lunedì 7 agosto 2017

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
La complessità delle serie tv spiegata in un manuale (prolisso)
"La complessità narrativa è ormai talmente diffusa e popolare che potremmo considerare quel periodo che va dagli anni Novanta fino a oggi come l'era della televisione complessa. La complessità non ha sostituito le forme convenzionali della maggior parte dei programmi televisivi: a tutt'oggi vanno in onda molte più sitcom e serie convenzionali che narrazioni complesse, per non parlare dei tanti generi di non-fiction e semi-fiction di successo come i reality, i telegiornali satirici e i programmi di lifestyle, che a tutt'oggi sono anzi tra i più diffusi». Alla serialità americana mancava una definizione che in qualche modo la legittimasse all'interno della comunità scientifica (sempre così autoreferenziale), dei media studies e dei cultural studies. Complex Tv. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie tv di Jason Mittel è stato pubblicato da Minimun Fax, a cura di Fabio Guarnaccia e Luca Barra: dalla rivoluzione apportata dai Soprano al successo irripetibile di Lost, dalla struttura comica complessa di Arrested Development e How I Met Your Mother fino alla radicale trasformazione di Walter White in Breaking Bad, lo storytelling televisivo è profondamente cambiato, grazie a novità tecnologiche, produttive e di ricezione. Spesso per nobilitare questa tv, si fa un abuso di paragoni letterari o cinematografici. La parte più interessante del lavoro di Mittel è proprio questa: analizzare il mezzo televisivo in sé, piuttosto che cercare di legittimarlo attraverso similitudini cross-mediali. «È cambiato il modo in cui — scrive Mittel — gli spettatori guardano la serie, così come sono cambiate la produzione e la distribuzione, e tutto ciò ha portato a una nuova forma di storytelling che io ho definito complex tv, tv complessa». Il libro spiega il fenomeno addentrandosi nei dettagli. Con un linguaggio un po' troppo accademico. In 300 pagine si poteva dire meglio quello che l'autore dice in 600". (Aldo Grasso)

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