Articolo di Chiara Maffioletti
Gli ospedali non piacciono. Almeno in tv. E almeno quelli italiani. Eppure l'offerta di fiction mediche prodotte in Italia non è mai stata più rigogliosa. Passando dalla commedia al dramma, si è raccontato di medici eroi e di «macellai», vagando dai reparti di neonatologia agli obitori. Una sola comune: scarsa, scarsissima fortuna in termini di ascolti. In certi casi una catastrofe. Ed è così che in breve tempo importanti investimenti sono andati persi, inesorabilmente falciati dalla mannaia dell'Auditel che ha costretto le reti (Rai e Mediaset) a caramboleschi cambi di palinsesto e a improvvise variazioni di canale e di orario. Oppure alla chiusura. In un solo mese, le fiction ospedaliere sospese sono state tre. Tutte e tre nuove produzioni. Il 24 ottobre l'ultima interruzione: «Terapia d'urgenza». «Si ritiene - spiegava la nota di Raidue - che il prodotto abbia reso molto meno delle sue potenzialità ». Che tradotto, significa otto puntate trasmesse sulle diciotto previste, con una media tra il 6 e il 7% di share, scesa al 5.83% dell'ultimo episodio.
Anna Mittone, la sceneggiatrice, ammette la débâcle: «Abbiamo cercato di discostarci dal melò-tragico stile "Capri", cercando di fare un passo verso prodotti più autoriali. Ma il pubblico adulto ama lo stile di Raiuno e quello più giovane si è raffinato». Quindi, un coraggioso mea culpa: «Siamo lontani dalla fiction americana. Poi, con la crisi, la gente è meno disposta ad incupirsi. Una signora mi ha detto: già assisto mia suocera malata, non voglio ritrovarmi in ospedale anche guardando la tv». Non ha avuto miglior sorte «Crimini bianchi». La fiction sulla malasanità prodotta da Taodue con protagonista Daniele Pecci è andata in onda a fine settembre su Canale 5. A metà ottobre era stata spostata su Italia 1. Poco dopo, definitivamente sospesa. «Il nostro era un prodotto di altissima qualità - commenta Dante Palladino, l'autore - ma non ha pagato. Questi risultati fanno riflettere: sono lo specchio di un Paese che non vuole pensare. O forse, dalla fiction ci si aspetta altro ». Fa sportivamente autocritica anche il produttore, Pietro Valsecchi: «È stato un flop pazzesco e me ne assumo le responsabilità. Ci sono stati dei problemi di comunicazione e di presunzione: eravamo troppo convinti che sarebbe stato un successo. È passato il messaggio che la fiction fosse contro i medici quando è vero il contrario. Se va tutto male, servono rassicurazioni. Bisogna tornare ad una tv di grandi sentimenti». Insomma, il teorema di Confalonieri, quello secondo cui la gente in tempo di crisi ha bisogno di prodotti ottimisti, è largamente condiviso. Ma ha una falla: neanche la sitcom funziona se ambientata in un ospedale (italiano). Di «Medici miei», fiction con Enzo Iacchetti e Giobbe Covatta e prodotta da Mediaset, sono state trasmesse solo tre puntate. Era seguito un duro scontro verbale tra Iacchetti e Tiraboschi. Passate le settimane, la rabbia di Iacchetti è immutata: «Mi spiace tantissimo perché la serie non ha avuto modo di emergere ed è stata fatta volutamente andare male. Era un tentativo di innovazione, tanto che dopo la prima puntata avevo ricevuto i complimenti da quello stesso direttore che poi, alla terza, ha detto ciò che ha detto. Mi sembra ci sia qualcosa di losco». Ma scorrendo l' elenco delle ultime serie mediche italiane, il triste copione della disfatta è tutt' altro che infrequente: «Nati ieri» è stata sospesa nel 2007 da Canale 5; «Medicina Generale», andata in onda su Raiuno a febbraio 2007, con una media vicina al 22%, fu sospesa e ritrasmessa lo scorso maggio, scendendo sotto il 17%. Nel frattempo, la criptica scelta della Rai di avviare la produzione della seconda serie. Pare lecito parlare di accanimento terapeutico. Ma non si spiega il successo duraturo delle molte serie tv mediche «d' importazione»: da «E.R.», alla 15esima edizione, a «Doctor House» alla quinta come «Grey' s Anathomy» e «Nip/Tuck». E poi ancora «Scrubs», all' ottava. Non si spiega. O forse sì?
Anna Mittone, la sceneggiatrice, ammette la débâcle: «Abbiamo cercato di discostarci dal melò-tragico stile "Capri", cercando di fare un passo verso prodotti più autoriali. Ma il pubblico adulto ama lo stile di Raiuno e quello più giovane si è raffinato». Quindi, un coraggioso mea culpa: «Siamo lontani dalla fiction americana. Poi, con la crisi, la gente è meno disposta ad incupirsi. Una signora mi ha detto: già assisto mia suocera malata, non voglio ritrovarmi in ospedale anche guardando la tv». Non ha avuto miglior sorte «Crimini bianchi». La fiction sulla malasanità prodotta da Taodue con protagonista Daniele Pecci è andata in onda a fine settembre su Canale 5. A metà ottobre era stata spostata su Italia 1. Poco dopo, definitivamente sospesa. «Il nostro era un prodotto di altissima qualità - commenta Dante Palladino, l'autore - ma non ha pagato. Questi risultati fanno riflettere: sono lo specchio di un Paese che non vuole pensare. O forse, dalla fiction ci si aspetta altro ». Fa sportivamente autocritica anche il produttore, Pietro Valsecchi: «È stato un flop pazzesco e me ne assumo le responsabilità. Ci sono stati dei problemi di comunicazione e di presunzione: eravamo troppo convinti che sarebbe stato un successo. È passato il messaggio che la fiction fosse contro i medici quando è vero il contrario. Se va tutto male, servono rassicurazioni. Bisogna tornare ad una tv di grandi sentimenti». Insomma, il teorema di Confalonieri, quello secondo cui la gente in tempo di crisi ha bisogno di prodotti ottimisti, è largamente condiviso. Ma ha una falla: neanche la sitcom funziona se ambientata in un ospedale (italiano). Di «Medici miei», fiction con Enzo Iacchetti e Giobbe Covatta e prodotta da Mediaset, sono state trasmesse solo tre puntate. Era seguito un duro scontro verbale tra Iacchetti e Tiraboschi. Passate le settimane, la rabbia di Iacchetti è immutata: «Mi spiace tantissimo perché la serie non ha avuto modo di emergere ed è stata fatta volutamente andare male. Era un tentativo di innovazione, tanto che dopo la prima puntata avevo ricevuto i complimenti da quello stesso direttore che poi, alla terza, ha detto ciò che ha detto. Mi sembra ci sia qualcosa di losco». Ma scorrendo l' elenco delle ultime serie mediche italiane, il triste copione della disfatta è tutt' altro che infrequente: «Nati ieri» è stata sospesa nel 2007 da Canale 5; «Medicina Generale», andata in onda su Raiuno a febbraio 2007, con una media vicina al 22%, fu sospesa e ritrasmessa lo scorso maggio, scendendo sotto il 17%. Nel frattempo, la criptica scelta della Rai di avviare la produzione della seconda serie. Pare lecito parlare di accanimento terapeutico. Ma non si spiega il successo duraturo delle molte serie tv mediche «d' importazione»: da «E.R.», alla 15esima edizione, a «Doctor House» alla quinta come «Grey' s Anathomy» e «Nip/Tuck». E poi ancora «Scrubs», all' ottava. Non si spiega. O forse sì?
("Corriere della Sera", 03.11.2008)
7 commenti:
rassegnamoci: in Italia i telefilm non li sappiamo fare (a meno che qualcuno consideri un capolavoro "Boris")...
La spiegazione è perfino ovvia. E non è neanche vero che non sappiamo fare i telefilm, basta essere coraggiosi. Vedi Coliandro, Montalbano e i pochi altri esempi positivi.
peccato che Coliandro e Montalbano non siano telefilm...
Helen
Anche se l'episodio dura due ore, sempre "serie tv" è, al limite "miniserie.
se dura 2 ore è film-tv
o al max miniserie se è un ciclo...
i telefilm (serie tv) sono da un'ora o mezz'ora (sit-com)
Film-tv è quando è unico, di Montalbano ne han girati una ventina, quindi anche *mini* serie si addice non totalmente. "Serie tv" IMHO è la definizione più azzeccata.
Ha ragione Helen, non è serie-tv. Montalbano sono cicli di film per la tv (film-tv o tv-movie). Al massimo si può rispolverare il caro e vecchio termine "sceneggiato" (derivante da opera letteraria), ma serie tv proprio no. La definizione comunque e sulla Garzantina di Grasso o nell'Introduzione del Dizionario dei telefilm Garzanti.
Fujiko
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