martedì 24 luglio 2018

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

LIBERO
Se la Rai osa d'estate con "The Good Doctor"...
"Prima ancora che good doctor è una good fiction. O almeno è un buon dottore, perché prova a curare la nostra tv da tanto, troppo tempo malata. La serie televisiva The Good Doctor, ieri in onda in prima assoluta su Rai Uno, arriva come una ventata di aria fresca in una programmazione del servizio pubblico paludata, ferma al palo, soprattutto d'estate, quando si accontenta dei Techetechetè. Stavolta la Rai ha avuto il coraggio di osare, non con le trite e tristi fiction nostrane, ma con un progetto dal respiro internazionale, nato per la prima volta in Corea nel 2013, poi ripreso e adattato a un pubblico globale nel 2017 negli Stati Uniti grazie al fiuto di David Shore, l'ideatore di Dr. House, e infine approdato nel nostro Paese, con tutti i crismi del predestinato. Negli Usa la serie tv, trasmessa su Abc, ha avuto un successo clamoroso, oltre 19 milioni di spettatori nell'episodio pilota, una media superiore ai 15 per tutti i 18 episodi. La forza di questa serie sta nel racconto, nella pregiatissima scrittura degli sceneggiatori, oltre che nella qualità degli attori e nell'efficacia del girato. E sta soprattutto nel messaggio che veicola, nella concretezza e nel valore simbolico della trama. La storia è incentrata sul personaggio di Shaun Murphy, interpretato dal bravo Freddie Highmore, un giovane chirurgo autistico con la sindrome del savant: la stessa patologia del protagonista del film Rain Man, che compensa disturbi cognitivi con qualità fuori dalla norma in alcuni ambiti. Nel primo episodio Shaun lascia il suo paese nado nel Wyoming e si trasferisce a San Jose, nel dipartimento di chirurgia del St. Bonaventure Hospital. Dove, nonostante le difficoltà di comunicazione e i problemi comportamentali, si mette in luce per le sue doti, che gli consentono di risolvere con intuizioni brillanti casi medici molto delicati. Si compie qui lo scarto rispetto al tradizionale rapporto medico-paziente: è proprio il «malato» Shaun a essere buon dottore, anzi il miglior dottore. La sua «intelligenza spaziale» coincide col suo essere diversamente sano: «Essere differente», recita il claim della serie, «può fare la differenza». E si badi all'uso non politicamente corretto del termine: perché gli autori, usando la parola «diverso», hanno l'intelligenza di connotarla come segno di contraddizione, rifiuto dei canoni usuali, capacità di andare controcorrente. Essere autistici, a volte, può significare essere geniali anticonformisti...Probabilmente però il merito principale della serie sta nel suo impatto emotivo dirompente, nel suo restituire carica sentimentale alle parole e alle immagini, nel rivolgersi all'anima dello spettatore e non solo alla sua testa, anche grazie a una colonna sonora da brividi, tale da commuoverlo. Suscita pathos e pietas, questa narrazione, facendoci sentire compartecipi del dramma umano che vi si consuma. E questo perché celebra la bellezza della vita in ogni suo stato e forma: la vita del giovane Shaun, che sembrava da buttare via per la sua sindrome e invece si rivela fonte di ricchezza, e le vite dei tanti uomini e donne che lui cura, le vite precarie o terminali a cui lui offre una speranza perché «il nostro compito è salvare la vita della gente». E un po' salva anche la nostra, questa serie, facendoci sentire appena migliori, alla fine dello show, rispetto a quando ci eravamo messi davanti alla tv".  (Gianluca Veneziani)

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