NEWS - Dacci oggi il nostro Netflix quotidiano! Anche la sciovinista Francia apre allo streaming. Italia ormai fanalino di coda, manco Renzi Underwood si dà una mossa...(ma negli altri Paesi non c'è l'impreciso Auditel...)
Articolo di Alberto Brambilla su "Il Foglio"
"Le serie televisive sono una mercanzia preziosa, dal valore immenso,
Netflix l’ha capito da anni e ora le usa come “leva” per conquistare
nuovi mercati. In queste settimane il colosso americano della
televisione via internet procederà con l’operazione di espansione
internazionale più grande mai tentata da una singola compagnia di
streaming video, con l’ambizione di raggiungere più di 180 milioni di
famiglie europee. Netflix, già presente in nord
Europa, vuole offrire agli utenti di Germania, Austria, Svizzera, Belgio
e Lussemburgo l’osannata “House of Cards” e la nuova serie carceraria
tutta femminile “Orange is the new Black” che ha co-prodotto. Oltre a
altre fiction molto amate negli Stati Uniti di cui possiede i diritti –
dai nerd di “The big bang theory” ai mostri di “Penny Dreadful” – più la
cineteca virtuale di film e documentari (da vedere su tv, computer,
tablet, smartphone e console per videogiochi).
Nata
nel 1997 in California come start up di servizi di dvd a noleggio,
Netflix dal 2008 s’è tuffata nello streaming sul web. Ora conta oltre 50
milioni di utenti globali e macina 71 milioni di dollari di profitti,
in crescita del 141 per cento rispetto al 2013.
L’offerta
di fiction è la sua forza. Le serie sono i programmi più visti e grazie
alla possibilità di godersele quando si vuole (on demand), gli
appassionati – spesso divoratori bulimici di puntate – possono fare
grosse scorpacciate anziché aspettare settimane per gustare un nuovo
episodio, come ha scritto Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi,
attribuendo a Netflix la forza dirompente di “terremoto” nel mercato
televisivo europeo.
Paragone azzeccato a giudicare
dal fragore prodotto dall’annuncio, arrivato lunedì, dello sbarco di
Netflix in Francia (grazie all’alleanza con la compagnia telefonica
Bouygues Telecom). Mugugna Vivendi, concorrente con la pay tv Canal
plus. Ma si lagnano anche alcuni esponenti governativi che già
preventivano danni per l’industria cinematografica nazionale.
Protezionismo culturale – già visto con la minaccia francese di porre il
veto al trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti – che
Netflix promette di superare.
Come?
Con la produzione della fiction “Marsiglia”, un intrigo politico stile
“House of Cards” in salsa francese, e un cartoon ideato da uno studio
locale. Il pensiero del presidente Reed Hastings è lineare: cari
francesi vogliamo conquistare un terzo delle vostre famiglie ma prima ci
costruiamo una reputazione. Netflix non è l’unico operatore della rete
che produce anche contenuti, lo fanno ad esempio Time Warner, Tivo,
Google e Amazon.
Avere un “filo diretto” con il
cliente-abbonato e conoscere i suoi gusti è un vantaggio decisivo
rispetto ai broadcaster tradizionali che producono fiction, dice
Francesco Sacco, esperto di innovazione e docente dell’Università
Bocconi. “La differenza rispetto ai broadcaster tv, come Mediaset e Rai
in Italia, è la conoscenza pressoché assoluta dei gusti del pubblico cui
è possibile associare il profiling sociodemografico dell’utente (luogo,
componenti famigliari, reddito) sul quale poi tarare non soltanto
l’offerta ma soprattutto i contenuti da produrre”.
Sapere
cosa piace con certezza (quasi) matematica in base alle “visioni”
effettuate – mica imprecisi e tardivi dati Auditel – permette di
studiare trame azzeccate o aggiustare in corsa serie già lanciate, e
soprattutto decidere quanto investire su un soggetto (quasi) a colpo
sicuro. Prima i network televisivi facevano un lavoro artigianale, di
cesello, producendo le cosidette “puntate pilota” (dei test per saggiare
l’accoglienza del pubblico) e il costo levitava facilmente visto lo
stile hollywoodiano di una serie con decine di puntate.
L’episodio
pilota di “Lost” – l’inizio dell’avventura dei naufraghi – è costato
più di 10 milioni di dollari nel 2004, un record. “Lost” è stata un
successo planetario per la gioia della Abc (un Golden Globe e tre Emmy).
Ma non è sempre così: i flop di serie minori, passati in sordina,
abbondano. E’ un gioco in cui chi prende meglio la mira vince. E chi
vince può prendersi il meglio, magari assumendo un cast stellare. E’
comune vedere star hollywoodiane cimentarsi nelle lunghe storie offerte
dalle fiction convinte dalla sfida artistica e dal richiamo dei soldi.
Dai
premi Oscar Kevin Spacey (machiavellico dominus di “House of Cards”,
ora pagato 500 mila dollari a episodio) e Jeremy Irons (Papa Alessandro
IV ne “I Borgia” nonché l’attore più danaroso di Hollywood, secondo la
rivista “People With Money’s”) fino alla star dello spionistico
“Homeland”, Claire Danes, che ha raddoppiato il suo cachet dopo la prima
stagione. Anche questo fa delle serie tv una “merce” ambita da molti.
venerdì 19 settembre 2014
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3 commenti:
va bhe, ma sparare sull'Auditel è come sparare sulla Croce rossa, è l'istituzione che va bene a tutti, Rai, Mediaset, Sky...
Netflix è una rivoluzione che il nostro paese non è pronto a ricevere, scardinare l'Auditel, in un momento di patti incrociati, è impossibile. Punto.
Aggiungo poi che se mai arrivasse netflix, Sky stessa non avrebbe ragione di esistere (a che servirebbe il tanto celebrato mySky?), oltre che i canali di Mediaset premium ovviamente...
Pensateci
comunque bello sto blog, qualcosa di diverso (l'ho scoperto ieri notte e ci ho passato un'oretta e mezza tra notiziole divertenti e altre al limite del sulfureo, ma cmq interessanti)
se avete bisogno di collaboratori, io ci sono e nel caso vi mando email in pvt.
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