti della fortunata autobiografia, «Un campione», edita da Rizzoli e scritta insieme a Paolo Condò. Partendo da questo libro, infatti, da mesi si sta pensando di strutturare un prodotto intorno alla vita dell'ex stella della Roma. Ad occuparsi dell'operazione sarà la Wildside, la casa di produzione fondata nel 2009, guidata da Lorenzo Mieli e Paolo Gianani. Ma naturalmente anche la famiglia Valsecchi sarà della partita, con Virginia, attrice e produttrice, oltre che figlia di Pietro, cioè il padrone di casa di quella splendida serata d'autunno in cui il progetto ha cominciato a prendere forma. In questi mesi, le ipotesi su come costruire il prodotto sono oscillate dalla serie tv al film vero e proprio, ma a essere vincente sembra proprio che sarà la prima ipotesi, con Sky partner dell'avventura. Dopo aver accarezzato l'idea di rivolgersi a più registi (come accadrà per la serie su Maradona, ad esempio), per la storia di Totti ci sarà un'unica mano dietro la macchina da presa, anche se tutte le scelte devono essere ancora fatte. A cominciare dal casting, naturalmente. Le prime indiscrezioni parlano di un protagonista principale — quello che impersonerà Totti — relativamente sconosciuto al grande pubblico, mentre nei ruoli secondari si vorrebbe invece attori celebri. Comunque è ancora tutto da definire. La cosa certa è che la Wildside — produttrice di celebri serie tv (da «The young Pope» a «In Treatment») — intende lanciare la sfida a uno dei luoghi comuni nel mondo del cinema (ormai anche domestico), ovvero che le opere che trattano anche di calcio non sempre hanno successo. Totti, però, potrebbe essere speciale anche in questo. E chissà che tra Pallone d'Oro e Oscar, in fondo, non ci sia poi un'enorme differenza.
News tratta da "La Gazzetta dello Sport"
Metti una sera a cena in una elegante casa del centro di Roma. Metti che ad un certo punto uno dei commensali si alzi, si metta al pianoforte e gli altri comincino a ridere (e non certo perché suoni male, anzi). Metti che dopo una serata del genere un progetto cominci a prendere forma più strutturata. Ecco, prendete tutti insieme questi elementi, shakerateli e avrete un'idea del magico mondo in cui ormai galleggiano Francesco Totti e sua moglie llary. L'anfitrione della serata, infatti, era Pietro Valsecchi, uno dei più celebri produttori internazionali e proprio per questo mentore di uno dei maggiori talenti del cinema italiano contemporaneo, cioè quel Luca Pasquale Medici, al secolo dell'intrattenimento meglio noto come Checco Zalone. E allora avete capito: al pianoforte quella sera c'era proprio lui. I1 piatto forte, però, deve ancora arrivare. Dopo una lunga trattativa, infatti, è virtualmente concluso l'acquisto dei diritti della fortunata autobiografia, «Un campione», edita da Rizzoli e scritta insieme a Paolo Condò. Partendo da questo libro, infatti, da mesi si sta pensando di strutturare un prodotto intorno alla vita dell'ex stella della Roma. Ad occuparsi dell'operazione sarà la Wildside, la casa di produzione fondata nel 2009, guidata da Lorenzo Mieli e Paolo Gianani. Ma naturalmente anche la famiglia Valsecchi sarà della partita, con Virginia, attrice e produttrice, oltre che figlia di Pietro, cioè il padrone di casa di quella splendida serata d'autunno in cui il progetto ha cominciato a prendere forma. In questi mesi, le ipotesi su come costruire il prodotto sono oscillate dalla serie tv al film vero e proprio, ma a essere vincente sembra proprio che sarà la prima ipotesi, con Sky partner dell'avventura. Dopo aver accarezzato l'idea di rivolgersi a più registi (come accadrà per la serie su Maradona, ad esempio), per la storia di Totti ci sarà un'unica mano dietro la macchina da presa, anche se tutte le scelte devono essere ancora fatte. A cominciare dal casting, naturalmente. Le prime indiscrezioni parlano di un protagonista principale — quello che impersonerà Totti — relativamente sconosciuto al grande pubblico, mentre nei ruoli secondari si vorrebbe invece attori celebri. Comunque è ancora tutto da definire. La cosa certa è che la Wildside — produttrice di celebri serie tv (da «The young Pope» a «In Treatment») — intende lanciare la sfida a uno dei luoghi comuni nel mondo del cinema (ormai anche domestico), ovvero che le opere che trattano anche di calcio non sempre hanno successo. Totti, però, potrebbe essere speciale anche in questo. E chissà che tra Pallone d'Oro e Oscar, in fondo, non ci sia poi un'enorme differenza.
lunedì 29 aprile 2019
NEWS - Clamoroso al Cibali! La vita di John Belushi diventa una serie tv di HBO
News tratta da "La Repubblica"
Scervellato, sferico attore comico, noto per le sue imitazioni al Saturday Night Live, trovato senza vita in un bungalow a Hollywood". Così un trafiletto del New York Times, del 6 marzo 1982, dava notizia della morte di John Belushi, il comedian nascosto dietro gli occhiali spessi Ray Ban Wayfarer, divisa black, felpa da college, bottiglia di liquore di fichi in mano; l'attore che ha steso il mondo dalle risate con i film Animal House (1978) e The Blues Brothers (1980). Un libro, The Castle on Sunset, scritto dallo storico di cinema Shawn Levy e in uscita a maggio, cerca di far luce sugli ultimi giorni di Belushi allo Chateau Marmont, l'hotel anni Venti che ha ospitato su un'altura di Sunset Boulevard i divi James Dean e Marilyn Monroe. E ci ha restituito l'extra-corpo di Belushi impasticcato fmo alla morte. Overdose da eroina e cocaina, dirà il medico legale di Los Angeles County, mettendo un punto a giorni di speculazioni. Aveva 33 anni. Le ultime persone ad averlo visto furono Robert De Niro, Robin Williams e una donna di nome Cathy Evelyn Smith, colpevole di omicidio involontario. Ha iniettato lei la dose letale. Da un estratto di The Castle on Sunset ottenuto da Hollywood Reporter, a far discutere è il racconto di una notte piena zeppa di coca, poche ore prima della morte di Belushi, tra il comedian e i suoi amici De Niro e Williams. Il comico si era ritirato nel suo bungalow privato, il numero 3, a partire dal 28 febbraio. Voleva mettere un muro tra sé e i dietrologi, così non lo avrebbero infastidito mentre cercava di risalire la china dopo i flop degli ultimi anni. Il film che sognava di fare era Noble Rot, una commedia romantica su una rapina ambientata nei primi anni dell'industria del vino in California. Né il manager, Bernie Brillstein, né Paramount Pictures sembravano entusiasti. Michael Eisner, l'ex boss della Paramount, un giorno si presentò allo Chateau per dirgli di lasciar perdere e pensare a un adattamento di The Joy of Sex, ultima occasione con una major. Depresso, trasandato, ingestibile: John Belushi, il pomeriggio del 4 marzo, chiamò De Niro per far festa. Cocaina sparsa sul tavolo, tonnellate di scatole di pizza, chiazze di cafre, ritagli, immondizia e bottiglie di vino inacidito. De Niro e Robin Williams torneranno in quel posto verso le 3 del mattino per tirare un po' di coca. A mezzogiorno del 5 marzo, Belushi viene trovato privo di conoscenza dalla guardia del corpo, Bill Wallace. "La scena non solo era triste, era depravata" dirà il manager. "Non potevo credere che John avesse vissuto lì". "Dov'è John?" strilla l'indomani De Niro, al telefono con il manager dell'hotel. Riattaccherà in lacrime. La vedova e gli amici di John Belushi avevano già attaccato il volume del giornalista del Washington Post, Bob Woodward (co-autore degli articoli che portarono allo scandalo Watergate), Wired, uscito due anni dopo la morte. Con i retroscena di The Castle on Sunset e Belushi descritto da Levy come "un fallimento, uno spreco, sudato, ciccione, pingue", la polemica si riaccende. Hollywood ha già messo gli occhi sul libro: diventerà una serie HBO per mano di John Krasinski, la star della sitcom The Office che da sempre dice di dover tutto a John Belushi.
News tratta da "La Repubblica"
Scervellato, sferico attore comico, noto per le sue imitazioni al Saturday Night Live, trovato senza vita in un bungalow a Hollywood". Così un trafiletto del New York Times, del 6 marzo 1982, dava notizia della morte di John Belushi, il comedian nascosto dietro gli occhiali spessi Ray Ban Wayfarer, divisa black, felpa da college, bottiglia di liquore di fichi in mano; l'attore che ha steso il mondo dalle risate con i film Animal House (1978) e The Blues Brothers (1980). Un libro, The Castle on Sunset, scritto dallo storico di cinema Shawn Levy e in uscita a maggio, cerca di far luce sugli ultimi giorni di Belushi allo Chateau Marmont, l'hotel anni Venti che ha ospitato su un'altura di Sunset Boulevard i divi James Dean e Marilyn Monroe. E ci ha restituito l'extra-corpo di Belushi impasticcato fmo alla morte. Overdose da eroina e cocaina, dirà il medico legale di Los Angeles County, mettendo un punto a giorni di speculazioni. Aveva 33 anni. Le ultime persone ad averlo visto furono Robert De Niro, Robin Williams e una donna di nome Cathy Evelyn Smith, colpevole di omicidio involontario. Ha iniettato lei la dose letale. Da un estratto di The Castle on Sunset ottenuto da Hollywood Reporter, a far discutere è il racconto di una notte piena zeppa di coca, poche ore prima della morte di Belushi, tra il comedian e i suoi amici De Niro e Williams. Il comico si era ritirato nel suo bungalow privato, il numero 3, a partire dal 28 febbraio. Voleva mettere un muro tra sé e i dietrologi, così non lo avrebbero infastidito mentre cercava di risalire la china dopo i flop degli ultimi anni. Il film che sognava di fare era Noble Rot, una commedia romantica su una rapina ambientata nei primi anni dell'industria del vino in California. Né il manager, Bernie Brillstein, né Paramount Pictures sembravano entusiasti. Michael Eisner, l'ex boss della Paramount, un giorno si presentò allo Chateau per dirgli di lasciar perdere e pensare a un adattamento di The Joy of Sex, ultima occasione con una major. Depresso, trasandato, ingestibile: John Belushi, il pomeriggio del 4 marzo, chiamò De Niro per far festa. Cocaina sparsa sul tavolo, tonnellate di scatole di pizza, chiazze di cafre, ritagli, immondizia e bottiglie di vino inacidito. De Niro e Robin Williams torneranno in quel posto verso le 3 del mattino per tirare un po' di coca. A mezzogiorno del 5 marzo, Belushi viene trovato privo di conoscenza dalla guardia del corpo, Bill Wallace. "La scena non solo era triste, era depravata" dirà il manager. "Non potevo credere che John avesse vissuto lì". "Dov'è John?" strilla l'indomani De Niro, al telefono con il manager dell'hotel. Riattaccherà in lacrime. La vedova e gli amici di John Belushi avevano già attaccato il volume del giornalista del Washington Post, Bob Woodward (co-autore degli articoli che portarono allo scandalo Watergate), Wired, uscito due anni dopo la morte. Con i retroscena di The Castle on Sunset e Belushi descritto da Levy come "un fallimento, uno spreco, sudato, ciccione, pingue", la polemica si riaccende. Hollywood ha già messo gli occhi sul libro: diventerà una serie HBO per mano di John Krasinski, la star della sitcom The Office che da sempre dice di dover tutto a John Belushi.
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