La minaccia incombe. Al momento di andare in stampa, la notizia è confermata: il famigerato e temutissimo Qualitel entrerà in funzione dal prossimo mese. Si tratta di una sorta di indice di gradimento dei programmi tv della Rai. Fortemente voluto dall'ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, il sistema di rilevamento che affiancherà il già discusso Auditel è al centro di polemiche e dubbi. Di costi (altissimi) e di (scarsa) efficacia. Giancarlo Leone, vicedirettore generale della Rai, ha messo le mani avanti: «Come Rai non siamo i motori di questa iniziativa, ma facciamo nostra una richiesta del ministero. Ero tra i più freddi e continuo a esserlo: sono scettico sul fatto che questo sistema di valutazione migliori la qualità del servizio erogato. La qualità percepita non modificherà più di tanto le nostre strategie. Credo che si tratti più di un' operazione di immagine che di sostanza». In senso pratico, ogni giorno sarà intervistato un campione di persone (circa 5.000) che esprimerà un giudizio sui programmi tramite una scala di gradimento articolata. Con un costo non indifferente: quattro/cinque milioni di euro l'anno. Soldi ben spesi? «Io quei soldi li spenderei sul prodotto - ha commentato Leone sul "Corriere della Sera" - La qualità sta nelle persone che si scelgono, nel lavoro sui progetti, in un piano editoriale che è stato giudicato da tutti innovativo». Sempre sul "Corriere della Sera", Antonio Ricci è stato tranchant: «Mi sembra un' inutile baracconata. Vedo in tv molte cose che sono spacciate per essere di qualità e non lo sono. Il telecomando è il tuo qualitel. E poi trovo che vadano in onda programmi obbrobriosi che però sono di stimolo. Prendiamo Sanremo, un prodotto pazzesco: alimenta commenti, discussioni, il divertimento è nel chiacchiericcio che genera». Il punto per Ricci, e non solo per lui, è un altro: «Andrebbero resi noti i risultati dell'Auditel solo per le fasce di spettatori fino a 50 anni: è l'unico modo per far sì che non vengano inseguiti modelli stantii di televisione. Così come è ora invece si va a alla ricerca di un pubblico troppo anziano, scacciando i giovani dalla tv». Se Pippo Baudo applaude il Qualitel («Lo invoco da anni, per una tv di servizio pubblico come la Rai è un imperativo categorico. Non è vero che il pubblico vuole il trash"), il direttore di Raidue Antonio Marano, dà ragione a Ricci: «Per me la qualità è determinata da un sola cosa: il telecomando. Ben venga uno strumento che aiuta a capire cosa pensa il telespettatore, un aiuto a come migliorare l'offerta dei programmi. Ma poi la qualità è anche soggettiva. Se chiedo a chi guarda 'Palcoscenico' un giudizio sull'opera che hanno visto, la risposta sarà positiva per l' 80 per cento dei telespettatori, ma non per questo il giorno dopo metto in prima serata Palcoscenico. Saranno rilevazioni che non incidono direttamente sul palinsesto». Tra i favorevoli al Qualitel, si è espresso Renzo Arbore («Lo aspetto da anni. Il Qualitel non serve soltanto per individuare se un programma è di qualità o no, ma anche a capire se è amato o no"). Maria De Filippi avverte: «Non ho niente in contrario purché non venga utilizzato in modo ipocrita. Ogni volta che un programma non ha raggiunto un buon risultato di Auditel, subito conduttori e produttori si affrettano a dire che però lo guardano i laureati e che quindi è un programma di qualità. Invece io dico che quando uno show fa sei milioni di spettatori vuol dire che prende tutto il bacino televisivo, dai laureati a chi ha studiato di meno. Quando intervistano la gente per strada tutti a dire che guardano Raitre e i documentari, poi leggi il dato di ascolto e viene fuori che la realtà è un' altra. Il concetto di qualità troppo spesso serve da giustificazione a chi non fa ascolti». A margine, sempre sul "Corsera", Aldo Grasso ha commentato: "Ma è quantificabile la qualità? È possibile misurare la nozione più sfuggente che ci sia? L' unica certezza sulla qualità è che non esiste una ricetta per produrla. Questo non significa che bisogna rassegnarsi a una tv senza qualità o riconoscerci solo nel peggio. Significa che la qualità è semplicemente un modo di fare bene le cose. Quando la qualità c' è, si vede. Non c' è bisogno di certificarla: una serie prodotta dalla Hbo ha quasi sempre le stigmate della qualità, in una serie prodotta da RaiFiction è più difficile scorgerle. Quello che si certifica, infatti, non è la qualità ma la qualità messa tra virgolette, una sorta di burocratico «apprezzamento percepito dall' utente», di consumer satisfaction, di luogo comune sulla qualità. È un costoso obbligo istituzionale che la Rai ha nei confronti del contratto di servizio, capace solo di soddisfare i più ingenui. Ci sono persone che amano parlare male della tv perché considerano il mezzo incompatibile con qualsiasi discorso alto: basta però chiedere loro il nome di un programma che possa guidare la riscossa e inesorabilmente parlano di documentari. Inutile spiegare loro che la qualità è qualcosa di più sottile, di più complesso. L' idea poi che la misurazione della qualità possa invertire la programmazione della Rai è semplicemente ridicola. Per invertirla basterebbe una decisa scelta editoriale. Ma la nostra tv generalista, per scelte politiche, è incapace di produrre qualità perché non applica più il fondamento stesso della qualità: la finezza". Ecco, buona tv di qualità a tutti, anche nel 2009!
(Articolo di Leo Damerini pubblicato su "Telefilm Magazine" di Dicembre - Vignetta tratta da TvBlog)
1 commento:
Magari servisse a far capire che 6 milioni di italiani che guardano l'Isola dei famosi non corrispondono a 6 milioni che adorano quel programma, ma solo voyeurismo per vedere se il pornostar di turno si tromba qualcuna! Oppure che quel milione e mezzo di "Desperate Housewives" in gran parte adora Bree e amiche...!!! Ma non m'illudo!
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