CORRIERE DELLA SERA
Con "Narcos" il gangster-movie diventa serial
"Netflix è
sbarcato in Italia da poche settimane e ha già avuto il merito di
portarci la serie più interessante di questo periodo, «Narcos», una
produzione originale della piattaforma americana che si inserisce in una
proposta ormai varia e ricca di titoli inediti (come anche
«Bloodline»). Siamo in Colombia, tra gli anni 70 e 80:
Pablo Escobar sta costruendo le fondamenta del suo impero milionario
sul narcotraffico, produzione e distribuzione di cocaina tra Sud America
e Usa. Mentre viene braccato da autorità colombiane e squadre speciali
di «gringos», agenti Usa, si lascia alle spalle una poderosa scia di
sangue (il numero di morti di quel periodo fa pensare a una vera e
propria guerra civile). Escobar non è stato solo un trafficante, ma una
figura di criminale diventata leggendaria, al centro di una mitologia
costruita sulla dismisura di denaro, che la serie esibisce di continuo, e
sull’uso spietato della violenza, oltre che su alcuni contraddittorii
ideali da Robin Hood. «Narcos» racconta la sua storia,
dai primi passi come piccolo contrabbandiere a ricercato capace di
imporre le sue regole ai fragili governi colombiani. Lo fa con uno stile
che raccoglie e rilancia le migliori tendenze del racconto
contemporaneo. La serie è pervasa da una forte vena documentaristica che
traspare nell’accuratezza della ricostruzione del periodo, nella piena
aderenza alla realtà dei fatti (spesso si utilizzano immagini e altre
fonti originali), trasformati in narrazione senza virarli in melodramma.
Pablo ha la statura dell’eroe negativo ma a differenza di quanto
avviene in altre serie con lui non si empatizza: vediamo la sua umanità
con la famiglia ma non gli vengono mai fatti sconti narrativi, non c’è
indulgenza. Anzi proprio il contrasto tra persona pubblica e privata lo rende più imperdonabile. Grazie all’ibridazione con i codici del documentario, «Narcos» porta il gangster movie a un livello più raffinato e complesso". (Aldo Grasso, 21.11.2015)
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