Articolo di Massimo Mucchetti sul "Corriere della Sera"
"C'è qualcosa di non detto nell' assedio a Franco Bernabè avviato dal suo sponsor pentito, Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, e contrastato dalla spagnola Telefonica. Qualcosa che ha a che fare non tanto con la materia dichiarata, i risultati di Telecom Italia, quanto con il destino stesso dell' azienda, la modernizzazione del Paese e gli interessi di chi - Mediaset? Murdoch? Rai? - potrebbe usare da subito le nuove autostrade della comunicazione. Parlando al Foglio, il viceministro allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, Paolo Romani, ha imputato a Telecom uno scarso patriottismo. Bernabè nicchia davanti alla sua proposta di mettere l' infrastruttura, dove oggi passa il doppino di rame, a disposizione di una nuova società che poserebbe la fibra ottica e la porterebbe fin dentro le case e gli uffici per dare all' Italia la banda ultralarga. Epigono di quell' Angelo Rovati che aveva battuto le stesse piste (a proposito, dove sono finiti i tanti che tanto si scandalizzarono per l' interventismo del governo Prodi?), il viceministro detta l' azionariato della società della rete: Telecom, la Cassa depositi e prestiti, i grandi protagonisti, ovvero i concorrenti Fastweb, Vodafone e Wind, le Poste e forse qualche utilizzatore finale. La Cdp, aggiunge, presterebbe i 6-10 miliardi che servono. L' idea della società della rete risale alla primavera del 2006. Aveva due obiettivi: a) aumentare la concorrenza nel presupposto che, come certificavano le frequenti contestazioni dell'Agcom e dell' Antitrust, Telecom approfittasse del controllo della rete; b) creare un soggetto con le caratteristiche della public utility, capace di investire e di portare meglio il debito, mentre la casa madre avrebbe potuto concentrarsi sui servizi a valore aggiunto. Nei tre anni seguenti lo scenario è cambiato. Telecom ha cessato di essere la bestia nera del regolatore. Ha inserito la rete nel sistema Open Access, soluzione benedetta con entusiasmo dall' Autorità. I servizi a valore aggiunto non sono più il nuovo affare dei vecchi «telefonisti», ma l' offerta postmoderna, e spesso gratuita, di milioni di applicatori sparsi nei cinque continenti. Le compagnie telefoniche stanno riscoprendo ovunque il ruolo di carrier, di gestore dell' infrastruttura. Al massimo, se dotate di adeguata dimensione (centinaia di milioni di clienti, non poche decine di milioni come nel caso di Telecom Italia), offriranno servizi di rete e piattaforme d' accesso nelle quali i fornitori di servizi incontrano i clienti gestiti dalla compagnia telefonica. Separare la rete dai servizi, dunque, interessa sempre meno a Telecom Italia, che giudica non remunerativo al momento un vasto impegno sulle reti di nuova generazione, e sempre più ad altri soggetti. Come insegna l'esperienza pilota del Giappone, la banda ultralarga serve in prima battuta alla televisione. A regime può trasformare lo stile di vita di un popolo, ma negli anni d'esordio cambia soprattutto il modo di diffondere i programmi televisivi e il rapporto delle tv con gli spettatori, e dunque con gli inserzionisti pubblicitari. Di qui le nuove preoccupazioni di Mediaset. Qualche anno fa, il Biscione temeva che quei colossi pieni di soldi e, si credeva, di uno smagliante futuro, potessero diversificare nel piccolo schermo e rompere il duopolio perfetto Rai-Mediaset. Non a caso la legge Gasparri rende l' ipotetico ingresso delle telecomunicazioni nella tv più difficile del viceversa. Adesso, fa paura la piattaforma dell' Iptv, la tv su protocollo Internet. Se messa a disposizione di tutte le emittenti disposte a pagare il passaggio, potrebbe liberalizzare la competizione con la Rai e soprattutto con Sky, oggi ingessata dai decoder proprietari nello stanco conflitto tra satellite e digitale terrestre. Di più, l' interattività dell'Iptv consente al gestore della rete di profilare lo spettatore molto più di quanto non possa fare la tv e quindi di offrire un servizio di rete che darebbe al gestore medesimo non solo una quota dei profitti dell' emittente tv ma anche il controllo del cliente. Per Mediaset, un conto sarebbe trattare con una Telecom interessata ad aprire a tutti, ben altro conto aver a che fare con una società della rete influenzabile. Telecom-Mediaset non si è mai fatta perché la fusione non aveva senso industriale e perché avrebbe comportato un' eccessiva diluizione della Fininvest (oggi avrebbe il 16% dell' entità combinata). In una società della rete che avesse, poniamo, un valore di 10-13 miliardi, coperto per 10 da debito e per 3 da capitale, una partecipazione del 5-10%, a garanzia che Murdoch sia lasciato fuori, costerebbe abbastanza poco e lascerebbe Mediaset con l' azionariato attuale. Ma forse, in un' Italia dove la Rai muove guerra in perdita a Sky, non pare indispensabile l' impegno diretto: basterebbe la presenza della Cdp, controllata dal governo presieduto dall' uomo che tiene al guinzaglio il Biscione".
2 commenti:
interessante
troppi interessi: ne vanno di mezzo i telespettatori e la programmazione schizzoide
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